mercoledì 27 febbraio 2019

Storia pittoresca, drammatica e caricaturale della Santa Russia

Dopo l’uscita in occasione della kermesse lucchese è arrivata anche alla mia fumetteria, con tutta calma, una copia di questo bellissimo volume edito da Eris. Talvolta gli storici del fumetto si aggrappano ai dettagli più discutibili per giustificare il fatto che un’opera sia un protofumetto (termine inviso a Boris Battaglia, ma tant’è) però in questo caso è lampante come testo scritto e immagini siano talmente correlati che oltre a completarsi a vicenda non possano praticamente esistere da soli.
Gustave Doré realizza un lunghissimo pamphlet satirico contro l’odiato nemico della Francia dell’epoca, descrivendo i russi (i popolani e chi li governa) come barbari rozzi e violenti. Incredibile a dirsi, emerge un fortissimo gusto demenziale da queste pagine, di straordinaria modernità: la violenza grandguignolesca di molte situazioni, la totale assenza di coerenza cronologica, il ricorso a cifre sempre iperboliche… E ci sono persino elementi che, in un lavoro contemporaneo, lo taccerebbero di post-modernismo: le citazioni, la metanarrazione (limitata inizialmente alla gustosa pagina 8) e la presa in giro dei riferimenti colti.
La Storia pittoresca, drammatica e caricaturale della Santa Russia parte dalla sua origine ancestrale arrivando fino a quelli che all’epoca erano praticamente fatti di cronaca. I disegni sono realizzati con uno stile che è di volta in volta grottesco, realistico o astratto a seconda della necessità e sono costantemente in dialogo con le didascalie, tanto che ogni singola vignetta si basa sulla contrapposizione tra quello che si vede e quello che si legge, o sull’uso di termini polisemici che rivelano nei disegni il vero senso di quello che intendeva Doré, generando così degli effetti comici che fanno ridere di gusto ancora oggi. La traduzione di un’opera del genere deve essere stata un’impresa complessa, come confermato da Boris Battaglia nel suo testo in appendice.
Al di là del suo corrosivo umorismo, l’opera si fa leggere tutta d’un fiato grazie all’incalzante succedersi di sovrani, zar e trovate sempre fresche e surreali, alcune impossibili da rendere alla perfezione in italiano.
Ma la qualità non si mantiene costante: a circa due terzi dell’opera, poco dopo un’incursione dello stesso autore che gli varrà una citazione nei Fumettisti d’Invenzione, Doré cambia il passo, forse stremato dalla realizzazione di un’opera di quasi 100 pagine o forse più cauto nel trattare argomenti più recenti. La narrazione rallenta fino a impantanarsi perché le vignette non sono più necessariamente collegate tra di loro (tanto che alcune potrebbero anche essere tratte da un’altra fonte), affiorano alternativamente pagine quasi interamente scritte o quasi interamente illustrate, rompendo l’equilibrio perfetto che c’era stato fino a quel punto, e in mancanza di trovate migliori Doré si riduce a fare la parodia di un motivetto musicale in voga all’epoca. Dopo il finale vero e proprio c’è ancora spazio per una dozzina di illustrazioni satiriche a tutta pagina (tranne una) aggiunte dall’autore per la raccolta in volume. Questo progressivo peggioramento finale non inficia il valore complessivo dell’opera, però si rimane un po’ delusi a leggere delle pagine così poco ispirate rispetto a quelle precedenti, tanto più che la Storia della Santa Russia era partita veramente in quarta.
L’edizione Eris propone una breve postfazione di Guillaume Dégé tratta dalla versione francese. In sostanza è un’occasione sprecata per approfondire i retroscena e altri aspetti dell’opera e del contesto in cui uscì: quando e dove fu serializzata la Storia? Perché il montaggio di alcune tavole sembra essere frutto di un assemblaggio? Come mai Doré era così ossessionato dalle coliche renali? Misteri che rimarranno tali, la priorità di Dégé è fare sfoggio della sua cultura.
Molto, molto più interessante è l’appendice all’edizione italiana scritta da Boris Battaglia, che tratta della complessità di tradurre un’opera così piena di doppi sensi e così legata alla sua epoca. Battaglia ricorda meritoriamente il lavoro di Luciano Guidobaldi (alias “Galb”) che tradusse per la Comic Art la precedente versione della Storia della Santa Russia, uscita quasi quarant’anni fa –  traduzione su cui si è basata anche la Eris per questa edizione.
A proposito dell’edizione, il refuso in copertina che faceva temere il peggio per fortuna è solo una scivolata isolata, e nel libro si trova al massimo un «mele» al posto di «male» a pagina 69. Il tomo è un bellissimo cartonato con dorso telato stampato alla perfezione su carta Fedrigoni. Dalla biografia dell’autore risulta che Gustave Doré realizzò ben altri tre “fumetti” prima della Storia della Santa Russia, ma immagino che sia pura utopia sperare di vederli.

