mercoledì 30 giugno 2021

I Mondi di Thorgal 12 - La Giovinezza di Thorgal 4: Dente Blu

Veramente molto piacevole questa nuova doppietta di episodi dello spin-off della serie madre. Purtroppo esce a distanza di due anni e mezzo dal volume precedente e quindi mi ci è voluto un po’ per riacclimatarmi con i personaggi e la loro vicenda fino a questo punto.

Lo sfondo dell’azione è la brutale Danimarca del feroce Harald detto Dente Blu. Tre trame principali si affiancano, si incrociano e si alimentano a vicenda: Aaricia si trova sulla feluca araba che l’ha salvata insieme a Isolina, ma finirà a far la serva nelle cucine dei Danesi. L’ambasciatore di Bagh Dad cercherà insieme al suo giovane assistente di strappare un accordo commerciale con i rozzi uomini del nord mentre i vichinghi di Gandalf il Pazzo partono alla volta del Daneland per salvare la figlia del loro re – ovviamente il giovane Thorgal è della partita. Ma questa è solo l’impalcatura di due episodi pieni di azione e colpi di scena, che offrono anche complotti, tradimenti, sequenze ricche di pathos e più in generale personaggi molto interessanti e ben delineati.

Yann scrive con ritmo frenetico senza lasciare un attimo di respiro ai suoi personaggi; inoltre ho notato una maggiore cura per certi aspetti secondari: a differenza degli altri episodi (della serie madre e non) qui il contesto storico ha una forte rilevanza e anche la “magia” ha delle regole per cui tout se tient. Per fortuna lo sceneggiatore ha tralasciato il suo umorismo cattivo, anche se qualche stoccata la dà sempre: chi se ne frega se alcuni prigionieri ribelli delle segrete di Re Harald sono morti? Erano solo Franchi, mica vichinghi, non valevano niente… e anche un eunuco può trovare senso nel matrimonio. E non ricorre nemmeno alle citazioni stupidotte dello scorso volume. L’unico appunto che gli si potrebbe fare è che sia Thorgal che il suo alleato arabo Mehdi le prendono spesso di santa ragione (o comunque sono quasi in fin di vita) per poi ringalluzzirsi senza problemi quando la trama lo prevede. Ma altrimenti che eroi sarebbero?

Al di là dei testi, ho notato con piacere che, nonostante l’ordalia a cui è stato sottoposto, Surzhenko è riuscito a esprimersi a livelli molto alti, tanto che spesso la struttura delle tavole si basa su quattro strisce. I suoi disegni sono dettagliati, espressivi e dinamici. Soprattutto, è riuscito a creare molte fisionomie diverse facilmente distinguibili tra di loro (non è affatto semplice) e anche a raccontare con efficacia quello che succede con i giochi di sguardi o la composizione delle vignette, soprattutto di quelle più affollate.

Impeccabile la stampa della Panini, che però si è rivelata indecisa su quale sia il nome del rosario musulmano: tasbah o tasbih? Ma forse era un errore presente già nell’edizione originale.

Una curiosità: lo squalo putrefatto esiste veramente, anche se io sapevo che è una prelibatezza tipica islandese e non danese: in Islanda lo vendono anche preconfezionato nei supermercati. E ne vanno pure fieri.

domenica 27 giugno 2021

Gli Uomini della Settimana Volume 1

Fumetto bizzarro che si bea del suo ostentato surrealismo concentrandosi al momento quasi solo a introdurre i personaggi. I protagonisti sono sei celebrità che vengono definite «supereroi» solo in quarta di copertina: nel fumetto non vengono mai chiamati così e sono più che altro dei performer o dei presenzialisti che si fanno vedere alle inaugurazioni o in televisione (più o meno: le telecamere sono spente e non c’è pubblico in studio, ma c’è un perché). La loro notorietà e il titolo della serie si devono al fatto che le loro vicende, di qualsiasi tipo fossero, sono state ospitate su una rivista che uscì per soli sette giorni – e l’ultima volta con una copertina bianca. L’ombra lunga e inquietante del metafumetto avanza minacciosa e un brivido mi corre lungo la schiena al pensiero che alla fine tutto finirà con un’implosione come mi pare sia avvenuto con La Dottrina. Ma è presto per fasciarsi la testa. I segnali non devono necessariamente condurre in quella direzione. Spero.

Gli Uomini della Settimana sono Alter (che può fare delle copie di sé stesso e ha una relazione con una biondona che si finge stupida), il Mimo (bravo a travestirsi, acquista anche le capacità di chi imita), l’Ispirazione (che trasmette agli altri per empatia il suo umore), Puah! (col potere di riempire oggetti e persone di pallini neri come enormi retini tipografici – metafumetto?), Da Da Da (che frequenta un uomo qualunque e può modificare la disposizione delle lettere nei balloon degli altri o usarle come armi – argh, metafumetto!) e Aquila, che muore all’inizio e forse era l’unico a fare veramente l’eroe, o perlomeno a impersonarlo: la scena d’apertura lascerebbe pensare più a una messinscena che a qualcosa di realmente avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale, se non altro per il tedesco fintissimo dei dialoghi.

Il motore della trama è proprio l’uccisione di Aquila tramite l’unica cosa a cui è vulnerabile: ogni Uomo della Settimana ha infatti un punto debole segreto. L’omicidio avviene a ridosso del suo compleanno e ovviamente diventa occasione per una nuova performance e la conseguente disquisizione sul ruolo degli artisti, degli spettatori, ecc. Apparentemente sembra una citazione o un omaggio a Watchmen (o a Bratpack, o a chissà quanti miliardi di altri comic book con premesse simili) ma Bilotta sembra usare questo incipit come viatico per parlare d’altro, principalmente di popolarità, apparenza, visione del mondo e soprattutto di arte contemporanea. Magari pecco di ipercodifica, ma mi sembra che la misteriosa erede di cui nessuno conosceva l’esistenza e l’assistente-schiava di Puah! siano dei riferimenti a Gino De Dominicis e anche il “caso” del terzo capitolo con la scomparsa di un oggetto inesistente potrebbe rimandare al cubo invisibile di De Dominicis che venne regolarmente recapitato con corriere all’acquirente (o così si dice). E poi, dai: la tavola con gli oggetti accumulati a pagina 66 è troppo ostentata per non essere una citazione dei piatti appesi alle pareti di Daniel Spoerri.

Magari gli Uomini della Settimana sono una trasfigurazione all’amatriciana (la storia è ambientata a Roma) degli Young British Artists. L’Ispirazione come Tracy Emin, può starci. Non ho capito invece chi potrebbe rappresentare il Nodista, anche se la relazione tra lui e il gallerista/curatore porta alla mente i dibattiti su quale delle due figure sia oggigiorno il vero artista.

