martedì 31 dicembre 2019

Il Meglio e il Peggio del 2019

Il Meglio

1
Caravaggio: La grazia. Un capolavoro.

2
Historica 79: Il sangue delle ciliegie. Meraviglioso exploit di Bourgeon dopo capitoli meno convincenti della saga.

3

4
Historica Biografie 23 e 28: Cixi la Dama Dragone prima e seconda parte. Forse il fumetto migliore apparso in questa collana.

5
Orge Barbariche Vol. 2. Meglio del primo.

6

7
Dampyr 227. Per gli splendidi disegni di Simone Delladio.

8
Volt Stagione 2 episodi 4-5. Meglio della prima stagione. La professione del fumettista senza il melenso idealismo che sarebbe facile pervadesse i testi. Ma che fatica aspettare le uscite con le date che non venivano mai rispettate.

Il Peggio
1

Doomsday Clock. Anche volendo ignorare la sacralità dell’opera di Alan Moore, il fumetto non è che l’ennesima rimasticatura degli stereotipi sui supereroi, in particolare della simbologia di Superman, e il tentativo di giustificare il multiverso. Non c’è ironia, e anche se si tratta di una riflessione sul genere supereroistico viene condotta in maniera supponente, pretenziosa, banale e noiosa. Ed è anche uno spot pubblicitario per le prossime continuity. Gary Frank sprecato.

2

Lanterna Verde RW Lion. Letto a spizzichi e bocconi. Dell’entusiasmo infantile di Morrison è rimasto principalmente l’infantilismo, e Liam Sharp non è che sia questo grandissimo disegnatore: certo, meglio di moltissimi altri, ma se guardiamo le sue anatomie ci accorgiamo che non è che siano poi così corrette. E il Bryan Hitch di Hawkman è lontano dalla gloria di un tempo. I mostri sono bellissimi, ci mancherebbe, ma è evidente che l’archivio fotografico a cui fa riferimento è in esaurimento: certi volti e certe pose le ho già viste in altri suoi fumetti. Il risultato paradossale è che i suoi personaggi sembrano tutti uguali, eppure a vederli uno per uno cambiano faccia di vignetta in vignetta. La serie comprimaria, Odyssey, manco la ricordo.

3

Mr. Charade. I testi sono simpatici anche se indirizzati a un pubblico giovane, e ovviamente coinvolgenti grazie al meccanismo elaborato da Castelli (il protagonista è cieco e quindi risolve i casi riassumendone le premesse a vantaggio dei lettori – non che io sia riuscito a risolverli tutti, beninteso), i disegni di Polese non sono affatto disprezzabili (tutt’altro) e i ricchi redazionali sono molto interessanti. Ma le scansioni delle pagine de Il Giornalino fanno schifo! Con 25 euro Nona Arte propone gli Integrali dei classici franco-belgi che hanno circa il doppio di pagine rispetto a questo volume che costa lo stesso prezzo; è vero che le pagine sono patinate e che sicuramente non esistono corrispettivi francesi con cui ammortizzare i costi, ma uno si compra il volume e poi vede la resa delle tavole…

4

It’s!. Sì, certo, è stato utile per i fumettisti d’invenzione, gli autori saranno stati esordienti o poco più, il coordinatore ha dovuto far fronte in qualche modo all’abbandono del progetto originario e con esso al primo (bravo) disegnatore, però riguardandolo i disegni delle ultime parti mi sembrano veramente bruttini.

Meglio o Peggio?

Rispolvero questa categoria che usai a suo tempo per l’Alack Sinner Cosmo.
Alix Senator in Historica. Il fumetto in sé è fantastico: la Mangin scrive benissimo e riesce a modernizzare lo stile di Martin pur rispettando la sua filosofia didattica e il suo ritmo di continuity sotterranea ma onnipresente. I disegni di Démarez, poi, sono ottimi. Nettamente migliori quando colorati tradizionalmente ma ormai me ne sono fatto una ragione che il computer si è insinuato dovunque.
Detto questo… la Mondadori non poteva ristampare i primi tre episodi (anche proprio per questa continuity non invasiva ma in realtà serratissima) che aveva presentato anni prima singolarmente? In fondo, se quella collana, Prima, non è continuata vuol dire che non ha avuto molti lettori, no? Qualche lettore (sparuto) avrebbe forse storto il naso e non avrebbe comprato a poco più di quanto costava un singolo volume a suo tempo tutti e tre i primi episodi, ma la Mondadori avrebbe risparmiato per un mese su traduzioni e impianti di stampa, e avrebbe probabilmente accontentato altri lettori “vergini”. Ma soprattutto, la Mondadori non poteva stampare meglio il secondo dei due volumi?!

