mercoledì 30 novembre 2022

Io faccio fumetti per raccontare storie

Quella del titolo è la giustificazione con cui molti fumettisti spiegano perché hanno intrapreso la loro professione (o il loro hobby, a seconda dei casi). Poi si scopre che le loro opere parlano di fumettisti che non trovano l’ispirazione. Purtroppo questa formula è assai abusata e, oltre ad avere un retrogusto amaro di insuccesso (molti dicono che avrebbero raccontato storie col cinema o con altri mezzi, sottintendendo l’inferiorità del fumetto), non corrisponde alla verità. Senza scomodare Roland Barthes, una “storia” deve essere fiction narrativa. Molti fumetti contemporanei non sono fiction o non sono narrativi, o non sono contemporaneamente entrambe le cose. Non ricordo chi era il regista che diceva che il dramma del cinema è che bisogna raccontare una storia. Descrivere cosa si è mangiato a colazione non è una storia. E persino Juillard dovette infilare un morto nel suo introspettivo Le Cahier Bleu proprio per esigenze narrative, per creare una storia degna di questo nome.

Adesso va molto l’autobiografismo, il documentario, il reportage, il tranche de vie ma le storie propriamente dette sono difficili da trovare – tranne ovviamente nel fumetto prettamente seriale. È come se il fumetto avesse intrapreso una parabola inversa rispetto a quella della bicicletta, che una volta veniva usata principalmente come mezzo di trasporto, aveva cioè una sua funzione specifica, e adesso è diventata una cosa da godere di per sé. Così il fumetto non deve più divertire, raccontare, costruire un immaginario e non è più un mezzo sufficiente a se stesso, ma deve per forza fungere da testimonianza o da resoconto o da reportage o da memoir. Purtroppo ho constatato che anche in Francia e Belgio si è instaurata questa tendenza. Sfogliando i numeri di CaseMate che ho letto finora mi sembra di averne avuto drammatica conferma. E l’hanno avuta anche altri lettori, visto che quest’estate nella pagina della posta è nata una polemica sulla desolazione del panorama fumettistico francofono, con un’offerta che ha sacrificato la qualità alla quantità, con 6000 uscite annue (ma Dionnet nel numero 162 ne cita ben 8000) contro le 500 dei bei tempi andati in cui usciva ancora fumetto di qualità con delle vere storie e dei disegni curati – da notare che gli esempi portati di fumetto di qualità “di una volta” sono tutti italiani, nella fattispecie Manara.

CaseMate contempla anche rubriche, recensioni e interviste non legate necessariamente a volumi in uscita, ma il pezzo forte sono le interviste ad autori di cui presto uscirà un volume, accompagnate da quattro (o più raramente due o tre) tavole esemplificative del lavoro. Gli autori o i personaggi più affermati si meritano un dossier più lungo all’interno mentre la rivista dedica le prime e le ultime pagine ad argomenti che a volte non riguardano propriamente dei fumetti, come libri d’illustrazione e l’analisi di un quadro da parte di un fumettista. In particolare, le prime pagine possono spaziare molto tra omaggi ad autori deceduti, illustratori e curiosità varie.

Per dare un’idea visiva di come sono spartite le quote tra “storie” e biografie/reportage/graphic journalism evidenzierò in arancione le prime e in viola le seconde, sempre che Blogger non faccia le bizze. Chiaramente sono consapevole che molti racconti di fantasia partono da fatti realmente accaduti o  sono basati su personaggi storici più o meno famosi, ma a volte è intuitivo capire dove pende l’ago della bilancia tra i due.

Ecco il menu del numero 155 di marzo: dopo un tributo a Jean-Claude Mézières scomparso da poco, si comincia con Élyzée di Boudjellal e Durpaire, un albo di fantapolitica in cui si immagina che le presidenziali francesi (pare sia passato un secolo!) siano state vinte da Zemmour. Tavole costituite da fotografie elaborate digitalmente e dialoghi presi di peso da discorsi di vari politici: lo spunto di base sarà fantasioso, la forma ricorda dannatamente un reportage.

Ancora peggio con Erdogan, Le Nouveau Sultan di Anwar e Dündar, biopic del presidente-poeta (!) della Turchia. E si continua con Ils Sont Partout, reportage sul mondo dei complottisti anche se visto con sguardo umoristico – autori Igounet, Schwartzmann e Navarro.

Si tira il fiato apparentemente con la Montellier che ci presenta Sorcières, mes soeurs, ma si tratta di una raccolta di storie brevi d’antan rielaborate per il 2022 (i personaggi portano la mascherina anti-Covid). Yann e Hugault presentano poi il settimo volume di Angel Wings. Documentatissimo e con comparsate di personaggi realmente esistenti, ma di certo l’elemento drammatico/avventuroso ha il sopravvento su quello documentaristico: bene, quindi, finalmente l’avventura. Che palle, però, sempre aviatori nelle storie di Yann.

Anche Le Tendre rielabora temi preesistenti, nel suo caso la mitologia greca, ma lo fa nella sua personalissima maniera. Pygmalion et la Vierge d’ivoire disegnato da Peynet si prende qualche libertà sul mito e come al solito ci mette dell’umorismo. Non che ami molto Le Tendre, ma parrebbe una boccata d’aria considerato il resto. Ben più accattivante è Ce que nous sommes di Zep (sì, quello di Titeuf) che mette in scena una società futura in cui tutti sono connessi a livello mentale, ma un ragazzo ha un incidente e si ritrova “vergine” cerebralmente. Interessante.

Il dossier centrale è dedicato alla nuova uscita di Bilal, il terzo volume di Bug e in teoria si dovrebbe stappare lo champagne. In teoria. Lo stesso autore lamenta il disastroso crollo delle vendite dei suoi ultimi volumi, che dalle 200/250.000 copie precedenti si sono piazzati sulle 60/80.000, a causa del suo approccio moderno al mezzo che a quanto ho capito è un’occasione per lui di fare dei commenti politici e di parlare dell’attualità con lo schermo della fantascienza. Non molte storie neanche qui, insomma.

E men che meno in Silence Radio, 36 mois pour me relever d’un AVC di Perret, Bétacourt e Cadène, che è la versione a fumetti della testimonianza della riabilitazione di un conduttore radiofonico colpito da ictus. Con L’Enfer pour aube finalmente si intravede il desiderio di costruire dei personaggi e delle ambientazioni originali: Pelaez scrive di un serial killer nella Parigi del 1903, con fatti che rimontano alla Comune di 30 anni prima. Non che Tiburce Oger, il disegnatore, mi faccia impazzire, ma almeno qui c’è una storia e i disegni non sono certo fatti al risparmio.

E per finire in bellezza il nuovo episodio di Jérôme K. Jérôme Bloche, pubblicato quest’estate da Skorpio. L’ambizione di creare una storia viene giustificata dal fatto che si tratta di una serie classica.

