domenica 30 settembre 2018

Cappuccetto Rosso Redux

Grande ritorno di Danijel Zezelj al fumetto, almeno a un genere di fumetto più adatto alle sue corde rispetto ai comic book a cui si è dedicato negli ultimi anni.
La fiaba classica viene interpretata con immagini molto suggestive e narrata attraverso sequenze interamente mute. Oltre alla conoscenza pregressa del canovaccio, per comprendere la trama ci sono le espressioni molto intense dei personaggi e il dinamismo che Zezelj ha saputo infondere nelle vignette, permettendo al lettore di intuire le figure in movimento anche nel fitto di un bosco intricatissimo di rami scuri. Ma anche la scansione e le dimensioni stesse delle vignette rendono la lettura ammaliante. E oltre a questo, c’è la cura per i dettagli e il particolare stile di pittura a strati a rendere il tutto ancora più affascinante ed evocativo.
Attenzione, però: la favola di Cappucetto Rosso serve solo da base di partenza per Zezelj, che ne dà un’interpretazione originale e inaspettata con tanto di colpo di scena finale – anche se forse non del tutto congruente con quanto visto prima. In quarta di copertina di questo bel cartonato edito da Eris il fumetto viene definito «piccolo capolavoro dalle atmosfere sciamaniche». Direi non tanto piccolo, in effetti.
Unica nota stonata, forse dovuta all’eccessiva esposizione dell’autore al mercato statunitense, è la figura del Cacciatore, reso con una fisionomia per così dire “hip hop”, con delle manone su un corpo segaligno. Ci si fa presto l’occhio, ma chi conobbe Zezelj su Il Grifo proverà un po’ di nostalgia per i suoi massicci omoni come Sophia, certamente meno dinamici ma più rispettosi dell’anatomia.
Questa versione a fumetti nasce dopo un cortometraggio d’animazione, ma da quello che ho potuto vedere si tratta di due progetti paralleli e tutte le immagini del volume sono state realizzate appositamente.