Buon 2020!

giovedì 26 dicembre 2019

Nelle Indie Perigliose

Dopo averlo visto a Lucca speravo che non arrivasse alla fumetteria dove l’avevo ordinato, tanto più che la Rizzoli Lizard lo aveva annunciato con un altro titolo, Il Traditore o una cosa così. E invece proprio stavolta l’editore (di cui nel frattempo aspetto ancora l’ultimo Corto Maltese…) si è rivelato affidabile e l’unica cosa che ha cambiato dall’annuncio sull’Anteprima è appunto solo il titolo.
Il motivo per cui speravo che non mi arrivasse è che le tavole che avevo visto, ancorché bellissime e molto curate, erano decisamente caricaturali e virate sull’umoristico. Ed effettivamente tutto il volume è così.
Nelle Indie Perigliose è il seguito di un romanzo picaresco del 1626. L’opera originale di Francisco Gómez de Quevedo y Villegas terminava con il protagonista Pablos de Segovia che partiva (o annunciava di voler partire) per le Indie. Alain Ayroles riprende il protagonista proprio nelle “Indie”, cioè le Americhe fresche di conquista ma già abbondantemente prosciugate, e racconta di come se la sia cavata in quei luoghi. Il fumetto è diviso in cinque parti: tre capitoli lunghi e un prologo e un epilogo a fare da cornice. Le tre parti più sostanziose sono una serie di scatole cinesi: in ognuno viene svelato cosa è successo veramente nel precedente, e come vanno interpretati certi dettagli.
La vicenda inizia con Pablos in fin di vita prigioniero dell’Alguacil (che da internet scopro essere una specie di sceriffo) di una località che non viene mai nominata, deciso a torturarlo per farsi rivelare dove si trova l’Eldorado, che lui ha evidentemente trovato visto che porta al collo un monile che può provenire solo da là e soprattutto che ha portato prove inconfutabili che anche il nobile Don Diego, stimatissimo dall’Alguacil, vi è stato condotto proprio da Pablos.
Il racconto parte da lontano spazientendo l’Alguacil, ma Ayroles doveva pure ricollegarsi all’opera di riferimento – e Pablos ha i suoi bravi motivi per cominciare da così lontano. Apprendiamo dalle parole del furfantello quanto sia stata dura, ma anche divertente, la sua vita dedita al totale rifiuto del lavoro in favore di espedienti con cui tirare a campare nella speranza di fare un giorno il colpo grosso. Nelle “Indie” Pablos ha avuto a che fare con cimarrones ribelli, missionari zelanti, animali esotici, miniere d’argento (vivo e no), raccoglitori di coca, scheletri infuocati danzanti, vecchi conquistadores resi ciechi da tutto l’oro che hanno visto, indios tagliatori e riduttori di teste, antiche divinità, ribelli e chi più ne ha più ne metta. Impossibile non credere a un resoconto tanto dettagliato, e l’Alguacil si mette a sua volta in cammino verso quel luogo favoloso. E così al termine del primo capitolo la guarnigione è praticamente sguarnita.
È impossibile continuare a riassumere Nelle Indie Perigliose senza rivelarne i colpi di scena e i cambi di prospettiva, per cui mi limito a dire che il secondo capitolo riprende la struttura del primo, un racconto nel racconto prendendo come riferimento il Corregidor invece dell’Alguacil, mentre il terzo è una lunga confessione del protagonista, quasi esclusivamente condotta con didascalie. E la rivelazione di cosa è diventato Pablos è talmente incredibile che potrebbe pure essere vera. Forse in Spagna circola qualche leggenda in tal senso.
Se alcuni elementi del gioco di Pablos sono prevedibili, altri sono stati gestiti veramente bene da Ayroles: ancora una volta sarebbe criminale parlarne, cito solamente l’origine della testa ridotta che pensavo appartenesse a un altro personaggio, depistaggio dovuto all’attento lavoro di Guarnido. Ecco, passando ai disegni…
È innegabile l’attenzione e la cura maniacale profuse da Juanjo Guarnido, che oltretutto è incredibilmente espressivo e dinamico e sa condurci con lo sguardo verso i personaggi che dobbiamo seguire anche se sono attorniati da una folla oceanica o se si trovano all’interno di miniere affollatissime. Certi paesaggi sono mozzafiato, così come la resa degli interni e degli esterni degli edifici. E gli animali sono stupendi. I colori, per cui ha avuto l’assistenza di Hermeline Janicot-Tixier e occasionalmente è stato sostituito da Jean Bastide, sono meravigliosi.
Lo stile però è marcatamente umoristico, travalicando talvolta (anzi spesso) il confine del realismo per sfociare nel caricaturale più esagerato. Questi disegni faranno sicuramente la gioia di quanti amano lo stile umoristico, e vorrei tanto essere tra questi. Ripeto, le tavole sono favolose e non solo sontuose e dettagliatissime ma anche espressive e dinamiche, però quando vedo i personaggi che strabuzzano gli occhi o cambiano fisionomia solo per far ridere o quando ci sono degli animaletti disneyani che punteggiano la storia con le loro facce buffe è come se nel fumetto si intromettesse un filtro che mi impedisce di godermelo appieno. La storia è già divertente di suo, e Guarnido non ha certo bisogno di esagerare certe espressioni per farsi capire meglio.
L’edizione della Rizzoli Lizard è monumentale (altro che integrale di Blacksad) e vale sicuramente i 35 euro che costa, anche perché è stampata su ottima carta patinata e il volumone conta addirittura 160 pagine. Unico appunto: il lettering non è molto adeguato, perché è uno di quelli che cercano con uno stile originale di dissimulare la propria origine digitale finendo per sottolinearla impietosamente. Quello delle didascalie “funziona” bene (oddio, per quel che può funzionare un lettering fatto col computer) ma quello dei balloon mi sembra poco naturale e artefatto.