Numero 156 di aprile: L’Ours de Ceausescu di Henry e Ducoudray. Documentario, documentario, fortissimamente documentario. Sui disegni stendo un velo pietoso.

Pigalle, 1950 di Christin e Arroyo, un noir ambientato in un periodo che il creatore di Valerian ama molto, ma (a giudicare dalle tavole presentate) con un’impostazione poco franco-belga (anche solo 3 vignette per tavola!) e un disegnatore forse non adattissimo al realistico. E Arroyo disegna pure il nuovo Buck Danny… boh.

Fritz Lang le Maudit di Delalande si spiega subito sin dal titolo: è il biopic del regista, misto  a qualche scena dei suoi film. Molto ricchi e curati i disegni. Almeno quello.

Damien, l’empreinte du vent di Vincent e Gérard Janichon è il reportage di un episodio piuttosto famoso in Francia, quando nel 1969 i due protagonisti fecero una traversata del mondo da nord a sud. Reportage, quindi, e oltretutto disegnato in maniera che ho trovato poco adatta al soggetto.

L’Or des Belges è (vivaddio!) finalmente avventuroso: durante la Seconda Guerra Mondiale un gruppo eterogeneo va alla ricerca di 200 tonnellate di oro che avrebbe dovuto andare in Belgio e invece pare sia a Dakar. Basato su fatti storici, mette comunque in scena il classico dell’avventura: la ricerca di un tesoro. I testi sono opera di Guillaume e Boisserie, peccato che il disegnatore Stéphane Brangier abbia adottato uno stile a volte quasi cartoonesco.

Dossier centrale dedicato a Maroni, Les Gens de fleuve, un volume collettivo (come se ne pubblicano regolarmente in Francia) dedicato alle testimonianze dei fumettisti che parteciparono a un progetto artistico in Amazzonia tra Guyana e Brasile.

Primo volume di Cosaques di Burgeas con disegni di Toulhaut e Guillo. Avventura, finalmente, anche se non mi ha stuzzicato molto.

Partitions Irlandoises primo di tre volumi (di Bailly e Kris), storia d’amore che si sviluppa nel tempo con le vicende dell’Irlanda del Nord. Disegni poco convincenti.

Celle qui parle di Alicia Jaraba, biopic della Malinche che aiutò Cortés.

Numero 157di maggio: viene presentato un fotoromanzo (!) a cui ha collaborato il fumettista Fabcaro. A quanto pare il genere ha goduto di un certo ritorno d’interesse in Francia come testimonia anche un altro (Gaston en Normandie) che viene usato come documentario.

Plastic Tac Tic Tac di Terreur Graphique e Capucine Dupuy, vignette-inchiesta sul riciclo della plastica.

Le Storyboard de Wim Wenders, resoconto dell’esperienza di storyboarder dell’autore Stéphane Lemardalé.

Klaus Barbie, La Route du Rat di Bauer e Brrémaud, testimonianza dei processi a Klaus Barbie, figura che da quanto ho capito è stato per Lione un po’ quello che Kriepke fu per le Fosse Ardeatine (Barbie torna anche in altri fumetti recensiti o segnalati su CaseMate). Disegni inevitabilmente accademici visto che alcuni sono tratti proprio dalle versioni che fece all’epoca il disegnatore nelle aule di tribunale durante il processo.

Secondo e conclusivo volume di Aquarica, finalmente un po’ di avventura e fantascienza. La serie era stata cominciata da Benoit Sokal ma le ultime tavole sono state realizzate dal suo amico François Schuiten dopo la sua morte.

Le Petit Frère, volume autobiografico di Tripp (quello che ha lavorato su Emporio con Loisel) che verte attorno alla morte del fratello investito da un’auto. Da quel che leggo Tripp si era già dato all’autobiografismo raccontando i suoi exploit erotici giovanili.

T’Zée di Appollo e Brüno, versione panafricana della Fedra di Racine. Accidenti, questo sembra proprio interessante, ma davvero in Francia (no, dico, in Francia) accettano dei disegni del genere?

Dossier centrale dedicato alla saga familiare dei Winczlav. Nella lunga intervista Van Hamme ammette di dubitare che col panorama odierno i suoi fumetti avrebbero avuto lo stesso successo se fossero usciti oggi nel formato classico franco-belga. En passant, Berthet sarà veramente così bravo? Boh.

Djemnah, Les Ombres corses di Réglat-Vizzanova e Donadille sembra una bella storia di scoperta, sebbene non avventurosa, con delle piacevoli tavole acquerellate.

Tant que nous sommes vivants di Frédéric Bihel è tratto da un romanzo di Anne-Laure Bondoux ed è una specie di fantasy sociale.

Sermilik, Là ou naissent les glaces di Simon Hureau è un resoconto della vita in Groenlandia. Trovo i disegni un po’ cartooneschi assolutamente fuori luogo per la storia.

Numero 158 di giugno: volume di Lapinot che parodizza Asterix in modo splatter (Trondheim, ovviamente). Questo sembra proprio interessante! All’epoca dell’intervista/presentazione le Edizioni Albert René non si erano ancora pronunciate sulla possibilità di una causa legale.

Carnets de Campagne, volume collettivo in cui sei autori umoristici hanno seguito altrettanti candidati alle Presidenziali francesi.

Secondo volume di L’Aventure géopolitique, realizzato da uno youtuber di successo (Mister Geopolitix) insieme a Ludovic Danjou e Adrien Martin. Il pezzo è intitolato «Tintin chez les narcos» ma c’è ben poco di avventuroso in questo fumetto che è più un reportage.

Feuilles Volantes di Alexandre Clérisse è un fumetto metanarrativo su un fumettista che disegna la vita di un altro che disegna la vita di un terzo che a sua volta disegna la vita del primo. Ovviamente uno è la proiezione dell’autore stesso. Un po’ di autobiografismo c’è’, insomma, anzi più di un po’.

Sprague di Rodolphe e Olivier Roman è un bel fumetto avventuroso/fantascientifico che però mi sembra piuttosto derivativo, poco originale. Magari sbaglio.

Automne, en baie de Somme di Pelaez e Chabert è finalmente un giallo, ambientato durante la Belle Epoque.

Les Mémoires du dragon Dragon è il primo episodio di una serie di Juncker e Spruyt. Storico/umoristico con un segno un po’ alla Blain. Nulla che susciti il mio interesse ma qui sicuramente una storia c’è.

Dossier centrale dedicato al prequel di La Quête de l’oiseau du temps, da cui si evince che lavorare con Loisel deve essere un bell’inferno.

Primo volume di Les Couers de Ferraille di Munuera e i BeKa: steampunk dai risvolti sociali con dei robot all’alba del XX secolo che aiutano le famiglie degli Stati Uniti del Sud.

Primo volume di Céleste di Chloé Cruchaudet, biopic della domestica di Marcel Proust. Disegni (in cui il computer imita gli acquerelli) per nulla convincenti.

