sabato 23 maggio 2020

Altri tempi

Il mio primo contatto con la gloriosa rivista Orient Express (ma L’Eternauta era meglio) fu con una raccolta, la numero 6. Anni dopo mi procurai la collezione completa e quella raccolta la regalai ad Alessandro Olivo. Visto che i numeri dal 16 al 18 li conoscevo quindi sin troppo bene, letti e riletti, non avrò fatto molto caso a un particolare che ho notato adesso sfogliando tutti i numeri di seguito: il precedente possessore del numero 16 (datato novembre 1983) aveva tentato di fare il cruciverbino a pagina 84 e, oltre a dimostrare scarsa competenza fumettistica (conosceva Conan ma non Nick Fury? Non aveva mai sentito parlare di Furio Almirante? E nemmeno di Gim Toro?), non era una cima neanche in Storia né aveva una grande inclinazione per la logica. Basta vedere sotto le correzioni della riga 24 a chi aveva attribuito inizialmente l’eventuale fedeltà di Ivan Timbrovic, un personaggio di Cavezzali di cui bastava il nome per capire nazionalità e inclinazioni…
Ho riso di gusto, ma anche da questi particolari si può intuire la temperie culturale di un’epoca in cui l’onda lunga della passione politica degli anni ’70 non era ancora sopita.

giovedì 21 maggio 2020

Fumettisti d'invenzione! - 149

Mi permetto di integrare il divertente e interessantissimo volume di Alfredo Castelli con altri “fumettisti d’invenzione” e simili.
In grassetto le categorie in cui ho inserito la singola segnalazione e la pagina di riferimento del testo originale.

CARTOONIST COME PROTAGONISTA – GRAPHIC NOVELS E ONE SHOTS (pag. 24)

IL FUMETTISTA
(Italia 2020, © Torti/Valentini, slice of life)
Marco Torti (T), Fabio Valentini (D)

Spronato da una professoressa, Leonardo cerca di capire cosa vuole fare dopo il diploma di maturità scientifica. Per caso si scopre fumettista e si iscrive a un corso dove viene intercettato da Gianfranco Marelli in arte Jeff, un professionista un tempo molto famoso che ha abbandonato il fumetto e si infiltra nelle scuole di fumetto per trovare il suo erede artistico(!). Le lezioni di “sceneggiatura” di Jeff sono caratterizzate da una dedizione e una calma zen, forse vorrebbero essere parodistiche ma hanno qualcosa di inquietante. Contro il parere di Jeff Leonardo si fa pubblicare una sua opera (pagando lui la stampa) da un “editore” poco di buono che campa sull’ingenuità degli aspiranti fumettisti. Il rapporto tra i due si incrina, ma alla fine si ritroveranno.
I corsi a cui inizialmente partecipa Leo sono tenuti da Luigi Sperati e Michele “Mig” Ruffazzi; il primo è forse un omaggio a Gianluca Caputo che firma la prefazione, visto che la pensano alla stessa maniera sulla costruzione di una storia.
Pseudofumetto: l’opera prima di Leonardo, che alla fine scopriremo essere diventato un autore affermato, è Il Culto di Mezzanotte.

CARTOONIST COME COPROTAGONISTA OCCASIONALE – ONE SHOTS IN PUBBLICAZIONI ANTOLOGICHE (pag. 56)

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(Argentina 2007, in La Duendes (segunda época), © Ramòn de la Fuente, umorismo)
Ram [Ramòn de la Fuente]

Un disegnatore di fumetti cerca ispirazione per una storia, ma nella maniera sbagliata: fumandosi un sigaro Habana dopo aver bevuto del mate.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie
CITAZIONI, CARICATURE, CAMEI (pag. 61)

HIS NAME IS… CAIN! KANE (IL SUO NOME É… KANE)
(Stati Uniti 1969, in House of Mystery, © DC Comics, horror, umorismo)
Mike Friedrich (T), Gil Kane [Eli Katz] e Wally [Wallace Allan] Wood (D)