domenica 24 febbraio 2019

Il Morto 36: Amaro amore mio

Oh, finalmente è uscito il nuovo numero de Il Morto! Il 35 era uscito a novembre…
L’incipit di questa storia è molto simpatico e originale: sin da bambini Gina e Diego hanno avuto un rapporto un po’ particolare per cui lei era il maschiaccio che difendeva lui dagli altri picchiandoli selvaggiamente. Il loro amore si concretizza finalmente dopo anni, quando Diego (diventato avvocato) ritorna in paese mentre Gina ha coronato il suo sogno di fare la pescatrice d’altura. La risicata ciurma del Nettuno non è però ben vista né dai baristi del posto, a cui sfascia i locali nelle risse furibonde che la vede sempre vincente, né tantomeno dal racket dei pescatori. I malviventi tentano di stroncare l’attività del Nettuno minacciando i loro clienti all’ingrosso, ma all’ennesima prova di forza di Gina e dei suoi compagni decidono di alzare il tiro.
Come sempre succede, Peg si trova in mezzo a tutto questo per puro caso, incontrando Diego sulla corriera che lo riporta al paese della sua infanzia. Si aprono labili squarci sul suo passato, ma in Amaro amore mio i veri protagonisti sono Gina e il resto del nuovo cast, tanto che il Morto appare solo dopo pagina 100. Questo episodio è frizzante e coinvolgente, non manca l’azione ma c’è anche una certa dose di umorismo (e persino una comparsata di Ciccio Ingrassia, anche se in un ruolo serio); i disegni della rodata coppia Conforti-Codina sono buonissimi come sempre ma alla fine resta l’amaro in bocca. Purtroppo anche questa storia si adegua al nuovo corso de Il Morto, e quindi la trama non si conclude in un’unica uscita ma tocca aspettare il prossimo numero per sapere come andrà a finire! La frustrazione è aumentata dal fatto che in questa puntata ci sono più errori grammaticali del solito, alcuni particolarmente stridenti.
In appendice viene ospitata la storia breve La Notte del Custode: il testo di Matteo Boni è simpatico e abbastanza originale, i disegni di Simone Perlina sono invece piuttosto dilettanteschi, per quanto non disprezzabili e giustificati in certe semplificazioni e deformità dal tono grottesco.

mercoledì 20 febbraio 2019

Fumettisti d'invenzione! - 138

Mi permetto di integrare il divertente e interessantissimo volume di Alfredo Castelli con altri “fumettisti d’invenzione” e simili.
In grassetto le categorie in cui ho inserito la singola segnalazione e la pagina di riferimento del testo originale.

CARTOONIST COME PROTAGONISTA – SERIE (pag. 19)

EIGHTY NINE
(Italia 2017, © Kasaobake di Elena Toma, umorismo, surreale)
Lexy Mako [?]

Il misterioso Disegnatore, umano che si nasconde dietro le fattezze virtuali di un disegno stilizzato, crea la bella Eighty Nine: una creatura che, prigioniera nel Mondo a Scarabocchi, dovrà produrre tavole su tavole di fumetti fino a trovare il nuovo successo che renderà ricco e famoso il Disegnatore. Ma la storia sembra essere molto più complessa e drammatica di così.
Eighty Nine nasce online nel 2012 per il sito dell’autrice.

[TELEVISIONE] CARTOONIST COME COPROTAGONISTA OCCASIONALE (pag. 119)

THE AMAZING WORLD OF GUMBALL (Lo straordinario mondo di Gumball, Cartoon Network, Boing)
(USA 2011-in corso, 6 stagioni, 226 episodi)
Umorismo, Cartoon Network, creato da Ben Bocquelet

Le vicende scolastiche e familiari del gatto dodicenne Gumball e della sua famiglia composta da un papà e una sorellina conigli, una mamma gatta e un fratello adottivo pesce rosso.
Il cartone è realizzato con un originale mix di animazione canonica, computer grafica e riprese dal vero; ha una spiccata vena surreale (con qualche capatina nella metanarrazione) e tra i personaggi si possono vedere anche fiori, nuvole, sagome di carta e tirannosauri.