Attorno alla trama portante orbitano altri personaggi e sottotrame: il prete/critico d’arte Don Baltico, la presunta conduttrice televisiva Mancinella, la diva Carolina Rotante dichiaratamente inesistente ma cionondimeno amatissima dai suoi seguaci, una specie di Diabolik invecchiato e soprattutto la minaccia incombente dell’Invisibile, ovvero l’entità che avrebbe determinato lo scioglimento degli Uomini della Settimana. E che spero vivamente non sia una cosa tipo il lettore di fumetti, il mercato dei fumetti, il gradimento del pubblico, lo stesso Bilotta o una cosa così…

La storia si sviluppa in capitoli da 24 tavole, come se fosse la raccolta in volume di tre comic book. Non è per insultare gli autori che ho fatto un parallelo col fumetto USA: oltre al formato 17x26 la struttura è proprio quella, con i credit all’inizio di ogni capitolo e un cliffhanger finale. Il formato ideale per la pubblicazione sarebbe stato quello di un fascicolo mensile (o magari settimanale!) visto che il ritmo è incalzante e si rimane incollati alle pagine. Tanto più che come in Watchmen ogni capitolo termina con un elemento grafico extra-fumetto che porta un po’ avanti la trama o almeno riassume quello che è successo nel singolo capitolo: in appendice a un’eventuale versione in fascicoletti ci sarebbe stato proprio bene. Mi rendo conto però che, al di là delle altre considerazioni produttive, un formato di questo tipo avrebbe forse comportato un costo maggiore. Così però ci troviamo alla fine di questo primo volume con un cliffhangerone micidiale e chissà quando vedremo il seguito.

Lo stile di Bilotta è, come dicevo, molto appassionante e riesce a incuriosire il lettore. Non sempre il suo umorismo colpisce nel segno, ma sa usare alla perfezione le possibilità usate dal fumetto senza perdersi in barocchismi. E poi già l’ambientazione italiana per una storia del genere mi sembra una trovata simpatica.

I disegni di Sergio Ponchione mi hanno invece un po’ deluso: non che siano brutti, ma ha molto lesinato sui tratteggi, ha usato un’inchiostrazione piuttosto corposa e il risultato alla fine è un po’ stilizzato. Certe vignette sembrano ingrandimenti di immagini più piccole. Certo, è abbastanza espressivo ma non può esserlo più di tanto con protagonisti e comparse che indossano maschere totali o si atteggiano sempre a impassibili o al contrario devono sorridere forzatamente. La stampa non sempre nitidissima, poi, non aiuta. Oltretutto non si riesce nemmeno a leggere cosa c’è scritto in alto a destra nel manifesto de Il Nido dell’Aquila (che fa pensare ad Aquila più come attore che come eroe) e magari era un indizio importante. O forse è una strategia precisa per suggerire, come vediamo nella stessa splash page, che i colpevoli siano Mattarella e Pertini.

Poco da dire sui colori di Nicola Righi: in generale si conformano alla maniera supereroistica per poi deflagrare in quei pochi punti dove è necessario.

venerdì 25 giugno 2021

Brancalonia - Manuale d'Ambientazione

Da quello che mi dicono amici più avvezzi di me ai crowdfunding e da quello che ho potuto constatare anch’io, solo Laura Spianelli è mai riuscita a consegnare un prodotto finanziato nei tempi stabiliti. Brancalonia, annunciato per gennaio, a causa di problemi con il tipografo mi è arrivato la settimana scorsa. Ma l’attesa è valsa la pena.

L’ambientazione è un’Italia fantastica un po’ medievale e un po’ rinascimentale, con parecchi elementi che rimandano anche al XVII secolo e qualche dettaglio volutamente anacronistico. Questa varietà aggiunge fascino al mondo di “Taglia”, che diventa così molto barocco. Qui i personaggi non interpretano i classici eroi o antieroi, ma delle vere canaglie, per quanto talvolta di animo buono o costretti dalle circostanze a diventarlo. Brancalonia si inserisce nel filone dello “spaghetti fantasy” e del movimento Zappa e Spada che hanno generato diverse opere letterarie (alcune interattive) a cui scopro che hanno contribuito anche Roberto Recchioni e Diego Cajelli. Il tono delle avventure è picaresco, i personaggi si immergono tra la feccia urbana o contadina e nei classici luoghi del fantasy ma sempre (idealmente) con un sorriso beffardo in faccia e il compiacimento di star per fregare qualcuno. La Taglia non è solo il nome della nazione ma anche quella che sin dall’inizio pende sul capo dei singoli personaggi, magari per reati di scarsa entità o attribuiti per errore.


Il party qui è una Cricca, un gruppo di avventurieri che deve essere affiliata a una Banda, cioè un gruppo più esperto, numeroso e potente di canaglie che di volta in volta dà loro le imbeccate per le avventure (i «lavoretti») e offre rifugio e altri tipi di supporto tra un colpo e l’altro. I giocatori non sono quindi liberi di interpretare un personaggio che sia concettualmente autonomo rispetto all’ambientazione, ma d’altra parte anche in Lex Arcana e in fondo pure ne Il Richiamo di Cthulhu funziona così, senza che ci sia nulla di cui lamentarsi.

La Taglia o Sinistro Stivale è un postaccio fondato sul crollo di altre civiltà millenarie, “retto” da despoti o regnanti da operetta e puntellato di fenomeni sovrannaturali come la Bocca dell’Inferno di Plutonia. Le legge sarebbe affidata ai Birri, che però per una taglia troppo bassa non pensano valga la pena di intervenire (tanto più che per legge ne intascherebbero solo la metà) mentre fanno lo stesso se la taglia è troppo alta, perché significa che i personaggi sono ossi duri.

Le regole su cui si basa Brancalonia sono quelle del «gioco di ruolo più famoso di sempre», che curiosamente non viene mai citato per esteso – dall’accordo di licenza in appendice mi pare di capire che non si debba farlo per non incorrere in problemi di copyright. Le razze sono quindi arricchite di quelle che si possono trovare nelle leggende popolari e nei racconti degli autori italiani, e sono rimasto sorpreso nel vedere che i “Salvans” e i mezzigiganti sono evidentemente diffusi un tutta la penisola visto che ne vengono presentate le relative razze, cioè i Selvatici e i Morganti. Tra le razze meno scontate ci sono poi le Marionette (ovviamente ispirate a Pinocchio, ma si può anche sceglierne una versione a foggia di pupo siciliano) e i Malebranche, diavoli usciti dall’inferno e “rinati” nel mondo materiale che ricordano vagamente i tiefling di Planescape.