Il fumettista Gil Kane, infastidito dalla pressione che gli mette addosso il supervisore Joe Orlando e stufo di disegnare fumetti stupidi inchiostrati male e letterati peggio, si cerca un angolino tranquillo dove realizzare in pace una storia tutta sua. Finisce così nella Casa del Mistero, titolo della testata antologica ma anche luogo “reale” nella cosmologia della DC da cui l’anfitrione Cain presenta le storie, e qui si ritrova prigioniero del suo stesso fumetto realizzato con l’aiuto di forze soprannaturali.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie
FUMETTI BIOGRAFICI (pag. 63)

DOTTER OF HER FATHER’S EYES (IDEM)
(Inghilterra 2012, © Mary e Bryan Talbot, biografico)
Mary M. Talbot [Mary Atherton] (T), Bryan Talbot (D)

L’autrice Mary Talbot, figlia di un eminente studioso di James Joyce, traccia un parallelo tra la sua vita e quella di Lucia: inevitabilmente l’opera abbraccia anche molte scene che coinvolgono il fidanzato e poi marito Bryan Talbot, celebre fumettista.

domenica 17 maggio 2020

Visioni - Graphic novel italiano 2: Cinquemila chilometri al secondo

In barba al Coronavirus gli allegati da edicola continuano e uscire e a moltiplicarsi, addirittura con una collana dedicata al “graphic novel” che, ignaro della sua esistenza, ho visto occhieggiare l’altro giorno in edicola. In attesa di tornare in fumetteria ho voluto dare una chance a questo lavoro pluripremiato di Manuele Fior.
La “storia” di Cinquemila chilometri al secondo ruota attorno al rapporto tra Piero e Lucia, detta Lucy, su cui incombe l’ombra dell’amico Nicola. Dall’adolescenza fino alla maturità, si sviluppa nel tempo in momenti e luoghi lontani tra di loro.
Fior procede in maniera sincopata prendendo dei lunghi stralci dalla vita ora dell’uno ora dell’altra protagonista, lasciando al lettore il compito di ricostruire quello che si dicono i personaggi al telefono e di capire quello che è successo negli anni, spesso parecchi, intercorsi tra un tranche de vie e l’altro. Il gioco è quindi quello di ricomporre il puzzle delle vite dei personaggi approfondendo il loro carattere e i loro rapporti. La narrazione è ridotta ai minimi termini, pressoché inesistente, e in sostanza non c’è nessuna idea forte a fornire il pretesto per una trama originale. Il fumetto (pardon, graphic novel) si basa sulla levità del tema, sulla suggestione del tratto, sui dettagli, sui giochi di sguardi, sull’uso del colore, sulle sequenze oniriche, sul non detto. E anche su un po’ di ironia, per fortuna. Un’operazione non peggiore di tante altre, che però tende a esasperare per la sua lunghezza: circa 140 pagine che probabilmente sarebbero state più efficaci se condensate almeno un po’, in modo da rendere ad esempio più evidente l’evoluzione dell’insegna “ristorante”, quasi metafora del rapporto tra Piero e Lucia. I disegni, almeno, sono piacevoli. Coerentemente con il premio che gli è valsa questa opera, Fior disegna con uno stile fauvista, ma per fortuna l’art nègre alla base soprattutto delle prime pagine lascia lo spazio a una varietà di stili che passano da Alphonse Mucha a Disney, anche se quest’ultimo è una citazione. Sempre molto sintetico e rigoroso, fa parlare i colori quanto e più delle posture e delle espressioni. Da notare, e portare a esempio per altri autori, che ha fatto il lettering a mano – preziosismo (ormai è tale!) per cui gli si perdonano volentieri alcuni rari errori ortografici. Una curiosità: quando ha realizzato Cinquemila chilometri al secondo Fior doveva avere il terrore di invecchiare visto che i protagonisti, nemmeno quarantenni (se ho fatto bene i conti), sono dei ruderi.
Da quanto leggo del piano dell’opera in appendice, e che si può visionare anche qui, questa collana Visioni è molto eterogenea e la nazionalità degli autori è l’unico collante di fumetti (pardon, graphic novel) molto diversi per impostazione e stile. Il formato 17x24 è probabilmente inevitabile e anche abbastanza azzeccato, almeno per alcuni, ma una carta patinata avrebbe sicuramente fatto risaltare di più i colori di Fior. E 10,90 euro non sono certo un prezzo vantaggioso, tanto meno se lo confrontiamo con quello di altre iniziative simili. Ma magari è proprio una strategia di marketing per invogliare con un costo del genere un appassionato di graphic novel dell’ultima ora, che troverà conferma di non stare comprando merda (se non fosse che pure la merda ormai costa più o meno così).

