domenica 29 settembre 2019

Don Camillo a fumetti: Il cadavere vivente

Nuovo episodio fuori collana della serie di Don Camillo dopo il crossover con Diabolik. La grafica del pocket viene ripresa anche stavolta, anche se è meno giustificata che in quell’altra occasione.
Il volumetto raccoglie due storie: la prima, che dà il titolo allo speciale, si sviluppa come un bel thriller di provincia, estremamente efficace nel costruire la tensione tra i due personaggi coinvolti. Ma purtroppo si conclude in maniera bonaria e moralista, con Don Camillo a fare da confessore del mancato doppio delitto mentre prega affinché i giovani d’oggi (cioè del 1954) riscoprano la pietà. Probabilmente per quegli anni Guareschi non poteva spingersi più in là, e comunque la morale della vicenda dovrebbe essere congruente con la sua di cui si fa alfiere.
La seconda storia, Il Campione, secondo me è molto più riuscita. Lo scemo del villaggio Giobà, che va a prendersi La Gazzetta dello Sport in città perché quella di paese non lo soddisfa (questo particolare l’ho già letto da qualche parte, che una versione dell’episodio sia già transitata per la serie regolare?) rifiuta di partecipare a Lascia o Raddoppia nonostante la sua conoscenza enciclopedia del ciclismo e le pressioni dei suoi compaesani, comprese le compagini politiche che invocano l’intervento di Don Camillo.
Francesco Bisaro disegna in maniera diversa le due vicende: nella prima è un po’ ingessato e non sempre espressivo come avrebbe dovuto essere, mentre ne Il Campione (realizzato qualche anno fa e rimaneggiato per questa pubblicazione) è molto più convincente potendo dare maggiore sfogo alla sua vena umoristica. In entrambi gli episodi trovo che i retini molto larghi con cui ha integrato i disegni penalizzino il suo tratto rendendolo meno leggibile.
Il pocket si conclude con una ricca appendice che comprende una presentazione di Bisaro a opera dello sceneggiatore (e coordinatore del progetto) Davide Barzi, i consueti riferimenti alla pubblicazione originale dei racconti di Guareschi, due interviste di Alex Novelli a Bisaro e al copertinista Alberto Locatelli e un interessante articolo di Nunziante Valoroso sui manifesti cinematografici della saga di Don Camillo, che avrebbe meritato un maggior supporto iconografico – ma considerato il formato va già più che bene così.

