sabato 24 ottobre 2015

Morgan Lost non ha inventato nulla.

Come abbiamo visto una delle caratteristiche del nuovo bonelliano Morgan Lost è l'uso della bicromia, per cui le tavole abbondano di rosso. Agli inizi del 2015, però, una scelta estetica di questo tipo è già stata intrapresa dal bimestrale Trieste Rosso Sangue, serie a fumetti di cui è uscito da poco il quarto numero e che dubito abbia travalicato i confini isontini.
Nel caso di Trieste Rosso Sangue, però, mi sembra che l'uso del rosso sia stato caratterizzato da un maggior criterio rispetto a quanto visto nella serie di Chiaverotti:
La serie è edita da Hammerle Editori e Stampatori ed è realizzata a cura di uno studio di autori che ruotano attorno al fumettista Zivorad "Zico" Misic, su cui eventualmente mi riservo di tornare in futuro.

mercoledì 21 ottobre 2015

Great Pacific volume 1: Rifiuti!

Dopo mesi dalla sua uscita e dopo averlo lasciato decantare per una settimana ho letto il primo volume di Great Pacific. Il soggetto è molto originale e interessante: il ricchissimo rampollo di una famiglia di petrolieri si finge morto e va a vivere sulla “Grande Chiazza”, un intero continente fatto di rifiuti tenuti insieme dalle correnti del Pacifico, per continuare indisturbato i suoi esperimenti su HERO, un sistema con cui trasformare la plastica per riciclarla.
Joe Harris non è Warren Ellis ma le basi scientifiche del suo soggetto sembrano ben documentate e sa renderle affascinanti. Il tocco di classe, comunque, è la trovata di far autonominare il protagonista Chas Worthington governatore dello stato del New Texas, come lui stesso ha ribattezzato la Grande Chiazza.
Il primo capitolo è un po’ farraginoso nonostante Harris ci tenga afar vedere quanto è bravo a scrivere dialoghi cool, ma con l’avanzare degli episodi la storia diventerà più fluida e frenetica. Pure troppo, perché a integrare questa vicenda di idrocarburi, ecologia e fantapolitica arrivano dei pittoreschi polinesiani, un kraken mutante innamorato (!), una affascinante pilota d’aereo, dei pirati più pittoreschi dei polinesiani, delle bombe atomiche inesplose e il belligerante esercito degli Stati Uniti. E alla fine la pistola HERO praticamente dona dei superpoteri a Chas. Un po’ troppa carne al fuoco, e di grana assai grossa, per gridare al capolavoro, e comunque questo primo volume sembra essere più che altro un’introduzione a una saga che sarà piuttosto articolata.
Ai disegni Martin Morazzo mi ha fatto inizialmente una buona impressione: il suo tratto molto stilizzato poteva ricordare Scott Kolins o altri disegnatori dallo stile molto pulito, ma alla prova dei fatti gli ho riscontrato vari difettucci, niente comunque che non sia destinato a sparire col tempo e il lavoro (mani e volti non sempre precisi, qualche sproporzione, certe asimmetrie, ecc.).
Vedremo come evolve – mi sono già fatto mettere da parte il secondo volume.

lunedì 19 ottobre 2015

Occhio per occhio, Marvel per Bonelli



Su Linus 16 del luglio 1966, l’ultimo ristampato da Repubblica, compare un articolo sui comic book della Marvel a firma Paolo Sala e (nientemeno) Alfredo Castelli.
Il prospetto riassuntivo delle varie serie Marvel non contiene dei dati propriamente esatti:

Daredevil possiede poteri telepatici?! Spiderman ha ottenuto i suoi poteri con una trasfusione di sangue?!
Cinquant’anni fa quei supereroi e gruppi Marvel avevano da poco abbandonato la loro prima infanzia, essendo nati tra il 1962 e il 1964, e notizie che oggi sono scontate non potevano esserlo all’epoca, quando oltretutto non era così facile ottenere informazioni di prima mano ed era impossibile essere aggiornati in tempo reale.
L’articolo di Castelli e Sala, in cui le imprecisioni erano più che giustificate per questi motivi (in un'altra parte del pezzo si segnalano Magneto e il Dottor Stromm – chiunque esso sia – come nemici dei Fantastic Four), me ne ha ricordato un altro apparso sul numero 37 della rivista francese Bodöi, uscito a gennaio del 2001.
Quel numero conteneva un dossier dedicato al fumetto italiano e al suo temuto influsso sul mercato francese visto che all’epoca il gruppo Rizzoli aveva appena acquistato Flammarion che a sua volta stava acquisendo Casterman. Tra interviste, contributi di vari autori franco-belgi e articoli da cui traspariva l’adorabile sciovinismo dei cugini d’Oltralpe figuravano anche dei trafiletti in cui venivano riassunte le caratteristiche delle serie Bonelli che non erano state approfondite altrove.
Pur tra citazioni esatte che dimostrano la conoscenza dei personaggi trattati (e forse – FORSE – un accenno di gradimento per Napoleone), ecco le perle che sono riusciti a inanellare gli autori del dossier in piena epoca di internet e senza un oceano di distanza tra loro e l’oggetto dell’analisi:

La mia preferita è lo Zagor amazzonico che si batte contro il diavolo.

sabato 17 ottobre 2015

Morgan Lost 1: L'uomo dell'ultima notte

Non sono un grande lettore di fumetti Bonelli ma questo Morgan Lost mi ha incuriosito. Sarà perché sembra tutto fuorché un fumetto Bonelli: la bella copertina minimalista con le foto segnaletiche è più vicina allo stile delle riviste di controcultura anni ’70 che a una copertina di Tex.
La trama e l’ambientazione sono piuttosto originali: in una ucronia in cui Albert Einstein è uno scrittore di fantascienza e non un Fisico i serial killer sono delle celebrità televisive ancor più dei loro cacciatori, professione a cui si è convertito il protagonista dopo il traumatico rapimento e la conseguente tortura ai danni suoi e della sua fidanzata Lisbeth, fidanzata che ha trovato la morte tra le mani dei due adoratori di Seth che come parte del rito le hanno tatuato una sorta di maschera rituale.
I due folli sono riusciti a tatuare lo stesso simbolo anche sul volto di Morgan Lost (che nella sua vita prima del trauma era gestore di un cinema per intenditori) ma il suo sacrificio al dio Seth è stato interrotto dall’arrivo della polizia. Poiché un serial killer sta agendo riprendendo il modus operandi dei due pazzi che gli hanno rovinato la vita, Morgan si sente particolarmente coinvolto da questo caso.
La serie è ambientata negli anni ’50 di questa realtà alternativa, in una metropoli ribattezzata New Heliopolis da un sindaco pazzo ed egittofilo, dietro cui non è però difficile intravedere New York, benché le transazioni economiche avvengano tramite «eurodollari». In questo universo parallelo l’evoluzione tecnologica ha avuto sviluppi differenti dal nostro (ad esempio esistono già telefoni cellulari e centrali atomiche) e anche la società è inevitabilmente diversa, con una burocrazia pervasiva e giornate lavorative di 14 ore. Ti credo che poi la gente va fuori di testa e ammazza chi capita sotto tiro.
Questo primo episodio è traboccante di citazioni cinefile e non (Morgan Lost praticamente vive al Museo del Cinema di Torino) e se ho ben capito la serie si occuperà di volta in volta di un serial killer in particolare, alcuni sono già stati introdotti adesso, portando però avanti anche una trama principale che rivelerà dettagli sul passato dell’eroe.
L’uomo dell’ultima notte non ha quel ritmo indemoniato e quell’azione che mi aspettavo. La cadenza della vicenda è sincopata e resa frammentaria da flashback e sequenze oniriche anche di brevissima durata, che creano degli inevitabili rallentamenti nella lettura. Il che è comunque inevitabile visto che Chiaverotti doveva introdurre un sacco di informazioni sull’ambientazione e sui personaggi e non poteva certo farlo con inseguimenti e pestaggi. Oltretutto questo esordio è solo il «primo tempo», come suggestivamente indicato in calce all’ultima pagina, di una storia che immagino si concluderà nel prossimo numero. Ignoro se sia una prassi comune o una novità per la Bonelli contemporanea, di sicuro certe vestigia dello stile classico di via Buonarroti sono ancora molto presenti: il peggiore insulto che si sente, oltretutto da un criminale a dei poliziotti, è «cornacchie» e a pagina 27 lo sceneggiatore sfodera un gioiellino di demodé: «Senza i manicaretti non te lo impalmi un mammalucco».
Michele Rubini svolge un buon lavoro ai disegni, che diventa ottimo nella sequenza del cartone animato in cui ho ravvisato, ma forse è solo un caso, delle influenze nientemeno che di Domingo Mandrafina. Esteticamente Morgan Lost presenta una soluzione originale per cui le tavole sono rese con una mezzatinta integrata da dettagli colorati di rosso. Il criterio con cui è stato scelto di evidenziare certi particolari mi è sfuggito, ma non si tratta di un vezzo gratuito visto che riflette la particolare forma di daltonismo di cui soffre il protagonista.
Purtroppo tanta ricercatezza non è supportata da una qualità di stampa adeguata. Anzi, persino l’introduzione di Chiaverotti sembra essere il tabulato prodotto da una vecchia stampante ad aghi. In ogni caso i suoi 3,50€ mi pare che li valga tutti, vediamo come prosegue.

