sabato 30 gennaio 2016

Programma Extinzione 1 - Vecchio Logan 1

Arieccoci.
Ero un po’ preoccupato per la Marvel, perché se parecchie proposte Secret Wars mi stanno aggradando non credo che il lettore Marvel medio le apprezzi. L’ultima infornata mi ha tranquillizzato sulle sorti della Casa delle Idee.
Programma Extinzione riprende la solita saga epocale degli X-Men dandole un twist differente e diventando quindi l’ennesimo What If. In questa versione della storia Wolfsbane, Havoc e il Capo Magistrato Anderson cercano di dare una parvenza di governo alla devastata isola di Genosha sprofondata nel caos. A supportarli c’è un gruppo di altri mutanti più o meno conosciuti ma l’impresa di contenimento delle folle si rivela sempre più ardua, tanto più che è in corso un’epidemia (e l’isola di Genosha è quindi in quarantena) e cominciano a scarseggiare i generi di prima necessità. La fredda e razionale baronessa Jean Grey, consigliata da un Bestia dalla logica spietata, si rifiuta di intervenire con maggiore incisività nel disastro di Genosha e quindi i protagonisti decidono di prendere in mano la situazione e tentano il rapimento di un mutante con poteri curativi e di Rogue, che dovrebbe duplicare i poteri del primo.
I testi di Marc Guggenheim sono professionali ma nulla di più, senza sbalzi troppo creativi ma nemmeno senza battute fuori luogo; la storia si fa leggere ma non mi ha entusiasmato, probabilmente perché non conosco la saga originale con cui ha moltissimi punti di contatto. Belli invece i disegni di Carmine di Giandomenico, statuari ma dinamici. Peccato che la stampa non gli abbia sempre reso giustizia e che anche lui debba sottostare ai dettami puritani dei comics USA, così all’inizio della vicenda gli è toccato industriarsi con creatività per coprire i capezzoli di Wolfsbane.
Punta di Freccia è una storiellina in cui viene spiegato perché la Kate Bishop di 1602 (credo) finisce a fare la guardiana presso lo Scudo. La scelta di inserire questa short story è dovuta al fatto che la Bishop fa una comparsata nella miniserie Assedio che viene pubblicata poco dopo, ma potevano anche risparmiarsela visto che la sua apparizione è veramente fugace (e sembra un altro personaggio perché parla in maniera diversa) e la storia non è granché. I testi di Pru Shen non entusiasmano, e d’altra parte Punta di Freccia è solo un’introduzione senza pretese, e i disegni un po’ manga/caricaturali di Ramon Bachs sono bruttarelli.
Il piatto forte di questo numero, Assedio (che riprende, ma stavolta solo di nome, l’eventone omonimo), non è stata una lettura facile. I disegni storti e sgraziati di Filipe Andrade, che sembra oltretutto aver buttato giù quegli sgorbi in fretta e furia, a volte non sono nemmeno sufficientemente chiari da capire cosa rappresentano, soprattutto nelle prime tavole. Anche i testi di Kieron Gillen sono un pochino ermetici ma non è quello il punto debole di Assedio: con dei disegni decenti sarebbe stato forse vagamente godibile. Abigail Brand viene mandata sullo Scudo dopo atti di insubordinazione eseguiti apposta per farsi assegnare all’ultimo avamposto di Battleworld e organizzare così l’agognata vendetta per i tragici eventi in cui fu coinvolta quando aveva 9 anni. In Assedio rivediamo tra l’altro la Miss America defenestrata dall’A-Force. La trama si dipana placida e indolente tra flashback e flashforward il cui senso verrà spiegato sperabilmente nei prossimi episodi, frammisti a lacerti del diario della Brand (disegnati splendidamente da James Stokoe e Jorge Coelho), che soffocano ancora di più il ritmo: il succo rimane solo mostrare quanto è tosta la protagonista e presentare la nuova recluta assegnata a guardia dello Scudo, nientemeno che Kang il Conquistatore! Con l’espediente non originalissimo del paradosso temporale (un Kang già in servizio appare dal nulla per anticipare cosa succederà) viene profetizzata la caduta dello Scudo, la cui distruzione è prevista tra 20 giorni per mano di Thanos. Una protagonista antipatica e un cast poco interessante non contribuiscono ad affezionarsi alla miniserie.
In appendice viene proposta L’Era di Apocalisse, e qui sono guai forse anche peggiori. A disegnare questa miniserie c’è infatti tal Gerardo Sandoval, emulo di Humberto Ramos che riesce a fare addirittura peggio del “maestro”. Probabilmente queste tavole sono una gioia per gli occhi di chi ama questo stile deformed e/o di chi è un nostalgico della saga originale, io ho provato veramente una sensazione di fastidio a scorrere quelle pagine ma seppur a intervalli di poche tavole per volta sono riuscito ad arrivare fino alla fine, in ottemperanza ai doveri ai quali sono tenuto nei confronti dei lettori del blog. La cosa sarcastica è che la storia in sé meriterebbe pure. Il barone En Sabah Bur alias Apocalisse sguinzaglia i suoi sgherri in giro per la Terra Selvaggia (ma come? Non è vietato oltrepassare i confini del proprio dominio? Questo Apocalisse deve avere appoggi molto in alto) per catturare il mutante Douglas Ramsey, quello in grado di capire tutti i linguaggi, che gli X-Men cercano invano di difendere anche a costo della vita. Il bello è che Ramsey, novello messia mutante che dovrebbe rovesciare la tirannia di Apocalisse, manco capisce il motivo per cui è tanto importante – cosa che oltretutto gli permette di non rivelare alcunché sotto tortura, proprio perché non sa cosa dire. La storia di Nicieza non è particolarmente originale o ben congegnata ma sfruttando un canovaccio abusato riesce a catturare il lettore con un ritmo coinvolgente per cui dopo un inizio col botto si comincia a dipanare la trama. Se non fosse per quei maledetti disegni, dannazione…
Nell’introduzione Marco Rizzo sottolinea quanto questa testata sia fondamentale nell’economia di Secret Wars per la presenza di Assedio. Gli credo sulla fiducia, io mi fermo qui.
Nemmeno Vecchio Logan mi ha convinto. In 32 pagine Brian Michael Bendis ha saputo tirare fuori solo la sua proverbiale lunga chiacchierata seguita da un combattimento lungo 10 tavole e poi il rinvenimento di una testa di Ultron che apre nuovi scenari. È vero che Bendis si apprezza più per lo stile spumeggiante dei suoi dialoghi che per la densità dei contenuti, ma qui non è riuscito a strapparmi nemmeno un sorriso. È stato efficacissimo nel descrivere il mondo desolato in cui si muove il protagonista, dove degli schiavi liberati sono talmente abbrutiti da non concepire nemmeno l’idea della libertà, ma in fondo lo stesso Mark Millar che ha creato questo universo ne aveva dato già una rappresentazione molto efficace. La storia termina poi con un tremendo anticlimax, per cui non c’è il consueto cliffhanger ma sembra che l’azione sia lasciata a metà proprio mentre il Vecchio Logan comincia a scalare il muro dello Scudo alla ricerca dell’origine della testa di Ultron (dai credits in seconda di copertina risulta comunque che il primo episodio della serie sia questo, non sono “uno e mezzo” come ho pensato in un primo momento). I disegni di Andrea Sorrentino, inoltre, non mi sono piaciuti – o per meglio dire ho fatto difficoltà a leggerli: sembrano (e alcuni forse sono) delle fotografie sovraesposte e i contrasti fortissimi rendono poco chiari certi dettagli appesantendo le tavole. Non si può negare che il lavoro di Sorrentino abbia dei risvolti artsy e quindi un suo fascino (anche se mi pare che Jae Lee facesse cose simili già vent’anni fa) ma il risultato è troppo freddo per i miei gusti.
A integrare la serie portante in questa prima uscita del mensile c’è una storiellina umoristica di Ivan Brandon e Aaron Conley. In realtà non è proprio umoristica e la si può a stento definire persino una storia: in pratica è una rassegna di varie versioni di Wolverine che interagiscono senza una trama a legarle – nessuna che io sia riuscito a identificare, almeno. Se il giudizio sui testi è sospeso vista la loro effettiva assenza, riconosco che i disegni sono molto curati e a illustrare una storia adatta (cioè comica) farebbero la loro figura.
Credo che la ricognizione delle testate Secret Wars termini qui, fatti salvi eventuali altri volumi compilativi, visto il disinteresse o il disprezzo che nutro per i personaggi delle altre testate coinvolte (Spider-Man, Deadpool e i Guardiani della Galassia).