giovedì 26 settembre 2019

JLA di Waid, Hitch e Porter

Ah, i bei tempi andati della Planeta DeAgostini, quando pubblicavano un sacco di roba (a volte anche notevole) stampata bene e a prezzi vantaggiosi. Ho una mia teoria sulle ragioni della pessima stampa, Fumo di China in primis, di cui soffriva a suo tempo la Planeta: quindici anni fa i forum e i social network embrionali si stavano imponendo grazie alle connessioni internet che erano sempre più diffuse, anche tra autori ed editori di fumetti, mentre le fiere di fumetto andavano moltiplicandosi proseguendo il trend iniziato pochi anni prima. Avere un contatto diretto con un autore o un editore era insomma molto più facile, in un senso e nell’altro. Poteva sembrare brutto criticare un soggetto con cui si era in confidenza, seppur minima, e forse sorgeva il timore di rappresaglie sotto forma di interviste non concesse o dell’embargo ai fumetti gratis da recensire. Con la Planeta invece era tutto più facile: fermo restando che la cura dei loro albi e volumi non era assolutamente perfetta, a volte anzi proprio scadente, ci si poteva sfogare quanto si voleva, erano i capri espiatori ideali: tanto erano spagnoli e mai avrebbero letto le recensioni italiane.
Ogni tanto mancava il testo di un balloon o una parola veniva scritta in modo quantomeno creativo, però intanto abbiamo avuto ristampe di classici come il Tarzan di Hal Foster e I Puffi a prezzi promozionali, classici della Vertigo in edizioni economiche da edicola, volumi di grande formato di Hermann a meno di 10 euro, o volumi doppi di Cosey a 12 euro o poco più. Anche questo volumone ripescato dal vecchio magazzino Planeta (era ancora incellofanato) presenta i suoi bei difetti: solo nelle cinque righe in quarta di copertina si legge che la JLA «debe» affrontare nemici come la Regina delle… «Facole», ma sono quasi 650 pagine a colori su carta patinata stampate quasi sempre in maniera impeccabile in un volume cartonato cucito e rilegato sul dorso per 45 euro. Nessuno poteva offrire altrettanto a quel prezzo, tantomeno oggi.
Questo tomo è il volume gemello di quello analogo dedicato alla JLA di Grant Morrison che presi una dozzina di anni fa. Ecco quindi svelato il motivo dei buchi nell’elenco degli episodi di quel volume. Se ho ben capito, qui si comincia dalla fine: la miniserie deluxe Heaven’s Ladder dovrebbe essere stata realizzata successivamente rispetto agli altri episodi raccolti, ma qui è stata messa all’inizio. Ricordo di aver letto un’intervista a Bryan Hitch, uno dei due motivi principali per cui ho ordinato questo volume, in cui il disegnatore si lamentava di aver lavorato sotto forte pressione e retribuito alla tariffa usuale per un lavoro della DC Comics che invece sarebbe andato su una pubblicazione extralarge. Mi sa tanto che parlava di questo: oltre al fatto che le sue vignette iperdettagliate non “respirano” come dovrebbero, la diagonale delle tavole lascia intendere che erano pensate per un formato più grande. Non che sia un dramma: il suo tratto è una gioia per gli occhi, a maggior ragione all’epoca, quando i suoi riferimenti fotografici erano ancora relativamente vergini e non li avevamo ancora visti ripetuti più e più volte come purtroppo succede adesso.
Era chiaro che l’esca per l’acquisto del volume, cioè i disegni di Hitch, era appunto solo un’esca e che il meticoloso e lentissimo disegnatore non avrebbe potuto produrre la maggior parte del materiale qui raccolto. E quindi arriviamo al secondo motivo che mi ha spinto all’acquisto: i testi di Mark Waid. Visto quanto l’avevo apprezzato su Daredevil speravo di trovare anche qui almeno un guizzo della sua verve. E invece niente. JLA, essendo una testata che ospita i maggiori calibri del pantheon DC, deve necessariamente trovare delle sfide sempre più impegnative per giustificare l’intervento di Superman, Wonder Woman, Martian Manhunter e soci. E così ecco uno snocciolarsi di situazioni sempre più esagerate, in una spirale di ridicolo involontario. Anche Heaven’s Ladder presenta una minaccia fuori scala, ma il sottotesto vagamente mistico e soprattutto gli splendidi disegni di Hitch fanno passare in secondo piano la pretenziosità un po’ confusionaria del soggetto. Nella serie regolare, invece, si comincia con un villain che controlla la fortuna e poi si passa a nemici che cancellano il linguaggio (e gli umani non sanno più nemmeno leggere i segnali stradali o le strumentazioni elettroniche!), a streghe delle fiabe, a macchine per far avverare i desideri, a invasori a sei dimensioni, fino all’apoteosi di Superman e Wonder Woman che per sconfiggere i nemici di turno spostano la luna! Il tutto inframmezzato da messaggini sulla fiducia e l’amicizia.