venerdì 16 ottobre 2015

Corto Maltese: Sotto il sole di mezzanotte

Un volume riuscito sin dall’inizio, con una bella prefazione di Tristan Garcia che ripercorre con competenza la vita di carta del protagonista e propone una interessante lettura del suo successo e della sua genesi, oltre ad alcune considerazioni su concetti molto importanti della saga, fra tutti la frontiera.
In questa nuova avventura Corto Maltese parte alla volta dell’Alaska per assecondare il desiderio del suo amico Jack London di consegnare una lettera d’addio a una sua vecchia fiamma. Come incentivo al compimento della romantica missione fornisce a Corto un indovinello che gli consentirà di trovare un tesoro una volta sul posto.
Diaz Canales ha saputo ricostruire alla perfezione lo stile e le atmosfere di Pratt. Sotto il sole di mezzanotte è un vero compendio di poetica prattiana e sono presenti tutti quegli elementi ambivalenti che hanno fatto grande Corto Maltese: innanzitutto la storia parte da uno spunto molto originale in cui però l’aspetto di fantasia viene collocato in un ambito storico e geografico ricostruito rigorosamente, c’è l’elemento onirico che per contrasto rende ancora più incisiva la vicenda portante, l’appropriazione e la contestuale perdita di un tesoro e tutta la storia è costellata di meravigliosi personaggi che sono un misto di scrupolo documentario e immaginazione sfrenata (Ulkurib mi ha ricordato il barone Ungern Sternberg di Corte Sconta detta Arcana), ma anche di patetismo e contemporaneamente di eroismo romantico.
Un lavoro eccellente, reso ancora migliore dalle citazioni e le strizzatine d’occhio all’opera di Pratt e da un occasionale umorismo veramente azzeccato. Va segnalato che comunque la qualità della storia non si esaurisce nelle sue caratteristiche accessorie, ma di per sé Sotto il sole di mezzanotte è una bella storia d’avventura appassionante e godibilissima, forse un po’ sacrificata dal formato a quattro strisce che condensa più sequenze in una sola tavola dando una scansione delle scene un po’ troppo veloce.
Ammetto inoltre di essermi emozionato nel finale, in cui Corto Maltese rinuncia a partecipare a un ballo di gala (per raccogliere fondi per le truppe inglesi e francesi impegnate in Europa) dopo aver visto chi è la promotrice della serata.
Anche Pellejero (che avevo perso di vista dai tempi de Il Silenzio di Malka) compie un lavoro molto buono, ma secondo me non allo stesso livello di quello fatto dallo sceneggiatore. La mimesi con lo stile grafico di Pratt, in particolare del Pratt a cavallo degli anni ’70 e ’80 è praticamente totale, ma Pellejero riesce comunque a fare emergere la sua cifra stilistica più tondeggiante e flessuosa nel corso del volume. Peccato che certi sfondi, soprattutto dove sono di scena alberi, sembrino più frutto di rapidità che di sintesi, così come certe pennellate che vorrebbero imitare i neri intensi di Pratt tendano a risultare poco naturali e ad appesantire certe vignette (vedi le montagne nello sfondo o certi riflessi nell’acqua). È chiaro che si tratta di scelte stilistiche quasi obbligate per omaggiare il Maestro, semplicemente se questa esperienza avrà seguito Pellejero dovrà calibrare un po’ meglio questi dettagli. Anche i colori al computer, per quanto efficaci, non sono proprio la “stessa cosa” di quelli di Pratt, e nemmeno la qualità di stampa mi è sembrata ineccepibile come un tale volume avrebbe meritato.
Sotto il sole di mezzanotte è un volume consigliatissimo (peccato che il lettering fatto al computer tolga un po’ di magia al tutto), tanto più che per 20 euro propone oltre 100 pagine su carta patinata di cui ben 78 di fumetto. A integrazione c’è una gustosa appendice con schizzi preparatori e prove di Pellejero, alcuni riprodotti piuttosto male, e commenti sparsi di Diaz Canales. Certo, sono rimasto piuttosto basito a leggere che per lui internet sopperisce alla sterminata biblioteca di Pratt, ma visto l’ottimo lavoro svolto è una boutade che gli perdono senza difficoltà.