mercoledì 18 dicembre 2019

Historica Biografie 32: Napoleone (quarta parte)

Il capitolo conclusivo della tetralogia su Napoleone Bonaparte si occupa inevitabilmente del suo declino ma anche stavolta il protagonista ne esce ricoperto di gloria. Il taglio è infatti smaccatamente agiografico: Napoleone è coraggioso, leale, generoso, pacifista, affascinante e geniale. Manca solo che resusciti i morti, anche se nelle prime pagine per poco non ci riesce. Unico appunto alla sua figura: a quanto pare era un po’ stonato quando cantava.
La disfatta in Russia (per colpa dell’incompetenza altrui, ovviamente) è l’anticamera della sua sconfitta sul piano politico francese ed europeo, ma ecco che anche dall’esilio sull’isola d’Elba Bonaparte muove nuovamente alla conquista del potere, contro tutte le altre potenze europee coalizzate contro di lui. Come andrà a finire lo sappiamo già, anche se Pascal Davoz aggiunge vari dettagli poco conosciuti e “corregge” alcune nozioni storiche date per certe. Nell’ultima parte a Sant’Elena c’è una nettissima accelerazione per non sottolineare la lenta agonia di Napoleone, laddove in precedenza le sequenze di battaglia si soffermavano anche sulle singole mosse dei sottoposti di Napoleone. Lo sceneggiatore approfitta di questo ultimo episodio anche per riallacciare molti nodi con i volumi precedenti, riprendendo vari personaggi che si erano appena intravisti (Alexandre Dumas non me lo ricordavo affatto).
Nonostante lo stampo programmaticamente agiografico e didascalico, anche questo volume di Napoleone si legge con piacere grazie alle chiose umoristiche di Pascal Davoz, spesso tratte da giornali, detti popolari o addirittura barzellette dell’epoca.
Questo ultimo episodio dura 8 pagine più degli altri: forse è a causa di questo supplemento di lavoro che Jean Torton ha realizzato delle vignette a volte tirate un po’ via? Siamo sempre a un livello accettabile, ma anche i colori mi sono sembrati poco entusiasmanti, e gli occasionali fuori registro digitali non aiutano ad apprezzarli.
Null’altro da segnalare se non che manca il lettering di un balloon a pagina 23, niente di indispensabile per capire come si evolve la situazione.

lunedì 16 dicembre 2019

La Frontiera Invisibile

Come sempre accade con il ciclo delle Città Oscure, anche La Frontiera Invisibile ha un un’impronta kafkiana. L’implume Roland De Cremer, rampollo di una casta di grandi cartografi, giunge a Sodrovno-Voldachie dove prenderà possesso delle sue nuove mansioni. Può sistemarsi come meglio crede: il Centro di Cartografia è abbandonato a se stesso e molti alloggi dei dipendenti sono vuoti. Non capisce bene cosa deve fare e il bizzarro personale dell’ente non è di grande aiuto, parlando più che altro per sottintesi. Oltretutto, il rampante Ismail Djunov sta portando avanti un progetto di meccanizzazione di tutta la cartografia, per cui saranno dei localizzatori automatici a creare le mappe, non più dei cartografi umani. All’istituto Roland conosce anche una cameriera/prostituta che incredibilmente ha impressi sulle natiche i veri confini di quei territori tormentati da guerre, annessioni e rappresaglie.
Ma le cose stanno per cambiare: il Maresciallo Radisiç ha deciso di rilanciare l’attività dell’istituto con ingenti mezzi. Il motivo è assai poco nobile, compito dei cartografi sarà riscrivere la geografia di quei luoghi secondo la sua visione politica eliminando dal quadro le nazioni nemiche.
Mangiata la foglia e indispettito dal credito interessato di cui gode Djunov (ma pure lui avrà i suoi problemi coi politici…), Roland fugge a una convocazione col Maresciallo portandosi dietro anche Shkodrȃ, la ragazza coi tatuaggi che simbolicamente ha il nome della stessa regione da cui proviene. Purtroppo per loro finirà male, ma siamo pur sempre nell’universo elegantemente distaccato delle Città Oscure, per cui la conclusione della vicenda non sarà cruenta ma solo molto amara, appena appena stemperata da un raffinato simbolismo grafico conclusivo che probabilmente vuole essere metafora di tutta la storia.
La sceneggiatura di Benoit Peeters è percorsa come al solito da trovate estemporanee e da un certo ermetismo, oltre che da riferimenti occasionali alle altre Città Oscure. I disegni di Schuiten sono esattamente come ci si aspetterebbe: stupendi. I personaggi sono tratteggiati con grande cura e molto personalizzati senza mai essere caricaturali, i bizzarri veicoli hanno una loro coerenza strutturale per quanto “impossibili” e ovviamente le panoramiche e le architetture sono qualcosa di spettacolare. Ma quello che mi ha colpito di più delle sue tavole sono i colori. Poiché si vede la grana dei materiali usati, mi viene da pensare che abbia usato dei pastelli a cera o a olio. Come tecnica non sempre è la più indicata (ad esempio per rendere la pelle) ma richiede una precisione e una cura tali da aggiungere ancora altra ammirazione a quella di cui già gode a queste latitudini il grande Schuiten. Oltretutto, a differenza di Rivedere Parigi, stavolta ha disegnato le tavole a china e solo successivamente le ha colorate, quindi i contorni delle figure sono netti e precisi, magnificamente resi dalla perfetta qualità di stampa di Alessandro Editore. A proposito dell’edizione i 29,90 euro del prezzo sono più che giustificati visto che si tratta di un “integrale” in formato più largo che raccoglie i due volumi originariamente usciti separati, come nel caso de La Teoria del Granello di Sabbia.
Pur essendo un gioiello non inserirei La Frontiera Invisibile tra gli episodi migliori delle Città Oscure, perché come ne Le Mura di Samaris rimane un retrogusto di arrendevole incompiutezza e come in Brüsel non è facile entusiasmarsi alle vicende di personaggi che non sono poi molto simpatici. Cionondimeno, resta pur sempre un gioiello.