giovedì 27 settembre 2018

Doomsday Clock 3-6

Quando l’ho visto in fumetteria ho pensato che si trattasse di un omaggio, di un ammiccamento per attirare curiosi o al massimo di un elseworld che riprendeva solo superficialmente i personaggi rappresentati. Irretito dagli splendidi disegni di Gary Frank ho preso le copie disponibili e ho scoperto così che (almeno da quello che ho potuto leggere) si tratta veramente di un seguito di Watchmen mischiato con l’universo DC!
Non ho i primi numeri, ma grazie a quello che ho letto su internet posso ricostruire la situazione di partenza: nel 1992 la montatura di Ozymandias è stata scoperta e la popolazione americana incazzatissima vuole giustamente la sua testa, visto che il suo piano per salvare il mondo non ha funzionato. Adrian Veidt, malato di cancro (ma negli episodi successivi questo particolare viene dimenticato…) fugge quindi in una realtà alternativa insieme al nuovo Rorschach (!) e a una coppia di nuovi criminali mai così ridicoli, per trovare il Dottor Manhattan e fargli mettere a posto le cose.
Ovviamente finirà nell’universo DC, o meglio in uno degli universi DC, per la precisione uno in cui i supereroi, o “metaumani”, sono una novità relativamente recente (ma ci sono anche riferimenti a personaggi degli anni ’40) che voci incontrollate dicono essere stati creati con fini politico-militari, come nuove armi di distruzione di massa. A quanto pare il governo ha anche ingaggiato delle persone dotate di “metagene” per attivarne i poteri latenti e far recitare loro la parte dei supercattivi, anche se lo scopo principale del Department of Metahuman Affairs è la proliferazione superumana con cui tenere testa ai supereroi della altre nazioni – ma in America c’è già la più alta concentrazione di metaumani al mondo: il 97%.
Non è difficile cogliere un sottotesto di critica alla comoda pratica di servire panem et circenses a una plebaglia di cittadini/lettori creduloni, tanto più che in alcuni dialoghi tra Ozymandias e Batman (!) Geoff Johns critica aspramente il mondo dei fumetti di supereroi, che si ripetono sempre uguali e senza alcuno spessore. Da che pulpito viene la predica, però: questo Doomsday Clock è molto pretenzioso, ridicolo in tante parti e in definitiva ben poco più maturo di un fumetto di supereroi canonico.
La prosa di Johns vuole imitare quella aulica e ispirata di Alan Moore, ma i risultati (pur se non pessimi) sono soporiferi, inadeguati, privi della ricchezza lessicale di quelli del Bardo di Northampton. Inoltre l’idea di ibridare Watchmen, un universo narrativo pensato come opera chiusa in sé, con un altro universo che per sua natura deve essere potenzialmente eterno e rinnovarsi di continuo (con trovate assurde che però fanno parte del gioco) porta inevitabilmente a una lacerazione della sospensione dell’incredulità, anche in una storia con delle basi fantastiche. Quello non può essere il “vero” Ozymandias, calato in un contesto così semplificato rispetto all’originale. E poi, dio ce ne scampi e liberi, viene pure resuscitato il Comico!
Certe trovate potrebbero funzionare benissimo all’interno di un comic book per ragazzi, ad esempio il potere del Mimo di sparare con pistole immaginarie, oppure certi dialoghi come quello tra gli sgherri di Mister Freeze, il quale ha una pessima calligrafia ma prova tu a scrivere bene con i guanti da neve sempre addosso. Ma qui questa ostentazione di facile umorismo e di superpoteri coreografici quanto assurdi fa a pugni col ricordo della profondità e della levatura di Watchmen. E anche l’ostentazione della violenza e un fugace accenno al sesso finiscono come al solito per sottolineare i limiti invalicabili del fumetto nordamericano, che cercando di spingere sempre più in là l’asticella del rappresentabile finisce per sottolineare ancora di più quanto sia presente e invalicabile.
Una delle poche cose che ho inizialmente apprezzato è il riferimento a Nathaniel Dusk, una vecchia miniserie hard-boiled della DC Comics incensata da più parti, in primis l’Enciclopedia dei Fumetti della DeAgostini. Poi però si scopre che il personaggio è solo un McGuffin e le sue versioni cinematografiche nascondono probabilmente degli indizi sul nascondiglio del Dottor Manhattan.
Doomsday Clock riprende pedissequamente la grafica del modello ispiratore, e con essa anche il formato prestige senza pubblicità tra le pagine a fumetti e con un’appendice scritta alla fine. Superfluo ribadirlo, i testi di Johns sulla biografia fittizia dell’attore che interpretava Nathaniel Dusk o sulla documentazione interna al Dipartimento per gli Affari Metaumani sono un pallido ricordo di quello che fece Moore a suo tempo.
Una contaminazione tra narrativa a fumetti alta e bassa può esistere benissimo, e potrebbe pure dare degli ottimi frutti. Il Tex d’Autore di Eleuteri Serpieri è un gioiello, così come lo sono molti volumi “vu par” di serie franco-belghe classiche. Purtroppo in Doomsday Clock si è scelta la strada di far convivere forzatamente due tipologie di fumetto che non stanno affatto bene assieme, anche perché una è il riflesso deformante dell’altra. Ma chissà, forse Johns saprà stupire il lettore nei prossimi episodi, anche se ne dubito fortemente.
Restano comunque i meravigliosi disegni di Gary Frank, che potrebbero anche giustificare da soli l’acquisto (magari facendo molta attenzione a non leggere le minchiate scritte nelle nuvolette e nelle didascalie). Il suo fitto e sottile tratteggio ricorda delle eleganti incisioni, ma il risultato complessivo è dinamico e molto espressivo: immagino che sia stato ore e ore a guardarsi allo specchio per trovare le espressioni giuste con cui fare recitare i personaggi.

mercoledì 19 settembre 2018

Cose di questo mondo

L’altro giorno ho dovuto sostituire questo
con questo
A quanto pare uno dei componenti aggiuntivi, NoScript, non è più compatibile con la versione vecchia e per quanto abbia provato a tornare al FireFox pre-Quantum non c’è verso di non far partire un aggiornamento automatico.
Oltre alla mia idiosincrasia verso le novità, c’è il fastidio per una grafica meno bella di prima, per i record ai giochini Flash perduti, per scelte per me assurde (perché devono esserci tre cartelle per i Preferiti?) e una maggiore velocità promessa ma nei fatti inesistente. E si è verificato anche uno stranissimo fenomeno.
Dopo aver aperto una prima scheda/pagina che andava alla perfezione, alla seconda che aprivo il browser sembrava bloccarsi, o comunque andava lentissimo. Pazienza, usavo Chrome mentre intanto facevo tentativi con FireFox, ed è così che mi sono accorto di una cosa incredibile: se come prima pagina apro un blog e poi ne apro un altro dal blogroll del primo tutto funziona alla perfezione!
Per me ovviamente non è un problema, ma se un utente di FireFox non ha un blog oppure non ne bazzica nessuno (e se qualcuno non ha un blog credo che difficilmente ne frequenti) come diavolo fa a usare FireFox, o meglio a navigarci in più pagine contemporaneamente?