Soggetti buoni per gli anni ’60, che già nel decennio successivo sarebbero sembrati infantili. I tentativi di dare un abbozzo di spiegazione pseudoscientifica (l’onnipresente fisica quantistica oppure i naniti, che altro?) finiscono per sottolineare quanto siano ridicoli gli assunti di base, giustificati dalla necessità di affidarsi al puro e semplice sense of wonder. Non che il ciclo di Morrison fosse poi tanto diverso, ma nel suo caso avvertivo un certo entusiasmo nel raccontare quelle scempiaggini, c’era qualche trovata originale (qui invece la JLA in versione medievale mi ha ricordato una storia dei Vendicatori letta nei Classici del Fumetto di Repubblica…) e affiorava un po’ di ironia. Waid non ha saputo fare altrettanto, forse anche perché gestire almeno otto personaggi diversi in episodi da poco più di 20 pagine non è fisiologicamente facile, dovendo anche sottostare alle esigenze delle singole testate in cui avvengono delle modifiche nelle vite dei protagonisti che vanno sottolineate anche qui. Ed è impossibile non rendere irritante Plastic Man – o comunque Waid non c’è riuscito.
A onor del vero, un discreto scossone viene dato dalla rivelazione dei piani segreti di emergenza di Batman contro i suoi stessi compagni di squadra, colpo di scena opportunamente sottolineato nell’introduzione di Fran San Rafael, ma pur essendo il piatto forte del volume è una cosa che finisce abbastanza presto in cavalleria – anche se probabilmente leggere quel ciclo mensilmente avrà avuto un effetto diverso che leggerlo tutto d’un fiato come qui.
In definitiva questa JLA è una lettura per ragazzi (non che quella di Morrison fosse molto di più), forse anche di bocca buona. Se però si sta al gioco e ci si lascia trasportare dal flusso di trovate sempre più assurde la lettura è comunque godibile, tanto più che non serve aspettare mesi per sapere come finiscono le trame. E l’ultimo episodio natalizio è abbastanza simpatico e originale.
Come immaginavo, Bryan Hitch non ha realizzato che una minima parte dei disegni. Ironia della sorte, i suoi primi quattro (se ho contato bene) interventi sulla ongoing sono quelli stampati peggio. Non mi sono messo a contare le singole tavole, ma mi sembra che la maggior parte del lavoro l’abbia fatta Howard Porter che all’epoca era ancora titolare della serie. È sicuramente maturato rispetto alla gestione Morrison, ma comunque il suo stile ipertrofico e un po’ caricaturale non mi convince. Ma per stare dietro alle scadenze e mettere delle toppe alla lentezza di Hitch la DC ricorse a un sacco di altri disegnatori (persino J. H. Williams III e Mick Gray che giustamente disegnano alcune delle tavole “fiabesche”). Dato il lungo periodo di tempo intercorso tra l’uscita del primo e dell’ultimo episodio (Waid iniziò come tappabuchi occasionale col numero 18 per poi prendere più o meno stabilmente le redini dal 43 al 60) è possibile vedere l’evoluzione di alcuni disegnatori chiamati periodicamente a rimpolpare la serie. In particolare, ho gradito come Mike S. Miller abbia sviluppato uno stile realistico dopo una prima prova stilizzata e rozza, forse dovuta dalla necessità di andare in stampa in tempo o a un primo inchiostratore, Armando Durruthy, non adatto. Non male nemmeno Mark Pajarillo, per quanto legato ancora all’estetica di Jim Lee. Ma tra inchiostratori, disegnatori ospiti e coloristi a dare man forte a Hitch e Porter sono stati veramente tanti (lo stesso Waid ha firmato in un’occasione i testi insieme a Devin Grayson): Paul Neary e Laura DePuy (beh, ovvio: c’è Hitch), John Dell, Pat Garrany, Walden Wong, Arnie Jorgensen (pessimo), David/Dave Meikis, il redivivo Doug Hazlewood, John Kalisz, Drew Geraci (molto bravo a smussare certe esagerazioni di Porter), Steve Scott, Mark Propst, Tony McCraw, Javier Saltares, Chris Ivy, Phil Gimenez, Ty Templeton, Doug Mahnke, Kevin Nowlan (questi quattro in occasione dello speciale numero 50), David Baron, Cliff Rathburn. E forse me ne è sfuggito qualcuno.
Non proprio la JLA di Waid e Hitch, come vorrebbe il titolo in gerenza.