sabato 14 dicembre 2019

Blake e Mortimer 26: La Valle degli Immortale 2 - Il millesimo braccio del Mekong

Si conclude la poco entusiasmante avventura asiatica di Blake e Mortimer cominciata nello scorso volume. Mortimer è stato catturato insieme al doppiogiochista che gli riassume il resto degli scritti di Sho e Blake parte al suo inseguimento. Per farlo non ricorre tanto al suo intuito quanto alla fortuna sfacciata che arride ai due, che fa incontrare loro i personaggi e gli indizi giusti al momento giusto.
La politica più brutale si sposa con il mito quando al campo di prigionia del generale Xi-Li Mortimer (trattato come Robert De Niro ne Il Cacciatore) è costretto a partire alla ricerca della mitica Valle degli Immortali dove magari troverà il rimedio magico per il redivivo amico Nasir, mentre il suo accompagnatore/ricattatore ha mire ben più materiali.
Il millesimo braccio del Mekong si muove tra realismo e leggenda, intrecciando una trama abbastanza coinvolgente ma senza giustificare mai quel paio di elementi sovrannaturali sparsi per il volume. Yves Sente si inventa un sistema elegante (niente di originale, comunque) per giustificare la presenza dei “draghi”, che campeggiano anche nella suggestiva copertina, ma poi finisce per mandare tutto in vacca con il solito abusato trucchetto del fatto che “era tutto un sogno” anche se alla fine quello che Mortimer cercava l’ha ottenuto, senza approfondire minimamente come possa averlo fatto e senza avanzare spiegazioni che non siano soprannaturali. Oltre che un meccanismo banale mi pare poco in linea con lo stile dei fumetti di Blake e Mortimer. Sì, ok, c’è anche Il Mistero della Grande Piramide, ma lì se ben ricordo c’è solo lo snodo finale che potrebbe essere sovrannaturale, e comunque non esclude una spiegazione razionale.
Inoltre in alcune occasioni si sfiora il ridicolo: la citazione di Odilon Verjus del volume precedente qui diventa una presenza concreta con un peso ben maggiore. Per quel poco che lo conosco, adoro Odilon Verjus, ma che c’azzecca con Blake & Mortimer? L’aggressione dei panda, poi… oltretutto disegnati con uno stile più realistico, poco amalgamato col resto.
L’avventura si conclude con una battaglia aerea forse un po’ affrettata, utile comunque a spiegare perché dello Skylantern non ci sia traccia nel resto della saga di Blake e Mortimer (La Valle degli Immortali si svolge subito dopo Il Segreto dell’Espadon) e per ribadire quanto questo dittico vada letto come un’avventura leggera da gustarsi con tutti gli stereotipi del genere senza farsi troppe domande. Vedi il travestimento di Olrik… Può darsi che sia anche servita da pretesto per Yves Sente per omaggiare l’Esercito di Terracotta con tutto il significato simbolico che si porta dietro, o che comunque gli attribuisce alla fine. Ma questa è solo una mia ipotesi.
L’edizione Alessandro è molto curata, segnalo solo che in un necrologio un caro estinto era… «armato» da tutti.
I disegni di Berserik e Van Dongen non mi hanno convinto. La loro linea chiara mi sembra più adatta per un contesto umoristico piuttosto che per una storia di Blake e Mortimer. Tra l’altro, ogni tanto si prendono qualche deroga dall’anatomia e ho notato che occasionalmente posizionano degli elementi di contorno come mattoni o nuvole o foglie in maniera “sbagliata”, cioè accanto alla testa dei personaggi, come se fossero quei tratteggi o quelle gocce stilizzate che servono a evocare tensione o risentimento.
Questo secondo episodio è migliore del precedente, in cui succedeva poco o nulla, e a voler sospendere opportunamente l’incredulità è abbastanza simpatico. Ma per me questo dittico è il punto più basso tra quanto prodotto per i “nuovi” Blake e Mortimer, anche peggio dell’Onda Septimus in cui tra le varie sciocchezze affioravano anche spunti originali.