Le classi vengono ovviamente virate in chiave brancalonica. A me la Quinta Edizione del gioco-di-ruolo-più-famoso-di-sempre non entusiasma, oltre che per la sua semplicità, anche per la scarsa possibilità di personalizzare un personaggio con pochi sbocchi (o come diavolo si chiamano) per ogni classe. Nel contesto di un’ambientazione molto caratterizzata come questa il sistema funziona però piuttosto bene, e così un ranger diventa un mattatore (che caccia e addestra animali e mostri), un ladro è un brigante, un bardo è un arlecchino, ecc. Curiosa la scelta di fare dei benandanti uno sbocco dei druidi, mischiati oltretutto con il mondo degli spiriti: quelli delle mie parti sono dei guaritori che combattono di notte contro gli Strighi brandendo dei finocchi. Ma si vede che gli autori si sono basati su fonti diverse dalle mie, e d’altra parte non avrei mai detto che i benandanti fossero conosciuti al di fuori del Friuli Venezia Giulia. D’altra parte la razza dei Dotati è probabilmente ispirata a loro, almeno in parte. A proposito di classi, stona un po’ leggere il termine Warlock tale e quale pur se adattato alla Taglia, dove diventa uno iettatore di professione, ma immagino che fosse necessario mantenere l’omogeneità con gli altri manuali tradotti in italiano del gioco-di-ruolo-più-famoso-di-sempre.

Il tono delle avventure è low fantasy, con poca magia e senza la possibilità di diventare dei mostri di potere. Credo che il punto più ficcante del prontuario Spaghetti Fantasy di pagina 72 sia «niente soldi per gli effetti speciali». Il livello massimo consigliato da raggiungere è il 6°, anche se sono presenti regole per far progredire i personaggi oltre questo limite. Il mio mezzelfo bardo del 5° sarebbe quindi già prossimo alla pensione, mentre nei Forgotten Realms sta appena per spiccare il volo. Questo limite (che comunque come detto non è tassativo) permette di pianificare meglio le singole campagne e affrontarle anche a cuor leggero, senza troppa preoccupazione di power play. Viene addirittura detto che l’ideale sarebbe concludere un lavoretto a sessione!

L’ambientazione è ovviamente una versione contorta dell’Italia. Di regioni ce ne sono solo 16, ma a mancare tra quelle reali sono più di 5, poiché la sedicesima è la Corsica («Callista») e una piccola parte dello spazio centrale è occupato dalle Contrade Dimenticate. Posso capire che il Triveneto venga accorpato per comodità diventando la Vortigana e probabilmente altre scelte sono state dettate da ragionamenti di carattere storico o pseudostorico: Trieste/Tergesta ad esempio non fa parte della Taglia ma si trova in Istrania. Un palcoscenico privilegiato ce l’ha la Penumbria, probabilmente a causa della rilevanza di cui gode nelle opere letterarie spaghetti fantasy.

Il tono della scrittura è molto scorrevole e divertito. Dalle gerenze credo di poter evincere che l’autore principale (se non unico) di Brancalonia sia Mauro Longo, con occasionali assist da parte di Andrea Macchi, Max Castellani e Nicola Santagostino per la parte regolistica, di Simone Borri e Sebastiano De Angelis per la revisione, del direttore editoriale Samuel Marolla e ovviamente della pletora di scrittori che hanno contribuito al movimento Zappa e Spada – l’ambientazione generale dovrebbe essere opera di Luca Mazza e Jack Sensolini. Sparsi per tutto il manuale sono giochi di parole e calembour, così che i professionisti che danno la caccia alle canaglie sono i Cavalieri di… Equitaglia, mentre i bucatinieri sono dei pirati noti per il particolare tipo di pastasciutta che mangiano. Il citazionismo domina sovrano: oltre alle commedie e commediacce italiane, ci sono riferimenti e ammiccamenti veramente inaspettati, da Eduardo De Filippo ad Asterix a Francesco De Gregori.

Da segnalare un piccolo tocco di classe: come da trita consuetudine, viene finto in apertura che il manuale sia un resoconto reale, un game prop, e per questo risulta macchiato in alcune parti dall’uso che ne ha fatto tal Bonaccorso dei Vunci. Ce ne dimentichiamo presto, finché non arriviamo alla parte relativa alle Contrade Dimenticate, in cui alcuni paragrafi del testo sono stati artatamente coperti da macchie e resi illeggibili (non è come in Mage – Il Risveglio dove il testo censurato si leggeva in controluce: qui è proprio illeggibile). Sembrerebbe che queste terre, che alcuni sostengono nemmeno esistere, contengano un portale verso altri mondi; visto il nome il mio pensiero è andato subito ai Forgotten Realms, ma in realtà sembra che sia una regione con cui Longo ha voluto perculare terrapiattisti e altri teorici del complotto, anche se mi è sfuggito il rimando ai pilastri a base pentagonale. E ovviamente si tratta di un aggancio a futuri supplementi dopo aver opportunamente ingolosito il lettore.

Ci sono poi regole nuove, in particolare per l’equipaggiamento scadente, e una sorta di breve campagna composta di sei parti – ma sarebbe meglio dire cinque e mezzo perché la prima è un po’ particolare e si rivolge a un pubblico molto giovane. La campagna non prevede il “Colpo Grosso” con cui dovrebbe terminare la carriera delle canaglie, ed è stata elaborata da molte teste diverse, praticamente uno o più autori per “lavoretto”.

Per finire, vivaddio, mostri e personaggi non giocanti caratteristici dell’ambientazione. Purtroppo il bestiario vero e proprio si compone di sole dodici creature, anche se è lodevole lo sforzo per rendere Befane e Confinati (e in misura minore Malacode e Orchi Cattivi) molto personalizzabili anche per assecondare le varie versioni regionali di questi mostri, o delle creature a loro apparentabili, di cui si ha traccia nel folklore italiano.

Di per sé Brancalonia non ha veri e propri difetti. Stavo anzi per gioire davanti alla quasi totale assenza di refusi, ma purtroppo questi sono concentrati principalmente nella seconda parte (i Malacarne della penultima avventura cambiano genere nel corso della stessa frase, e l’articolo “i” davanti a nomi che cominciano con la zeta stride parecchio). Qualche riferimento apparentemente sbagliato, come il capoccia del Monte dei Fiaschi di Iena che è al comando da quasi 300 anni anche se i Malebranche hanno la stessa aspettativa di vita degli umani, è probabilmente strategico e serve a introdurre elementi che saranno sviluppati a parte. Al di là di questi dettagli, però, c’è ben poco da criticare: tutt’al più, non si può essere d’accordo con certe scelte motivate da necessità stilistiche o di opportunità commerciale.