Episodio The Comic (2015)
Scritto da Ben Bocquelet, Louise Coats, Andrew Jones, Ciaran Murtagh, Ollie Neck, Tobi Wilson e Matt Zeqiri.

Sarah, un cono gelato antropomorfo (!) disegna un fumetto in cui ritrae Gumball come supereroe: LaserHeart. L’esaltazione per la celebrazione spinge Gumball e il fratello Darwin (ritratto nel fumetto come la spalla Sbaciucchione) a replicare le gesta di LaserHeart anche nella vita reale, con effetti catastrofici.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie
CITAZIONI, CARICATURE, CAMEI (pag. 61)

UNDERWORLD (IDEM)
(Stati Uniti 1992, in New York Press e SF Bay Guardian, © Kaz, umorismo nero)
Kaz [Kazimieras Gediminas Prapuolenis]

Una varia “umanità” di emarginati e criminali (ma ci sono anche animali antropomorfi) popola questa striscia underground in cui il gusto per il surreale stempera le situazioni più crude.
Ogni tanto compare anche l’autore in persona, opportunamente trasfigurato.


Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie
METAFUMETTI E AUTOREFERENZIALITA’ (pag. 64)

CRONACHETTE
(Italia 2007, © Nanni, tranches de vie, umorismo)
Giacomo Nanni

La vita di una gatta narrata giorno per giorno (originariamente sul blog dell’autore), con qualche occasionale inserto metafumettistico o qualche comparsata dell’autore stesso.

domenica 17 febbraio 2019

I Mondi di Thorgal 10 - Kriss di Valnor 4: La Montagna del Tempo

La Panini ha una grandissima considerazione delle mie facoltà mnemoniche, visto che propone questo nuovo dittico a tre anni di distanza dal precedente. Certo, è ovvio che vanno considerati altri fattori come il tempo materiale concesso al team originario per confezionarli, tanto più che la defezione di De Vita deve aver rallentato un po’ il ritmo di produzione con la ricerca di un degno sostituto dopo la toppa messa dall’onnipresente Surzhenko, ma il risultato non cambia e ci ho messo un po’ per raccapezzarmi.
Il primo episodio, quello che dà il titolo al volume, è marcatamente fantasy e vede la protagonista scalare insieme ai due comprimari Clay e Akzel una montagna magica che le permetterà di ricongiungersi col figlio Aniel superando le barriere dello spaziotempo, anche se nel corso della scalata dovrà affrontare la se stessa delle linee temporali divergenti in cui gli eventi hanno preso una piega diversa rispetto al canone della serie. Chiaramente questa è un’occasione per gli sceneggiatori Dorison e Mariolle di sfoggiare la loro conoscenza di tutta la saga di Thorgal. A circa un terzo dell’episodio la scena cambia e i riflettori sono puntati su Jolan e sulla guerra sanguinaria che sta conducendo contro Magnus, che potrebbe finalmente concludersi grazie all’intervento di un «Maestro di Giustizia» che tramite i suoi poteri tecno-magici li farà duellare in una giungla-arena appositamente predisposta. Cliffhangerone (in senso letterale) finale a cui per fortuna segue il secondo capitolo, ottavo della saga di Kriss di Valnor.
Ne Il Maestro di Giustizia si scopre che la “prigione” in cui sono confinati Jolan e Magnus era, come intuibile, frutto di tecnologia aliena e non di stregoneria, e alla fine i due risolvono la loro diatriba in maniera salomonicamente buonista. Dal canto suo, la titolare della serie supera la seconda tappa del suo viaggio e procede forse un po’ troppo rapidamente verso la conclusione del suo viaggio.
Le trovate fantasy non sono molto originali ma comunque ben condotte e abbastanza piacevoli da leggere – e poi è un genere in cui gli stereotipi sono quasi d’obbligo. Lo stile di scrittura della coppia Dorison-Mariolle lascia alcuni elementi all’interpretazione del lettore: gli stacchi tra alcune scene a volte non sono chiarissimi e vanno ricostruiti, mentre i dialoghi forse vorrebbero essere pregni di significato senza però riuscirci. Talvolta anch’essi vanno un po’ interpretati, visto che non sempre sono chiari e spesso sottintendono riferimenti a episodi precedenti. Questo decimo volume si fa leggere, ma senza entusiasmare.
Lo stesso discorso vale per il comparto grafico: a una prima sfogliata i disegni di Frédéric Vignaux mi sono sembrati molto belli ed efficaci, ispirati (probabilmente su indicazione dell’editore, io lo ricordavo più affine a Marini) a quelli di Giulio De Vita, ma al momento della lettura mi sono accorto che forse certe derive ipertrofiche erano un po’ eccessive, così come alcuni elementi (le montagne negli sfondi, lo squarcio nello spazio-tempo) non sono resi in maniera proprio ottimale. La convivenza negli stessi disegni di tratti molto sottili e di pennellate molto grasse li rende poi piuttosto sketchy, anche quando l’azione non lo richiederebbe. Stiamo parlando di una performance che è comunque di altissimo livello, e chissà a quante pressioni sarà stato sottoposto Vignaux (designato come successore di Rosinski nella serie madre), ma è anche vero che una saga di questa importanza richiede dei contributi eccellenti, non “solo” ottimi. Anche se è un discorso che fa a pugni con la politica spremitrice della Lombard.
Abbastanza buoni i colori di Gaétan Georges, splendide le copertine di Rosinski.
Visto che il primo dei due episodi ha una foliazione leggermente più generosa del solito (48 tavole invece di 46) la Panini ha colto l’occasione per rimpolpare un po’ il volume con sei pagine di studi e making of.
Seguito e conclusione di Kriss di Valnor (o almeno di questo arco narrativo) si vedranno nel 36° volume di Thorgal, quando si degnerà di uscire.