giovedì 12 dicembre 2019

Historica 86: Le spie di Cambridge

Alla fine alla mia edicola di fiducia non è mai arrivato e ho dovuto procurarmelo altrove… spero vivamente che non sia il presagio di un embargo da parte della Mondadori, stamattina non ho trovato nemmeno il nuovo Historica Biografie, che ogni tanto arriva di giovedì.
Le spie di Cambridge è una sorta di spin-off de I cosacchi di Hitler, non ne è proprio un seguito perché usa alcuni riferimenti all’altro volume solo come introduzione a una storia realmente accaduta – anche se uno dei protagonisti ha la faccia di Cary Grant e un altro quella di Jorge Luis Borges.
Nell’intermezzo tra le due Guerre Mondiali cinque studenti dell’esclusivo college inglese abbracciano gli ideali del Comunismo e accarezzano l’idea di sostenere la Russia: un po’ per reazione alla politica inglese, un po’ per il terrore sollevato dalle dittature fasciste, un po’ perché alcuni hanno toccato con mano la miseria del modello del capitalismo occidentale, un po’ per il fascino che esercitano su di loro certe frequentazioni ma anche per reazione a una società che li disprezza: la maggior parte di loro sono omosessuali in un periodo in cui la cosa era un reato in Inghilterra.
La vicenda prende le mosse quando due personaggi satellitari de I cosacchi di Hitler vanno a intervistare l’ultimo sopravvissuto dei cinque, Anthony Blunt, con un espediente classico della narrativa che apre a svariati flashback e salti temporali, con un narratore onnisciente che tiene le file della storia. Blunt racconta quindi come fossero diventati delle spie per la Russia, con destini (e livelli di disincanto) diversi.
Nonostante il titolo originale fosse Les Cinq de Cambridge i protagonisti sono principalmente tre, e le loro vicende si intersecano con quelle della Storia sino a poco prima della caduta del muro di Berlino. Data la natura della storia, la narrazione è frammentaria e un pochino didascalica, senza molto spazio per l’azione né per i dialoghi brillanti che comunque affiorano qua e là. Di vero pathos ne ho trovato solo alla fine. Trattandosi poi di una storia di spie non è sempre facile raccapezzarsi tra la serie di nomi veri e falsi con cui agiscono i personaggi e i loro interlocutori, che spesso cambiano ufficio o mansione, se non proprio barricata.
Il fumetto è comunque molto interessante perché mette in luce aspetti curiosi e a me poco noti dei rapporti internazionali europei prima e durante lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e offre un ritratto molto pittoresco (ma non dubito che sia realistico) di Stalin.
Olivier Neuray sfoggia anche stavolta una ligne claire glamour, forse più adatta a questo contesto rispetto a I cosacchi di Hitler visto che come dicevo non ci sono molte scene d’azione e anche se i personaggi sono imbalsamati non è un problema se si limitano a parlare o a camminare. A dire il vero, si nota quanto Neuray si sia sforzato di far recitare i personaggi, usando molto sapientemente le loro posture (evidentemente ispirandosi a fotografie) ma questo sottolinea impietosamente le anatomie improvvisate, soprattutto nei profili, quando invece ha lavorato senza riferimenti. E poi usa troppo, troppo, troppo computer. Le immagini copiaincollate da un archivio di suoi disegni risultano dei corpi estranei, rimpicciolite come sono sugli sfondi. E al contrario certi primi piani hanno i contorni troppo marcati, come se fossero ingrandimenti di disegni più piccoli. È uno stile che andrebbe bene per le pubblicità su una rivista d’alta moda o per un fumetto sperimentale ma non per il genere realistico. E sempre parlando di computer… già è fastidioso (perché risultano finti e artefatti) che i cecchini tedeschi di pagina 87 siano lo stesso identico soldato copiato pari pari nella stessa vignetta, così come sono irreali gli aerei tutti uguali a pagina 80, però posso capire che per un disegnatore sia una gran rottura di palle disegnare i dettagli di una divisa o di un mezzo militare. Ma è mai possibile che Neuray abbia dovuto ricorrere al digitale anche per ricopiare le pieghe sulle tendine delle finestre all’interno dei bar? E addirittura per le gambe di Blunt seduto al centro di pagina 91! Questo senso di artificialità non dà fastidio nelle architetture, ma in tutti gli altri casi è un pugno nell’occhio.
I colori sono opera di Dominique Osuch e si sposano molto bene con i disegni. Dopo la requisitoria di cui sopra potrebbe sembrare un insulto o un appunto ironico, invece voglio dire che integra bene con le sue tinte i disegni freddini di Neuray.
Le spie di Cambridge non è male, ma della coppia Lemaire-Neuray avevo preferito I cosacchi di Hitler.

martedì 10 dicembre 2019

Fumettisti d'invensione! - 144

Mi permetto di integrare il divertente e interessantissimo volume di Alfredo Castelli con altri “fumettisti d’invenzione” e simili.
In grassetto le categorie in cui ho inserito la singola segnalazione e la pagina di riferimento del testo originale.