mercoledì 14 ottobre 2015

Ancora su Alix

Partendo dal presupposto che la collana di Alix è imperdibile e si mantiene su livelli molto alti, mi chiedo perché la Mondadori stia facendo dei salti temporali così consistenti tra il materiale presentato. Il quinto episodio è piuttosto recente, risale addirittura al 1988.
Questa scelta editoriale permette senza dubbio di apprezzare l'evoluzione di Jacques Martin (nel caso specifico de Il Cavallo di Troia potremmo però parlare di una lieve involuzione sul piano grafico) ma genera alcuni buchi nella continuity: la storia stessa mi è sembrata un'appendice a un volume precedente di cui riprende un personaggio e la situazione stessa di partenza, così come rivedere il presunto arcinemico di Alix senza averlo mai conosciuto prima toglie un po' di effetto alla sorpresa.
Le avventure precedenti in cui vengono introdotti questi elementi sono proprio così poco meritevoli da esserne procastinata la pubblicazione? Chi vivrà vedra.


domenica 11 ottobre 2015

Batman - Urla nella Notte

Però, un discreto pugno nello stomaco questo graphic novel di Batman risalente a oltre vent’anni fa.
Batman e il commissario Gordon indagano su quella che sembra una guerra tra produttori e spacciatori di droga per poi scoprire che in realtà si tratta dell’operato di un serial killer che trucida i colpevoli di violenze su minori infliggendo loro le stesse sevizie subite dalle vittime o ammazzandoli ideando degli scenari “a tema”: un appassionato di filmetti particolari viene ritrovato nudo con la testa infilata in un televisore e la costruzione della tavola ci risparmia di vedere in che stato sia il suo deretano.
I due protagonisti comunque “indagano” quasi per modo di dire visto che le ingerenze dei politici, il disinteresse delle autorità e il menefreghismo degli altri poliziotti complottano per evitare che certe cose vengano alla luce, sia per una questione di prestigio delle vittime eccellenti che per semplice disinteresse alle sorti di una famiglia povera.
L’indagine fornirà l’occasione a Bruce Wayne e soprattutto a James Gordon di venire a patti con alcuni traumi del loro passato prendendo coscienza di come si riflettano nella loro vita attuale e permettendo così di guardare con rinnovata fiducia al futuro. Questa è in pratica l’unica nota positiva in un volume che è intriso di inquietudine, morbosità e disperazione. Fino alla fine, tutt’altro che consolatoria – anzi, veramente disperata.
Fa un po’ sorridere pensare che mentre oggi, come in fondo in qualsiasi epoca, c’è chi gioca sullo shock value per attirare l’attenzione su di sé e vendere fumetti, in epoca di Comics Code Authority ancora vigente potesse venire rappresentata una scena come quella di pagina 50, in cui un collo di bottiglia insanguinato accanto a un corpo nudo che sanguina da una parte inequivocabile comunica molto di più di tutte le spacconate di Garth Ennis.
Archie Goodwin scrive come si usava fare a seguito della British Invasion e le molte didascalie scavano nella psicologia dei personaggi infarcendone i pensieri di concetti ripresi da testi di psicanalisi e antropologia, con qualche rara infiorettatura che immagino volesse risultare stilisticamente elevata. All’inizio l’impatto potrebbe essere un po’ ostico ma la storia diventa presto coinvolgente e davanti a certi dettagli è difficile rimanere indifferenti. Oltretutto l’elemento whodunnit è molto ben gestito, creando una falsa pista che poi si riallaccia alla perfezione con quella del vero colpevole. Anche l’elemento paranormale che si rivela alla fine (è pur sempre un fumetto di supereroi) ci sta tutto e non rovina affatto l’atmosfera, anzi la rilancia rendendola ancora più drammatica.
Detto questo, confesso che gli acquerelli di Scott Hampton (che se ho interpretato bene è anche coautore della storia) sono il motivo principale per cui ho preso questo volumetto e in effetti sono magnifici e perfettamente adeguati alla storia narrata. Si fa presto a dire che è facile dipingere partendo da fotografie, in realtà la personalità di un artista viene fuori comunque: pur usando la stessa tecnica Hampton ottiene risultati molto diversi dal mio adorato Jon J Muth. Dato il formato più schiacciato delle tavole rispetto allo standard 17x26 (come se fossero state tagliate in alto e in basso) mi viene il dubbio che forse in origine Urla nella Notte fosse stato presentato in formato album ma anche se fosse stato ridimensionato per questa edizione il risultato finale non ne risente. E per quel che mi riguarda la RW Lion ha fatto bene a farne una versione brossurata e non deluxe (che la storia avrebbe comunque meritato) visto che a questo prezzo, 10,95€, è stato facile farmi capitolare ed acquistare questo gioiellino.