mercoledì 27 gennaio 2016

Planet Hulk 1 - Inferno - Anni di un Futuro Passato 1

Ormai ho preso gusto a esplorare il mondo di questo eventone Marvel a metà strada tra Ravenloft e Beautiful. E l’ultimo materiale letto si è rivelato migliore di quello precedente.
Planet Hulk ospita due serie: la titolare è ambientata in un mondo selvaggio e pericolosissimo che pullula di vita modificata dai raggi gamma. Praticamente anche gli animali hanno la loro versione hulkesca! Qui un Capitan America venuto da chissà dove è l’idolo delle folle insieme al suo tirannosauro rosso e come gladiatore di successo riesce ad avvicinare il padrone dell’arena (“killiseum”) Arcade, uno dei villain più ridicoli mai ideati, e ad attentare alla sua vita. Destino, onnipotente e onnisciente (ma un po’ afono: fa parlare lo “sceriffo” Strange in sua vece, evidentemente nasconde qualcosa), stufo dei colpi di testa di Steve Rogers, gli offre la possibilità di recuperare l’amico e vecchio compagno di lotta Bucky Barnes in cambio della sottomissione della tribù del “Regno del Fango” retta da un Hulk rosso, presso cui Bucky dovrebbe essere tenuto prigioniero.
L’ambientazione fantasy/apocalittica è accattivante e mi ha ricordato Dark Sun; inoltre i disegni di Marc Laming sono veramente belli: in particolare i volti sono disegnati in maniera molto efficace ed espressiva.
La foliazione più consistente di Planet Hulk è dovuta a una storia breve presente nell’albo originale, in cui Greg Pak e Takeshi Miyazawa raccontano le “origini segrete” delle Terre Verdi, il dominio dove è ambientata questa miniserie. Sembra quasi che l’abbiano realizzata per timbrare il cartellino, come un dovere nei confronti del lettore. Nulla di particolarmente entusiasmante ma nemmeno brutto.
In appendice Planet Hulk presenta l’altra miniserie Futuro Imperfetto, che ovviamente riprende la miniserie omonima. La mutante Ruby Summers, dalla pelle di quarzo rubino, gironzola nel dominio di Dystopia con l’intenzione di destabilizzare il despota Maestro (versione invecchiata e bastarda di Hulk/Bruce Banner) e durante un viaggio di esplorazione rinviene sul suo cammino nientemeno che Odino, padre degli dei norreni, ferito e bisognoso di cure. La storia procede in maniera abbastanza classica e prevedibile con la presentazione delle altre versioni di supereroi Marvel che aderiscono alla congiura, finché la vecchia volpe Peter David rivela chi è in realtà l’ospite di Ruby: a questo punto la storia decolla, tanto più che i dialoghi migliori David se li è risparmiati per la fine. Come al solito i disegni di Greg Land risultano un po’ freddini nel loro essere ostentatamente dei ricalchi da immagini di fotomodelle, ma sono comunque un bel vedere. Da notare che il Leisten probabilmente suo inchiostratore non viene citato nei credits dell’episodio, mentre Nolan Woodard a causa del font impiegato sembra che abbia fatto il “colon” invece che i “colori”.
Insomma, se Hulk spacca la sua testata spicca tra le altre proposte Secret Wars.
La miniserie Inferno è stata invece presentata nella collana X-Men Deluxe, che come tutte le testate Deluxe della Panini lo è solo di nome visto che la carta e la rilegatura peggiori vengono riservate a queste testate, con i conseguenti problemi di stampa e minore godibilità dei fumetti offerti. In questo What If si immagina che Peter Rasputin/Colosso non sia riuscito a salvare la sorella Illyana come accadeva nel ciclo originale, e adesso Manhattan è minacciata dal nuovo Empire State Building tramutato nella cittadella dei demoni che per fortuna è separata dal resto della città da un campo di forza. Una volta all’anno, in occasione dell’anniversario della ritirata di fronte al nemico, Colosso si concede un assalto alla roccaforte demoniaca insieme a una squadra di X-Men nel tentativo disperato di salvare la sorella ormai corrotta fino al midollo e tramutata nella Figlia della Tenebra. I cinque capitoli originali vanno avanti a forza di colpi di scena, ammazzamenti (o presunti tali) truculenti e altre due fazioni che si uniscono alla lotta e contribuiscono a movimentare la trama. I testi di Dennis Hopeless non sono malaccio, anche se spesso alcune battute che vorrebbero essere divertenti mi sono sembrate fuori luogo. Diciamo che Inferno mi è parsa la proverbiale storiellina di supereroi senza infamia e senza lode, tanto fumo e poco arrosto e con un finale un po’ insipido che vorrebbe rilanciare il tutto.
Ho apprezzato molto (veramente molto) di più i disegni di Javier Garrón, un cesellatore scrupolosissimo a cui si perdonano volentieri le derive grottesche, tanto più che sono espressive e ben si adattano a raffigurare demoni e creature varie. È stato veramente piacevole abbandonarsi a cogliere i vari dettagli delle sue ricchissime tavole e identificare i molti personaggi che vi fanno una comparsata mentre si dispiega l’azione. Poi è anche vero che vedere le diavolesse nude senza capezzoli mi fa sentire un idiota a comprare queste boiate per ragazzini, ma sapevo a cosa andavo incontro. Purtroppo Garrón ha subito il trattamento “Deluxe” e soprattutto verso la fine sono presenti fuori registro e tavole doppie di limitata fruibilità senza fare a pezzi il volumetto. Per fortuna il colorista Chris Sotomayor ha optato per una tavolozza bella squillante, altrimenti con la carta utilizzata si sarebbe visto poco o nulla.
Veniamo quindi ad Anni di un Futuro Passato. La serie titolare riprende il celebre (diamine, lo conosco pure io) ciclo narrativo di Giorni di un Futuro Passato e agli ingredienti di partenza, cioè la distopia mutantofobica in cui la repressione è ormai indiscriminata e si estende a tutti i supereroi, aggiunge i figli di Kitty Pryde e di Wolverine. Questo primo episodio stenta a decollare e si dilunga a descrivere l’ambientazione, un mondo oppresso e desolato in cui sta per passare una riforma dell’Atto per il controllo dei mutanti, proprio mentre il nucleo storico dei mutanti sta per riuscire a liberarsi dei collari inibitori. La sceneggiatrice Marguerite Bennett si riscatta però sul finale mostrando come sia i mutanti che i sostenitori del Presidente Kelly abbiano capito che l’immagine è tutto ed entrambi ordiscono delle messinscene per accaparrarsi il gradimento del pubblico televisivo! Siamo appena all’inizio ma un po’ di curiosità mi è venuta. Non so bene come inquadrare i disegni di Mike Norton, sospesi tra il classicismo e lo scarno.
E come Estinzione è ovviamente l’emanazione della gestione di Grant Morrison degli X-Men e ne riprende i personaggi più teratologici oltre che, mi pare, anche l’ideologia: si veda la contrapposizione tra le celebrità mutanti giovani e festaiole e la vecchia guardia imbolsita. Nei fatti le venti paginette scritte da Chris Burnham sono solamente una presentazione delle premesse della miniserie e dell’ambientazione (a Mutopia le coppie bramano il gene X per competere con i figli mutanti dei vicini di casa, altro che discriminazione), con un po’ d’azione solo all’inizio. Ciononostante mi ha catturato e sono curioso di leggere il seguito.
Ramon Villalobos ha fatto un ottimo lavoro ai disegni, elaborando uno stile senz’altro debitore di quello originale di Frank Quitely ma in modo da sembrare comunque personale e coniugando senza particolari traumi mainstream e underground (ma propendendo di più per il secondo).  Curiosamente ho notato che le sue tavole sono state penalizzate da una qualità di stampa non ottimale mentre il resto dell’albo non ha gli stessi problemi. Probabilmente la cosa è dovuta alla qualità dei materiali di stampa originali.
A chiudere Anni di un Futuro Passato c’è un’altra serie “finta Secret Wars”, cioè la precedente ongoing di Magneto arrivata al diciottesimo episodio. Qui l’elemento della collisione dei mondi è parte fondamentale della trama ma assume contorni ridicoli (e rivelatori della politica commerciale dei mega-eventi che non guardano in faccia a nessuno) visto che compare di colpo sulla scena a interrompere un dialogo pieno di pathos tra papà Magneto e sua figlia Polaris, evidente retaggio della precedente storyline. Magneto proverà coi suoi poteri a contrastare l’“incursione” definitiva andando col ricordo ai precedenti incontri con Namor. Solito cliffhangerone alla fine, praticamente identico a quello visto poche pagine prima nelle ultime tavole della miniserie titolare. Decisamente troppo poco per entusiasmarsi, anche perché i disegni di Paul Davidson non sono memorabili e pur partendo da una base realistica finiscono nello sketchy. Oltretutto ha raffigurato Magneto come un pugile col naso rotto, ma quello è il meno: Davidson ha pure il viziaccio di riciclare la stessa identica inquadratura di tre quarti per i volti dei personaggi femminili, manco fosse Jean-Yves Delitte.
Per un personaggio della levatura di Magneto mi sarei aspettato qualcosa di più incisivo.