lunedì 23 settembre 2019

Dizionario dei film brutti a fumetti 2

Secondo tomo dedicato all’analisi e alla catalogazione dei film trash a cura di Davide La Rosa e Fabrizio “Pluc” Di Nicola. Come nel caso del primo volume leggendo certe parti mi pisciavo addosso dalle risate: sicuramente è molto più divertente leggere le sinossi e le scene salienti di molti di questi film piuttosto che vedere i film stessi, che dai riassunti risultano essere in alcuni casi assai pesanti, o proprio inguardabili.
Stavolta l’aggancio viene dato da alcuni alieni che in un remoto futuro arrivano sulla terra per fare una tesina sulla cinematografia terrestre (benché studino ragioneria), e trovandola disabitata resuscitano i due autori che secoli prima avevano provvidenzialmente leccato il cavallo della RAI imprimendogli le loro tracce genetiche. Se prima avevo qualche dubbio sull’inserimento dell’opera nei Fumettisti d’Invenzione adesso non ne ho più. Scorre quindi una carrellata sui film brutti delle latitudini, delle epoche e dei generi più vari: c’è persino spazio per un film d’animazione brasiliano.
Tra gli altri, spiccano per paraculaggine Godfrey Ho e Bruno Mattei e accanto a lavori misconosciuti viene citato e analizzato anche il ben più noto Il Ritorno dei Pomodori Assassini, in cui aveva una parte anche un giovane George Clooney.
Sono rimasto un po’ perplesso per quel che riguarda i capitoli relativi ai Pierini apocrifi e ai musicarelli. Nel primo caso non vengono citati gli “apocrifi ufficiali”, quei film con Alvaro Vitali che solo in fase di distribuzione furono inseriti artatamente nel filone (vedi Pierino medico della SAUB) e nemmeno la ripresa del personaggio nei primissimi anni ’90, mentre sui musicarelli ho qualche dubbio che l’ultimo sia stato proprio Jolly Blu: Laura non c’è è dello stesso anno e forse venne distribuito dopo.
Lo stile di La Rosa tende come sempre al surreale e al nonsense ed è confinato fisiologicamente nelle parti di raccordo in cui gli autori parlano con gli alieni: la maggiore forza comica erutta però dallo scrupolo analitico con cui vengono trattate queste porcherie. I disegni di “Pluc” sono ottimi come sempre e come al solito è riuscito a interpretare alla perfezione le fattezze dei moltissimi attori e registi citati. Tutti tranne uno: Mario Merola, che come l’altra volta è sfuggito al suo tratto!

sabato 21 settembre 2019

Che palle...

Per celebrare degnamente la fine del bonellide di Fables avevo predisposto un pezzo dal titolo È finita la sagra della minchiata, solo che questa fine non arrivava mai. Rassegnato, ma per nulla dispiaciuto, a non vedere mai il numero 44, chissà dove ho archiviato quel file e se ce l'ho ancora.
Stamattina in fumetteria becco questa sorpresa, per cui mi sa che mi tocca fare un lavoro di archeologia nei computer o di sforzo mnemonico per ricordarmi cosa volevo scrivere (le mie solite fisime, comunque, ma declinate al lavoro di Willingham). E magari per contestualizzare meglio dovrei pure (orrore!) risfogliarmi gli ultimi numeri.
Che palle...