venerdì 9 ottobre 2015

Mi sorge un dubbio...

Stamattina in edicola ho trovato questo volume:
Ho preferito passare perché la saga un po' qua un po' là ce l'ho già tutta, e comunque non avevo tutta 'sta voglia di rivedermi i disegni un po' legnosetti e le splendide donne con il naso schiacciato e l'attaccatura dei capelli un po' troppo alta di Burgeon (il bello di diventare vecchi è che non ci si fa problemi a esprimere le proprie opinioni).
Oltretutto così a una prima occhiata e "palpata" mi è sembrato che questo tomo fosse nettamente più smilzo rispetto agli altri.
Adesso però mi sorge un dubbio: visto che ho già rimandato al mittente il precedente volume di Fouché non è che la Mondadori deciderà di non far più pervenire Historica nell'edicola dove la compro?
Chi vivrà vedrà...

mercoledì 7 ottobre 2015

Crossed + Cento 1: Fondazione e Impero



(in internet non si trova la copertina Panini...)
Niente tira di più di un pelo di barba di Alan Moore… il suo brand-nome mi ha fatto vincere la repulsione istintiva che avevo per Crossed (figurarsi, una serie statunitense che basa il suo appeal sulla promessa di sesso e violenza esasperati, oltretutto ideata da quel paraculo di Garth Ennis!) ed eccomi qui a recensire Crossed + Cento.
Al termine della lunga e non facilissima lettura posso dire che si tratta di un ottimo lavoro, curatissimo in ogni sua parte, sicuramente ben costruito e fedelissimo ai suoi assunti fatici e morali di base. Però non mi è piaciuto del tutto. Credo che sia una sensazione che chiunque abbia letto l’Ulisse di Joyce o abbia visto Sacrificio di Tarkovski possa condividere: si è approcciato qualcosa di geniale, di monumentale, forse una pietra angolare del rispettivo ambito ma adesso basta, grazie, torno a qualcosa di più digeribile.
La storia è ambientata nel futuro dell’universo narrativo di Crossed, in una sorta di dopo-catastrofe in cui Moore ha inserito vari elementi ecologisti senza farli pesare troppo (anzi, se non fosse stato per la sua introduzione non li avrei forse nemmeno notati). Un gruppo di esploratori viaggia dalla natia Ch[attan]ooga, tra di essi l’archivista Future che raccoglie campioni letterari, audiovisivi e qualsiasi altra testimonianza culturale del passato. Nello specifico ha il pallino per la fantascienza (e ognuno dei sei episodi riprende il titolo di un romanzo di fantascienza, noblesse oblige) o meglio per le “fintestorie”, come le chiama lei.
Eh, già, perché Alan Moore si è dedicato anche qui alla sua passione di creare nuove lingue, arrivando persino a farci dei giochi di parole! Il traduttore, Fabio Gamberini, è stato veramente un eroe. Il linguaggio parlato dai personaggi sulle prime risulta simpatico e suggestivo ma finisce presto per diventare ridondante, ossessivo, pesante. Forse perché Moore ha usato volutamente un numero ristretto di vocaboli.
La presenza di questa lingua che necessita di un pur minimo sforzo di comprensione non è comunque l’unico elemento che rende Crossed + Cento lento e farraginoso. Anche se esiste una validissima trama di detection alla base della storia (che deflagrerà splendidamente alla fine), la prima metà del volume è fortemente descrittiva visto che Moore ha scelto di dettagliare in profondità com’è il mondo a 100 anni dalla “Sorpresa” (l’ascesa degli scrociati), quali sono i cambiamenti climatici avvenuti, i tipi di società ricostruiti, quali le vestigia di alcune religioni, i rapporti tra le comunità di sopravvissuti, i costumi sessuali e così via.
Un ottimo fumetto, ma l’estrema ricercatezza dello stile e la partenza più descrittiva che narrativa lo hanno reso “meno ottimo” di quello che avrebbe potuto essere, o per meglio dire meno appassionante.
Il disegnatore Gabriel Andrade è sulla stessa lunghezza d’onda di Moore: le sue vignette sono cariche di dettagli e i suoi disegni curatissimi. Ciò non impedisce ai suoi personaggi di essere espressivi e sufficientemente dinamici. Purtroppo la brossura impedisce di godere appieno delle tavole doppie e persino dei dettagli delle vignette più vicini alla rilegatura, almeno nelle pagine centrali. Ciò detto, la qualità di stampa è ottima.
In omaggio viene data una maschera di cartoncino da scrociato, forse per canzonare le operazioni simili (mi sembra non coronate dal successo) della RW Lion ma comunque utilissima come segnalibro visto che di pause nella lettura ne ho fatte parecchie. La classe non è merda.