venerdì 15 maggio 2020

Historica Biografie (I Grandi Pittori) 37: Gustav Klimt

Neanche stavolta ho trovato immagini della copertina in rete...
Questa seconda uscita dedicata ai Grandi Pittori è decisamente migliore della prima. In sostanza viene narrata la genesi dei quadri Giuditta e la testa di Oloferne e Ritratto di Adele Bloch-Bauer. Tra sogni e incubi indecifrabili e la dura realtà (“dura” fino a un certo punto, Klimt era comunque un privilegiato anche se il suo amico ministro Von Hartel accetta di confiscare le copie della rivista Ver Sacrum con i suoi disegni) il protagonista cerca di metabolizzare lo sconforto per le critiche ricevute dopo la collettiva della Secessione Viennese nel 1901. Riesce a tirare avanti grazie alla vivacità delle sue esuberanti modelle e soprattutto alla conoscenza con Adele Bloch-Bauer, moglie di un ricchissimo industriale dello zucchero che lo stima sia come pittore che come uomo. Sei anni dopo realizzerà il ritratto della donna dopo che la sua presenza aveva già fatto capolino nella sua produzione (e nei suoi incubi).
Oltre a questo, della vita di Klimt non viene detto praticamente nulla: Jean-Luc Cornette manda avanti la storia tra aneddotica spicciola, sequenze oniriche e occasionali punte di umorismo, e il risultato è ammaliante.
Marc-Rénier fa un lavoro dignitoso ai disegni, che sarebbe stato migliore se avesse inchiostrato le sue matite. Così come sono state pubblicate risultano evanescenti e a volte solo abbozzate. Anche gli sfondi risultano occasionalmente un po’ poveri. D’altro canto, è anche vero che il disegnatore è molto espressivo. I colori di Mathieu Barthélémy tendono ad appiattire la parte grafica, anche se è comunque piacevole andare a caccia delle citazioni dei quadri di Klimt.
Molto interessante (e indispensabile per conoscere la vita di Klimt e quindi contestualizzare gli anni passati in rassegna nel volume) l’apparato redazionale curato da Dimitri Joannidès. Confesso che non sapevo che, vissuto da star, era finito nel dimenticatoio subito dopo morto. Ed è ovviamente spassoso avere un ulteriore esempio di come chi in vita fu un innovatore iconoclasta venga inevitabilmente considerato un classico reazionario dalle generazioni successive.