Tra le prime rientrano quei capitoli (molti) non necessariamente lunghi, ma dedicati ad argomenti che servono a creare la giusta atmosfera senza aggiungere nulla o quasi a livello di regole generali o di approfondimento geografico. Un ampio capitolo viene dedicato alle risse, meccanismo scelto in omaggio ad alcuni film di genere ma anche per permettere di far sfogare i personaggi senza entrare in combattimento, che per alcune regole in Brancalonia può essere più letale che altrove. Vengono offerte un sacco di opzioni, di mosse specifiche delle singole classi, ecc. ma (al di là del fatto che simulare le risse nei giochi di ruolo di solito è noioso) il tutto sembra essere più che altro decorativo, senza ad esempio indicazioni su eventuali px da assegnare alla fine. E con le risse se ne vanno sei pagine, sicuramente necessarie nell’ottica dello spirito dell’ambientazione, ma che avrebbero potuto essere dedicate a equipaggiamento nuovo, descrizioni più approfondite delle regioni e magari a nuovi incantesimi (di questi non c’è proprio traccia: probabilmente così impone il gioco-di-ruolo-più-famoso-di-sempre).

Se le risse hanno un loro ruolo di rilievo nelle campagne brancaloniche, di sbrachi, giochi da bettola, ciarpame e cimeli si dice chiaramente che hanno solo un valore decorativo o poco più. Beninteso, è senz’altro divertente leggere i risultati delle varie tabelle in cui vengono descritti gli osti e i loro manicaretti, ma occorreva davvero spenderci tre pagine? La parte relativa alle «strade che non vanno da nessuna parte» è anch’essa divertente, ricorda sia lo spirito delle fanzine e riviste dei primi anni ’80, quando si sentiva il bisogno di fare una tabella per tutto, che le meccaniche dei giochi moderni come Savage Worlds in cui le cose “devono” succedere ed è il tiro del dado a decidere quando. Ma, anche in questo caso, non bastava giusto qualche esempio invece di occupare altre due pagine?


Ma tutto sommato anche questi inserti contribuiscono a evocare un senso di barocco, anche se a scapito di altre parti che sono state sacrificate. Ecco, a tal proposito viene occasionalmente fatto riferimento nel manuale a Inesistenti e Gatti Lupeschi. La loro citazione passa quasi sottotraccia, ma intanto vengono nominati qua e là e (guarda caso) l’illustrazione che apre il manuale è proprio quella di un’armatura vuota in posa che potrebbe rimandare a Italo Calvino. Con ogni probabilità si tratta di nuove razze di personaggi, che però verranno descritte solo in qualche supplemento futuro. E intanto ci viene fatta venire la curiosità di scoprire cosa siano… è una strategia comune, certo, e non solo nei giochi di ruolo, ma forse più che altrove si approfitta troppo del senso di incompletezza dato al lettore. Dodici mostri, per dire, sono veramente pochissimi (io stesso ne ho trovato decine e decine solo in riferimento al folklore triveneto) e infatti viene detto che in futuro usciranno supplementi regionali più approfonditi che ne conterranno altri. Io avrei preferito un volume più corposo (a un prezzo proporzionato, ovviamente) che andasse a integrare quanto già pubblicato qui, ma mi rendo conto che è una questione di gusti. Non posso negare di aver sentito scorrere un brivido nella schiena quando ho letto che la prima avventura è stata realizzata con l’avallo (e direttamente dal responsabile Alessandro Savino) dell’associazione Genitori di Ruolo, che per fortuna non sembra essere un tentacolo del Moige ma un gruppo di appassionati che introducono il gioco ai più giovani. Il desiderio di presentarsi “puliti” ha però portato anche a presentare a pagina 73 un manifesto di come deve essere l’“atteggiamento al tavolo”, che magari farà pendere l’ago della bilancia a favore dell’acquisto da parte di certo pubblico potenziale, ma che così si mangia un’altra pagina utile.

La parte grafica è molto eterogenea sia qualitativamente che per le tecniche impiegate, ma la qualità media è sempre dignitosa e anzi spesso buona. Tra gli altri, una menzione d’onore la merita secondo me Alessandro Balluchi che si firma Ale Bal, il quale senza ricorrere a effettacci digitali “cita” con le sue pennellate veramente di tutto e di più: Fabrizio De André, Gino Cervi/Peppone, il trio Marchesini-Solenghi-Lopez nella loro interpretazione de I Promessi Sposi e perfino il Carlo Croccolo di Tre Uomini e una Gamba tradotto in salsa fantasy. Molto buone anche le mappe, che sembrano fatte con i vecchi pennarelli pantone e dovrebbero essere opera di Fabio Porfidia, a cui però nelle gerenze viene attribuita solo quella del regno – più le «schede», qualsiasi cosa siano.

Brancalonia è in sostanza consigliato anche a chi non pratichi il gioco-di-ruolo-più-famoso-di-sempre, sia per il fascino dell’ambientazione che per il meccanismo che la anima (campagne da concludersi potenzialmente anche in sole sei sessioni) che per la piacevolezza della lettura.

mercoledì 23 giugno 2021

Fumettisti d'invenzione! - 164

Mi permetto di integrare il divertente e interessantissimo volume di Alfredo Castelli con altri “fumettisti d’invenzione” e simili.

In grassetto le categorie in cui ho inserito la singola segnalazione e la pagina di riferimento del testo originale.

 

CARTOONIST COME PROTAGONISTA – SERIE (pag. 19)

 

LE SAUMON

(Francia 1995, © Dargaud, commedia surreale)

Patrick Cothias (T), Pierre Wachs (D)

 

Serge Villon è uno sceneggiatore di fumetti in disarmo che dopo un grande successo non viene più pubblicato e sbarca il lunario come guardiano notturno. Un giorno riceve un’offerta dalla misteriosa organizzazione SADE, che in cambio di una cifra strepitosa vuole farlo partecipare a “qualcosa” di non specificato. Serge si concede quindi una botta di vita e si lancia in un’avventura on the road in giro per il mondo, cercando come prima cosa di riconquistare l’ex moglie che si è risposata con il suo vecchio collaboratore André Duchemin, disegnatore che si è arricchito coi fumetti, tanto da permettersi di comprare il possedimento in Bretagna che una volta era di Villon.