lunedì 25 gennaio 2016

L'Ascesa di Attilan 1 - House of M 1

Secret Wars, ancora Secret Wars, fortissimamente Secret Wars.
La febbre onnivora per il nuovo eventone Marvel non accenna a placarsi ma finalmente qualche testata si rivela nettamente inferiore alle altre e una cernita si potrà fare. Dagli ultimi editoriali che ho letto mi pare di capire che la situazione attuale, cioè l’ammasso di realtà alternative, subirà una Restaurazione a maggio quindi ogni proposta della Panini dovrebbe durare solo quattro numeri e lo sforzo si può fare.
L’Ascesa di Attilan trova spazio sul mensile dei Fantastici Quattro ma come tematiche e personaggi non ha poi molto da spartirci. Nelle Terre Verdi che abbondano di Hulk i Thor-poliziotti catturano dei cospiratori che fanno parte della società segreta Voce Inaudita (povero Destino, tutti a complottare contro di lui) e la regina Medusa incaricata dal dio di Battleworld in persona deve indagare su questa nuova minaccia. Affida il compito a tal Auran (ignoro se personaggio preesistente o creato per l’occasione) e dopo una ricognizione sul gruppo della Voce Inaudita, che contempla pure il Matt Murdock di 1602, l’azione si sposta nel locale Stanza Silente dove pare che il boss sia Freccia Nera, che le note ci spiegano essere in conflitto con Medusa – ma forse non è lui, si presenta con un altro nome e soprattutto parla. Non mancano scene spettacolari (tra l’altro c’è un collegamento con i Ghost Riders citati in Thors) ma è presto per giudicare il lavoro di Charles Soule. Posso già dire, invece, che non mi aggrada molto il disegnatore John Timms con il suo stile troppo caricaturale per i miei gusti.
Eredità della precedente gestione, come Loki in Thors, Silver Surfer non si occupa minimamente di Secret Wars ma continua una trama precedente. L’episodio, Mai più, è sperimentale e sfrutta una struttura delle tavole per cui il lettore è chiamato a seguire i vari loop che ci sono nelle pagine e tornare indietro a leggere le vignette capovolte di tavole che ha già letto nell’altro verso, fino a spezzare questo circolo vizioso col suo libero arbitrio come farà il protagonista. Una buona idea che forse si sarebbe potuta sfruttare meglio a livello grafico. Mai più è un profluvio di omaggi a Moëbius/Jean Giraud e come nel caso del Dark Knight di Miller che citava Corto Maltese alla fine questi rimandi a un tipo di fumetto ben più maturo non fanno altro che ridicolizzare i comic book.
Ai disegni l’immenso Mike Allred, che scrive l’episodio insieme a Dan Slott. Oddio, “immenso”… una volta mi pareva immenso (forse l’ho idealizzato perché lo conoscevo poco), oggi non mi sembra poi questo granché anche se sicuramente svetta sulle legioni di scalzacani suoi colleghi.
Un esempio di quest’ultima categoria lo troviamo nella short story di Deadpool e Devil Dinosaur in appendice: tal Logan Faerber (molto meno orrendo di tanti altri, a onor del vero) che disegna su testi di Ryan Ferrier una scemenza di rara stupidità.
Nella fumetteria in cui sono passato sabato era rimasto solo L’Ascesa di Attilan come albo collegato a Secret Wars, gli altri se li erano già spazzolati via tutti! Casualmente in un’edicola ho trovato House of M 1 e con esso una buona ragione per smetterla di comprare miniserie legate a Secret Wars.
House of M riprende lo scenario dell’evento omonimo, con una dittatura mutante retta da Magneto e famiglia a soggiogare gli ultimi umani rimasti. Questo primo episodio è molto più introduttivo e lento di altri, forse perché c’è la necessità di presentare più personaggi. Oltre ai problemi grandi e piccoli che infestano la reggia del barone Magneto e alle azioni anti-umane dei precedentemente buoni X-Men (che fanno un figurone con le divise austroungariche), assistiamo a un complotto che Quicksilver starebbe ordendo contro la sua stessa casata. Dennis Hopeless fa un uso massiccio e non sempre felice di battutine e freddure e ai disegni Marco Failla coniuga uno stile euromanga con quello di Giuseppe Montanari (!) disegnando spesso i nasi dei personaggi come fossero i tartufi di personaggi furry tipo Omaha the Cat Dancer di Waller. Al momento questa House of M è in fondo alle mie preferenze tra le miniserie Secret Wars.
Come altro ospite della testata c’è Runaways, che oltre a non c’entrare niente con la vecchia serie omonima non mi pare c’entri nulla nemmeno coi mutanti, visto che si occupa di alcuni ragazzi indisciplinati che finiscono in punizione – tra loro ci sono anche mutanti, ci mancherebbe altro. La storia si svolge nel dominio di Doomstadt, dove i giovani tra i 14 e 19 anni provenienti da ogni dove (ma non erano vietate le interferenze tra un dominio e l’altro?) vengono formati e selezionati per servire Destino. I 9 discoli più o meno turbolenti vengono trattenuti in classe proprio quando dovrebbero sostenere l’esame finale che ne dimostrerà il potenziale e offrirà loro la possibilità di essere degni agli occhi di Destino, quindi dovranno fare fronte comune ignorando le rivalità per uscire dalla situazione in tempo.
I toni della serie la rendono decisamente orientata a un pubblico adolescente e Runaways vive di citazione e di situazioni scontate già viste molte altre volte: la stessa situazione di partenza e la trama portante sono una rielaborazione di Breakfast Club. I disegni di Sanford Greene non mi hanno affatto entusiasmato.
Il terzo slot di House of M è occupato da un’altra serie “finta Secret Wars”: anche qui siamo a metà di un arco narrativo già in corso per Ms. Marvel, ma almeno c’è un massiccio riferimento all’impellenza dell’evento Secret Wars. Adrian Alphona sfoggia un disegno molto originale e inconsueto per una serie di supereroi, come se un umorista inglese disegnasse comic book, e il risultato si sposa perfettamente con un’altra trama leggerina che per temi e toni è indirizzata a un pubblico molto giovane. Tra le frustrazioni adolescenziali della protagonista per il primo amore andato a farsi benedire mi è difficile vedere gli argomenti dell’integrazione, della religione e del gap culturale (Ms. Marvel/Kamala Khan dovrebbe essere la prima supereroina musulmana) con cui la serie è stata strombazzata dalla Marvel. Ma magari gli episodi più rilevanti erano altri.