PS: “al.cre” vuol dire “almeno credo”, vero?

martedì 6 ottobre 2015

Alix 4: Le Legioni Perdute

Il penultimo paragrafo della mia recensione della terza uscita di Alix voleva dire implicitamente che non avrei continuato a recensirne altri: tanto la qualità è altissima e non avrebbe avuto senso sdilinquirsi oltre. Ma con Le Legioni Perdute devo tornare sulla mia decisione perché mi sembra che sia finora il migliore tra quelli pubblicati, e la storia risale al 1965, quindi tra quelli visti finora è addirittura il più vecchio.
Non starò qui a cercare segnali di modernità in un fumetto che non lo vuole essere e che anzi ha nel suo status di classico (giustamente riconosciuto) uno dei suoi punti di forza. Rimane però un incredibile piacere vedere come Jacques Martin sapesse imbastire dei soggetti originali in un contesto già abusatissimo e come soprattutto riuscisse a intrecciare le sue trame con precisione e rigore, introducendo gli elementi giusti al momento giusto e non lasciando (almeno a quanto visto finora) nulla al caso. Nonostante i cinquant’anni di età la lettura di Le Legioni Perdute è stata un’esperienza coinvolgente e appassionante, con non poche sorprese e notevoli cliffhanger.
Non mi ci soffermo troppo: stavolta il proverbiale complotto viene ordito da Pompeo che vuole eliminare Cesare facendo riunire le tribù galliche e germaniche grazie a una reliquia che darà un incredibile carisma a chi la brandirà.
Da segnalare inoltre che persino il disegno è migliore di quello dei tre episodi precedentemente pubblicati da Mondadori che però furono realizzati in anni successivi! Forse qui Martin aveva qualche collaboratore diverso, sta di fatto che le figure umane sono molto più proporzionate e dinamiche (nessun “testone”, insomma) mentre gli sfondi, le architetture e gli animali sono impeccabili come sempre.
Anche la colorazione mi è parsa migliore, meno aggressiva di quella dei tre numeri scorsi, ma qui magari la causa è solo l’utilizzo di impianti di stampa che si sono conservati in maniera diversa.
Archiviato il fumetto in sé tra i gioielli della Nona (o Decima, o quello che è) Arte, la confezione e l’edizione con cui è presentato sono degne? Io propendo decisamente per il sì, visto il rapporto qualità-quantità-prezzo e considerato che stavolta non c’è nessun fraintendimento Enok-Enak o Alex-Alix come nei precedenti volumi. A pagina 22 c’è una didascalia che avrebbe dovuto essere una nuvoletta di dialogo, ma l’errore lo aveva compiuto Martin a suo tempo.
Al massimo è un peccato veniale che i rimandi alla continuity, qui abbastanza consistenti (il centurione Galva che riappare dopo una o più avventure citate nei dialoghi, il cugino Vanik che sicuramente sarà comparso in precedenza) siano stati eliminati e che quindi manchi qualche tassello all’affresco complessivo della saga. Ma è una cosa a cui verrà posto rimedio nel giro di poche settimane data la tabella di marcia della serie.