domenica 16 settembre 2018

The Wild Storm: Libro Secondo

Netto miglioramento per questa nuova serie di Ellis, di cui si comincia a intravedere il disegno sottostante. Siamo ancora nella fase di posizionamento dei pezzi sulla scacchiera, ma stavolta ho riscontrato una maggiore grinta in alcune scene e il vecchio splendore dei dialoghi dello sceneggiatore.
C’è poca azione e molta pianificazione in questo secondo volume e data la complessità della trama (ma più che altro delle relazioni tra i tanti personaggi) Ellis ha riassunto con professionalità la situazione nel primo capitolo, consapevole che i comic book originari sarebbero stati raccolti in questo formato. Le tre forze che si contendono di nascosto il controllo del mondo (Halo, Operazioni Internazionali e Stormwatch) stanno finalmente per venire ai ferri corti mentre viene gettata un po’ di luce sui “rettiliani” demoniti. Fa la sua entrata in scena il luciferino Henry Bendix e compare anche Swift, che però a sorpresa in questa versione è diventata la nuova Doctor.
Questo arco di sei episodi termina con l’arrivo di un nuovo personaggio e quindi un mezzo cliffhanger, ma due Anteprima fa è stato annunciato il terzo volume quindi non ci vorrà molto per leggere il seguito. O almeno spero.
Molto buoni i disegni di Jon Davis-Hunt (colorato da Steve Buccellato): puliti, dettagliati e anatomicamente corretti. Certo, a voler essere stronzi si possono trovare difetti anche in alcune sue immagini, ma avercene di altri disegnatori come lui negli USA! Va detto poi in difesa di Davis-Hunt che è stato costretto a riempire le tavole di vignette con poca o nessuna possibilità di variare le inquadrature, visto che Ellis si è fatto prendere la mano (l’impressione è che sia molto coinvolto nel progetto) e ha fatto parlare tantissimo i suoi personaggi. È incredibile come Ellis, fautore se non proprio introduttore della decompressione nei fumetti statunitensi, abbia caratterizzato questo Libro Secondo con una scrittura densissima. Ovviamente non mi sono cronometrato, ma credo di aver impiegato più di un’ora per leggere tutto il volume.
Non male l’edizione curata da RW Lion, che oltretutto costa 15 euro scarsi. Gli unici difetti che le ho riscontrato, oltre a qualche occasionale refuso, sono il font del lettering inadatto per questo tipo di fumetto (e in generale per ogni tipo di fumetto) e l’uso smodato del verbo “subornare” in vece di “corrompere”.
In appendice c’è una ricca galleria di variant cover a opera di Jim Lee e Bryan Hitch. Ahinoi, una più brutta dell’altra.

sabato 15 settembre 2018

Historica Biografie 17: l'imperatore Meiji

Che palla micidiale l’ultimo volume di Historica Biografie. La storia dell’imperatore Meiji non viene raccontata, ma riassunta da due personaggi (manco si capisce bene chi sono, per fortuna arriva in soccorso il “making of” in appendice) che parlano parlano parlano parlano parlano parlano parlano parlano parlano parlano parlano parlano parlano parlano parlano parlano parlano parlano parlano parlano parlano parlano parlano parlano.
La narrazione è poi puntellata di flashback che saltano da un anno all’altro, di dialoghi a volte artefatti (per farci stare dentro tutte le informazioni necessarie) e da repentini cambi di scena come quello a pagina 33, che dovrebbero probabilmente suscitare un effetto sarcastico ma che finiscono per confondere il lettore. Una prova indegna di Mathieu Mariolle, che ha scritto ben di meglio.
A fare da contraltare alla parte scritta ci sono i disegni di Ennio Bufi che, per quanto sintetici e a volte scarni (o forse proprio per questo) sono eleganti e molto espressivi. In pratica costituiscono il principale motivo d’interesse di questo volume ancor più dell’appendice storica curata da Guillaume Carré, il quale a sua volta parla molto poco dell’imperatore Meiji per concentrarsi sulla storia del Giappone. Buoni anche i colori affidati a Gabriela S. Hamilton e Arancia Studio, ed evidentemente realizzati con cognizione di causa visto che hanno corretto la forma di un berretto militare a pagina 10.

