Probabilmente ispirati alla
tradizione folkloristica dei Re Taumaturghi, nell’universo narrativo di The Royals sono gli esponenti
dell’aristocrazia i soli possessori di superpoteri. Più puro è il sangue più
potenti sono le abilità superumane. Toh, un’idea originale nel campo dei
supereroi. E come le migliori idee originali è semplice e rielabora un concetto
preesistente che nessuno aveva avuto l’illuminazione di trasporre prima in un
altro contesto.
Questo primo episodio funge da
prologo e si svolge in due linee temporali diverse: nel 1945, mentre sta ancora
infuriando la Seconda
Guerra Mondiale, il principe Henry si lancia su Berlino per
contribuire alle sorti di Albione da par suo, e vi incontra un arcinemico per
il momento ancora innominato.
Nel 1940 gli Windsor hanno ben altri
pensieri che la guerra che ormai è giunta anche nella loro nazione. Il placido
re Albert si gode la vita e i fasti di palazzo insieme ai figli Henry, Rose e
Arthur (quest’ultimo uno stronzo debosciato), protetto dalle voci artatamente
diffuse secondo cui nessuno dei suoi figli possiede superpoteri, esattamente
come lui, e quindi non possono fare nulla per proteggere i loro sudditi, tanto
meno sporcandosi le mani in battaglia. Ma durante una festa la telepate Rose e
il volante (e chissà quante altre cose) Henry si allontanano dalla sfarzo del
palazzo per vedere cosa sta succedendo realmente al loro Paese e a seguito
della visione delle brutture della guerra decidono di prendervi parte attiva.
Per il momento, almeno, si è visto in azione Henry.
Oltre a un assunto di base non
banale The Royals offre una lettura piacevole fatta di battute secche
alternate ad altre che immagino vogliano parodiare la prosopopea britannica.
Non è ragionevolmente da escludere che alla fine questa miniserie di 6 si ridurrà
alla solita scazzottata, ma voglio comunque dare fiducia allo sceneggiatore Rob
Williams.
I disegni di Simon Coleby sono
oltretutto piuttosto belli ed efficaci, molto dettagliati ma anche abbastanza
espressivi. Qualche pecca ce l’ha pure lui ma sullo stesso ripiano della
fumetteria dove ho trovato The Royals
c’era anche il ventesimo John Constantine
con gli sgorbi di Ben Templesmith, che mi ha fatto desistere dal continuare a
comprare la testata (con buona pace di Swamp
Thing che magari recupererò in altro formato) e di fronte al quale Coleby
sembra Manara.
Nell’albetto sono presenti solo
un paio di refusi, ma purtroppo uno proprio in un esergo nella postfazione di
Williams, dove risalta terribilmente.
In appendice una storia breve di
Gilbert Hernandez, dal soggetto molto banale e disegnata con una
semplificazione del tratto quasi offensiva. La cosa che ho apprezzato di più de
La Signora
in Nero (questo il titolo della storiella) sono i colori di Lee Loughridge.
La storia è in bianco e nero ma giuro che viene veramente indicato il
colorista: forse avrà scelto quale tonalità di azzurro impiegare per riempire
le parti di tavola non occupate dalle vignette…
Io ho una teoria su Coleby, che ho conosciuto 20 anni fa quando ha preso il testimone da Tom Morgan sulle pagine del Punisher 2099, considerato le tavole che produce da qualche anno: un tizio che chiameremo Ics ha suonato alla porta del vero Simon Coleby mentre stava consegnando le ultime tavole del suo vigilante teschiato futuribile, lo ha stecchito e seppellito in giardino e preso il suo posto.
RispondiEliminaIl Coleby del 2099 era geometrico e legnosissimo, ma soprattutto lontano da quello tutto sommato in linea con la tendenza Hitch /Hairshine/Luke Ross inchiostrato da Butch Guice / Steve Epting etc quanto Manara lo è da Templesmith. E non è un giudizio di valore. Ci sono mele e arance, come diceva anche Cindy Lauper spiegando la differenza tra lei e Madonna.
Ics... Hitch... secondo me non è un caso.
EliminaSai che anche a me Coleby ha ricordato Hairsine?
Nel mainstream , a grandi linee, il Regno Unito ha portato in dote due correnti: 1 ) stilizzata & cartoon con deriva punk ( Cam Kennedy, Mike McMahon, Kev O ' Neill 2) realista ed iperrealista ( Alan Davis , Hitch etc )
RispondiEliminaMi rendo conto che sia difficile inserire al punto uno o due disegnatori come Biz Bisley o Dave Gibbons.
Ora che ci penso, il fumetto che vorrei leggere è una storia di una mutante ninja super spia amazzone cyborg con dna alieno xenomorfo e + personalità della Crazy Jane di Morrison filtrato dalla manina matta di Bisley. Crazy X dovrebbe avere le sembianze di Cindy Lauper. Annuals di
Dave Cooper e Dan Hipp. Alternati, non insieme. Testi di Morrison e Millar. Naturalmente alternati, ma non si mai. Da quello che ho visto in rete, sono tornati a lavorare nello stesso team, come matite e chine, Miller e Janson ( seconda portata di DK: Master Race ). Tutto è possible.
mi sto facendo una cultura sul fumetto inglese con Crepascolo.
EliminaUn capitolo a parte, mi passa x la zucca solo ora, è Brendon McCarthy. Mainstream ? si chiederanno i soliti 25 lettori. Oh, yeah. Ha disegnato anche Dredd.
RispondiElimina...non si chiama BrendAn? Vaghi ricordi delle copertine di Shade.
EliminaBrendan. Bravo. La Comic Art lo giudicava ostico x il pubblico della testata e così ogni tanto prendeva ed ingrandiva una vignetta della storia ( un implume e promettente Chris Bachalo ) e la usava come cover. Non sempre. Poi è arrivato Jamie Hewlett. BrendAn. Sorry. Devo smetterla di scrivere mentre lavoro ai test x la nuova Golf No Tricks ed il Maggiolone Every Breath You Take.
RispondiEliminaBravo Brendan potrebbe essere un bonellide della Star o della Cosmo su di un mercenario pallido con gli occhi sottolineati dal kajal che partecipa ad un quiz show nella solita realtà post apocalittica e contende a zombi lenti e veloci l'Ultimo Premio ovvero la mappa x la Terra Promessa salvo scoprire dopo cento numeri bimestrali che si tratta del caveau in cui nazis in fuga avevano nascosto le tele pittate dai figli di alcuni gerarchi credendo fossero dripping di Pollock. Testi di Milligan e disegni di Jorge Corona. Annuals di Felipe Andrade e Bret Blevins. Alternati. Covers di Brendan McCarthy.
E' il caso che convinca Matthias ( Müller ndr ) a cambiare il nome in Maggiolone Breathe ( e basta ): Midge Ure nello spot ci potrebbe costare uno zinzino, ma Sting ci chiederebbe una cifra sufficiente a comperare un Pollock. Chissà se i bimbi di Matthias giocano con il colore...
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