giovedì 14 febbraio 2019

Historica Biografie 22: Napoleone (prima parte)

Questo numero di Historica Biografie rappresenta uno spartiacque nella collana. Come da evidenza del flyer allegato, le uscite arriveranno almeno a quota 32 ma dopo la “Regina di Sangue” Cleopatra e qualche altro volume sparso è ormai conclamato che questa collana non sarà più il semplice corrispettivo italiano dell’Ils ont fait l’Histoire di Glénat.
Per quanto i volumi originali siano numerosi, un’uscita italiana mensile li sta esaurendo inesorabilmente, tanto più che prima del varo di Biografie i ritratti in più volumi venivano ospitati nella collana madre. Historica Biografie è stata insomma vittima del suo stesso successo, e adesso deve cercare altrove materiale con cui rimpolpare il parco dei suoi personaggi. Al di là di ogni altra considerazione qualitativa (che andrà ovviamente fatta di volume in volume), così si perderà la specificità della collana, ovvero il fumetto associato all’apparato redazionale – come appunto già successo con Cleopatra.
Questo ventiduesimo volume in particolare è un bello stacco rispetto agli altri. Il fumetto illustra la vita di Bonaparte (qui ancora Buonaparte) dal suo ingresso da bambino alla scuola militare di Brienne, che poi tanto militare non era, fino alla prima grande vittoria in Corsica nel 1793. Prima parte di una quadrilogia (!), è scritto con uno stile tanto classico da risultare vetusto. D’altra parte Pascal Davoz ha concretizzato un progetto di Jacques Martin, il padre di Alix, e ne ha ripreso lo stile con cui aveva scritto ad esempio Arno. La narrazione è molto scolastica, affidata a didascalie e compiaciuta di sviscerare episodi misconosciuti della vita del protagonista, spesso con citazioni dirette da diari o altre fonti. I dettagli vagamente scabrosi sono solamente accennati e quasi a ogni pagina c’è una nota sotto le vignette. I dialoghi sono infarciti di giochi di parole di difficoltosa traduzione in italiano, ma per fortuna un filo di umorismo affiora anche da altri particolari.
Quando ho visto il nome del disegnatore mi è venuto un colpo: “questo” Jean Torton è effettivamente Jeronaton, il pittore iperrealista che aveva realizzato L’Uovo del Mondo, Champakou e altri fumetti dell’epoca (e dello stesso spirito) di Metal Hurlant! Stavolta ha adottato un metodo di lavorazione molto più classico, disegnando al tratto le tavole e colorando poi i “grigi” a tempera, anche se è evidente in alcune vignette l’intervento del computer. È sempre bravissimo, ma si nota uno stacco tra le immagini basate su fotografie e le altre, meno efficaci. Coerentemente con lo spirito didascalico dell’operazione, le inquadrature sono tutte frontali senza mai forzare nemmeno un po’ la linea dell’orizzonte. Purtroppo la stampa presenta vari fuori registro e i neri non sono sempre centrati con i colori, col risultato di lasciarsi dietro quelle fastidiose sagome bianche che danno un effetto evanescente ai disegni.
Questo primo volume di Napoleone ospita un’appendice in cui Davoz spiega la motivazione che ha spinto alla sua realizzazione, ovvero riscattare la figura del condottiero sfatando alcuni falsi miti. Ci sono anche degli esempi di come Torton realizza le sue tavole, e un interessante scambio di mail con uno storico in merito alla documentazione iconografica.
Il fumetto in sé dura le canoniche 46 tavole di un albo francese, ma a causa dell’intervento di un interlocutore fuori campo sembra interrompersi a metà. Se sia un artificio retorico oppure il segno che un volume originale più lungo è stato scomposto in più parti lo scopriremo a breve: la seconda parte di Napoleone è annunciata per il 10 maggio.