giovedì 13 settembre 2018

Il Morto 34: Cose strane in casa Gosi

Episodio un po’ anomalo per Il Morto. Peg continua la ricerca della sua vera identità in un paese asserragliato dalle nebbie del Po, ma ad avere maggiormente le luci dei riflettori puntate addosso sono le due tremende vecchiette di casa Gosi, in una vicenda a metà strada tra Arsenico e vecchi merletti e La Casa dalle finestre che ridono.
Piergiorgio Stella sembra essere sulla buona strada e finalmente parrebbe che si stia facendo luce sul suo passato. Ma con un colpo di scena ben impostato e assai cattivello Ruvo Giovacca infrange le speranze di Peg e quelle del lettore! Nel frattempo un criminale si è rifatto fare il volto da un medico radiato dall’albo e, braccato dai carabinieri, torna proprio a casa Gosi, da quelle che si scoprono essere le sue zie, impegnate dal canto loro a “sistemare” il padre del pretendente alla mano della nipote Bianca, che evidentemente aveva visto giusto nel ritenerle affette da turbe psichiche.
La storia è molto suggestiva e appassionante, l’unico momento che mi ha lasciato un po’ perplesso è quando il super-soldato Peg le prende con eccessiva facilità da un trio di malviventi non proprio bene in arnese; ma d’altra parte quella sequenza è funzionale all’ingresso sulla scena del Morto, quindi ben venga.
Il vero, unico, difetto di Cose strane in casa Gosi è che la storia non si conclude qui ma si tratta della prima parte di una trama che si svilupperà nel prossimo numero. Imbastire una continuity abbastanza stretta è senz’altro una cosa buona, ma già quella si perde nell’attesa tra un numero e l’altro, figuriamoci tra due o tre mesi (se va bene) cosa mi ricorderò di questo episodio!
Ai disegni c’è la consolidata coppia Conforti-Codina, autori di scene veramente molto riuscite, a volte semplicemente perfette per dinamismo, gestione della profondità e scansione delle vignette. Chiaramente anche lo Studio Telloli avrà avuto il suo peso nell’elaborazione degli effetti con cui è stata resa la nebbia e nella creazione della planimetria degli edifici e degli sfondi.
In appendice stavolta ci sono ben due storie brevi, entrambe di ottima qualità: la prima (Incontro di Giovacca e Paolo Telloli) subisce evidentemente l’influsso di Moëbius, con un finale a sorpresa tipico dei fumetti di Lanciostory. La seconda (Rapina alla Banca: sempre Telloli ai pennelli ma stavolta ai testi c’è Roberto Anghinoni) è una divertente gag in due pagine disegnata splendidamente. Le date di realizzazione di queste due storie, rispettivamente 1980 e 1982, confermano quali fossero il contesto culturale e gli influssi con cui vennero concepite. Peccato che una scansione non ottimale, più ancora del formato pocket, non renda giustizia all’ottimo lavoro di Telloli.

martedì 11 settembre 2018

Historica 71 - Napoleone Beresina 2: La Disfatta

Si conclude con questo secondo volume l’epopea maledetta scritta da Patrick Rambaud: la Grande Armata insieme a Napoleone è in fuga attraversa la Russia per scappare dai cosacchi, ma il Generale Inverno rende la traversata un inferno di ghiaccio e fame che stermina i soldati senza quasi che questi se ne accorgano.
Il fumetto è reso appassionante non solo dal grande realismo (con derive quasi splatter) e dal senso di incombente tragedia che lo permea, ma anche dal meccanismo della narrazione corale, grazie al quale il lettore vede intrecciarsi le vicende di quattro protagonisti diversi. Non so quali siano i margini entro cui si è mosso lo sceneggiatore Frédéric Richaud, ma essendo la matrice di Beresina letteraria (il romanzo di Rambaud) e non solo storica, ne è venuto fuori un prodotto ben più appassionante di una semplice ricostruzione.
Ho trovato molto arguto il gioco con le aspettative del lettore per quel che riguarda la sorte di Ornella: dopo una scena in cui veniva lasciato intendere che il personaggio potesse essere morto, era naturale aspettarsi che si salvasse in una situazione ben meno cruenta. E invece…
Il comparto grafico è magnificamente reso da Iván Gil. Pur se indulge spesso nel caricaturale (che però a un certo punto diventa quasi necessario per stemperare l’orrore di alcune sequenze), le sue tavole sono dettagliatissime e le sue panoramiche sono veramente impressionanti, come giustamente sottolineato anche da Brancato nell’introduzione. Le coloriste Albertine Ralenti ed Elvire De Cock rendono alla perfezione il clima livido e cupo della storia.
Resta purtroppo il rimpianto per la scelta della Mondadori di presentare Beresina al risparmio, pubblicando i tre volumi originali in due numeri di Historica, quando fino a qualche anno fa era normale che un unico tomo della collana contenesse quattro volumi originali. Non è tanto un discorso di convenienza, quanto il fatto che essendo la storia così avvincente sarebbe stato veramente ideale leggerla tutta di seguito.
In appendice ci sono sei pagine che riprendono materiale iconografico e letterario usato come ispirazione per il fumetto.