martedì 12 maggio 2020

Low Road West

Nel consueto futuro post-apocalittico un autobus sta portando cinque ragazzini verso San Francisco, in un campo profughi dove saranno al sicuro dalla guerra civile nucleare che sta infuriando negli Stati Uniti d’America. Ma l’autista dà forfeit e i ragazzini devono arrangiarsi da soli finché arrivano in un paesello ribattezzato Duster’s Wake dal Custer’s Wake che era in origine. Incontro di prammatica con una banda di predoni post-atomici, poi si infilano in una misteriosa casa in stile vittoriano (oddio, non so se lo stile architettonico sia proprio vittoriano: è la tipica villa delle piantagioni del sud, per capirsi). Qui il più piccolo e problematico dei cinque, Ben, entra in contatto con una realtà stramba dopo aver già sperimentato per la strada uno strano fenomeno per cui una carcassa di alce non voleva restare morta.
Un ufficiale dell’esercito si mette sulle loro tracce, una misteriosa ragazzina guerriera li protegge e nel corso dei loro dialoghi apprendiamo che non tutti i giovani protagonisti sono innocenti come vogliono far credere o hanno raccontato delle storie veritiere sulle loro origini.
La soluzione del mistero che circonda la villa, o almeno una parte di essa, in realtà ci viene già data con l’esergo che riporta una considerazione del suo proprietario Abraham Morrow, e sarebbe anche stato un discreto tocco di classe se il fumetto avesse avuto più mordente e fosse stato più coinvolgente.
Low Road West mischia insieme tante cose: l’ennesimo mondo fantascientifico post-atomico, ricerche arcane a metà tra scienza e magia, maledizioni indiane, mondi alternativi, mostri pseudo-giapponesi, tentativi di approfondimento psicologico e forse qualche punta di critica alla politica statunitense attuale. Troppo materiale per una miniserie di cinque episodi. Anche se l’aspetto testuale è comunque superiore a quello grafico.
Flaviano ha infatti uno stile sintetico e a volte stilizzato, che vorrebbe essere espressivo e che per questo soprassiede sulla correttezza anatomica: gli occhi dei personaggi di tre quarti sono innaturali, in molti primi piani i nasi dei ragazzi sono suini indipendentemente dal personaggio e dalla sua etnia, a volte gli arti si piegano e si allungano innaturalmente per assecondare i movimenti… Le derive pupazzettistiche hanno anche il difetto di rendere i “cattivi” e i mostri non minacciosi come dovrebbero essere ma tristemente ridicoli. Niente male, però, i colori di Miquel Muerto (che spero per lui sia uno pseudonimo).
Un fumetto anonimo, se non proprio mediocre, ma va riconosciuto a Phillip Kennedy Johnson lo sforzo di cercare di inventarsi qualcosa di originale. Cos’abbia di tanto speciale Flaviano, però, proprio non l’ho capito.

domenica 10 maggio 2020

Forse sono io prevenuto?

È quello che mi sono chiesto dopo essermi lamentato per l’ennesima volta della presenza su Historica di un fumetto di guerra. E allora ho pensato di quantificare questo n (“ennesimo” deriva dalla variabile n che si usa in matematica? boh), cercando di essere il meno rigido possibile nel valutare il genere di un fumetto, visto che alcuni presentano aspetti che potrebbero facilmente essere associati al genere bellico. Forse sono io ad avere una percezione sbagliata. Orbene, su un totale di 91 volumi usciti finora ho trovato ben 31 fumetti di guerra “puri”, praticamente poco più di uno su tre. Uno sproposito. E questo tenendomi appunto largo e senza mettere nel computo Ricordi della Grande Armata e altri.
Se però comprendiamo nell’insieme anche i fumetti napoleonici (che volenti o nolenti devono parlare anche di guerra) il totale aumenta di 4 unità, stessa cifra che andrebbe messa nel computo se ci mettessimo dentro anche quelli in cui la guerra si percepisce anche se non si vede direttamente, come Berlino e I Cosacchi di Hitler. E non ho nemmeno tenuto conto di quei fumetti che effettivamente trattano di guerra, ma da un punto di vista diverso (Fax da Sarajevo) oppure con abbondanti innesti soprannaturali (Adler/Eagle): dovrebbero entrare nel conto anche loro e così si aggiungono altri 3 volumi. Poi ci sarebbero certi episodi de Le Torri di Bois-Maury che sono ambientati durante le Crociate e forse in qualche conflitto successivo, ma nella mia magnanimità non li ho considerati, così come non ho tenuto conto nemmeno di Valois. Però La lama e la croce è stato inserito nella categoria-ombrello della Guerra dei Trent’Anni e forse (non l’ho letto) anche quello è di genere bellico.
Insomma, il totale arriverebbe a toccare quota 42, se non addirittura 43. Certo, non sono mancate delle belle letture anche in questo contesto, ma veramente mi sembra che sia stato dato troppo spazio a questo genere. Con tutto il ben di dio che attende di essere edito o ristampato in Italia…