sabato 23 gennaio 2016

Age of Ultron vs. Marvel Zombi 1 - Civil War 1

Continua a raffica l’uscita di nuove miniserie legate a Secret Wars. Attirato dai bei disegni di Steve Pugh ho preso Marvel Mix 114 che ospita i primi episodi di Age of Ultron vs. Marvel Zombi e di Marvel Zombi. Anche questo si è rivelato un buon acquisto.
La prima storia è ambientata in una zona di confine tra le Terre Morte, dominio degli zombi, e Perfezione, utopia tecnocratica creata da Ultron. Robot e non-morti sono in perenne conflitto visto che i primi distruggono a vista i secondi e gli zombi in teoria non possono cibarsi di loro (anche se verso la fine si vedono le versioni zombi di Rhino e del Gufo trafficare coi resti di un Ultron). Questa zona di confine è l’anticamera in cui viene deportato l’Hank Pym in versione western proveniente dalla cittadina di Timely in cui è ambientata 1872, condannato all’esilio perché coi suoi esperimenti meccanici stava facendo fare un salto evolutivo troppo rapido al suo dominio, cosa evidentemente non gradita a Destino.
Grazie a un’altra esiliata da Timely con agganci in alto loco ora guardiana presso lo Scudo (immagino sia la versione western di Wasp) Hank Pym ha il privilegio di scegliere la terra del suo esilio e ovviamente opta per quella che gli si confà di più: il dominio dei robot. Appena messo piede nel posto per poco non ci lascia le penne se non fosse per l’intervento di alcuni supereroi, cosa che anticipa nuovi scenari. Il tutto mentre la supereroina Tigra, splendidamente disegnata da Steve Pugh, cerca di sopravvivere nelle Terre Morte dove è stata esiliata per aver ordito un golpe contro Destino finito male.
Da un concetto di partenza infantile e un po’ stupidotto James Robinson è riuscito a imbastire una trama originale e molto interessante, vedremo come procede. Solo tre piccoli appunti: 1) per spiegare come Ultron è arrivato alla creazione di Perfezione si fa uso di flashback in cui Steve Pugh è stato costretto a modificare il suo stile (se ha disegnato lui quelle pagine) riprendendo quello di altri disegnatori classici Marvel, col risultato che quelle sei tavole sono graficamente a un livello inferiore rispetto al resto; 2) Marvel Mix, la collana che ospita Age of Ultron vs. Marvel Zombi, è brossurata e il formato è stato mantenuto col risultato di rendere meno godibili le pagine doppie; 3) come antipasto è sicuramente consistente e buono, ma lo è di meno rispetto a quanto visto nelle altre miniserie di Secret Wars che ho letto finora: uno dei pregi di questo esperimento è che tutti i primi episodi visti finora sono molto densi e offrono un abbondante tempo di lettura pur essendo fisiologicamente solo introduzioni. Age of Ultron vs. Marvel Zombi lascia però un po’ più in sospeso il lettore; comunque offre sempre molto più materiale di quanto si possa trovare in tante altre porcherie made in USA.
A integrazione della serie titolare è stata una scelta obbligata inserire Marvel Zombi. L’ambientazione è più o meno la stessa, la protagonista è la volitiva e altezzosa cacciatrice di mostri Elsa Bloodstone. Talmente stronza e cristallizzata nello stereotipo della snob inglese, alla fine diventa simpatica come già era successo nel Nextwave di Ellis e Immonen. Simon Spurrier ha imbastito una trama piuttosto originale e interessante in cui la Bloodstone, a guardia dello Scudo contro le incursioni degli zombi, viene teletrasportata da un avversario nelle Terre Morte e deve fare da balia a un bambino che ha perso la memoria. Decisamente godibile, anche perché Spurrier ha uno stile di scrittura spigliato e accattivante. Kev Walker asseconda l’atmosfera e indulge in qualche deriva caricaturale com’è d’altra parte già nelle sue corde, anche se mi è sembrato meglio qui che altrove.
Visto che c’ero ho preso anche il primo numero di Civil War. Il fascicolo si apre con un episodio extralarge della miniserie titolare, in cui viene spiegato come si è evoluta la vita negli Stati Uniti a seguito di uno svolgimento diverso degli eventi del vecchio crossover omonimo: dopo un’ecatombe gli USA si sono divisi in due macro-Stati in cui il conflitto ideologico tra Steve Rogers e Tony Stark prosegue e ha assunto proporzioni titaniche. Adesso gli States sono divisi nel Blu (il vasto e libero territorio a ovest retto da Capitan America, dall’apparenza rurale) e nel Ferro (il più limitato ma tecnologicamente ed economicamente avanzato territorio a est, retto da Iron Man). La storia viene narrata da Miriam Sharpe, madre di una delle vittime dell’incidente di Stamford che diede origine al plot di Millar: anche grazie a lei dopo sei anni di guerra civile sembra di essere riusciti ad addivenire a una tregua ma purtroppo l’incontro al vertice tra i due leader prenderà una piega drammatica.
Charles Soule è stato più descrittivo che narrativo ma le esche che ha gettato sono abbastanza appetitose, con un whodunnit che invita a proseguire la lettura. Inizialmente mi ha destato qualche perplessità il fatto che in soli sei anni siano avvenuti cambiamenti tanti radicali e che i protagonisti risultino così invecchiati ma ci si fa presto l’occhio. Ai disegni lo spigoloso Leinil Francis Yu, che non ammiro né disprezzo, fa un buon lavoro.
In appendice a Civil War viene ospitato Armor Wars, ripresa di un altro evento ricordato nelle note. Lo sceneggiatore è lo stesso James Robinson di Age of Ultron vs. Marvel Zombi, qui con un piglio un po’ più leggero. Nel dominio di Tecnopoli tutti devono indossare delle armature ipertecnologiche per sopravvivere, per motivi che ormai neanche Tony Stark, principale fornitore di armature alla popolazione, ricorda. Viene sviscerata la rivalità tra lui (barone di questo dominio) e il fratello Arno e a far da cornice a questa introduzione c’è l’omicidio di Spyder-man/Peter Urich. Anche qui l’elemento del whodunnit è abbastanza interessante, peccato per i disegni piuttosto deformed di Marcio Takara del tutto inadatti all’ambientazione (belli alcuni dei suoi neri intensi, però).