L’Ange du Prolétariat di Ruiz e Nikolavitch è il biopic di Gagarin. Disegni scarni e glaciali.

Numero 159 di luglio/agosto: L’Affaire Markovic di Manu Cassier e Jean-Yves Le Naour, ricostruzione di uno scandalo sessuale che coinvolse il politico francese del titolo e persino Alain Delon. Disegni un po’ umoristici, comunque bruttini.

Le Serpent à deux tétes di Gani Jakupi, ricostruzione della vita dell’evaso William Buckley (realmente esistito) che visse per 32 anni in una tribù di aborigeni.

Primo episodio (di tre) di Slava di Pierre-Henry Gomont, storia di fantasia ma con le radici ben piantate nella realtà e nella dissoluzione dell’Unione Sovietica. Disegni tipici di chi passa dalle vignette umoristiche sui giornali al fumetto vero e proprio. Non mi convincono, ma se ai francesi va bene così… (vedi Cabu, Bretécher, Reiser, Lauzier e compagnia)

L’Impudence des Chiens di Dumontheuil e Ducoudray, una storia che ruota attorno al rito del Congrés con cui un marito che potesse copulare in pubblico veniva interdetto dalla possibilità di ripudiare un’amante. Disegni fin troppo ricchi e dettagliati per il tono umoristico – e per questo lodevoli.

L’Écluse di Pelaez e Aris (apparso da poco su Lanciostory). Sembrerebbe (finalmente!) una bella storia gialla, con delle morti misteriose in un paesino della Francia. Ma i disegni caricaturali sono tremendi, assolutamente inadatti a un noir.

Le Serpent et le Coyote di Matz e Xavier: finalmente una bella storia avventurosa, un road movie (beh, road BéDé) su un testimone (nel senso di quelli del progetto di protezione testimoni) che vaga per gli Stati Uniti negli anni ’70. Solo che gli autori si sono dovuti piegare alle esigenze onnivore di oggi e ne hanno fatto un volumone di 140 pagine, quello che invece Van Hamme preferì evitare di fare per la saga dei Winczlav, che esce nei canonici tre volumi.

Dossier dedicato all’evento del fumetto franco-belga del 2022: la morte (!) di Spirou, a opera di Schwartz, Guerrive e Abitan.

Journal inquiet d’Istanbul, prima parte (di tre) di un memoir dell’autore Ersin Karabulut.

La vie me fait peur, riduzione a fumetti (di Didier Tronchet) del romanzo premio Goncourt omonimo di Jean-Paul Dubois. Pare che un po’ d’azione ci sia…

Merry Men di Chanouga narra parte della vita di Robert Stevenson, destinato a diventare guardiano di fari ma poi scrittore contro la volontà paterna. Biopic, sì, e molto scritto, ma che belle tavole.

Numero 160 di agosto/settembre: La Synagogue, memorie giovanili di Joann Sfar.

Vergès – Une nuit avec le diable di Guillaume Martinez e Jean-Charles Chapuzet, ricostruzione della vita di un personaggio piuttosto discusso in Francia, l’avvocato Jacques Vergès che difese personaggi molto scomodi come il succitato Klaus Barbie e fu sospettato tra le altre cose di essere antisemita.

La Ferme de Montaquoy, Qui court la campagne trouve le chemin del redivivo (vent’anni che non faceva fumetti, e a giudicare da quello che ho letto su Pilot non se ne sentiva la mancanza) Regis Franc. Si tratta della ricostruzione della vita dei personaggi e del villaggio che ruotano attorno all’azienda agricola ereditata dalla moglie dell’autore. Più vignette che fumetto, mi pare, comunque molto meglio dei succitati fumetti visti su Pilot.

Burne Out e Dernier week-end de janvier di Bastien Vivès, rispettivamente una BD-cul e una storia esistenzialista con protagonista un fumettista di mezza età. Questo secondo fumetto è stato annunciato in italiano per Bao.

A Short Story, La Véritable Histoire du Dahlia noir di Run e Florent Maudoux, ricostruzione (documentatissima, a quanto leggo) del caso di cronaca statunitense che ha ispirato film e romanzi. C’è tanto computer nei disegni di Maudoux, però sono molto suggestivi.

Là où naissent les histoires, ultimo episodio di Valérian et Laureline, dal taglio piuttosto metanarrativo o meglio metaforico. Ultimo episodio lo sarà davvero perché Christin è prossimo alla cecità e con Mézières si era opposto a seguiti apocrifi come quello recentissimo di Gaston (poi bloccato, pare) che ha infiammato gli animi in Francia e Belgio. I disegni di questo volume, però, sono già opera di Virginie Augustine visto il decesso di Mézières. Christin non è contrario a versioni “vu par” dei suoi eroi, che infatti ci sono già state.

Le Premier Dumas #1/3, Le Dragon noir di Salva Rubio e Rubén del Rincòn, biopic del padre (meticcio) dell’Alexandre Dumas romanziere. Grande ricostruzione storica (accompagnata però da un disegno un po’ caricaturale) ma anche tanta avventura, parrebbe.

Il dossier centrale è dedicato all’ultimo volume di Corto Maltese e leggendolo mi ero pentito di averlo ordinato. Per fortuna non si è rivelato male.

Quentin par Tarantino di Amazing Améziane, che com’è intuibile è un omaggio alla vita e all’opera del regista.

Aya de Yopougon 7 di Oubrerie e Abouet, nuovo capitolo dopo anni d’attesa di una saga che in Francia ha avuto un grande successo.

Tuskegee Ghost di Dauger e von Eckartsberg, primo volume di una serie che parla dei piloti di colore dell’esercito statunitense messi da parte dopo la Seconda Guerra Mondiale, e più in generale del razzismo negli Stati Uniti. I disegni di Dauger sono glaciali.

Numero 161 di ottobre: Kiss the Sky #1/2, Jimi Hendrix 1942-1970, prima parte di un biopic sul cantante realizzato da Mezzo e Jean-Michel Dupont.

Quartier Réservè di Jean-Marc Pontier, inchiesta sulla vita in un quartiere a luci rosse di Marsiglia. I disegni sono qualcosa di immondo, roba da rimpiangere Scozzari e Panebarco.

Une farouche libertè, Gisèle Halimi, la cause des femmes di Sandrine Revel, Annick Cojean e Sophie Couturier, biopic di un’avvocatessa piuttosto celebre in Francia.

Toutankhamon, l’odyssée d’Howard Carter di Marcel e Mallet, come intuibile volume dedicato alla scoperta della mummia e alle successive analisi, ma con inserti storici. Disegni molto (anzi interamente) digitali ma molto spettacolari.

Sabbath Grand Derby, sesto e ultimo volume della saga Zombillénium di Arthur de Pins. Finalmente un soggetto originale dopo quattro non-storie.

L’Arche de Rantanplan, il decimo volume di Lucky Luke “d’apres Morris” a opera di Achdé e Jul. Secondo me Achdé disegna molto meglio di Morris.