CARTOONIST COME PROTAGONISTA – GRAPHIC NOVELS E ONE SHOTS (pag. 24)

BURNING BRIGSBY (L’EREDITÀ DI BRIGSBY)
(Stati Uniti 2018, in Blammo, © Noah Van Sciver, drammatico)
Noah Van Sciver

Il noto fumettista Brian Brigsby, famigerato per le sue eccentricità e per non aver mai accettato le logiche dell’industria dei comics, è morto. Suo figlio Jackson, avuto fuori dal matrimonio e divenuto suo editore, va a caccia del fantomatico ultimo fumetto di Brigsby mentre la figlia legittima Kera è stata incaricata di distruggerlo.
Pseudofumetto: Aviator Andy, una serie per bambini di grandissimo successo che Brigsby ideò da ragazzo.

CARTOONIST COME COPROTAGONISTA OCCASIONALE – ONE SHOTS IN PUBBLICAZIONI ANTOLOGICHE (pag. 56)

GATTIN
(Italia senza data, in Fulguris Umbra 0, © non indicato, umorismo)
S. F. alias Lantern [?]

Un giovane micio deve fare un fumetto ma non gli viene nessuna idea, né mamma, nonna e zia gli sono di aiuto. Si addormenta e sogna una sfilata di personaggi famosi della cultura pop.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie
FUMETTI BIOGRAFICI (pag. 63)

DIRTY LAUNDRY
(Usa 1974, nel comic book omonimo, © Crumb/Kominsky, autobiografia, umorismo)
Robert Crumb, Aline Kominsky

Raccolta di scenette familiari dei coniugi Crumb-Kominsky, in un comic book pubblicato dal 1974 al 1992 e poi ristampato in altro formato nella nuova patria della famiglia, la Francia.
Il sesso ricopre un ruolo di primo piano in queste brevi storie, ma non mancano sequenze dedicate alla riflessione sul lavoro di fumettisti.

[TELEVISIONE] AUTORI DI DISEGNI ANIMATI (pag. 128)

TEEN TITANS GO! (idem, Cartoon Network)
(USA 2013, 5 stagioni, 255 episodi [in corso])
Supereroi, umoristico, Cartoon Network, creato da Aaron Horvath e Michael [Cristopher] Jelenic a partire dai personaggi a fumetti della DC Comics

I giovani componenti del gruppo Teen Titans della DC Comics (Robin, Starfire, Raven, Cyborg e Beast Boy) in una versione animata indirizzata ai più piccoli, in cui sono dei bimbetti scatenati.

Episodi The Self-Indulgent 200th Episode Spectacular! parti 1 e 2
Scritti da Michael Jelenic e Aaron Horvath

Coppia di episodi collegati che celebrano la duecentesima puntata della serie. Il mondo sta scomparendo attorno ai Teen Titans, che vanno fino agli studi della Warner Bros. a chiedere spiegazioni. Incontreranno i loro “attori”, cioè quelli che danno loro la voce, e impareranno come si realizza un cartone animato, ma soprattutto verranno indirizzati verso i loro creatori Horvath e Jelenic che convinceranno a riprendere le redini dello show.