venerdì 7 settembre 2018

Linus 9/2018

L’ultimo numero di Linus ha come filo conduttore i migranti e, per estensione, i problemi delle minoranze. Più che altro, dato lo scarso rilievo che effettivamente riveste l’argomento, si ha più che altro l’impressione che si tratti di una scusa per giustificare la ristampa di un vecchio Muñoz-Sampayo come storia lunga in appendice, e per presentare due pagine di Peanuts (con le strisce in cui compare il nero Franklin) avulse dalla riproposta cronologica, che comunque continua nelle tre pagine successive.
Questo numero non si presentava insomma nel migliore dei modi, eppure l’ho comprato e gradito. Peanuts e Calvin & Hobbes sono sempre un piacere, decisamente meno Barnaby che ho saltato direttamente. Alcuni autori hanno rifatto capolino sulle pagine della testata: Jopo de Pojo di Swaarte è presente con una storia “lunga” (addirittura 8 tavole contro le 4 paginette solitamente riservate cadauno ai fumetti) che a ben guardare è un’accozzaglia di luoghi comuni e situazioni stereotipate, ma che mi ha fatto scompisciare dalle risate. Toffolo riprende Il cammino della Cumbia e anche se occasionalmente mi è sembrato che il suo disegno fosse un po’ più scarno del solito è stato piacevole leggerlo nuovamente e riannodare i fili della trama intravisti finora. Continua Phil Perfect di Clerc con una biografia originale e divertentissima e torna il Merendino di Lorenzo Mò. Delimitata da una cornice di due “one-pager”, la storia principale del cagnolino astronauta è basata su un meccanismo molto semplice e quasi infantile, ma anche qui ci si rotola dal ridere.
Continua anche Little Nemo in Slumberland, che probabilmente trarrebbe beneficio da un formato più grande; tornano I Quaderni di Esther di Sattouf, che stavolta mi sono sembrati più interessanti del solito, e continua anche l’Underworld di Kaz, anche stavolta di interpretazione non scontata e sospeso tra la stoccata efficace e la minchiata estemporanea, come emerge anche dall’intervista che introduce le sue 4 pagine. Con Kaz sono ben tre Fumettisti d’Invenzione in due numeri di Linus (quattro a volerci inserire anche la prima pagina di Merendino): niente male.
Buoni anche i fumetti non seriali. Di Mattotti viene presentata una selezione di schizzi e disegni accompagnati da un commento testuale che li rende simili a vignette umoristiche con un contenuto a volte esistenziale. La Preghiera di Caino “fumettata” da Laura Perez Vernetti è un’interpretazione della poesia omonima di José Luis Piquero. Appena letta questa cosa nell’editoriale di Igort mi è venuta la pelle d’oca, invece devo dire che l’operazione è riuscita visto che il testo è molto evocativo e la scansione delle vignette è molto ragionata ed efficace. Peccato che la stampa non sia ottimale. Habanera è un racconto noir molto ben confezionato in cui vengono riassunti in sei tavole i momenti salienti della vita di un uomo transfuga da Cuba da bambino e che a Cuba ritornerà. I testi sono firmati Norbescu, i disegni a opera del bravo Andreas Bananos Mimosa che ricorda Carpinteri. Peccato che l’evidente ricorso a tecniche digitali spezzi un po’ la magia del disegno.
Ma peccato soprattutto per Pepe l’architetto, quelle 26-pagine-26 alla fine della rivista che, per quanto ottime, ho già in chissà quante altre versioni – e stampate meglio.
La parte scritta è come al solito di livello buono od ottimo. Per alcune rubriche (Zeitgeist, Cronache dal mondo sommerso) un’unica pagina mi sembra uno spazio troppo costretto e resto sempre con la voglia di leggerne ancora, ma d’altro canto il numero delle pagine disponibili è quello che è. Tra gli interventi letterari si segnala particolarmente Allora, chi vuole soffiare? scritto da Piergiorgio Paterlini e accompagnato dalle tavole di Marco Galli: praticamente unico elemento coerente con il tema dichiarato di questo numero, affronta l’argomento in modo originale e battagliero.
In definitiva, anche se è molto meglio una ristampa di Muñoz-Sampayo piuttosto che un manga, spero vivamente che nel prossimo numero non ci sia un’altra sorpresa del genere.