Nel corso delle sue peregrinazioni incontra periodicamente una ragazza di cui si innamora e anche l’effige di un salmone, talvolta servito dalla «Pescheria Patrick»… Deciso a lasciar perdere il contratto, non riuscirà a scappare dalla SADE, acquisita da un’altra società, nemmeno cambiando nome. E d’altra parte nessuno può farlo.

Nonostante Patrick Cothias appaia con alcune comparsate (in una rifiuta simbolicamente il salmone che gli viene offerto), il protagonista ricalca palesemente l’autore, di cui condivide dati anagrafici e dettagli biografici e professionali: ad esempio, il suo esordio come fumettista avvenne nei primi anni ’70 con un fumetto di oltre 100 tavole che scrisse e disegnò per «Eric Gosfeld» (Losfeld nella realtà) che non venne mai pubblicato.

Pseudofumetti: vengono citati o mostrati vari fumetti di Villon, palesi ricalchi delle opere di Cothias: Marie Tornade (parodia di Marie Tempête, disegnato dallo stesso Wachs), Les 9 Vies de Balbuzard (Les Sept Vies de l’Epervier), Le Zoo de Mortelaine (Les Eaux de Mortelune), Masque Vert (Masquerouge), Le Lapin d’Avril (Norbert le Lézard). In Brasile compare anche una versione portoghese della “vera” Marie Tempête: Maria Tempesta.

 

CARTOONIST COME COPROTAGONISTA OCCASIONALE – FUMETTI SERIALI (pag. 28)

 

BO BUNNY

(Stati Uniti 1950, in Comic Cavalcade, © DC Comics, umorismo)

Sheldon Mayer

 

Vicende umoristiche del coniglio Bo e del suo miglior amico, il lupo Skinny. Spesso litigano ma finiscono sempre per riappacificarsi. Un terzo personaggio che ricorre con una certa frequenza è l’autore stesso, il “Boss” che si intromette nelle storie per fare dei dispetti ai due o esaudire i desideri di Bo Bunny con l’intento però di dargli una lezione.

 

Senza titolo in Comic Cavalcade 43 (1951). Sheldon Mayer.

Bo e Skinny ridono di gusto alle gag dei protagonisti di un’altra serie umoristica pubblicata dalla rivista, The Fox and the Crow, asserendo che la loro amicizia è salda e non solo una facciata come quella degli altri due personaggi. Ma il Boss ci mette lo zampino disegnando una televisione il cui controllo viene conteso tra i due.

 

Senza titolo in Comic Cavalcade 46 (1951). Sheldon Mayer.

Bo Bunny è stufo di essere un personaggio dei fumetti e vuole entrare nel mondo reale. Il Boss lo accontenta, ma la nostra realtà non è affatto piacevole come si aspettava. Intanto Skinny cerca inutilmente un sostituto tra i protagonisti degli altri fumetti della rivista.

 

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie

CITAZIONI, CARICATURE, CAMEI (pag. 61)

 

LA BELLA DURMIENTE (LA BELLA ADDORMENTATA)

(Argentina 1980, in SuperHum®, © Eredi Alberto Breccia/Quipos, umorismo)

Carlos Trillo (T), Alberto Breccia (D)

Gli autori riassumono in prima persona la fiaba dei fratelli Grimm, trovando dei curiosi paralleli con situazioni reali. Nei collage di Breccia figurano immagini del figlio Enrique e di Wally Wood, mentre il principe che sveglia la principessa somiglia molto a Guillermo Saccomanno.

 

[TELEVISIONE] ALTRO (pag. 129)

 

SCORPION (IDEM, CBS)

(USA 2014/2018, 4 stagioni, 93 episodi)

Azione, CBS, creato da Nick Santora. Con Elyes [Cherif] Gabel, Katharine [Hope] McPhee, Ari Stidham

Basato su una società realmente esistente, il serial racconta le vicende di un gruppo di geni che prestano i loro servizi all’FBI per i casi irrisolvibili dalle persone normali. A loro si unisce Paige, madre di un bambino prodigio che aiuta i componenti un po’ nerd del gruppo a relazionarsi meglio col mondo “normale”.

 

Episodio Super Fun Guys (2015)

Scritto da Adam Higgs e Nick Santora

La missione di questa volta è smascherare la vendita illegale di un missile atomico. Per farlo i componenti della Scorpion fingono di essere il cast del film tratto dal fumetto Super Fun Guy, di cui la “calcolatrice umana” Sylvester è un grande appassionato. Riferimenti al fumetto si trovano anche in altri episodi, senza però la rilevanza che ha in questo. 

Pseudofumetto: Super Fun Guy, fumetto supereroistico con venature umoristiche, pubblicato da molti anni e di grande successo.

domenica 20 giugno 2021

Il Morto 48: Le nebbie del passato

Oh, finalmente si ragiona. Dopo episodi su episodi di vagabondaggio e raccolta di informazioni, legati tra di loro ma divisi da mesi di distanza l’uno dall’altro (e quindi come si faceva a non perdere il filo?), finalmente Peg raggiunge la sua meta e trova parte della sua memoria. Insieme all’altro Stella si ricongiunge al casale natio con ciò che resta della sua famiglia, ovvero uno zio burbero e combattivo, una cugina innamorata di lui che con un bacio gli sblocca dei ricordi e il suo compagno ad interim in attesa di trovare qualcuno di meglio.

Il suo ritorno viene però notato anche dai Lenzi, una famiglia del posto che dietro la facciata di tranquilli gestori di un’agraria coordinano una piccola rete di furti e ricettazione, coperti da un parente ex-carabiniere o poliziotto. I Lenzi nutrono un odio antico verso Peg, che anni prima li aveva puniti esemplarmente per lo stupro perpetrato ai danni dell’altra cugina Giorgia, episodio che lo spinse a scappare dal paesello e ad arruolarsi innescando quindi il processo che avrebbe dato vita alla saga. Tutto viene spiegato in questo episodio, senza lasciare niente in sospeso. Viene però offerto l’aggancio per il ritrovamento di Giorgia, ufficialmente ricoverata presso una comunità di suore laiche – ma il “prossimamente” in quarta di copertina ci anticipa che non è più così.

Le nebbie del passato è quindi un importante punto d’arrivo della serie, ma le sue qualità non si limitano a questo: Ruvo Giovacca ha imbastito una bella trama con vari personaggi che si rincorrono, è riuscito a evocare con efficacia un mondo di provincia ben più complesso e pericoloso di quello che appare in superficie e non mancano dei momenti ironici.

I disegni della coppia Conforti-Gioachini sono molto efficaci. Forse Codina esaltava di più il tratto di Conforti, ma Goachini lo rende più leggibile e anche più espressivo, pur ricorrendo talvolta a delle piccole esagerazioni anatomiche (vedi il fisico prorompente della cugina vogliosa).