domenica 8 dicembre 2019

Libro d'Ore

Curiosa opera del 1920, qui riproposta in una versione “restaurata” (il reintegro di due tavole censurate) di una versione del ’26. Definita nella bandella come nientemeno che anticipatrice “della” (sic) graphic novel, è effettivamente una sorta di Thomas Ott con 70 anni di anticipo: una serie di xilografie mute che poste una di fila all’altra costituiscono una storia per immagini. Ma visto che si tratta di vignettone uniche per ogni pagina c’è senz’altro un’affinità col terribile Poema a Fumetti di Buzzati, al cui confronto Libro d’Ore risulta molto più coinvolgente e interessante.
Un uomo arriva in città. Dopo un primo impatto esplorativo con la modernità di inizio secolo, si lascia travolgere dai piaceri che gli offre. Non disdegna però nemmeno gli ozi e le piacevolezze della campagna. Ma non tutto è rose e fiori. Un drammatico episodio lo spinge ad allontanarsi dall’Europa. Di ritorno dal suo viaggio in Africa e in Asia diverrà una vera peste, provocando il mondo borghese in cui inizialmente sembrava volersi integrare e dileggiando le convenzioni sociali e i miti e i riti tipici del suo tempo. Tornato nell’abbraccio della natura (bucolica ma fauves) muore. All’inizio ci rimane male, o forse vuole solo sfogarsi in modo liberatorio con il mondo crudele, ma pure l’aldilà ha il suo fascino.
Trattandosi di xilografie lo stile è molto contrastato e per nulla sfumato. La peculiarità di questa tecnica potrebbe far pensare che sia stata d’aiuto alla stampa, in realtà i monogrammi smangiucchiati dell’autore che affiorano in molte tavole fanno capire come la resa non sia poi così buona, probabilmente per il fisiologico logorarsi delle matrici e sicuramente per l’uso della riproduzione digitale.
Stilisticamente Frans Masereel ricorda l’Espressionismo, ma non mancano certe derive fauves e influssi dell’Art Nègre, forse a seguire le suggestioni degli Impressionisti. Ma alla fine con torchio e legno non è che ci sia poi molta libertà di manovra. Più interessanti risultano i rari inserti astratti decisamente in anticipo sui tempi.
L’edizione di riferimento è quella tedesca del 1926, che per l’epoca vendette tantissimo (15.000 copie) probabilmente anche grazie all’introduzione di Thomas Mann. Ahinoi,  questa introduzione è terribilmente lunga, irritante e autoreferenziale. Mann anticipa inoltre di parecchi decenni l’idiozia di paragonare il fumetto al cinema, e fa pure degli spoiler. E la sua intuizione sulla riconoscibilità del protagonista (unico senza cappello) non trova in realtà sempre corrispondenza nelle tavole.
Per fortuna l’appendice a cura di Luca Sanfilippo sopperisce al compiacimento centrifugo di Mann, fornendo quelle informazioni sull’opera (e sull’autore) che sono utili a contestualizzarla e ad apprezzarla.
Non avendo Libro d’Ore la stessa immediatezza e godibilità di altri protofumetti come Max und Moritz si segnala più che altro come curiosità per i filologi del fumetto e per gli appassionati d’arte d’inizio secolo. Il libro viene venduto con una piccola stampa (l’autoritratto dell’autore?) custodita in una busta di pergamena incollata in terza di copertina.

martedì 3 dicembre 2019

Stirpe di Pesce: Abissi e il numero 4

Ultima tornata di recensioni del materiale acquistato a Lucca. Finiamo in bellezza.
A sorpresa allo stand della Spianelli ho trovato Abissi, un albo fuori serie di cui ignoravo l’esistenza, uscito a marzo 2019 sicuramente in occasione di qualche fiera. Di foliazione e costo proporzionatamente inferiori rispetto al resto della saga (34 pagine a 6 euro), è una parabola sulla diversità e l’integrazione, ovviamente sempre calata nel contesto di sirene e tritoni. Invece che dai colori, le tavole sono arricchite da suggestive sfumature di grigio.
Il volume comprende anche un racconto illustrato, impostato come un fumetto ma è un racconto illustrato, di Simone Delladio: molto suggestivo e soprattutto disegnato splendidamente come se si trattasse di una serie di incisioni.
In appendice il racconto Nessun Animale di Leonardo Moretti, uno degli autori di Sine Requie: pur nella drammaticità della situazione evocata mi sembra che sia riuscito a infilarci dei begli spunti umoristici. La copertina di Abissi è opera di Davide Gianfelice.
Il quarto numero di Stirpe di Pesce era presente con due cover diverse: una regular e una variant realizzata da Tony Sandoval venduta a un prezzo un po’ maggiorato (10 euro contro i canonici 8). Bellissima, certo, ma io ho preferito quella psichedelica della Spianelli anche per dare continuità alla collezione. E poi l’illustrazione della variant è riprodotta anche in fondo alla versione regolare.
Questo quarto volume contiene tre nuovi capitoli in cui i nodi cominciano a sciogliersi. Ritroviamo più di un personaggio che apparentemente si era perso per strada, e la Spianelli stavolta unisce al suo afflato lirico un bel po’ d’azione: l’aspettativa per sapere come si concluderà la saga è stata montata con efficacia. In queste 62 pagine (lo so che è impossibile che un albo brossurato non conti un numero di pagine divisibile per 16, eppure è così! Anche Abissi ha proprio 34 pagine) viene anche ospitata una storia “satellitare” di Simone Delladio strettamente legata a quanto letto nei capitoli precedenti, un’occasione per approfondire il mondo di Stirpe di Pesce con nuovi elementi. In appendice c’è poi un racconto in prosa sul tema del pacifismo scritto da Mauro Muroni, che ha anche realizzato la cover del racconto inchiostrata dalla Spianelli. Molto interessante l’editoriale in cui la Spianelli spiega la genesi del progetto.
I colori degli episodi di Stirpe di Pesce sono stati realizzati da Daniela Barisone (con il supporto di Irene Villata), almeno fin dove c’è il colore: probabilmente per una scelta stilistica congruente con quanto succede nella storia, da pagina 39 la storia procede in bianco e nero. Le tinte della Barisone sono forse un po’ livide e a metà del capitolo 11 diventano evanescenti come se si trattasse di un flashback, ma comunque il risultato è suggestivo.
La qualità di stampa mi sembra meno buona che in precedenza, ma sempre su livelli accettabili.