Da segnalare che entrambe le proposte vantano una qualità di stampa degna del primo albo Secret Wars che ho preso.
Di questo passo ho paura di prendermi tutte le proposte dell’evento, tanto più che la Panini sta cominciando a pubblicare del materiale direttamente in invitanti volumetti autoconclusivi.

giovedì 21 gennaio 2016

Non è che mi lament(av)o, eh. Però...



Ormai sembrano passate ere geologiche ma come anticipato riciclo un post che avevo progettato di mettere online prima di sapere che Alix avrebbe chiuso col numero 15. Perlomeno la sospensione della testata mi esonera dalla necessità di essere troppo preciso, quindi metto il pezzo così come lo avevo lasciato, tanto non c’è più bisogno di finire di elaborarlo.

La proposta della Mondadori di Alix è eccezionale. Volumi cartonati, a colori, su carta patinata, stampati mediamente bene e a un prezzo basso. Errori come balloon invertiti o refusi ce ne sono stati pochi finora e, cosa fondamentale, la serie è veramente molto bella pur con i fisiologici alti e bassi che la serialità e l’avvicendarsi di collaboratori diversi comportano.
Forse si sarebbe potuto mettere qualche redazionale più corposo invece che le sintetiche presentazioni dei personaggi in seconda pagina (mai lette per paura che fossero spoilerose come quelle che un mio amico mi ha detto erano nella ristampa di Ken Parker), ma a questo prezzo va benissimo anche così.
La saga di Alix è però strutturata in maniera particolare: è vero che ogni episodio (almeno finora) è autoconclusivo, ma ormai è evidente che sono tutti tasselli di una struttura molto più grande e complessa in cui esiste una caterva di personaggi (spesso coprotagonisti) che si rincorrono di albo in albo e intessono una fittissima rete di relazioni col protagonista, generando ulteriori crossover tra di loro. Mi ci gioco le palle che la Mondadori ha epurato le tavole di tutti i rimandi agli episodi precedenti (i «voir» in calce alle vignette) che sicuramente costellano gli albi originali. Io non amo particolarmente i rimandi ai volumi precedenti, ma quando ci vuole ci vuole, anche perché qui i personaggi sono proprio tanti.
Probabilmente la Mondadori ha scelto questa politica per “mimetizzare” le storie presentate per prime, in realtà più in là nella cronologia ufficiale ma forse ritenute più appetibili per un pubblico vergine, come appunto precedenti a quelle presentate dopo, tanto più che nella costola campeggia solo il numero progressivo di questa collana e non quello vero del volume originale, riportato nelle gerenze dove solo i pervertiti come me lo leggeranno.
Credo sia superfluo segnalare che se il lettore si vede comparire un personaggio ricorrente dal nulla avendone solo letto la biografia nella seconda pagina avrà una reazione diversa che se avesse familiarità con lo stesso personaggio grazie alla lettura delle storie precedenti in cui compariva e tornava. Vedi Galva nel primo volume, ad esempio. Oltretutto, presentando gli episodi con questi vertiginosi salti cronologici e quindi senza riportare la giusta continuità delle apparizioni dei personaggi sembra quasi che Martin utilizzi degli deus ex machina quando invece si tratta di un risultato della forte coesione interna della saga e di un ottimo uso dei comprimari.
È anche vero che noi adesso in Italia possiamo leggerci [avremmo potuto!] tutta la saga in circa otto mesi contro i quasi settant’anni che hanno impiegato i francesi, quindi più bisognosi dei giusti riferimenti agli episodi precedenti, ma con tutto questo casino di gente che va e viene da un volume all’altro qualche aggancio sarebbe stato utile pure a noi. Anche perché secondo me si perdono certi dettagli molto ben congegnati da Jacques Martin.
Il ritorno del villain Xxxxx Xxxxxx in Xxxxx xxxxx Xxxxxxx (XX° numero della versione italiana/XX° francese) si sarebbe goduto come tale se fosse stato scritto di chi si trattava e in quale episodio avrebbe esordito nella versione italiana/aveva esordito in quella francese.
La ricomparsa provvisoria di Xxxxxxx (Roma, Roma… XX°/XX°) sarebbe sembrata meno casuale se il lettore avesse avuto l’occasione di sapere che il personaggio compariva prima e in quale episodio di preciso.
La battuta gettata lì come se niente fosse in merito ad un’aquila (Xxxxxx xxxx Xxxxxx, XX°/XX°) cela in realtà una nuova interpretazione alla bellissima scena conclusiva di Xxxxx xxxx Xxxxx (XX°/XX°), che il lettore privo di riferimenti può benissimo non cogliere.
Così come in Vercingetorige (XX°/XX°) potrebbe sembrare che Alix abbia il potere di controllare gli animali, mentre invece la fedeltà del branco si spiega benissimo con l’incontro avvenuto in Xxxxx xxxxx Xxxxxx (XX°/XX°), a cui nella versione italiana viene censurato ogni rimando.
Non dico poi che certe situazioni risultino poco comprensibili (anche se i riferimenti al fratello di Xxxxxx in Xxxxx xxxx Xxxxxx, XX°/XX°, non è che siano molto chiari a chi non ha letto il giusto volume precedente, la cui citazione viene epurata dalla Mondadori) ma a volte pare proprio che manchi un tassello, che l’affresco non sia completo. Il che è proprio questa situazione.
Confesso inoltre che, con l’età che avanza inesorabile, sono dovuto andare a rileggermi Xxxxxxx xxxxx Xxxxx (XX°/XX°) per capire se l’eremita biondo che controlla gli animali era lo stesso visto in Xxxxx xxxx Xxxxxx (XX°/XX°). Niente di drammatico, ma se fosse stato indicato chiaramente, come sicuramente era nella versione originale, mi sarei risparmiato qualche dubbio.
Ne Il Bambino Greco (XX°/XX°), epurato di tutti i riferimenti che sicuramente ci saranno stati a Xxxxx xxx Xxxxxxx (XX°/XX°) compare addirittura un arcinemico di Alix senza che ne venga rivelato inizialmente il nome, così che il lettore italiano si perde tutto il gioco sul fatto che questi inizialmente non abbia capito che ha di fronte proprio l’Alix che l’ha contrastato durante […] (cosa che viene riassunta in un dialogo, che non poteva essere ritoccato).