Le Bébé des Buttes-Chaumont, decimo e ultimo volume di Adèle Blanc-Sec. «Ultimo» nel senso di conclusivo, anche perché Tardi si esprime in maniera molto veemente contro la ripresa di un personaggio da parte di altri autori. I testi sono deliranti, i disegni sempre peggio.

Il dossier è dedicato all’ultimo episodio di Mattéo che dovrebbe uscire anche in Italia tra un po’. Dall’intervista a Gibrat sembra che il tono sarà piuttosto diverso rispetto ai precedenti…

Celle qui fit le bonheur des insects è una favola orientaleggiante scritta da Zidrou e disegnata e colorata molto bene da Paul Salomone. In realtà nel numero successivo un lettore spiegherà che qualcosa del genere (lo sterminio di tutti gli uccelli di una nazione) avvenne in Cina.

Hoka Hey 1 di Neyef, western dalla parte degli indiani con dei disegni forse un po’ troppo caricaturali.

La Chambre des merveilles è la riduzione a fumetti del romanzo omonimo (scritto da Julien Sandrel) a opera di Pelaez e Delpeche. Non si tratta certo di una storia d’azione, ma il soggetto è sicuramente originale.

In questo numero le “storie” sotto i riflettori sono decisamente più numerose dei reportage/biografie, ma col numero successivo si inverte la rotta.

Numero 162 di novembre: Tsar par accident, Mythes et mensonges de Vladimir Poutine di Brian “Box” Brown e Andrew S. Weiss, come intuibile un’indagine sul presidente della Russia. Disegni inqualificabili. Come appendice all’intervista a Weiss c’è un’ulteriore breve intervista a Darryl Cunnigham sul suo Poutine, l’ascension d’un dictateur, altro biopic che almeno da quel poco che si vede è disegnato meglio. Ma ci voleva veramente pochissimo.

Refuge(s) di Laurent Lefeuvre, inchiesta sui migranti. Dalle immagini d’accompagnamento non sembra un fumetto vero e proprio, ma la sostanza non cambia.

Saison brune 2.0, (Nos empreintes digitales) di Philippe Squarzoni è un’indagine sul mondo solo apparentemente virtuale dei social, di internet e dei “GAFAM” (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) che in realtà ha delle ripercussioni piuttosto pesanti sull’ambiente. Mi sembra che le poche parti narrative servano solo a scopo esemplificativo delle tesi dell’autore.

Attachements di Alice Bienassis è la cronaca della sua esperienza (e non solo della sua) con il bondage, mentre Emmanuel Lapage rievoca in Cache-cache bâton la sua infanzia trascorsa in una sorta di comune vicino a Rennes. Come nel caso della maggior parte degli altri volumi presentati, anche questo è monumentale (300 pagine!) ma almeno è disegnato bene.

Apparentemente una “storia” fa capolino con il primo volume del dittico 1629 ou l’Effroyante Histoire des naufrages du Jakarta di Dorison e Montaigne, ma si tratta della ricostruzione di un fatto storico (documentatissima, vedi il dettaglio sulle esigenze fisiologiche in alto mare).

Storie propriamente dette si trovano finalmente in Indians !, l’Ombre noire de l’homme blanc, un volume collettivo dedicato ai rapporti tra bianchi e nativi americani nel corso di cinque secoli. Al timone c’è Tiburce Oger, tra i disegnatori spiccano nomi eccellenti come Blanc-Dumont, Derib, Christian Rossi, Corentin Rouge, Lauffray e Meynet ma ho notato che anche disegnatori a me sconosciuti come Emmanuel Bazil e Paul Gastine hanno fatto un lavoro ottimo.

Dossier dedicato all’arzillo settantasettenne François Bourgeon e al nono e ultimo volume di Les Passengers du vent, in cui pare che l’autore stesso farà una comparsata.

Si torna al reportage con Pays noir di Sergio Salma sulla tragedia mineraria di Marcinelle. L’autore aveva già dedicato un altro fumetto all’evento, ma dice che questo sarà meno romanzato e più documentaristico. Andiamo bene.

Saint-Just è un volume della collana Ils ont fait l’Histoire per cui Noël Simsolo si è avvalso della collaborazione dello storico Jean Tulard. Difficile dire se il taglio sarà più biografico o avventuroso. Belli i disegni di Michael Malatini.

Per finire, Catherine Meurisse presenta Humaine, trop humaine cioè una raccolta delle sue storielle umoristiche in due pagine che pubblica su una rivista di filosofia.

Oltre a un volume di BéDé classica, a una raccolta umoristica e a due volumi storici/avventurosi l’unica fiction è quindi una raccolta di storie brevi.

Spero che sia chiaro il senso di questo pezzo, ovvero mettere in guardia dai pericoli del cicloturismo.

venerdì 25 novembre 2022

Sfogliando vecchi numeri di El Vibora...

…sono incappato in qualcosa di imprevedibile: un fumetto porno-splatter di Paco Roca!

In pratica è una versione sadomaso dei cartoni della Warner Bros. o questo almeno ho potuto intuire: l’ho trovato sul numero 224 del 1998 e la mia collezione arriva fino al 220 e poi ricomincia dal 227, quindi ho solo il terzo episodio.

martedì 22 novembre 2022

Shadecraft: La Plasmaombre

Zadie Lu è una liceale statunitense un po’ sfigata, presa di mira dalle bulle youtubare visto che ha paura della sua stessa ombra. E ne ha ben donde, visto che dopo un episodio emotivamente teso la sua ombra prende forma corporea e la attacca. In realtà è lei stessa a generare, modificare e controllare le ombre, anche se quella che l’accompagna potrebbe essere una proiezione psichica del fratello ridotto in coma. Una provvidenziale consulente scolastica l’aiuterà a venire a capo della situazione, o ingarbugliarla ancora di più: nei fatti Shadecraft è una carrellata di colpi di scena uno dietro l’altro, che rimettono in discussione quanto letto poche pagine prima. Tra inaspettati retaggi familiari, proverbiali organizzazioni segrete governative e altrettanto proverbiali (e scontati) percorsi di crescita si arriva allo showdown finale: parrebbe che la serie sia progettata per essere continuata, ma tutti i nodi sono comunque stati sciolti, e il lieto fine sembra anzi un po’ troppo lieto.

Shadecraft comincia come horror adolescenziale per virare inizialmente sulla commedia e abbracciare poi il canone fantascientifico action per non dire supereroistico. In questo fumetto non c’è praticamente nulla di originale (al di là degli echi di suggestioni presenti anche ne Il Ragazzo Invisibile di Salvatores, ricordo che quand’ero bambino Bianconi o chi per esso pubblicava un fumetto con protagonisti un uomo grasso e la sua ombra magra) ma almeno Joe Henderson ha mixato il tutto rendendolo accattivante e donandogli un ritmo frenetico. Probabilmente troppo frenetico, ma immagino che stacchi, rivelazioni e cliffhanger siano stati calibrati in modo da renderlo appetibile per una versione cinematografica o televisiva.