lunedì 5 ottobre 2015

The Royals - I Signori della Guerra 1



Probabilmente ispirati alla tradizione folkloristica dei Re Taumaturghi, nell’universo narrativo di The Royals sono gli esponenti dell’aristocrazia i soli possessori di superpoteri. Più puro è il sangue più potenti sono le abilità superumane. Toh, un’idea originale nel campo dei supereroi. E come le migliori idee originali è semplice e rielabora un concetto preesistente che nessuno aveva avuto l’illuminazione di trasporre prima in un altro contesto.
Questo primo episodio funge da prologo e si svolge in due linee temporali diverse: nel 1945, mentre sta ancora infuriando la Seconda Guerra Mondiale, il principe Henry si lancia su Berlino per contribuire alle sorti di Albione da par suo, e vi incontra un arcinemico per il momento ancora innominato.
Nel 1940 gli Windsor hanno ben altri pensieri che la guerra che ormai è giunta anche nella loro nazione. Il placido re Albert si gode la vita e i fasti di palazzo insieme ai figli Henry, Rose e Arthur (quest’ultimo uno stronzo debosciato), protetto dalle voci artatamente diffuse secondo cui nessuno dei suoi figli possiede superpoteri, esattamente come lui, e quindi non possono fare nulla per proteggere i loro sudditi, tanto meno sporcandosi le mani in battaglia. Ma durante una festa la telepate Rose e il volante (e chissà quante altre cose) Henry si allontanano dalla sfarzo del palazzo per vedere cosa sta succedendo realmente al loro Paese e a seguito della visione delle brutture della guerra decidono di prendervi parte attiva. Per il momento, almeno, si è visto in azione Henry.
Oltre a un assunto di base non banale The Royals offre una lettura piacevole fatta di battute secche alternate ad altre che immagino vogliano parodiare la prosopopea britannica. Non è ragionevolmente da escludere che alla fine questa miniserie di 6 si ridurrà alla solita scazzottata, ma voglio comunque dare fiducia allo sceneggiatore Rob Williams.
I disegni di Simon Coleby sono oltretutto piuttosto belli ed efficaci, molto dettagliati ma anche abbastanza espressivi. Qualche pecca ce l’ha pure lui ma sullo stesso ripiano della fumetteria dove ho trovato The Royals c’era anche il ventesimo John Constantine con gli sgorbi di Ben Templesmith, che mi ha fatto desistere dal continuare a comprare la testata (con buona pace di Swamp Thing che magari recupererò in altro formato) e di fronte al quale Coleby sembra Manara.
Nell’albetto sono presenti solo un paio di refusi, ma purtroppo uno proprio in un esergo nella postfazione di Williams, dove risalta terribilmente.
In appendice una storia breve di Gilbert Hernandez, dal soggetto molto banale e disegnata con una semplificazione del tratto quasi offensiva. La cosa che ho apprezzato di più de La Signora in Nero (questo il titolo della storiella) sono i colori di Lee Loughridge. La storia è in bianco e nero ma giuro che viene veramente indicato il colorista: forse avrà scelto quale tonalità di azzurro impiegare per riempire le parti di tavola non occupate dalle vignette…