Alla fine avrei espresso il mio desiderio che gli episodi successivi fossero presentati nella successione corretta almeno per qualche numero, ma ormai i fatti hanno preso il sopravvento.

lunedì 18 gennaio 2016

Cosmo Color Extra 16 - Il Crepuscolo degli Dèi 7: Ragnarök



Non ho trovato la copertina della Cosmo...

Finisce in bellezza la saga dei Nibelunghi in salsa BéDé-orientaleggiante. In questo ultimo (per il momento) volume Djief dimostra una maggiore maturità rispetto a quanto visto in precedenza e oltre a essere più realistico ed espressivo integra i suoi disegni con qualche tratteggio e li rifinisce con un’inchiostrazione più vigorosa. La base vagamente mangheggiante rimane ma è meno evidente. Parte del merito per la buona resa grafica va comunque anche al colorista Hèban.
La storia procede sui doppi binari della chiamata alle armi di Odino per lo scontro finale e della vita di Sigfrido e Brunhilde in Islanda che a causa di una serie di drammatici equivoci finirà in maniera tragica come da canone wagneriano. Tramite questo doppio registro che abbraccia la furia della battaglia tra mostri fantasy e la quotidianità della vita umana con le sue meschinità Jarry (uno sceneggiatore che non ha paura di usare le didascalie) riesce a dare a Ragnarök un ritmo sincopato e incalzante.
Quello che si conclude è comunque solo il primo ciclo della saga e in quarta di copertina viene annunciato un prossimo volume che ignoro cosa conterrà essendo ormai esaurito il materiale di partenza originale.
La foliazione più corposa di questo ultimo capitolo ha permesso l’inserimento di un’anteprima di un lavoro di Delitte sempre edito dalla Cosmo, in cui si nota come l’autore ricicli senza sosta le solite inquadrature e soprattutto i primi piani.
Desolante l’elenco delle uscite di gennaio in terza di copertina: questo Cosmo Color Extra 16 è l’unico volume 19x26 del mese, avendo ormai il formato bonellide a colori preso il sopravvento. E vabbè, è stato bello finché è durato e in fondo non è durato poco.