I disegni di Lee Garbett seguono lo stile schematico un po’ caricaturale, o meglio stilizzato, di molti altri disegnatori esangui statunitensi (e non solo statunitensi) contemporanei. A fare la differenza è un tratto più grasso e deciso e un’occasionale attenzione ai dettagli in alcuni punti.

Decisamente più interessante il colorista Antonio Fabela, che ha usato dei buoni effetti acquerellati per rendere le ombre – ma in generale ha fatto un valido lavoro.

sabato 19 novembre 2022

Lanterna Verde: WillWorld

Hal Jordan, con tanto di mascherina verde, si aggira in una distorsione surreale del Far West, del tutto immemore di chi sia e di come sia finito lì. Per sua fortuna incontra (o meglio si scontra con) un abitante di questo mondo che lo prende in simpatia anche perché si sente in colpa per avergli azzoppato la cavalcatura.

La città in cui viene condotto ha degli elementi da varie fonti (religioni, archetipi, generi letterari…), tutte stravolte in maniera grottesca: c’è il western ma anche la mitologia indiana, Little Nemo in Slumberland, i gangster italoamericani, Alice nel Paese delle Meraviglie, l’iconografia giapponese, l’architettura liberty, il circo e un sacco di altre cose. Non mancano pericoli o situazioni imbarazzanti ma l’attivazione involontaria dell’anello del potere risolve tutto. Hal riacquista pian pianino la memoria anche grazie all’aiuto del suo nuovo amico, di una barista con sei braccia e di un “angelo”. Questa progressiva consapevolezza (in cui Hal ricorda vagamente di dover salvare tal Mairwand) si accompagna alla visione di altre lanterne verdi prigioniere nel cielo, ma il lettore attento ai dettagli avrà già notato riferimenti all’universo DC: una donna vestita da Wonder Woman là, una carta con il Joker lì…

Alla fine il mistero di dove si trova e cosa deve fare viene risolto in maniera abbastanza originale: nessun piano del cattivo di turno e nessun delirio dovuto a una botta in testa (avevo pensato pure a quello).

Ovviamente il motivo principale per comprare WillWorld sono i disegni del compianto Seth Fisher: dettagliati, ricchissimi, fantasiosi ma sempre rispettosi di anatomie e leggibilità. Un po’ Geoff Darrow, un po’ Dalì, un po’ Jacovitti, un po’ Moebius. Il colorista Christopher Chuckry fa un buon lavoro sposandosi alla perfezione con lo stile certosino del disegnatore. Però, pur dovendo solo fornire un pretesto per lasciare la briglia sciolta a Fisher, va riconosciuto a John Marc DeMatteis di non essersi adagiato su soluzioni prevedibili (come dicevo, né la trappola di un supercattivo né un semplice incubo) e di essersi inventato una giustificazione interessante al delirio. Che poi magari è una cosa già vista e stravista nella serie di Lanterna Verde e sono io che non la conoscevo. Anche alcuni dialoghi sono piuttosto carini e il misticismo buddista (sempre che non ce l’abbia visto solo io) viene trattato con leggerezza ed è ben amalgamato al tessuto narrativo.

mercoledì 16 novembre 2022

Iconoclasta!

Laslo è il sagrestano della chiesa di Santa Jennifer, dove venne abbandonato da bambino dal padre. Nonostante la “professione” non è affatto uno stinco di santo e si divide tra ozio, sesso, droghe e frequentazioni discutibili. La parrocchia di Santa Jennifer aderisce con convinzione ai nuovi dettami della Chiesa, rifiutando l’esposizione sia delle statue e dei simulacri dei vecchi santi che quella dei nuovi. Una notte avviene un’incursione nella chiesa: un malvivente rompe una delle statue coperte da teloni ma viene intercettato dal parroco don Ardito e non riesce a recuperare la vecchia vhs che si celava nel marmo cavo – ma come scopriremo non era quello il suo obiettivo. Nel frattempo Laslo comincia ad avere allucinazioni in cui gli appaiono tre nuovi pittoreschi santi canonizzati, probabile frutto della sua ossessione per un libro di immagini sacre che costituisce l’unica eredità di suo padre. Ma in realtà queste entità (un uccello culturista, una diva pop latinoamericana e un tizio con una tuta anti-radiazioni) esistono veramente e sono un tramite con la divinità.

Insomma, la situazione è molto complessa e vi hanno un ruolo anche dei giocatori di ruolo dal vivo travestiti da vampiri e sovvenzionati dalla Chiesa (!), una misteriosa donna con poteri sulla vegetazione che potrebbe essere la madre di uno di loro (quello che ha fatto la sortita in chiesa), un’artista contemporanea ricalcata su Marina Abramovic, l’intellettuale Valdo Brigliadoro che teorizza il “vuoto armonico” nelle chiese.

La vicenda si sviluppa in 300 dense pagine e nonostante il forte impianto mistico la natura umoristica è quella che emerge con più forza, con battute e scenette spesso esilaranti. La soluzione del “mistero” non è poi questa gran cosa, ma sicuramente lo scopo dell’autore non era quello di concentrarsi sull’aspetto investigativo. E c’è anche un’importante storia d’amore di mezzo.

Coerentemente con il tono della vicenda i disegni sono di stampo grottesco, ma sempre dettagliati e rispettosi dell’anatomia: uno spettacolo. A supportare Paolo Martinello nelle mezzetinte c’è Martina Pignedoli, così come il soggetto è stato elaborato insieme a Luca Ballico. Curioso come oggi che tanti fumetti si fregiano del titolo di “graphic novel” questo lo sia veramente, perché ha realmente le dimensioni e la densità di scrittura di un romanzo. Per apprezzarlo compiutamente bisogna leggerlo e coglierne tutte le sfumature godendosi nel mentre quelle sequenze che l’autore ha usato come divagazioni, che siano disquisizioni religiose o scenette umoristiche come un’estenuante partita di calcio tra vecchietti.

Uniche pecche, delle virgole messe un po’ a caso (o assenti dove invece avrebbero dovuto esserci) e in generale il lettering, curato da Stella Cassinese e Gianluca Grasso dello Studio Arancia: oltre al fatto che testi e contorni delle nuvolette sono pixellati, a volte il posizionamento dei balloon è sbagliato e bisogna capire chi è che parla – o accettare il fatto che qualcuno “parla” con gli occhi o lo stomaco.

Nei ringraziamenti finali Martinello spiega quanto sia stata lunga la gestazione di Iconoclasta!, che d’altronde è evidente dalla grandissima cura profusa. Ma al di là del piacere di vedere tavole tanto belle ed elaborate c’è anche quello di ridere di gusto e soprattutto la consapevolezza di aver letto uno dei fumetti più originali degli ultimi anni – e a un prezzo (20 euro) decisamente onesto vista la mole di pagine e la qualità di carta e rilegatura. E io che pensavo che non avrei messo niente nel Meglio del 2022!

lunedì 14 novembre 2022

Cosplay

Non è esattamente il mio genere, ma sfogliandolo mi è sembrato simpatico e magari poteva tornare utile per i Fumettisti d’Invenzione. Il favorevole rapporto quantità/prezzo ha fatto il resto.