In appendice la storia breve L’uscita, scritta da Giovacca e disegnata da Paolo Telloli. Per nulla originale, ha comunque un suo fascino anche se sembra provenire da qualche rivista o fanzine dei primi anni ’80.

venerdì 18 giugno 2021

Les Jumeaux Magiques

Ecco, così imparo a leggere meglio i dati riportati su internet. La versione di Les Jumeaux Magiques che ho recuperato non è quella originale Hachette del 1987 ma la riedizione degli Umanoidi Associati del 2003. Quindi non ci sono più gli ammennicoli da leccare, toccare, annusare, ecc. per condividere le sensazioni dei protagonisti e i colori sono stati rifatti col computer. Non so quale delle due cose sia peggio.

I due gemelli del titolo sono Mara e Aram, due umanoidi simili a elfi che la madre addestra come guerrieri. Il re Jodhé loro padre è stato fatto prigioniero dall’arcicattivo Tartarath, che lo libererà solo se i gemelli supereranno una serie di prove. Per superarle dovranno usare con attenzione i loro cinque sensi ma potranno anche contare sull’aiuto di Lyrenne, una creatura volante che però non potrà essere usata come cavalcatura per attraversare le quattro isole proibite ma a cui è permesso evocare i suoi grandi poteri – ma può fare ricorso a ognuno solo una volta all’anno prima di poterlo replicare. Lyrenne serve anche come diversivo umoristico.

La storia è un classico viaggio iniziatico, nobilitato da trovate originali e fantasiose. Soprattutto, nella prima edizione c’erano i vari allegati con cui interagire per ascoltare ad esempio cosa dice il “filo che parla” o tastare la forma che Aram percepisce sul muro dell’isola-labirinto. Alcune didascalie sono state probabilmente riscritte rispetto a quelle originali in cui il lettore era invitato a toccare con mano (e lingua, e orecchio, ecc.) quello che sperimentano i protagonisti. Il Jodorowsky fiabesco ad altezza bimbo è decisamente efficace: il suo magniloquente esoterismo è molto evocativo e, privato dei suoi tipici cascami granguignoleschi, si legge con piacere innocente. Gli avversari non vengono mai uccisi, ma fatti amici e convertiti alla causa dei gemelli, che potranno poi usufruire del loro aiuto nelle altre prove. È anche vero che la virata verso situazioni e dialoghi più crudi sarebbe arrivata per Jodorowsky a partire da Prima dell’Incal e quindi nel 1987 non calcava ancora la mano nemmeno nelle sue opere indirizzate agli adulti.

I disegni di Georges Bess sono molto validi, dinamici ed espressivi, anche se già si intuisce la semplificazione del suo tratto che si compirà con Juan Solo. Spesso ricorre alla caricatura, ed è più che legittimo visto il pubblico di riferimento che sarebbe stato inappropriato turbare con mostri troppo orribili o minacciosi (o anche solo poco “leggibili”). Nei rari frangenti in cui c’è della violenza è sempre cartoonesca. Peccato che i fottuti colori digitali abbiano mortificato i suoi disegni.

Les Jumeaux Magiques ha un ritmo un po’ sincopato, ma questa è una considerazione che ho fatto ex post accorgendomi che ogni 12 pagine (il fumetto ne conta le canoniche 46) si arriva a un punto fermo come se fosse stato pensato per la serializzazione su rivista, cosa che non mi risulta sia mai avvenuta. In realtà l’unico difetto di questo fumetto è il colpo di scena finale banalissimo che un lettore un po’ accorto potrà aver già intuito da questo riassunto. E con questa nota in calando la sua godibilità per un pubblico adulto è un po’ compromessa.

mercoledì 16 giugno 2021

L'anatomista eretico

Questo fumetto ha avuto una genesi molto complessa, ancora antecedente al tentativo di crowdfunding a cui avevo partecipato pure io (per 30 euro o giù di lì c’era in ballo una variant cover di Claudio Villa, se ben ricordo). Finalmente dopo cinque anni L’anatomista eretico giunge nelle librerie, anche se dalle parole del disegnatore nella nota introduttiva intuiamo con poca gratificazione economica ma almeno con la soddisfazione di vederlo finalmente stampato.

Il protagonista, realmente esistito, è Matteo Realdo Colombus (detto anche Colombo), un medico che nella Padova di metà XVI secolo studia il funzionamento del clitoride. Deve farlo in maniera clandestina, perché l’idea di una parte anatomica intima femminile preposta al solo piacere e non alla procreazione è sufficiente per rischiare di finire sul rogo.

Colombo si serve anche di cadaveri freschi, ma la sua indagine viene condotta con scrupolo principalmente a partire da donne vive: materia prima non gli manca visti suoi ottimi rapporti con Angelica, tenutaria di un bordello, ma presto anche delle nobildonne accetteranno di buon grado di diventare oggetto di studio, e nel mentre l’anatomista porta avanti una tresca pericolosissima con la moglie del decano della sua Università. Tutti elementi atti a inanellare una serie di coiti di vario genere conditi da battute salaci. In sostanza L’anatomista eretico è un pornetto di lusso, e d’altronde lo stesso Burattini nella postfazione dice che l’intento era fare un fumetto erotico. Questo almeno per tre quarti del volume: verso la fine la vicenda di Colombo si fa veramente drammatica e monta la suspense, ma forte del suo mestiere Burattini riesce a sciogliere tutti i nodi in maniera perfettamente logica e congruente, pur dichiarando di essersi inventato molti particolari. Credo che questi macguffin finali siano stati i motivi per cui L’anatomista eretico ha avuto problemi ad accasarsi presso un editore nonostante il nome di Burattini ai testi: anche se le situazioni che ha mostrato sono realistiche, non ci si aspetta da lui che vescovi e aspiranti papi siano dipinti come fa Jodorowsky.

Al di là di questo, il fumetto è molto documentato e il volume vanta prefazioni e introduzioni di Claudio Dell’Orso e del chirurgo Massimo Perachino, oltre che il redazionale finale in cui Burattini stesso ricostruisce la vicenda del vero Colombo, inevitabilmente sfuggente a causa dei punti oscuri che ancora persistono sulla sua vita – non si conosce nemmeno il suo anno di nascita esatto.