sabato 16 gennaio 2016

Thors 1 - Hail Hydra 1

Spinto dal gradimento di A-Force alla fine ho comprato non solo Thors ma pure Hail Hydra.
Thors si è rivelato addirittura superiore alle aspettative. Jason Aaron è riuscito a infilare di tutto in quelle 20 pagine. I “Thors” sono la forza di polizia che mantiene l’ordine e commina le pene nell’universo retto dal Dottor Destino e mi hanno ricordato un po’ il distretto di polizia di Top Ten. Non che c’entri poi molto (là erano supereroi in un mondo in cui tutti avevano poteri, qui sono “portatori di martello”, quindi praticamente divinità) ma il meccanismo di abbassamento parodistico di entità potentissime a una mansione prettamente umana è praticamente lo stesso.
Il Thor dell’universo Ultimate e il suo compagno di pattuglia Beta Ray Bill si trovano coinvolti in un “caso supremo”, una di quelle rogne talmente grosse che devono essere insabbiate o risolte all’istante prima che se ne accorga il dio Destino. È stata trovata la quinta donna morta, una per ognuno di cinque domini diversi, e i Thors brancolano nel buio finché all’Ultimate Thor viene un’intuizione. La miniserie ha uno stile energico e coinvolgente, che coniuga i serial televisivi polizieschi moderni con il buddy movie e un sacco di trovate originali. Anche le battute umoristiche che fanno capolino qua e là sono perfettamente calibrate e non danno l’impressione di essere dei corpi estranei inseriti a forza nel tessuto della trama. Bellissimo poi il colpo di scena finale.
L’aspetto un po’ deludente (ma giusto un po’) di Thors è la parte grafica. Chris Sprouse è il solito disegnatore realistico ma sintetico e morbido quasi da sfiorare il cartoonesco, ma qui in alcuni dettagli è stato meno elegante che altrove. Ovviamente può darsi che sia stato l’inchiostratore Karl Story a non aver saputo rendere al meglio alcuni profili e certe mani, ma in ogni caso nulla di grave, anzi avercene di disegnatori così.
Come comprimario in Thors è stato inserito Loki Agent of Asgard, immagino eredità della precedente gestione della testata-ombrello Thor. La serie non si inserisce nel contesto di Secret Wars se non marginalmente e questo episodio fa parte di un arco narrativo più lungo (è il quattordicesimo numero della serie originale) quindi alla fine non c’ho capito molto visto che si fa riferimento a situazioni che non conosco e vi compaiono personaggi con cui non ho familiarità, questa stessa versione di Loki in primis. Nonostante l’entusiasmo con cui Giorgio Lavagna ne parla nelle note non mi ha colpito molto (ennesimo inganno di Loki che gioca sull’approssimarsi della fine del mondo, condito da pretenziosi tentativi di nobilitazione letteraria con un parallelo tra le vite e le storie) e la splash page finale è di un pacchiano strepitoso. Il disegnatore Lee Garbett, inoltre, che pur dimostra la sua perizia in più di una vignetta, ha delle derive caricaturali e qualche particolare sembra averlo proprio tirato via. Poco importa, avrei continuato a prendere Thors anche se in appendice ci avessero messo illustrazioni di Ben Templesmith o Humberto Ramos.
Hail Hydra prende invece le mosse, mi pare di capire, da una precedente serie di Capitan America in cui la Sentinella della Libertà ha fatto da mentore al figlio di Arnim Zola, tal Leopold ribattezzato Ian che è diventato un supereroe a sua volta col nome di Nomad ed è protagonista di questa miniserie (il disegnatore Roland Boschi ha pure cercato di rifare gli sgorbi di Romita Jr. dell’arco narrativo di riferimento, ovviamente non riuscendo a eguagliarne la bruttezza).
Nel dominio di Arnim Zola vige la classica dittatura orwelliana e Nomad, consapevole della ristrutturazione del multiverso Marvel per motivi spiegati nell’introduzione, lotta contro la “risocializzazione” degli oppositori in questo mondo in cui Hydra ha soppiantato la realtà che conosceva. Una storia classica condotta con mestiere e con vaghi margini di originalità (il fatto che il protagonista venga dal “vecchio” universo permette qualche sequenza divertente e il paradosso con cui si conclude l’episodio) ma non entusiasmante. I disegni di Boschi sono validi, però in più di un’occasione mi ha dato l’impressione di aver ripreso le sue figure da altre fonti importandole malamente nelle sue tavole, generando qualche problema di parallasse.
A integrazione di Hail Hydra c’è Red Skull, che ho gradito più del titolare. Lo sceneggiatore Joshua Williamson si è inventato una trama originale imbastendo un gruppo di supercriminali più o meno riluttanti “convinti” ad andare a cercare nelle Terre Morte oltre i confini del dominio di Killville il Teschio Rosso in cambio dell’amnistia dei loro crimini contro Destino. Infatti, in un twist originale (se poi sia ispirato a qualche altra storia Marvel non mi è dato di sapere), il Teschio Rosso di questa realtà è diventato il simbolo della ribellione contro Destino e in suo onore è sorta una confraternita che si oppone al dio di Battleworld. Pare però che il Teschio Rosso non sia solo una leggenda ma una persona vivente che già in passato ha attentato contro il potere di Destino e che a breve dovrebbe riprovarci: per questo i novelli Thunderbolts (hanno anche dei collari inibitori) devono cercarlo e portare prove della sua uccisione.
Fanno parte di questo gruppo un giovane e tracotante Electro, molto ben caratterizzato (penso sia quello dell’Universo Ultimate), Lady Deathstrike, Moonstone, Jack Lanterna (uno che al posto della testa ha una zucca, forse inventato per l’occasione) e nientemeno che Magneto e Bucky Barnes, il Soldato d’Inverno: quest’ultimo non ha avuto bisogno di coercizione per entrare nel gruppo ma si è offerto volontario. Una buona storia pur con un buco bello grosso nella sceneggiatura: non so se il problema sia dovuto a delle incomprensioni tra Williamson e il disegnatore Luca Pizzari, ma sembra che nonostante i collari inibitori, contro cui giustamente recriminano, i sei disgraziati facciano ancora sfoggio dei loro poteri. Vabbè, fa niente; e comunque le battute “personalizzate” degli zombi nelle sequenze finali sono molto simpatiche. Se mai dovessi continuare a comprare Hail Hydra sarà per Red Skull, anche se i disegni di Pizzari sono un bello scoglio per me da superare: è evidente che ha del talento per il fumetto realistico, però si perde in spacconate ipertrofiche che mi hanno ricordato il peggior Frank Miller.
Segnalo in conclusione che entrambi i fascicoli non vantano purtroppo la stessa qualità di stampa di A-Force.

mercoledì 13 gennaio 2016

I Vendicatori 46 - A-Force 1: Le Potenti Vendicatrici!