domenica 4 ottobre 2015

Zenith Fase Tre

Si è fatto attendere (che non sia stato poi questo grande successo per la Panini?) ma ne è valsa la pena. Questo terzo volume di Zenith è ancora meglio dei precedenti.
Come già anticipato nello scorso numero, Zenith si trova coinvolto in un guaio di dimensioni multiversali: i Lloigor lovecraftiani sono tornati e con meticolosa malvagità si sono impossessati dei corpi dei superumani di quasi tutte le realtà alternative, assicurandosi così una facile vittoria su tutte le altre forze in gioco nei singoli mondi e quindi il dominio incontrastato di quegli stessi mondi. Possono quindi puntare a qualcosa di ancora più grosso.
Non tutti gli eroi, però, sono ancora caduti e il Maximan di Alternativa 23 (quello “originale” del mondo di Zenith era morto durante la Seconda Guerra Mondiale) ha imbastito un esercito di supereroi da tutte le realtà alternative per distruggere il piano di dominazione totale dei Lloigor, che si concretizzerà una volta avvenuto l’“allineamento” delle varie terre: per farlo bisognerà inviare delle squadre di eroi a distruggere gli interi universi 666 e 257.
Il riluttante e strafottente Zenith fa parte del manipolo destinato ad Alternativa 257.
Ora, salvare l’intero multiverso non è certo una cosa facile di suo e a complicare le cose interverranno sorprese spiacevoli e rivelazioni inaspettate.
La saga procede incalzante e con un ottimo ritmo, io sono rimasto incollato alle pagine nonostante la lunghezza di questa trama che si dipana su una trentina scarsa di capitoli. Dalla seconda metà del tomo in poi c’è forse qualche divagazione che rallenta la lettura, ma bisogna anche considerare le necessità di Morrison che doveva infarcire le consuete 4-5 tavole settimanali (formato-capestro che pochi sceneggiatori sanno gestire efficacemente) di elementi che facessero avanzare la trama principale più altri che sviluppassero le sottotrame e rilanciare il tutto con idee nuove.
I dialoghi, soprattutto nella prima parte quando il protagonista è più presente sulla scena, sono spumeggianti e la battuta finale sul presunto “sacrificio” del protagonista mi ha fatto ridere di gusto.
Questa Fase Tre offre oltretutto il piacere aggiuntivo di vedere una carrellata di supereroi inglesi e di farsi una cultura in merito. Alcuni saranno pure stati inventati da Morrison, ma almeno il robot Archie e Steel Claw sono realmente esistiti (del primo ricordo che anche la figlia di Moore diede una sua versione, del secondo la RW Lineachiara ha ripreso il testimone della pubblicazione italiana dalla Planeta DeAgostini). La scena che apre il quinto capitolo mi sembra debitrice di quella analoga che compariva in Marvelman/Miracleman ma forse è una coincidenza.
Spiace dirlo, ma forse il migliore Grant Morrison era questo e non ha saputo ripetersi allo stesso livello, pur se ha realizzato altre cose buonissime o eccellenti. E purtroppo Multiversity non rientra in nessuna delle due categorie.
Come al solito, la parte più debole di Zenith (l’unica parte debole) è quella grafica. Forse pressato dalle scadenze o inebriato dal successo Steve Yeowell schematizza ancora di più le sue vignette. Magari come illustratore sa fare cose accettabili, ma il fumetto non è proprio il suo campo. La glaciale stilizzazione delle sue figure ne rende difficile il riconoscimento e in più di un’occasione ho addirittura sentito la necessità di avere una didascalia che mi spiegasse cosa diavolo veniva rappresentato nei disegni – ma per quanto necessaria, una cosa del genere sarebbe stata contraria allo spirito con cui veniva realizzato Zenith. Nei campi lunghi, poi, Yeowell rende indistinguibili tra di loro i personaggi, che in quell’accozzaglia di trattini e campiture non si capisce più nemmeno se sono maschi o femmine. Gli elementi distintivi dei costumi, inoltre, li disegna solo nei dettagli  e nelle inquadrature molto ravvicinate e comunque non è che siano poi di grande aiuto visto che, ad esempio, si dimentica di disegnare la S che dovrebbe campeggiare sul petto di uno di loro.
Al di là delle questioni estetiche mi è sembrato che Yeowell fosse veramente di fretta e abbia tirato via in più di un’occasione: la scena di massa che dovrebbe stupire il lettore per la folla oceanica di supereroi chiamati a raccolta risulta invece assai scarna e povera.
In appendice una storiellina lisergica disegnata (vivaddio) da Jim McCarthy. Niente di memorabile, soprattutto in considerazione della qualità della saga portante, ma probabilmente per l’epoca era qualcosa di originale e innovativo.