mercoledì 13 febbraio 2019

Il primo gioco di ruolo?

La prima edizione di Kata Kumbas edita da Orion e distribuita da Bero Toys citava come precursore dei giochi di ruolo un gioco ispirato al Prince Valiant di Hal Foster, uscito addirittura negli anni ’50. Questo riferimento è poi scomparso nella versione della E. Elle: fu solo una svista degli autori, in un’epoca in cui non era così facile verificare di prima mano le informazioni, oppure è esistito veramente?

domenica 10 febbraio 2019

Caravaggio: La grazia

Pazzesco: non ho trovato la copertina della versione italiana in rete!
Si conclude in maniera sublime il Caravaggio di Manara, sospeso tra ricostruzione filologica e colta inventiva per colmare quei vuoti nella sua biografia dovuti alla vita errabonda che condusse negli ultimi anni. Michelangelo Merisi in fuga da Roma viene soccorso da una compagnia di saltimbanchi che, sotto le direttive della Contessa Colonna, lo curano e lo proteggono dalle attenzioni della giustizia nascondendolo a Napoli in attesa che gli venga concessa la grazia. Per averla dovrà produrre nuovi quadri ma, ansioso di mettere più terreno possibile tra di sé e le prigioni pontificie (o l’accetta del boia), il Caravaggio abbandona Napoli, dove è una vera star, per raggiungere Malta e unirsi all’ordine dei Cavalieri, in modo da vedersi così concessa automaticamente la grazia.
A La Valletta troverà un ambiente ambiguo: da una parte gli viene riconosciuto il suo immenso talento e gode delle protezioni giuste, dall’altra la confraternita rivela al suo interno dei membri che sono tutt’altro che fedeli agli alti ideali che portarono alla sua fondazione. Uno di questi diverrà la causa della sua rovina.
In fuga anche da Malta, approderà in Sicilia e qui andrà infine incontro al destino che hanno tramandato i libri di Storia dell’Arte.
Trattandosi di una vicenda frenetica e avventurosa, Manara adotta un tipo di narrazione diretta e coinvolgente, in cui i dialoghi dei personaggi chiariscono senza ombra di dubbio quello che vogliono fare e in cui non ci sono tempi morti, ma al massimo delle pause ragionate utili a creare tensione e a narrare alcune cose indispensabili per capire meglio i retroscena (come la scena della condanna in contumacia da parte dei Cavalieri di Malta). Tutti i personaggi in scena sono credibili e molto ben delineati, e il registro linguistico scelto da Manara è molto più efficace che nel primo volume. Il finale è molto emozionante pur nella sua apparente semplicità. È lodevole anche la capacità di Manara di ricostruire l’atmosfera di un’epoca con pochi dettagli selezionati, come il fetore caratteristico delle galee.
Graficamente c’è poco da dire: le tavole sono semplicemente meravigliose. Non solo esteticamente, ma anche per recitazione, dinamismo, scenografie, profusione di dettagli e scrupolo documentaristico. L’unico aspetto che convince di meno sono i colori, opera di Manara con la (immagino) figlia Simona: come nel primo volume i toni sono molto uniformi e piuttosto cupi, col risultato di rendere le tavole ben poco vivaci (quasi smorte) e un po’ monocordi. Ma almeno in questo episodio c’è una maggiore uniformità, mentre nel precedente gli interventi digitali erano molto più evidenti (anche se quel quadrato bianco sopra l’elmo a pagina 41 è sicuramente dovuto al processo di lavorazione col computer).
Forse a causa dell’intermediazione del computer nella realizzazione (o solo nella scansione?) delle tavole, il risultato stampato risente ogni tanto di una sgradevole retinatura e il segno non è probabilmente così marcato come lo era in origine. Peccato.
A integrare le tavole di Manara ci sono una vasta bibliografia, un glossario, la copertina della versione deluxe e un’introduzione a firma di Claudio Strinati da leggersi rigorosamente dopo il fumetto.