lunedì 16 settembre 2019

Il Morto 39: Arte a due facce

Spiando Villa Ghelardini Peg incappa in Mirna Milani in arte Mirmi, una pittrice che si trova in loco per dipingere dei quadri. Vengono infastiditi da due vigilantes, ma la vera minaccia è più pericolosa e articolata: in paese c’è un fiorente commercio di opere d’arte trafugate e il gallerista Otto Otti con un complice corniciaio usa proprio le croste di Mirmi per nascondere i preziosissimi quadri rubati. Il sopralluogo dell’organizzazione in una chiesa porta però a una situazione inaspettata: oltre a uno Zuccarelli c’è un altro quadro molto meno pregiato, e la manovalanza preposta al furto (nuovo omaggio a Franco e Ciccio da parte degli autori de Il Morto?) li ruba entrambi. Caso vuole che proprio in quel frangente Mirmi riceva una commissione da un cliente (tal Rob Recchio!) per un ritratto, e così avviene il più classico degli scambi facendo recapitare al giudice che un mafioso voleva ingraziarsi l’opera di minor valore. In un frenetico finale in cui uno dei vigilantes viene redento sotto la minaccia delle armi, e in cui ovviamente fa capolino il Morto, Peg risolve la situazione da par suo.
Arte a due facce si fa apprezzare non solo per l’originalità della trama ma anche per l’ironia che la pervade e per la capacità di Ruvo Giovacca di rendere affascinante e suggestiva la provincia italiana. Doti che non gli scopriamo oggi, comunque.
Ottimi i disegni di Conforti inchiostrati da Christian Urgese: espressivi, eleganti e dinamici. L’uso del digitale è più massiccio che in altri episodi, ma è impiegato con attenzione e intelligenza e gli sfondi paesaggistici, così come gli interni degli edifici, si sposano alla perfezione con i disegni, aggiungendo anzi un po’ di atmosfera in più nelle pagine iniziali.
Unico difetto di questo episodio, qualche refuso sparso qua e là. Niente di grave, ma mi pare che negli ultimi numeri non ce ne fossero proprio.
In appendice la storia breve Remo Virgulti Botanico: il soggetto di Ruvo Giovacca è simpatico anche se prevedibile (ma in dodici tavole in formato pocket non si possono fare miracoli), a colpire sono gli splendidi disegni di David Emanueli, che non sarà il top nel disegnare le automobili ma sfoggia un bellissimo stile molto contrastato forse ispirato ad Adam Hughes.
Da questo numero Il Morto costa 20 centesimi in più, cosa per cui l’editore si giustifica senza che ce ne sia purtroppo alcuna esigenza: al di là dell’esiguità dell’aumento, con il ritmo di pubblicazione della testata (ma questo numero 39 viene indicato proprio come settembrino) in un anno non ci rimetto nemmeno un caffè…

venerdì 13 settembre 2019

Historica Biografie 29: Napoleone (terza parte)

Dopo lo slittamento del mese scorso Historica Biografie torna a uscire regolarmente una settimana dopo la collana-madre.
Questo terzo volume dedicato al Napoleone di Jacques Martin è probabilmente il più importante nell’economia della saga visto che racconta la sua apoteosi come Primo Console e poi Imperatore di Francia e riassume la celeberrima campagna di Russia – anche se le avvisaglie del declino già si intuiscono nelle ultime pagine. Lo sceneggiatore Pascal Davoz ha evidentemente fatto un enorme lavoro di studio delle fonti e di raccolta di aneddoti, che però si è concretizzato in un fumetto dal taglio scolastico in cui vengono inanellati eventi, battaglie, nomi e (appunto) aneddoti senza dare all’insieme un ritmo narrativo che lo renda appassionante. E i personaggi, protagonista per primo, hanno la tendenza di spiegare quello che fanno con dei dialoghi un po’ innaturali. Per fortuna a rendere accattivante l’opera c’è l’ironia sottesa e qualche non infrequente guizzo umoristico. Non ci si ammazza dalle risate, ovviamente (men che meno nel corso della carneficina russa) ma è quanto basta per incuriosire e tenere viva l’attenzione di un lettore che non sia già appassionato della materia, tanto più che Napoleone viene dipinto con toni agiografici che potrebbero finire per renderlo ridicolo più che antipatico.
Come dicevo sopra, questa terza parte non termina con il trionfo russo ma si riserva le ultime sei tavole alla questione spagnola (l’«eso es todo» di pagina 44 si tradurrà veramente con «è stato lui»?) e al matrimonio di Napoleone con l’arciduchessa austriaca.
Jean Torton/Jeronaton alterna alcune vignette in cui semplifica un po’ il suo tratto ad altre in cui si profonde in dettagli. Laddove si è dimenticato di disegnare i particolari di un’uniforme (ma accade rarissimamente) sopperisce con i colori. Il risultato è sempre molto valido, anche se siamo lontani dalla spettacolarità di Champakou, che sarebbe comunque risultata inadatta per un fumetto del genere. Peccato che anche in queste pagine si verifichi ogni tanto quel fenomeno di fuori registro digitale che mi ha un po’ rovinato la lettura dell’ultimo Alix Senator.
Come già accaduto nello scorso volume, anche stavolta c’è solo il fumetto senza approfondimenti in appendice.