giovedì 6 settembre 2018

Le Nuove Inchieste di Ric Roland 3: Come realizzare un omicidio perfetto

Questo terzo episodio del nuovo Ric Roland è più convincente del primo, ma non al livello del secondo. In concomitanza col Natale, qualcuno si sta divertendo a disseminare nei grandi magazzini parigini una falsa guida tascabile attribuita alle edizioni Marabout (che dai ringraziamenti parrebbero esistere veramente), che elenca vari metodi per assassinare il prossimo e farla franca. La cosa ha portato a un’impennata di omicidi, che hanno toccato quota 77. Per quanto il numero sia probabilmente simbolico (77 sono le avventure originali di Ric Hochet, giusto?) l’iperbole rimane inverosimile, né mi risulta che Il Manuale del Killer Professionista allegato a Frigidaire abbia portato a conseguenze simili. Ric parte comunque alla volta del Belgio, sede delle edizioni Marabout, per indagare insieme a Nadine.
Chiaramente non ha molto senso rimproverare alle storie del “nuovo” Ric Roland le derive flamboyant ed esagerate, visto che sono alla base dell’operazione, ma all’ennesima battutina sarcastica detta in circostanze improprie (ad esempio dopo che gli hanno fracassato l’auto con lui dentro) è inevitabile leggere il fumetto con un certo distacco. Oltretutto, secondo il canone stabilito da Zidrou, in questa serie Michel Vaillant è un personaggio reale.
Lo sceneggiatore ha anche voluto giocare col lettore introducendo inizialmente delle false piste: solo a pagina 21 viene definito il perimetro entro il quale si svolgerà l’avventura. Oltre a dare un senso di spaesamento, o almeno di sospensione, questa scelta ha portato a un’accelerazione sul finale per rimanere nelle canoniche 54 tavole dell’albo. E la rivelazione finale del colpevole non è che sia così geniale né apparentemente del tutto plausibile considerati gli attori in gioco e le loro relazioni. Per fortuna c’è un secondo finale che scioglie sarcasticamente uno dei fili conduttori dell’inizio (niente di troppo originale, comunque) e un terzo che forse vuole puntare il dito contro la morbosità delle masse.
Per il lettore franco-belga sicuramente la ricostruzione scrupolosa dell’atmosfera fine anni ’60 (o siamo già agli inizi dei ’70?) rappresenterà un bel tuffo nel passato e quindi un pregio, così come le molteplici citazioni fumettistiche disseminate nella storia (compaiono uno Charlier, un Denayer, ecc.) ma per un lettore italiano questo aspetto emotivo sarà molto più rarefatto se non inesistente.
Per quel che riguarda la parte grafica, Simon Van Liemt è veramente un grandissimo fumettista, ma non è altrettanto grande come disegnatore. Nelle sue vignette c’è tutto quello che deve esserci, i personaggi sono posizionati esattamente nel posto giusto e sono sempre molto espressivi. La lettura insomma procede spedita e fluida ma il disegnatore (che si concede anche il bel virtuosismo della splash page a pagina 48) non si è profuso molto in dettagli e talvolta ha indugiato un po’ troppo nel caricaturale. Chiaramente questo stile è perfetto per creare l’atmosfera vintage che le Nuove Inchieste vogliono evocare, e anche i colori di Cerminaro assecondano quest’ottica, ma non credo che il risultato finale sarebbe stato sminuito se Van Liemt avesse messo qualche particolare in più negli sfondi, avesse fatto maggiore attenzione ad alcune proporzioni anatomiche o avesse optato ogni tanto per una inchiostrazione meno grassa e coprente.
Nel complesso Come realizzare un omicidio perfetto è una lettura piacevole, anche se parte un po’ in sordina e bisogna stare al gioco degli autori.

lunedì 3 settembre 2018

Ma il secondo è mai uscito?

Il numero 1 era datato addirittura giugno 2014, e da quello che avevo capito sembrava che il secondo fosse già pronto o quasi.