sabato 9 maggio 2020

Historica 91 - La Grande Guerra: Il bambino soldato

impossibile trovare in rete un'immagine della copertina, accontetatevi di questa porcheria
Ma che bella sorpresa: la Mondadori torna a pubblicare un volume dedicato alla Prima Guerra Mondiale. E saremmo pure fuori tempo massimo, visto che il centenario della fine del conflitto è passato da due anni. Non fosse che in questo periodo ho bisogno di procacciarmi fumetti avrei lasciato il volume in edicola, e non mi sarei perso granché.
Il bambino soldato che dà il titolo a questo trittico di volumi è Jean-Corentin Carré, personaggio realmente esistito: una gloria nazionale imbevuta di patriottismo smaniosa di prendere parte alla guerra nonostante i suoi soli 14 anni, che riuscirà veramente a farsi arruolare mentendo sulla sua età e sulla sua identità. Jean si trova così catapultato nell’inferno delle trincee, ma un po’ grazie al suo coraggio e un po’ grazie alla fortuna riuscirà a mantenere salva la pelle e addirittura a far carriera nell’esercito nonostante chiunque lo incontri noti il suo aspetto fanciullesco. Una volta scoperto l’inghippo viene congedato ma non si dà per vinto e, memore di quello che vedeva nelle trincee di Verdun, azzarda l’arruolamento in aviazione riuscendo a coronare anche quel suo sogno, che però si rivelerà deludente rispetto alla sua sete di sangue tedesco.
I testi di Pascal Bresson sono un misto di retorica e di dettagli storici, come spesso avviene nelle storie di questo genere. La narrazione un po’ sincopata non si fa leggere in maniera troppo fluida (non sempre i flashback fanno riferimento alle scene a cui sono associati) ma almeno movimenta un po’ una struttura che bene o male è pur sempre quella tipica dei fumetti bellici. Tra le pennellate documentaristiche, scopro grazie a Il bambino soldato che i militi al fronte ce l’avevano coi gendarmi. Meno lodevole la deriva metanarrativa per cui i due autori principali si siano autoritratti in tali vesti. Confesso di non aver colto il simbolismo della penultima pagina, ma d’altra parte non mi ci sono nemmeno messo troppo a rifletterci sopra.
La figura di Carré, che curiosamente anche familiari e amici stretti chiamano sempre con nome e cognome, risulta poco meno che schizofrenica: l’entusiasmo degli esordi si stempera presto in un cinismo fatalista, che passa però anche attraverso momenti di esaltazione, fugaci ingenuità, timore di Dio (dopo che nelle prime pagine per poco non mandava a quel paese il parroco) e meccanico eroismo. Al culmine di tutto ciò, Jean diventa pure un bello stronzetto. È probabile che Bresson abbia cucito insieme la vulgata sul personaggio, ovviamente ingigantita a scopi propagandistici, con elementi reali come le lettere che indirizzava alla madre; la ricerca delle contraddizioni nella personalità di Jean sarebbe quindi voluta, e certo giustificabile anche con la giovane età del protagonista ancora in formazione, ma resta comunque un po’ spiazzante.
La parte grafica asseconda quella testuale: al di là del fatto che nel primo dei tre capitoli i disegnatori sono due (Stéphane Duval e Lionel Chouin), la schizofrenia si mantiene per tutto il trittico presentando cinque o sei stili di disegno diversi: a volte si azzarda un realismo un po’ alla Alain Mounier (tanto per citare un riferimento vagamente simile) ma questo viene presto abbandonato in favore di concessioni un po’ caricaturali oppure di un tratto adatto a illustrazioni per ragazzi, mentre fanno anche capolino cascami espressionisti con derive quasi underground, inquadrature d’effetto quasi supereroistiche e tavole disegnate con un tratto sporco e pesante. Il risultato non è pessimo, ma comunque spiazzante. Il primo episodio è colorato da Jean-Luc Simon che fa un buon lavoro mentre Patrick Larme non rende giustizia ai disegni di Chouin negli episodi successivi.
In ultima analisi Il bambino soldato non è certo un brutto fumetto, e probabilmente piacerà agli appassionati del genere. Io però mi ricorderò questo volume principalmente per tre cose: alcuni rari fuori registro come se la stampa fosse partita da pellicole (quando invece le pellicole di stampa non si usano più, giusto?), la colta introduzione in cui Sergio Brancato infila di tutto pur di non parlare della storia e rovinarne la lettura (o forse pure a lui non è che interessasse molto) e la soddisfazione di essere riuscito a individuare il numero 91 sul dorso, stampato in nero su un fondo scurissimo. È visibile solo a una certa angolazione e con le giuste condizioni di luce, ma c’è.

mercoledì 6 maggio 2020

Cacciatori di Morti?