giovedì 7 febbraio 2019

Linus 2/2019

Avevo già pronto in canna un post dal titolo «capolinea» in cui spiegavo perché non avrei più preso, almeno non continuativamente, il Linus di Igort. Ma non ho saputo resistere alla splendida copertina di Bacilieri, sebbene latrice di funesti presagi, ed eccomi qua.
La copertina fa la sua figura anche fotografata dalla mia macchina digitale ormai agonizzante
Il tema di questo numero, come abbondantemente intuibile dalla copertina, è Miyazaki. Lo spazio che gli viene riservato tra fumetti e articoli è addirittura superiore a quello che qualche numero fa fu dedicato a Kirby, o almeno così mi è sembrato. Non tutto il male viene per nuocere, comunque, anche se un simile dispiegamento di forze per un autore argentino o francese mi sa che non lo vedremo mai.
Tra le proposte buone con punte di eccellenza di questo numero ci sono i classicissimi Peanuts e Calvin & Hobbes (mentre la lettura di Little Nemo in blocchi da 5/6 tavole a numero si sta rivelando faticosa), i classici moderni Mutts e Perle ai Porci, il delizioso Capitan Biscotto di Bacilieri, la Inkspinster di Deco (lentamente mi sta convincendo), l’incomprensibile ma suggestivo Miscellaneous di Viscogliosi, gli straordinari Literary (e anche Science) Cartoons di Gauld, l’originale La zuppa di pesce di Xiao Pao di Marino Neri e i “consigli per gli acquisti” in terza di copertina di Stefano Zattera, che meriterebbe la menzione nel sommario.
Le altre proposte necessitano di un commento un po’ più articolato. Carpinteri realizza una simpatica short story con News Generator, che però mi sembra essere come il suo intervento di due numeri fa un contributo in differita all’argomento dei mesi passati, visto che si parla di fake news. Immagino che sia stata una sciocchezza con l’ausilio del computer inserire all’ultimo momento nella prima tavola il cartellone pubblicitario con Miyazaki. Igort in persona recupera uno stralcio dei suoi Quaderni giapponesi in cui narra l’incontro con il Sommo, mentre Moccia e Guarnaccia descrivono invece L’incontro tra Lui e Isao Takahata; ma lo fanno senza scadere nell’agiografia, confezionando invece una simpatica storiellina in cui vengono messi bonariamente alla berlina certi difetti dei protagonisti e del sistema produttivo nipponico: è questo il male che non ha nuociuto, come dicevo in apertura. Peccato che le tavole siano state scansionate malissimo.
Eleonora Antonioni continua la sua autobiografia da «inadeguata» parlando dell’influsso che Miyazaki ha avuto sulla sua vita, o almeno in alcuni dei suoi aspetti. Continua a usare quelle maledette penne biro ma fortunatamente deve essersi resa conto di quanto risultino freddi i suoi disegni, e alcune immagini possono beneficiare (vivaddio) di un tratto più grosso e modulato. Purtroppo sono riuscito a malapena a capire le intenzioni di Toffolo nel realizzare Hobby in vita, con due tavole che non sembrano nemmeno collegate tra di loro – e la prima è pure stampata peggio della seconda, come se provenisse da una fonte distinta. I disegni, almeno, sono belli.
Passando a quello che mi ha convinto di meno (Barnaby saltato a piè pari), Giochi Sovranisti di Tartarotti è un giochino divertente che però dopo un po’ stufa, e che oltre a colpire un bersaglio sin troppo facile non è nemmeno originalissimo: l’idea del politico-pupazzetto buono per ogni occasione c’era già in una trasmissione della Dandini, quella volta “dedicata” a Berlusconi. I bei disegni di Simona Pace illustrano ne Gli allevatori una storia apparentemente suggestiva che però avrebbe meritato di essere sviluppata in 46 tavole, non in 3. A meno che, visto l’andazzo di questo Linus, non sia effettivamente un estratto di un volume più corposo da acquistare a parte, come nel caso del conclusivo Cortázar di Torices e Marchamalo, che occupa un po’ abusivamente lo spazio della storia lunga autoconclusiva in appendice – e francamente è pure poca cosa, se non una perfetta incarnazione dello spirito della rivista: dare solo assaggi dei fumetti che la Oblomov (o chi per essa) pubblicherà in volume.
Si continua a navigare a vista, tutt’al più a volare a vista come recita il sopratitolo di questo numero.