Più che alla Linea Chiara di matrice francese invocata da Claudio Dell’Orso per descrivere lo stile di Perconti, mi sembra che questo sia più apparentabile al lavoro di certi disegnatori come Balzano Birago o Dino Leonetti, di cui riprende il freddo schematismo anche se arricchendolo parecchio. Graficamente le sue anatomie sono credibili e anche gli sfondi piuttosto curati, quello che gli fa difetto è l’espressività: le scene di sesso hanno una certa fissità statuaria, ma il limite più evidente è nella recitazione dei personaggi, soprattutto del protagonista che ha la stessa espressione sia che abbia un orgasmo sia che venga portato via dall’Inquisizione. E così la storia si conclude con un anticlimax involontario visto che nell’ultima vignetta Colombo dovrebbe far trasparire la sua soddisfazione ma dice la sua battuta con lo sguardo di uno a cui è appena morto il cane – un cane di cui non gli fregava poi molto, tra l’altro. Anche se amo di più lo stile realistico, e sicuramente Perconti lo sa padroneggiare (e poi riesce a personalizzare ogni donna, cosa per nulla facile), secondo me nel caso specifico di questo fumetto sarebbe stato meglio affidare la sceneggiatura a un disegnatore dallo stile più vivace e meno rigoroso, fosse stato pure caricaturale o umoristico. Anche i colori digitali realizzati da Filippo Rizzu, a volte lividi, concorrono un po’ ad accentuare la freddezza della parte grafica.

mercoledì 9 giugno 2021

Fumettisti d'invenzione! - 163

Mi permetto di integrare il divertente e interessantissimo volume di Alfredo Castelli con altri “fumettisti d’invenzione” e simili.

In grassetto le categorie in cui ho inserito la singola segnalazione e la pagina di riferimento del testo originale.

 

CARTOONIST COME PROTAGONISTA – GRAPHIC NOVELS E ONE SHOTS (pag. 24)

 


CASTROVALVA

(Italia 2020, © Michele Nitri/David Genchi, reportage fantastico)

David Genchi

 

Cronaca metanarrativa dei tormenti creativi dell’autore David Genchi, che non riesce a sbloccare il suo «fecaloma» per ideare un fumetto, e alla fine realizza un resoconto della sua visita all’ossario di Castrovalva (AQ).

In realtà la descrizione del viaggio occupa poco più della metà di questo fumetto dal formato molto particolare, realizzato come un quotidiano di otto pagine che ospitano delle tavole gigantesche molto dettagliate, a volte doppie. Molto più spazio è dedicato alle elucubrazioni dell’autore e al suo racconto della genesi dell’opera.

 

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie

METAFUMETTI E AUTOREFERENZIALITA’ (pag. 64)

 

? (BADU)

(Arabia Saudita 19??, in ?, © ?, striscia umoristica)

Mak [Mohammed Al Knefer]

Raro esempio di fumetto arabo (o così almeno venne presentato: in rete non si trova nulla al riguardo), Badu narra le vicende della tribù omonima. L’autore si prende i suoi spazi per incursioni metanarrative e occasionali comparsate.


Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie

CITAZIONI, CARICATURE, CAMEI (pag. 61)

 

WHAT IF…

(Stati Uniti 1972, in Spoof, © Marvel Comics Group, satira)

Marv [Marvin Arthur] Wolfman (T), Marie Severin e John Costanza (D)

 

Alcuni sceneggiatori e redattori della rivista satirica Spoof si improvvisano giornalisti e svolgono delle brevi inchieste a fumetti in cui mettono alla berlina le personalità dell’epoca immaginandole in ruoli differenti. Così Marv Wolfman si chiede nel numero 3 di Spoof come sarebbe se i VIP si candidassero alle elezioni presidenziali, mentre nel numero 4 il testimone passa a Steve Gerber (coi disegni di Warren Statler e Henry Scarpelli) che li immagina nelle vesti di Babbo Natale per poi finire sul numero 5 con un altro episodio di Wolfman che descrive le celebrità in un mondo postatomico.

 

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie

CITAZIONI, CARICATURE, CAMEI (pag. 61)

 

ORLANDO FURIOSO

(Italia 1972, in Eureka, © eredi Zaccaria, poema epico)

Pino Zac [Giuseppe Zaccaria]

 

Fedelissima trasposizione a fumetti, ma con piglio umoristico, dell’opera dell’Ariosto.

 

Canto decimosesto in Eureka 88 (1972). Pino Zac [Giuseppe Zaccaria]

Arrivati a questo punto della trama i lettori lamentano l’eccesso di personaggi e la mancanza di azione, sottolineando anche come un’opera intitolata al paladino Orlando non lo abbia mostrato che per poche vignette. Pino Zac interviene in prima persona per spiegare che la citazione di Orlando era funzionale a “vendere” il lavoro di Ariosto agli Este, e coglie l’occasione per riassumere la vicenda e i suoi molti interpreti.


venerdì 4 giugno 2021

Varrà qualcosa?

Preso da ragazzino durante una gita a Londra nei primi anni ’90. Credo che lo presi perché ne avevo letto sulla Grande Avventura dei Fumetti della DeAgostini, o forse perché lo pubblicavano su L’Eternauta. Non so se ho fatto un buon investimento, pochi anni dopo in una fumetteria consultando una guida ai prezzi dei comic book mi dissero che era valutato “ben” 3 dollari, consolandomi dicendo che in molti casi il prezzo di copertina originale calava invece di salire.





martedì 1 giugno 2021

Gli Albi della Cosmo 66 - I Grandi Maestri 59: Black Poppy

Questo volume è un parafulmine per la sfiga. Sin dal titolo: Black Poppy è un po’ ridicolo, dai, e sicuramente non evoca i drammatici scenari bellici che caratterizzano il fumetto. D’altra parte anche l’originale Amapola Negra per un pubblico italiano ha un suono troppo esotico e musicale (Amapoooooooooooooola dolcissima Amapooooooooooooola) e tradurlo letteralmente, «papavero nero», non sarebbe stato meglio perché per nulla evocativo del genere mentre invece avrebbe potuto far pensare alla droga – il che magari come strategia di marketing avrebbe potuto essere funzionale. Ho notato inoltre che è stato distribuito in maniera eclettica e non era disponibile in alcune edicole solitamente ben fornite.

Al di là di questo, Black Poppy è stampato orizzontalmente, cioè le tavole (in origine appunto orizzontali) sono orientate con un angolo di 90° rispetto al normale senso di lettura verticale di un bonellide. Uno spillato orizzontale avrebbe reso la lettura meno artificiosa, ma mi rendo conto che la Cosmo debba sottostare alle imposizioni del suo tipografo: se non sbaglio hanno pubblicato in formato 17x26 anche fumetti che erano nati per tutt’altro formato. Sulla qualità di stampa stendo un velo pietoso, anche se mi viene da pensare che in fondo con la difficoltà nel reperire i materiali originali avrebbe potuto essere anche peggio.