Come si evince dal titolo i protagonisti di questo fumetto sono dei cosplayer. Nella migliore tradizione dei fumetti per ragazzi sono degli sfigati che otterranno la loro rivincita in un contesto inverosimile ed esagerato. Il quattordicenne Abel travestito da Batman va al Comic-Kon di Parigi insieme a Émile (Yoda) dove si uniranno al loro amico Oscar (Picachu). Qui Abel, che partecipa a un concorso di cosplayer, incontra la ragazzina di cui è innamorato, una vlogger poco più vecchia di lui che sta con un piacione vestito da Iron-Man. Le umiliazioni a cui saranno sottoposti i ragazzi, a cui si aggiunge anche Nicolas Formica/Difensore della Francia (che nella scala sociale occupa un ruolo ancora più basso del loro), passeranno presto in secondo piano.

La storia inizia infatti con un flashforward in cui Abel viene interrogato dalla polizia, visto che al Comic-Kon si è reso protagonista di una vicenda che ha coinvolto un fuggiasco che si è improvvisato personaggio della serie La Casa di Carta per scappare a degli “uomini in nero” che gli davano la caccia. Il gruppetto di nerd (la vlogger Agata li chiama «geek»), cui si aggiunge anche una ragazzina assai tosta vestita da Wolverine e per un po’ un Thor/Obelix sbronzo, scoprirà però che le cose non sono esattamente come sembrano. Il finale è fin troppo consolatorio, ma è una storia per ragazzini e come altro doveva finire?

Cosplay tracima di citazione da fumetti, cinema, serie televisive e cultura pop in generale, e mostra uno scorcio della cultura cosplay (se tale la si può definire) dall’interno: i costumi non sono travestimenti, «cosplay is not consent», ecc. Chissà quante strizzatine d’occhio mi sono perso. Di fumetti però manco l’ombra, dannazione. Sì, ok, alla fine il commissario paragonato da Abel a James Gordon vuole vedere com’è fatto, ma è assurdo che in una fiera di fumetti come dovrebbe essere il Comic-Kon non facciano mai capolino. Assurdo ma drammaticamente realistico.

I disegni di Maribel Conejero (credo che sia lei la disegnatrice mentre Matias Istolainen ha fatto i testi), colorati con la collaborazione di Alba Fresneda Ruiz e Alberto Sanchez López, sono di stampo euromanga con una certa tendenza allo sketch laddove non si concentrino sui primi piani. Dai nomi è evidente che gli autori sono spagnoli, ma dovendo realizzare questo progetto per la Francia si sono giustamente profusi in captatio benevolentiae verso la patria della BéDé – sapranno dell’esistenza di Superdupont? Però un fumetto franco-belga D.O.C. dovrebbe avere degli sfondi più curati, mentre qui a volte sono addirittura assenti.

In appendice un gioco visuale con cui individuare i riferimenti alla cultura pop (uhm… Watchmen e V for Vendetta sarebbero “pop”?). Più una breve scena dopo i “titoli di coda” che fornisce a sua volta materiale pop. Ma attenti alle soluzioni finali: il riferimento di pagina 85 è invece quello di pagina 83, mentre le citazioni corrette della 85 sono riportate sotto la 82, che nel volume è bianca, forse a seguito di un’impaginazione diversa dall’originale.

Considerati i numeri di pagine che ho citato, si capisce che il volume è bello corposo, quasi il doppio delle canoniche 46 tavole di un volume franco-belga. Cartonato di grande formato stampato su carta patinata, costa solo 14 euro. Per quello che offre è un prezzo che non mi ha fatto assolutamente pentire dell’acquisto.

Mi resta un dubbio: come avranno fatto a rappresentare tante icone facilmente riconoscibili, anzi addirittura citate esplicitamente, senza indicare da nessuna parte chi detiene il diritto di sfruttarne l’immagine?

sabato 12 novembre 2022

Comics & Science (numeri sparsi)

Questa Lucca ha rappresentato anche l’occasione per recuperare alcuni dei volumetti di Comics & Science che mi mancavano. Pur avendo praticamente la stessa impostazione, con un fumetto portante e un altro più breve (e occasionali vignette) e articoli di approfondimento tra cui le interviste agli autori, i singoli fascicoli possono differire molto per stile l’uno dall’altro. Un discrimine con cui effettuare la scelta è ovviamente la sintonia che ho con i vari disegnatori. Ecco quindi la lista dei miei recuperi:

Comics & Science @ CERN è quasi un cimelio, se ho ben capito è il secondo albo in assoluto che venne prodotto per la serie nel 2014. Infatti è in bianco e nero e la carta non è quella patinata che caratterizza invece (per fortuna) le uscite recenti, ed è più alto degli altri di un centimetro circa. Anche la grafica e l’impaginato, a dirla tutta, sanno un po’ di vecchio! La portata principale è OraMai, fumetto scritto e disegnato da Tuono Pettinato, un delizioso excursus tra scienziati e filosofi che si sono occupati del concetto e della natura tempo. L’argomento viene approfondito da Amedeo Balbi e Antonella Del Rosso (che parla principalmente del bosone di Higgs), mentre Stefano Pisani offre una divagazione surreale. Da ciò che si evince da foto e reportage di Mabel Morri, questo numero nasce per far conoscere il CERN a un gruppo eterogeneo di fumettisti: oltre a Tuono Pettinato e Mabel Morri anche Antonio Serra, Francesco Artibani e Francesco Cattani. Ma dove diavolo sono i loro fumetti? Anche la testimonianza scritta della Morri, per quanto molto divertente, non è certo un fumetto…

The Internet Issue (2016) era ancora stampato su carta non patinata ma era già a colori. Le pagine però sono solo 40 contro le canoniche 48 (anche il prezzo è più basso: 5 euro). Leo Ortolani riprende Misterius però, forse per le sole 16 pagine a disposizione, non mi è sembrato incisivo come al solito. E sì che l’argomento internet avrebbe dovuto offrire un sacco di spunti. Federico Bertolucci ha invece confezionato un delizioso fumetto con protagonisti due cagnolini che ricostruiscono la storia della Rete viaggiando attraverso le sue tappe, le sue conquiste e i suoi pericoli. Nonostante sia in apparenza genericamente dedicato a internet, questo numero serve più che altro a sensibilizzare sulla necessità del DNS cioè di associare un nome a ogni indirizzo. Pur se velato da una certa rassegnazione e dalla frustrazione per l’occasione perduta che è stato il Web, il contributo finale di Marco Cattaneo è una lettura divertente.