domenica 1 dicembre 2019

Free Comic Book Day 2019

Particolarmente generosa l’offerta del Free Comic Book Day di quest’anno, con ben 14 spillatini di cui uno double-face. Tanto che ho preferito lasciarne alcuni in fumetteria, principalmente i manga. È interessante notare come case editrici diverse abbiano affrontato questa strategia da pusher (il primo assaggio è gratis, se ne vuoi ancora sai dove trovarmi): la Bao ha optato per un albetto di gran classe mentre la Star Comics ha preferito usare una carta più economica anche per la copertina. Molti hanno offerto dei fumetti completi mentre Sergio Bonelli Editore ha proposto un mix tra parti di una storia già edita e vignette selezionate della miniserie in uscita. Tra l’altro credevo che Daryl Zed fosse nato nel romanzo Non è successo niente, non nella serie di Dylan Dog.
Un bel po’ di roba, insomma, spesso molto gradevole anche al di là del fatto che fosse gratis.

venerdì 29 novembre 2019

Intervista a Laura Spianelli

A differenza di quello che avevi scritto sul tuo blog questo quarto volume di Stirpe di Pesce non sarà l’ultimo.

No, non è l’ultimo: è una delle libertà che mi sono presa e uno dei motivi per cui sono contenta che sia un’autoproduzione. E anche per questo non sono con una casa editrice e questo perché posso permettermi ad esempio di sviluppare un personaggio se ha bisogno di più spazio. In questo quarto volume ritorna Purple, gli altri personaggi la ritrovano, la vedono, però cosa le è successo nel frattempo mentre la serie procedeva con altre avventure? Non potevo risolvere la questione in sole tre o quattro pagine, era importante darle spazio, per cui ho deciso (o meglio si è deciso parlandone con Simone Delladio, con cui ci confrontiamo sempre per Stirpe di Pesce) che questo quarto volume non sarebbe stato l’ultimo. Bisognava darle più spazio, sottolineare la sua importanza. Per cui in questa avventura… ma forse è meglio se non faccio spoiler!

Già, meglio di no! Io il volume l’ho appena preso e devo ancora leggerlo. Se magari puoi dire qualcosa senza anticipare troppo…

Ci provo: diciamo che l’avventura portante ovviamente continua, ma c’è un punto in cui ci sarà una svolta importante che ovviamente non anticipo ma a cui era importante dare più spazio.

Posso chiederti il perché di questa copertina così particolare, diversa dalle altre?

Il quarto volume l’ho fatto uscire in due versioni per Lucca Comics. C’è la versione normale disegnata da me che è quella a cui fai riferimento: è appunto molto anni ’70, con i colori acidi; e poi c’è una variant cover di Tony Sandoval, di cui ne ho fatte solo 250 copie numerate.
Da qui è nata anche l’esigenza di non fare a gara a quale potesse essere più bella con un soggetto che fosse simile: figuriamoci se voglio mettermi in competizione con Sandoval. Per cui sono andata completamente all’opposto creando una copertina acida che fosse acida anche perché è così che me la sentivo, perché quelle sono proprio le mie tonalità: a me piace, è totalmente pazza. E allo stesso tempo si discosta da quella di Sandoval ma è anche diversa da tutte quelle precedenti, un altro motivo per cui è diversa è che raffigura il primo personaggio su una copertina a non essere né un tritone né una sirena, lui è un umano: un “asciutto”, come vengono chiamati nella storia.

250 copie per una tiratura limitata di un progetto indipendentemente non mi sembrano poi così poche.

Posso dire una parolaccia? Noi pisciamo molto in lungo [ride, ndr]. Insomma, diciamo che io guardo molto in lungo, che è uno dei vantaggi che ti danno le autoproduzioni, perché tu con le autoproduzioni inizi proprio dal piccolo per poi cercare di crescere e di far conoscere il prodotto a più lettori possibili. Invece se lavori con una casa editrice è chiaro che loro hanno altre esigenze di stampa, magari ti mandano in stampa anche 4000 volumi (butto lì una cifra) ma a quel punto è esaurito il tuo prodotto.

Non ti seguono più.

No, perché hai avuto il tuo lancio in libreria e poi il prodotto si esaurisce. Io invece quello che voglio, e che spero, è che il prodotto cresca. E per questo continuo a farlo conoscere: e intendo che continuo a promuoverlo sin dal primo volume.

A proposito di questo discorso, tu frequenti molto le fiere dove presenti Stirpe di Pesce. È quindi un buon sistema per promuovere il tuo prodotto?

Sì, è un ottimo sistema per farsi conoscere, ma è anche un sistema per  conoscere il pubblico. L’autoproduzione ti permette anche questo: di avere un contatto diretto con il pubblico con cui puoi parlare alle fiere. Per cui alla fine non sei soltanto un lettore o una lettrice, diventi parte del fumetto. Perché mi vedi e, grazie ai social, mi vedi quando lo creo. Anche quando magari sbaglio e poi cerco di rimediare a un errore. Per cui tutto questo processo creativo, in qualche modo condiviso, fa sì che sia un qualcosa per cui tu non sei più soltanto lettore, ne fai proprio parte.