L’unico redazionale è una scarna introduzione a opera di Andrea Rivi, che con la scusa di non voler fare spoiler dice poco o niente. Ciliegina sulla torta, al momento di pagarlo risultava alla pistola leggi-codice che il volumetto costava 7,90 euro invece di 6,90. Tutto risolto con tanto di segnalazione all’editore e/o al distributore, ma anche questo indica la cattiva stella che ha brillato su questo volume. Peccato, perché il fumetto, su cui Barreiro basò il suo Asso di Picche, è veramente ottimo pur essendo di genere bellico. Anche se non sembra nemmeno che sia un fumetto di guerra.

I protagonisti sono i componenti dell’equipaggio di un B-17, una delle “fortezze volanti” che dagli Stati Uniti andavano a bombardare l’Europa nazista durante la seconda guerra mondiale. Inizialmente ci vuole un po’ per raccapezzarcisi con tutti quei personaggi (pur se introdotti in maniera semplice ma efficace da Oesterheld) ma presto emergono il pilota Abner Stiles e il copilota Hugh Probst. È evidente che lo sceneggiatore conoscesse benissimo l’argomento e profuse un sacco di dettagli tecnici che trasmettono un forte senso di realismo, sia nei dialoghi che nelle didascalie. Queste ultime a volte sono piuttosto lunghe, ma assolutamente indispensabili per chiarire certi particolari tecnici oppure per spiegare quello che è successo tra una sequenza e l’altra. A testimonianza dell’intelligenza e della maturità con cui sono state elaborate, va segnalato che non ce ne sono affatto nelle scene più drammatiche, come ad esempio l’esplosione di una bomba, affidate interamente ai disegni (non ci sono nemmeno onomatopee). I dialoghi sono invece secchi, essenziali e anche per questo molto significativi.

L’aereo del titolo è un bombardiere che deve svolgere le 35 missioni di prammatica, teoricamente una per episodio anche se alcune ne occupano due. Alla fine ne vedremo solo 12, forse per la chiusura di Hora Cero, anche se la serie verrà recuperata una tantum su Hora Cero Extra.

Come dicevo, Black Poppy non sembra nemmeno una storia di guerra: come l’equipaggio dell’aereo anche il lettore vede il fronte dall’alto, come qualcosa di lontano e indistinto. Quando Hugh vedrà concretamente gli effetti dei bombardamenti a cui partecipa il risultato sarà quasi traumatico. I dettagli delle missioni sono importanti, certo, ma molto di più lo è lo scavo psicologico dei singoli personaggi e la costruzione dei rapporti tra di loro. Proprio come nell’Asso di Picche di Barreiro e Gimenez. Il tono delle storie è insomma molto disincantato e privo di retorica; dopo le prime missioni il gioco col lettore diventa addirittura quello di fargli indovinare quale personaggio ci rimetterà la pelle stavolta. Oesterheld, che pure negli stessi anni scriveva fumetti comici e western umoristici, riversa in Black Poppy tutto il suo pessimismo, o meglio il suo fatalismo nichilista. A volte i protagonisti riescono in una missione disperata solo per scoprire che è stata totalmente inutile, altre volte il piano congegnato alla perfezione fallisce per cause imponderabili. E intanto gli uomini muoiono a decine, da una parte e l’altra della barricata. L’agghiacciante finale è ancora una volta anticipatore di quello di Asso di Picche, che come mi disse Carlos Trillo era un remake di Amapola Negra.

Non mi stupisce quindi che questa serie sia poco conosciuta: oltre al fatto che non c’è un protagonista immediatamente identificabile come tale, il tono molto adulto e disincantato potrebbe non incontrare i gusti di tutti, soprattutto se giovani. E non c’è nemmeno quella spettacolarità che potrebbe invece interessare gli amanti delle storie belliche, anche se da questo punto di vista Francisco Solano Lopez ha la sua parte di responsabilità.

Non mancano inquadrature particolareggiate di interni e di dettagli tecnici, o qualche sfondo curato, ma sono in netta minoranza rispetto alle vignette risolte con dei semplici primi piani oppure con dei cieli quasi interamente vuoti fatta eccezione per le sagome degli aerei così uguali che sembrano essere state fatte con un timbro, così come Pratt si vantava di aver fatto per i volti del Sergente Kirk. Va poi detto che la pletora di personaggi sulla scena ha costretto Solano Lopez a elaborare molte fisionomie diverse per renderli distinguibili, e così la sua mano (già prona al grottesco) ha sfornato delle facce talvolta caricaturali. Purtroppo la qualità della riproduzione gioca contro di lui, impastando i suoi tratteggi rendendoli grumosi e pesanti – o amalgamandoli in un nero quasi compatto in cui si intuisce comunque che c’era un lavoro di pennino sotto. Le cartine tattiche sono tanto smangiucchiate da risultare quasi illeggibili, mentre le scritte sulle carlinghe degli aerei sono illeggibili del tutto (se ne intuisce la presenza solo guardando molto bene le tavole). Comunque anche senza questi difetti dovuti alla stampa non penso che Amapola Negra figuri tra i lavori migliori di Solano Lopez.

Parlando dei pregi di questa edizione, al di là della qualità intrinseca del fumetto (più dei testi che dei disegni), va segnalato che non c’è nemmeno un refuso e che la Cosmo ha riprodotto alcune delle copertine dei numeri di Hora Cero in cui comparve la serie, oltre a quella dell’Hora Cero Extra che ospitò l’ultimo episodio. Questo è stato riprodotto come in origine in verticale, e purtroppo fa pensare che si sarebbe potuto imbastire diversamente il volumetto. Gli stessi (pochi) esemplari di riviste della Frontera che possiedo dimostrano che le proporzioni di quelli piccoli settimanali a striscia erano ridotte rispetto a quelli grandi dei mensili: cioè mettendone uno sopra l’altro non si arriva all’altezza di un Extra. Quindi forse sarebbe stato meglio mettere una doppia striscia sopra l’altra, in modo da diminuire la foliazione e quindi anche il costo (che comunque non è altissimo, certo). E oltre a rendere più leggibile il fumetto, magari i difetti di stampa sarebbero risaltati di meno.

Confesso che mi sono avvicinato a questo fumetto con entusiasmo (wow, un inedito di Oesterheld e Solano Lopez!) ma alla fine leggerlo in questo formato è stato come farsi cavare un dente: l’ho fatto perché dovevo. Ma d’altra parte, quante altre possibilità avrei potuto avere di leggere Amapola Negra, non solo in cartaceo? Almeno costa poco. Beh, relativamente poco.