Acquisto strategico che mi permette di mettere un post online stasera. Il riciclo del post su Alix a questo punto me lo salvo per sabato.
Dunque, questo A-Force 1 prende il posto dei soliti titolari della testata I Vendicatori, scombussolata come il resto del Marvel Universe da Secret Wars, l’ennesimo evento-fondamentale-che-poi-nulla-sarà-più-come-prima. Se ho ben capito, adesso non ci sono più gli universi alternativi canonici ma delle realtà separate “tematiche” che convivono in maniera indipendente l’una dall’altra regolate dai capricci del Dottor Destino assurto allo status di divinità e scrupolosamente attento alla loro gestione tramite una forza di polizia composta dalle varie versioni di Thor (idea simpatica, quasi quasi provo anche il relativo mensile) che impedisce interferenze tra i singoli mondi.
In A-Force è di scena la realtà di Arcadia, i cui abitanti sono protetti dal gruppo tutto al femminile omonimo, con a capo la baronessa (pare che ogni capo del suo mondo venga definito “barone”) She-Hulk. Un giorno Arcadia viene aggredita da uno squalo mostruoso e la supereroina Miss America (mai coperta) lo scaraventa incazzatissima in un altro mondo attirandosi quindi la reprimenda dei Thor che la mandano in esilio nello “Scudo” (sicuramente è spiegato in Secret Wars cosa diavolo è). Al comprensibile scoramento delle compagne, tra cui la strega dark Nico Minoru che rispetto a quanto visto su Runaways e Avengers Academy mi pare un po’ troppo emotiva in questa interpretazione di Marguerite Bennett e G. Willow Wilson, si aggiunge il rinvenimento di una strana entità femminile sempre da parte di Nico. Di carne al fuoco ce n’è ma è ancora troppo presto per giudicare.
Più interessante la seconda serie presentata, Squadrone Sinistro. L’inizio condensa in una manciata di pagine tutta quella pessima vecchia miniserie con gli Ultimates contro la prima versione dello Squadrone Supremo contro la seconda versione dello Squadrone Supremo (Ultimate Power o una roba così) ma si rivela assai più originale e articolata. In pratica Utopoli è un dominio retto dallo Squadrone Sinistro, una versione gritty di un vecchio supergruppo parodia della Justice League of America. Hyperion e compagnia hanno intrapreso una politica di “annessione” degli altri mondi, cioè in sostanza li stanno invadendo imponendo il loro controllo. Ovviamente la cosa viene notata dal corpo dei Thor ma lo Squadrone Sinistro ha la scappatoia di dire che in fondo loro si stanno solo difendendo dalle aggressioni degli altri.
Oltre a mostrare un bel po’ dell’ambientazione questo primo episodio mette in scena l’omicidio di un Thor, la conquista di un’arma che può uccidere Hyperion (così da approfondire il rapporto tra lui/Superman e Nottolone/Batman) e la rivelazione di un complotto, il tutto calato in un’opprimente cappa di paranoia. Nonostante sia un capitolo introduttivo è decisamente bello denso e Marc Guggenheim è anche molto bravo a scrivere i dialoghi. Inoltre, per essere un comic book mainstream mi ha piacevolmente sorpreso il tasso di violenza e di cinismo, entrambi necessari per meglio creare l’atmosfera di Utopoli. È anche vero che i personaggi scopano vestiti di tutto punto, ma è pur sempre un comic book e non si può pretendere troppo.
Anche la terza serie mi è sembrata più interessante di quella titolare nonostante la premessa non originale e comunque non entusiasmante: personaggi dell’universo Marvel calati in un contesto western. In 1872 i soliti stereotipi del genere (qui un signorotto locale detta legge con la sua masnada di tirapiedi, arrivando persino a deviare il corso di un fiume per i suoi interessi) vengono interpretati da riletture dei supereroi e dei loro nemici, così abbiamo lo sceriffo duro e puro Steve Rogers, l’ubriacone inventore divenuto pacifista Tony Stark, il “farmacista” Bruce Banner e via di seguito, con una menzione speciale per Kingpin che interpreta il boss e Ben Urich il giornalista, particolarmente azzeccati.
Come per 1602 parte del divertimento è scoprire le citazioni (il villaggio in cui si svolge la storia si chiama Timely ed è sorto accanto al fiume Kirby…) e vedere come personaggi iconici vengono reinterpretati – chissà chi diavolo è l’indiano Lupo Rosso. A volere stare al gioco di Gerry Duggan 1872 è divertente, ed ho gradito molto la splash page finale con l’arrivo dei rinforzi per Fisk.
Graficamente tutte e tre le proposte sono di livello abbondantemente più che sufficiente e oltretutto la qualità di stampa è ottima. Probabilmente per A-Force sarebbe stato più indicato un disegnatore che conoscesse e sapesse valorizzare l’anatomia femminile più di Jorge Molina ma non ne faccio un dramma. Null’altro da aggiungere sul veterano Carlos Pacheco e sul vagamente espressionista Nik Virella.
Mi sa che continuerò l’acquisto per vedere come andranno a finire quelle che, non prendiamoci in giro, saranno solo miniserie dopo che con questo ennesimo evento-fondamentale-che-poi-nulla-sarà-più-come-prima tutto tornerà identico a prima.

giovedì 7 gennaio 2016

Pericolo rientrato

Credo.
Forse.
Vedremo.
Oggi ho trovato il nuovo Historica, che però è il secondo volume de I Passeggeri del Vento...

...che ho già nelle edizioni precedenti e che comunque non rientra nella top ten dei miei fumetti preferiti. Quindi alla fine è rimasto in edicola, spero non ci siano rappresaglie da parte della Mondadori...

mercoledì 6 gennaio 2016

Alix 15: Alix l'Intrepido

Questa recensione non ha molto senso visto che non ho ancora finito di leggere l’oggetto della sua analisi, che ha un ritardo di una settimana rispetto all’uscita del volume e che purtroppo, nonostante sia il primo episodio in assoluto di Alix, rappresenta la conclusione di questa esperienza che avrebbe meritato maggior successo. Metto «recensione» nelle Etichette giusto per sfizio.
Io pensavo che i primi episodi di Alix fossero stati saltati (o meglio posticipati) dalla Mondadori perché di qualità inferiore rispetto a quelli successivi. Probabilmente mi ero fatto questa idea anche ricordando i commenti dello stesso Jacques Martin sulla pochezza dei risultati ottenuti agli inizi della carriera e della leggenda secondo cui si prese una pausa di alcuni anni per studiare disegno e imparare a disegnare meglio. A meno che questo primo episodio non sia stato ridisegnato successivamente, non è assolutamente questo il caso.
Le tavole di Alix l’Intrepido sono sicuramente datate, ma non sono affatto brutte. In quei corpi statuari (o che tali vorrebbero essere) dalle pose teatrali ho ravvisato un po’ di Alex Raymond, certamente una buona dose di Hal Foster e addirittura un po’ di Franco Caprioli. A proposito: come nel caso di Pierre Jacobs è facilmente sfatabile il mito di Martin come uno dei padri fondatori della Ligne Claire: le sue strisce abbondano di tratteggi e generose campiture nere. Nel complesso l’impressione delle quattro strisce per pagina molto dettagliate (per quanto non ancora con la scioltezza successiva) è quella di una certa monumentalità, tanto che ci sarebbe voluto un formato più grande per rendere giustizia a queste tavole. I testi assecondano alla perfezione quest’aura di imponenza e di austerità.
Non siamo certo agli albori del linguaggio del fumetto avventuroso, ma poco ci manca. È evidente quanto Martin, costretto nel formato di una tavola alla settimana, sia mosso dalla necessità di sovraccaricare il più possibile di testo le sue tavole e finire sempre con un cliffhanger, così come non abbia bene in mente una traccia precisa da seguire. Le cose sembrano ogni tanto capitare per caso, e repentini cambi di schieramento sembrano avere alla base la volontà di spiazzare il lettore più che una vera logica. È sicuramente solo una mia impressione, però secondo me questo Alix l’Intrepido piega più sul fantasy che sullo storico. L’esotismo è talmente calcato da sfociare nel fantastico e non so quanto la tribù nascosta che salva e accoglie Alix abbia un fondamento storico. Al posto dei coccodrilli potrebbero esserci dei draghi e l’atmosfera non ne risentirebbe.
Purtroppo il sovraccarico di didascalie (per quanto probabilmente smussate dalla Mondadori come testimonia il poco testo ospitato in alcune di esse) finisce per farmi perdere il filo della storia invece che farmi stare “sul pezzo”, ma immagino che sia solo un problema mio.
Insomma, se escludiamo l’effetto vintage che i primi famigerati episodi avrebbero generato nei lettori non capisco proprio perché la Mondadori abbia aspettato così tanto per pubblicarne uno: tanto più che ormai il progetto è naufragato lo stesso anche con l’aggancio delle storie più recenti e appetibili. A tal proposito, prossimamente metterò online il riciclo di un post che avevo ideato per criticare la frammentazione con cui la Mondadori ha presentato Alix. Qui sul blog non butto via niente.