lunedì 4 febbraio 2019

Volt Stagione 2 1: Un Giorno da Rex

Torna il simpatico robottino fumettista per ispirazione ma commesso di fumetteria per necessità (e per l’influsso di forze occulte).
In questo episodio, come evidente sin dal titolo e dalla copertina, i riflettori sono puntati principalmente sul molestissimo T. Rex, ma la trama generale si apre a nuovi orizzonti e c’è forse anche una punta di amara riflessione sui disastri che le persone più vicine possono fare nella vita dei familiari “per il loro bene”. Dopo l’orgia citazionista un po’ fine a se stessa degli ultimi numeri, Volt ritorna a un alto livello, con scenette molto divertenti e un bel campionario di varia umanità. Mi sembra che TheSparker sia ulteriormente migliorato nel disegno, inoltre la particolare struttura delle tavole, che a volte arrivano a contare addirittura cinque strisce, garantisce un tempo di lettura molto alto.
Tiberius Rex ha litigato coi genitori ed è andato a vivere nella fumetteria dove lavora Volt, all’insaputa di quest’ultimo. Il dinosauro rompipalle conosce tutta una serie di passaggi segreti che lo riportano in fumetteria dopo le periodiche cacciate. La situazione si risanerà dopo un bel po’ di fatica e una ricognizione sulla particolarissima visione del mondo di Rex, mentre una figura inquietante (oddio, “inquietante”…) si profila all’orizzonte di Volt.
Come al solito il volumetto è integrato da altro materiale oltre alla serie del titolare. Le strisce con le storie vere raccontate da edicolanti e gestori di fumetterie sono sempre spassosissime, ma la vera chicca di questo numero è L’Uomo Pigro. Parodia dell’Uomo Tigre (sottotitolo: «The Tired Man»), è un maiale wrestler che coerentemente col nome non si sposta di un millimetro e non spreca nemmeno il fiato per rispondere in dettaglio alle domande degli intervistatori. Lo spazio dedicato a questa new entry è piuttosto consistente (8 pagine con 4 strisce ciascuna, tranne la prima) e oggettivamente il soggetto di partenza si presterebbe a esaurirsi presto, eppure TheSparker non sbaglia una battuta, tanto che per immediatezza e originalità forse L’Uomo Pigro è addirittura superiore al titolare ma ovviamente dovremo riparlarne quando l’effetto della novità sarà esaurito.
La seconda stagione di Volt si preannuncia insomma addirittura migliore della prima.