The Contagion Issue è chiaramente dedicato a virus e pandemie e si apre con Il Condominio, un appassionante thriller scritto da Paolo Barbato e disegnato da Riccardo Burchielli – fenomenale il lavoro che fa sulle architetture. Una storia che cattura e inquieta, l’unico appunto che mi sento di fare è che mi sembrava fosse la metafora dell’introduzione di un elemento patogeno in un corpo sano, con i vari elementi che lo compongono che a seconda dei casi cercano di resistergli oppure preferiscono capitolare passando dalla sua parte mentre alla fine si rivelerebbe una storia di zombi. In effetti è proprio come me l’ero immaginata io, ma se ne ha conferma solo leggendo l’intervista agli autori, e forse era una cosa che andava esplicitata. Oltre alle vignette di Walter Leoni c’è un fotoromanzo (!) di e con Davide La Rosa. Abbastanza simpatico, ma l’autore ha fatto di meglio. Articoli di Giovanni Maga, Antonio Tintori, Adriana Valente e Giada Rossi su virus, impatto psico-sociale della pandemia e fiducia nella scienza.

The Mirzakhani Issue è dedicato alla matematica iraniana Maryam Mirzakhani. Sotto il segno del Toro, il fumetto scritto da Davide La Rosa e disegnato splendidamente da Silvia Ziche (anche gli ottimi acquerelli di Dario Grillotti contribuiscono al fascino dell’insieme) è molto simpatico e coinvolgente, ma avrebbe meritato delle annotazioni che spiegassero tutti i riferimenti che ha fatto lo sceneggiatore, come le strizzatine d’occhio che fece Ortolani nello speciale sui cristalli. Io ho capito solo il rimando a Gauss e poco altro. Anche qui ci sono delle vignette a tutta pagina di Walter Leoni, per il resto il fascicolo è quasi interamente dedicato alla figura della Mirzakhani, e per estensione gli interventi scritti (tutti al femminile) parlano anche delle donne nelle scienze. Inevitabilmente si respira una certa tristezza considerando la morte prematura della protagonista, la cui data di nascita è stata scelta come giorno della celebrazione delle donne nella matematica.

Per finire, fresco di Lucca 2022, The Alchemical Issue parla dell’alchimia e lo fa in maniera estremamente positiva, attribuendole la paternità della moderna chimica e in generale una spinta propositiva verso la conoscenza e la sperimentazione. Il fumetto Ingannevoli Trasmutazioni scritto da Giovanni Eccher, splendidamente disegnato e colorato da Sergio Ponchione, è piuttosto ermetico e più descrittivo che narrativo. Suggestivo, sì, ma anche qui qualche spiegazione ci sarebbe stata bene, e infatti ne vengono date alcune nell’intervista agli autori. Gli interventi di Walter Leoni sono accompagnati da una disquisizione di due pagine (simpatica ma sbrigativa) di Davide La Rosa su ciò che sarebbe successo se il mitologico Re Mida avesse veramente avuto il potere di trasformare la materia in oro. Nei redazionali di Paolo Capitanucci, Vincenzo Schettino, Chiara Crisciani e Gabriele Bianchi si parla di alchimisti insospettabili (come i Francescani e alcuni scienziati, ma se leggete Nuova Ristampa Dago la cosa non vi stupirà), dell’elisir di lunga vita, dell’uso dell’oro nella sua composizione e della rappresentazione degli alchimisti nella fiction.

Questa carrellata dimostra ancora una volta sia la varietà che la qualità dei prodotti targati Comics & Science, progetto a cui è andato quest’anno il premio come Miglior Iniziativa Editoriale ex aequo con La Revue Dessinée.

venerdì 11 novembre 2022

Intervista ad Andrea Sfiligoi

Allora, come sta andando Four Against Darkness?

Sta andando molto bene, abbiamo avuto degli ottimi riscontri anche dalla Polonia dove è uscita da poco un’edizione. Stiamo parlando con l’editore polacco per fare supplementi che saranno in un formato grafico diverso che stanno curando loro.

In Italia continua a essere un prodotto di punta, va molto bene. In lingua inglese sta andando avanti dal 2016 e al momento ci sono più di 55 supplementi, poi adesso abbiamo la linea delle avventure-poster, i dungeon creabili con i mazzi di carte… c’è insomma un sacco di materiale che, ci tengo a sottolinearlo, è tutto giocabile: non facciamo prodotti che sono semplici gadget, tutti i prodotti hanno un’applicazione nel gioco. Possiamo dire che si tratta di un sistema per vendere delle avventure ma in formati sempre nuovi.

I poster sono questi che vedi allo stand, molto belli, fatti da un fan spagnolo che si chiama Jaime che poi ha accettato di diventare un collaboratore. Ci piaceva molto come disegnava, è un disegnatore vecchia scuola che lavora ancora in bianco e nero sul cartaceo, si diverte a fare questi dungeon molto elaborati e per questo ci siamo detti che era il caso di farli diventare delle avventure. Lui era semplicemente un giocatore che postava sul gruppo internazionale di Four Against Darkness i suoi dungeon, io l’ho notato e gli ho detto che il suo stile andava molto bene e quindi poteva fare delle cose professionali per noi. Così abbiamo fatto questa linea di tre poster e adesso vediamo come vanno, chiaramente in caso di buon riscontro si può espandere con altri poster. Lui è molto lento, perché come puoi vedere fa un tipo di lavoro molto elaborato e minuzioso, però se ci sarà domanda potrà sicuramente fare altri prodotti di questo genere.

Come hai detto Four Against Darkness esiste dal 2016… quando pubblicherete finalmente le regole per arrivare oltre il 9° livello? Ho dei personaggi fermi che aspettano…

In effetti quel supplemento sarebbe già dovuto uscire ma c’è stato il problema della guerra in Ucraina: io vivevo in Ucraina con mia moglie, a Charkiv, e inevitabilmente questa cosa ci ha fatto saltare tutti i piani. Più o meno abbiamo un anno di ritardo sulla tabella di marcia. Il libro è quasi pronto quindi io conto di farlo uscire in inglese per Natale e dopo lo darò all’editore italiano e vediamo quando lo traducono e lo faranno in italiano. Sono ragionevolmente sicuro che lo faranno perché è la continuazione naturale del gioco quindi sicuramente sarà fatto, a maggior ragione visto che i ragazzi di MS Edizioni hanno fatto da modelli per la copertina!

Altri progetti per il futuro?

Proprio in questi giorni, il 31 ottobre e il 1 novembre, a Lucca farò in zona demo delle dimostrazioni di Eldritch Wood, il mio nuovo gioco che è sempre solitario/cooperativo. Si tratta di un gioco con un’indole più narrativa rispetto a Four Against Darkness. La novità di questo gioco è che non si interpreta un gruppo di avventurieri oppure un unico personaggio come avviene in Alone Against Fear ma si interpreta un intero villaggio, cioè è un gioco di troupe dove c’è un cast di 36 personaggi e c’è una tecnica nel gioco che riproduce la macchina da presa di un serial televisivo che passa da un personaggio all’altro a seconda delle scene.