Da quello che leggo in giro sul web quest’anno a Modena il consueto supplemento di Sine Requie che avrebbe dovuto essere presentato in quell’occasione sarebbe stato Cacciatori di Morti, che chissà se e quando potrò prendere (il PlayModena di quest’anno è stato spostato a settembre dopo un primo posticipo a fine maggio, ma probabilmente anche queste nuove date sono ottimistiche).
Pur non avendo quindi il manuale a disposizione rimane purtroppo il dubbio, anzi la certezza, che tra quarantotto anni e sei mesi starò ancora qui a lamentarmi del fatto che gli autori non abbiano ancora spiegato cosa diede origine al Risveglio e cosa si trova “oltre la Soglia”.

domenica 3 maggio 2020

Storia dell'Universo Marvel

Volumone celebrativo come periodicamente ne vengono prodotti (credo) per fare il punto sulla situazione del Marvel Universe sostituendo in questo caso le vecchie guide che erano solo scritte e illustrate con materiale di repertorio.
La “storia” è scritta da Mark Waid, motivo per cui ho azzardato a dare una chance alla lettura della miniserie, ma in realtà avrebbe potuto scriverla chiunque, a patto di rileggersi tutti gli albi Marvel o di farseli riassumere. La miniserie non è altro che un compendio di storia della Marvel, senza alcuna rilevanza stilistica e con un unico guizzo creativo relativo alla sola situazione di partenza: all’approssimarsi della fine dei tempi (quando il vecchio universo verrà sostituito da uno nuovo) Franklyn Richards parla con Galactus del passato e del futuro, “futuro” che per loro è già avvenuto, del mondo che sta per essere annichilato per ripartire poi da zero. Mentre il primo, che ricostruirà l’universo dopo la fine, è sempre lucido, il secondo perde progressivamente contatto con la realtà. Questo meccanismo serve a giustificare il fatto che, proprio quando si arriva agli eventi del 2019, Galactus si perde e riassume rapidamente gli scenari futuri canonici del Marvel Universe, come il 2099, il mondo di Deathlok, di Killraven, ecc. senza sbilanciarsi troppo sulle loro collocazioni temporali.
Si tratta insomma di un tentativo di costruire una cronologia coerente che unisca tutti gli albi pubblicati della Marvel, sino al prossimo evento epocale che cambierà di nuovo le carte in tavola e richiederà probabilmente qualche altra aggiustatina nella cronologia. Ma dalle date di pubblicazione degli albi citati nelle note evinco che l’ansia di dover giustificare tutto in una maniera coerente non è un vizio recente.
Dignitosi i disegni di Javier Rodríguez (anche colorista) e Álvaro López, però visto il tipo di “storia”, per nulla narrativa ma interamente compilativa, sarebbe stato meglio uno stile più ricco e dettagliato, da illustratore. In questo caso non c’è nemmeno la scusa dello storytelling per giustificare la pochezza dei disegni. Alle copertine un irriconoscibile Steve McNiven che insieme a Mark Farmer e Morry Hollowell fa il verso allo stile degli anni ’80 (o ’70? o ’60?).
Non manca qualche curiosità: io ad esempio non sapevo dell’invenzione del fittizio conflitto del Sin-Cong creato appositamente per ambientarci alcune storie accadute nel Vietnam, che anche nel Marvel Universe esiste ed è stato teatro della guerra omonima durata anche lì un lasso di tempo ben determinato, e che quindi potrebbe essere in conflitto con l’età di alcuni personaggi che in origine vi presero parte. Ma oltre a questo La Storia dell’Universo Marvel non ha nulla da offrire a livello narrativo e stilistico, anche se sono sicuro che alcuni aficionados Marvel si commuoveranno rivedendo sequenze lette durante la loro infanzia o adolescenza e assistendo alla “morte” (ma chi ci crede…) dell’universo Marvel.
Come dicevo all’inizio, questa miniserie aggiorna e sostituisce i comic book enciclopedici sulla storia della Marvel (mi pare si chiamassero Handbook, anche io ne ho uno) e infatti include alla fine un elenco di personaggi che non sono stati menzionati nel “fumetto”.