venerdì 1 febbraio 2019

Historica 76: Roma Antica - Alix Senator 1: I demoni di Sparta

Toh, che sorpresa: dopo essere stato presentato in volumi singoli sull’altra collana Prima adesso su Historica fa il uso debutto Alix Senator, lo spin off della saga storica ideata da Jacques Martin che segue le vicende dell’Alix adulto divenuto senatore di Roma. Forse sarebbe stato meglio ristampare in un’unica soluzione i tre volumi già editi, anche se mi rendo conto che i lettori che già li hanno non sarebbero stati contenti. Ma d’altra parte se Prima ha chiuso i battenti evidentemente i suoi lettori non dovevano essere molti.
Dunque, Alix è diventato senatore e continua a scorrazzare per l’immenso Impero Romano coinvolto in avventure e complotti. Ad accompagnarlo ci sono lo schiavo Xanto e i due figli Tito e Chefren, quest’ultimo adottato e figlio naturale del suo amico storico Enak. Da quello che ho potuto giudicare dei due volumi qui raccolti, questo “nuovo” Alix riprende la struttura di quello classico, peraltro ancora in produzione: ogni episodio è formalmente autoconclusivo ma in realtà sono tutti collegati, grazie a personaggi che ritornano o per i semi di una storia che vengono gettati al termine della precedente.
Ne I demoni di Sparta Alix va in Grecia a indagare sulla scomparsa dei Libri Sibillini: l’imperatore Augusto aveva mandato un suo manipolo a prendere questi testi profetici per trasferirli a Roma, ma i suoi uomini sono stati sterminati da ribelli che rimandano per costumi e agire agli antichi spartiati. La Grecia è una terra conquistata e piegata dal dominio romano, e forse come dice Brancato nell’introduzione la Mangin ha voluto sottintendere un parallelo con la situazione politica attuale. L’indagine sarà meno semplice del previsto, con alcuni colpi di scena e voltafaccia.
Ne Il ruggito di Cibele sono i due figli di Alix i veri protagonisti. Irretito dal responso della Pizia nell’episodio precedente e forte di quanto ha letto nell’ultimo Libro Sibillino, Chefren si reca in Asia Minore, a Pessinunte, ossessionato dall’idea di incontrare la dea Cibele e divenire potente e immortale. Gli eunuchi che fanno la guardia al suo tempio sono però inamovibili e nel quadro si inserisce un’affascinante ragazzina di cui si innamora Tito la quale, guarda caso, si è data al taccheggio dopo che la sorella è scomparsa misteriosamente proprio in circostanze che riguardano i seguaci di Cibele. L’intervento di Alix, che comparirà solo a un terzo dalla fine del volume, scioglierà i nodi. Questo secondo episodio è ancora più coinvolgente del primo, e presenta un incredibile colpo di scena che riguarda Chefren, al quale tocca una sorte ben infelice – salvo rettificarla in futuro, ma la Mangin dovrebbe fare un bel salto mortale.
Lo stile di Valérie Mangin è un piacevole mix di ricostruzione storica (con un po’ di infodumping nei dialoghi, ma nulla di pedante) e avventura, nel solco della tradizione inaugurata da Martin. La cura dei dettagli si nota anche nella ripresa di personaggi classici della saga, anche loro ovviamente invecchiati come il protagonista. Come segnala Brancato nell’introduzione, il tono di Alix Senator è un po’ più cupo rispetto a quello della saga principale, riflettendo la maturità del protagonista anche nei temi che affiorano. La fedeltà alla struttura classica della BéDé, i volumi da 46 tavole l’uno, e la necessità di modernizzare il tutto con poche didascalie rendono a un primo impatto poco credibili certe sequenze: davvero era possibile per un manipolo di 50 soldati romani, per quanto bene addestrati, sconfiggere così facilmente 300 opliti? E per far fuggire un gruppo di leoni famelici bastava sbattere le spade tra di loro? In realtà di entrambe le scene vengono fornite le dovute spiegazioni (magari tra le righe) ma a un primo impatto risultano un po’ inverosimili nella frenesia con cui ci sono state mostrate.
I disegni di Thierry Démarez sono stupendi. Partendo evidentemente da fotografie, ha realizzato delle tavole dettagliatissime e ineccepibili dal punto di vista anatomico e paesaggistico, ma anche estremamente dinamiche ed espressive. Anche i suoi colori sono ottimi, ma diventano solo buoni con Il ruggito di Cibele. Qui infatti ha cominciato a usare il computer per colorare e pur rimanendo su livelli alti la differenza con l’acquerello si nota. Inoltre, forse pressato dalle scadenze o forse con la speranza di ottemperare alla cosa in fase di colorazione, i suoi tratteggi si sono fatti meno presenti e in alcuni casi sono stati affastellati senza l’armonia vista ne I demoni di Sparta; questa differenza si può cogliere nei dossier conclusivi, in cui alcune delle sue vignette sono riprodotte solo al tratto senza colore.
Il volume si conclude appunto con un’appendice di 16 pagine (8 per episodio) in cui vengono approfonditi gli argomenti trattati nei singoli episodi. Molto interessante quello dedicato ai culti orientali che si diffusero nella Roma imperiale.