L’ambientazione è un villaggio medievale (parliamo di un Medio Evo “pop”, non è un Medio Evo storico) durante il periodo dell’Inquisizione in cui i personaggi, chiamati “Notabili” (cioè i personaggi più importanti del villaggio), dovranno affrontare una minaccia sovrannaturale che all’inizio del gioco non si sa cos’è ma si scopre pian piano nel corso del gioco. Il tutto si gioca con un calendario e un’agenda dove tu annoti le azioni che fai in ogni giorno. Meccanicamente è un gioco molto semplice. Tu puoi giocare ognuno dei 36 personaggi che sono nel gioco e anche alcuni png che temporaneamente possono passare sotto il tuo controllo. Non è un gioco di ruolo, è un ibrido, un adventure game un po’ come Four Against Darkness. Diciamo che la sensazione che procura quando ci giochi è la stessa del gioco di ruolo, in più c’è questa novità di gestire appunto una troupe di personaggi, quindi c’è proprio un gruppo di personaggi in cui ti sposti da uno all’altro a seconda di quelle che sono le situazioni del gioco. Spero che alla dimostrazione partecipino molti giocatori, così da interessare anche l’editore italiano.

giovedì 10 novembre 2022

Il Morto 54: 4 Mani

Bell’episodio che ha il pregio di essere uno one-shot pur se si riallaccia ad altri elementi della saga.

Ancora di stanza dai parenti ritrovati (cioè, credo… chi se lo ricorda), Peg si trova coinvolto in un caso che riguarda la bella veterinaria cui si sono rivolti gli Stella per un caso di afta bovina: è in possesso di file compromettenti che testimoniano crudeli esperimenti effettuati su animali da parte di una multinazionale. Due brutti ceffi un po’ imbranati provano a recuperarla, ma tra piranha ed Andy, lo scimpanzé affezionatissimo alla veterinaria, rimedieranno solamente brutte figure. E chiaramente se ci si mette di mezzo anche il Morto, che sfrutta una conoscenza che aveva maturato addirittura nel numero 9 (il primo che ho letto), la vicenda troverà la sua giusta conclusione.

Un episodio gradevole e frizzante, anche se ho trovato le parti più divertenti quelle relative ai due malviventi, che forse Ruvo Giovacca non aveva previsto dovessero esserlo. Buon lavoro ai disegni di Vasco Gioachini, ma perché disegna il contorno dell’ombra intorno ai nasi? Il Morto non è mica un manga!

In appendice la storia breve Ancora un po’ di luce a firma Daniele Biglia e Santo Sersale. Non sono riuscito a cogliere il senso del testo, i disegni sono un po’ dilettanteschi.

mercoledì 9 novembre 2022

Intervista a Lee Bermejo

Mi scusi se comincio con una domanda stupida, ma per caso Lei è parente di Luis Bermejo?

No, non sono suo figlio. Io sono californiano, lui se non sbaglio era di origine filippina.

Sì, credo facesse parte del gruppo di Alex Niño, Afredo Alcala, ecc.

Quali sono stati i Suoi esordi?

A diciannove anni andai nello studio di Jim Lee, la WildStorm. È stato un periodo molto bello ma ovviamente a quell’età si lavora con dei ritmi da giovani. Mi svegliavo tardi e il lavoro cominciava solo nel pomeriggio per poi finire a notte fonda. Ovviamente eravamo ragazzi e si perdeva tempo cazzeggiando. Alla fine non è che si producesse poi molto, adesso non potrei più lavorare in quella maniera.

Adesso quali sono i Suoi ritmi di lavoro?

Sono molto metodico nel lavoro, non potrei più fare come agli esordi. Mi metto al tavolo da disegno presto la mattina e faccio degli orari quasi da impiegato. Una singola tavola mi impegna per tre o quattro giorni di lavoro: ogni progetto a fumetti mi impegna per due o tre anni di vita reale.

Forse sbaglio ma mi sembra che il Suo stile si discosti molto da quello classico statunitense dei comic book. Quali sono gli autori da cui si sente influenzato, se ce ne sono?

Tra i miei autori preferiti ci sono Tanino Liberatore, Richard Corben, Jorge Zaffino, Taksuyuki Tanaka ma anche pittori e fotografi.


Sempre parlando di stile, come realizza le sue tipiche tavole con quei grigi “pastosi”?

Con le matite o a mezzatinta, cioè diluendo l’inchiostro. Però ormai lavoro sempre meno con gli strumenti classici, faccio quasi tutto con il computer. Damned, ad esempio, l’ho cominciato in “analogico” e poi sono passato al digitale in corso d’opera. Ogni volta che faccio un fumetto voglio fare qualcosa di più, ho cominciato a inchiostrarmi da solo e poi anche a colorare le copertine per avere controllo totale sul lavoro.

A proposito di Damned, mi sembra che Batman sia un personaggio molto congegnale al Suo stile, c’è qualche altro personaggio che Le piacerebbe interpretare con le sue atmosfere dark?

Batman è un personaggio molto aperto alle interpretazioni, anche per questo ha tanto successo. Per fare un esempio, la mia interpretazione di Spiderman sarebbe troppo cupa, per me Peter Parker è un nerd, ma nel senso che è un tizio strano. E poi il mio stile è molto realistico, disegnerei ogni dettaglio, da bambino non mi piaceva che non si vedessero i lancia-ragnatela del costume nei disegni!

C’è un lavoro di cui è particolarmente fiero?

La mia cosa di cui sono più fiero è Suiciders, un fumetto di cui ho anche scritto i testi. Purtroppo non è stato un successo anche perché a un certo punto ho dovuto limitarmi a scrivere i testi e passare i disegni a un altro, a posteriori capisco che è stato un errore non disegnarlo tutto io come avrei dovuto. E poi il tono era molto cupo e anche questo può aver influito sulla sua accoglienza: Jim Lee diceva che c’era troppa tragedia per troppi lettori.

Con il recente interesse di Hollywood per i fumetti potrebbe diventare il soggetto per un film.

Francamente non vorrei vedere altre interpretazioni dei miei personaggi. Io comunque ho anche lavorato per il cinema, recentemente. Ho collaborato con Zack Snyder per il suo prossimo film, Rebel Moon, che avrebbe dovuto essere uno spin-off di Star Wars ma poi ha preso una direzione autonoma.

Ed è stata una bella esperienza?

Sinceramente preferisco fare fumetti, perché nel mondo del cinema ci sono un sacco di persone che devono decidere e dare l’ok a un progetto e a come realizzarlo. In quel contesto mi sono sentito come una semplice rotella dell’ingranaggio. Nel fumetto invece c’è molta più libertà. Come dicevo prima, ho cominciato a inchiostrarmi da solo e poi a fare anche i colori proprio per avere più controllo possibile sul lavoro.