martedì 10 settembre 2019

Daredevil 9: Il Regno Porpora

Quasi un anno fa avevo sottolineato la parabola discendente imboccata dal Daredevil di Waid. Questo nuovo volume rallenta il processo e pur non arrivando ai livelli dei primi lontani numeri si legge con un certo piacere.
Il menu propone l’albo celebrativo Daredevil 1.50 seguito da cinque numeri della serie regolare. L’albo fuori serie, di ben 35 pagine, è composto da tre parti: la prima, Il Re in Rosso, è un what if in cui si immagina un Matt Murdock cinquantenne e padre di famiglia che fa il sindaco. Il 76% della cittadinanza è diventata cieca all’improvviso, e tra questi anche suo figlio. La soluzione del caso è abbastanza lineare, la distanza temporale dalla lettura dello scorso volume non mi ha fatto apprezzare la guest appearence di un villain che forse aveva già fatto capolino in precedenza. Belli i disegni, ma dalle gerenze non si capisce di chi sono (né chi abbia inchiostrato Alvaro Lopez degli artisti regolari). Né Karl Kesel né Alex Maleev, gli unici disegnatori a cui viene attribuito il numero 1.50, disegnano con uno stile simile. Non mi è nemmeno chiaro quale storia abbia scritto Brian Michael Bendis, anche se con ogni probabilità è la successiva.
Questa seconda parte è una lettera illustrata di cinque pagine con cui la moglie del Matt sindaco cinquantenne spiega al figlio le circostanze in cui lo ha conosciuto e i pericoli a cui è esposta. Essendo praticamente un racconto illustrato aveva le carte in regola per essere la parte meno gradevole e invece è quella che mi è piaciuta di più.
Chiude lo speciale la storiellina Il testamento di Mike Murdock di Karl Kesel (con le chine di Tom Palmer), uno di quei non memorabili riassuntoni con cui si dà prova di conoscere la continuity. I disegni, poi, sono piuttosto caricaturali.
I numeri 6 e 7 della serie regolare sono impegolati dall’eventone Marvel del 2014, che ha fatto ricordare a Matt un frammento di un episodio seppellito nella sua memoria. In realtà la sudditanza alle regole aziendali non influisce molto sulle tematiche e sulla qualità dei due episodi, che sono a malapena toccati dall’evento. Torna in scena la madre suora di Matt e Daredevil dovrà andare fino in Wakanda per salvare lei e altre due sue consorelle da un complotto militare. La storia è abbastanza originale ma scorre forse un po’ troppo veloce, ed è parecchio melensa in alcune parti. Molto buoni i disegni di Javier Rodriguez che cura molto bene anche i colori.
Il trittico che dà il titolo al volume vede l’introduzione dei pargoli dell’Uomo Porpora, che ne risveglia i poteri latenti ma che non riesce a controllarli come vorrebbe. Nel mentre il padre della nuova compagna di Matt gli propone di scrivere la sua autobiografia, che immagino sarà oggetto del decimo e conclusivo volume annunciato su una delle ultime Anteprima allo spropositato prezzo di 22 euro (il titolo era appunto L’Autobiografia di Daredevil o qualcosa del genere). Per quanto semplice, la storia si legge con piacere ed è abbastanza originale. Purtroppo i disegni di Chris Samnee non sono all’altezza, almeno non sempre: accanto a delle figure espressive e abbastanza curate ce ne sono altre molto stilizzate e cartoonesche.
Mark Waid conferma in questo volume che il suo punto di forza sono l’ironia e i dialoghi, pur con un’eccessiva urgenza di spiegare perché i personaggi fanno certe cose, e inoltre riesce a gestire delle trovate bizzarre (stavolta meno del solito) che in mano ad altri sarebbero sembrate solo ridicole. A creare la giusta atmosfera contribuiscono anche il posizionamento accorto di alcuni balloon e altre finezze stilistiche come la resa delle parole colorate nei dialoghi dell’Uomo Porpora.
A rimpolpare il volume ci sono le molte (troppe?) variant cover soprattutto del numero 1.50 a opera di Marcos Martin.
Un volume non certo eccezionale ma comunque godibile.

mercoledì 4 settembre 2019

Questo mese risparmio.


Pazzesco, non pensavo che lo producessero ancora, men che meno che avesse avuto tanto successo. Ma evidentemente in Francia c'è un pubblico anche per questi prodotti.