domenica 28 febbraio 2016

I pirati: strafottenti o rincoglioniti?

Me lo sono chiesto al termine della lettura del primo episodio raccolto in Barbarossa Integrale 3: Il Vascello Fantasma, in cui Eric incalza il buon Zampalesta ripetendo a pappagallo quello che ha appena detto:
Ciò detto, a 24,90 euro il bel volume edito da NonaArte merita abbondantemente l'acquisto e mi pare che la collana abbia pure riscontrato un certo successo visto che ne sono già usciti tre numeri e un quarto è stato annunciato.

venerdì 26 febbraio 2016

Michel Vaillant Nuova Stagione 4: Collasso

Episodio decisamente interlocutorio quello presentato nel quarto volume della nuova serie di Michel Vaillant. La storia verte sul tentativo di acquisto della Leader da parte di Jean-Pierre, che riveste il ruolo di protagonista al posto del titolare, che fa poco più di una comparsata.
La scalata alla Leader si rivelerà assai meno facile del previsto, mettendo in campo un complotto finanziario che per me che non capisco molto dell’argomento è degno di Largo Winch. Collasso è serrato e avvincente e la frenetica e disperata ricerca di un fiduciario da parte di Jean-Pierre alle pagine 24 e 25 non è meno appassionante della gara di Michel che si svolge in sottofondo, anzi.
Un’altra grande prova di Graton figlio e di Denis Lapière è rappresentata dall’abilità con cui sono riusciti a rendere l’umanità dei personaggi, ognuno dei quali è una figura a tutto tondo ben lontana dagli stereotipi monodimensionali che a lungo sono stati nella prima serie.
Ciò detto, e apprezzando anche i riferimenti alla saga precedente (Jean-Pierre che ricorda quand’era il corridore misterioso de Il Pilota senza Volto), questo Collasso si legge troppo in fretta, paradossalmente anche in virtù dei suoi pregi, e l’ormai inevitabile cliffhangerone finale lascia una sensazione di sospensione che è frustrante sapere non potrà essere appagata prima di un anno.
A una prima occhiata la parte disegnata da Bourgne (Benéteau si occupa dei veicoli) può sembrare scarna ma la lettura procede con grande piacevolezza ed efficacia, e il disegnatore riesce a trasmettere alla perfezione i sentimenti dei personaggi con un semplice corrugamento della fronte o con la tensione del muscolo di una guancia.
La qualità di stampa è ottima e apparentemente l’assenza della carta patinata è meno traumatica rispetto al volume precedente, ma le tavole più scure ne sono comunque penalizzate.

giovedì 25 febbraio 2016

Eugenio Sicomoro Artbook

L’ho ordinato pensando che le dimensioni fossero un refuso e invece sono corrette. Ce ne vuole di coraggio a presentare come “artbook” un volumetto dalle miserevoli dimensioni bonelliane 16x21 (anzi, credo addirittura 15x21 a giudicare dalla differenza con i fumetti bonelliani su cui l’ho appoggiato…) ma tant’è. È vero che la carta è patinata e bella pesante ma il formato striminzito pregiudica la ripetuta apertura del volumetto, tanto più che le pagine non sono cucite e rilegate sul dorso ma solo fresate e incollate.
Vabbè, per Sicomoro questo e altro. Eugenio Sicomoro è infatti uno di quei disegnatori talmente bravi da irritare gli addetti ai lavori che pur di denigrarlo adducono una leziosità e un’inesistente inespressività dei suoi lavori dovuta alla cura maniacale con cui li realizza. Uno di quelli che piacciono a me, insomma. È anche vero che l’ho pizzicato a copiare Sorayama ma lo hanno fatto tanti scalzacani peggiori di lui e come direbbe Frank Miller (altro saccheggiatore) «ne ho perdonati di peggiori».
Temo che non vedremo molto presto altri suoi lavori in Italia dopo le ristampe western su Lanciostory Maxi e Skorpio Maxi e dopo l’eccellente La Porta per il Cielo di cui aspettavo il finale dal 2009 o giù di lì, quindi pur di avere ancora qualcosa di suo va benissimo anche questo cataloghino edito da J&I Edizioni. Ovviamente visto il formato di illustrazioni propriamente dette ce ne sono poche, e il 15x21 non rende loro del tutto giustizia, quindi la compilazione del materiale ha privilegiato schizzi, studi e singole vignette estrapolate dalle tavole.
Il primo impatto non è stato entusiasmante visto che parecchio materiale è già conosciuto agli appassionati di Sicomoro: alcuni studi di vignette e tavole finite per Marc Jourdan, La Porte au Ciel e personaggi della scuderia Bonelli, ma a ben guardare questo “artbook” riserva più di una sorpresa. Innanzitutto delle vignette inedite che sembrano appartenere a una storia dalle atmosfere simili a quelle di Uomini e Topi di Steinbeck o I Giorni del Cielo di Malick. Ignoro se si tratti di un progetto abortito oppure se si concretizzerà veramente; di sicuro le abbondanti anticipazioni di Le Barque des Millers d’Années preludono a un prossimo albo scritto ancora una volta dal bravissimo Makyo. Oltre a questi dietro le quinte il volumetto va a ripescare anche un paio di bellissime vignette per la versione a fumetti di Robinson Crusoe realizzata per Dargaud e credo inedita in Italia. Una vera rivelazione è stato il Sicomoro umoristico, di cui sono presenti pochi ma stupendi esempi, come l’ironico autoritratto a corredo della biografia. Le spettacolari dedicaces e commission, poi, ovviamente non si possono vedere altrove che qui.
È interessante inoltre scoprire una particolare tecnica adottata da Sicomoro per il disegno a matita: in alcuni casi incide la carta in modo che in corrispondenza dei tagli figurino dei tratteggi bianchi.
Oltre alla biografia in appendice (sul serio Sicomoro ha lavorato per L’Intrepido? Non lo sapevo), proposta anche in francese visto che quello è il mercato di riferimento dell’autore, non c’è lo straccio di uno scritto. Il volumetto è realizzato in collaborazione con la galleria d’arte/libreria dell’Arco e se non sbaglio Giampiero Mughini è un collezionista di Sicomoro: possibile che non sia stato possibile trovare qualcuno che scrivesse due righe?
A conti fatti 16 euro per un volumetto del genere sono probabilmente troppi, anche se la tiratura limitata e il fatto che la mia copia sia la 119 su 130 (l’ho presa quasi per un pelo!) ne fanno un prodotto esclusivo oltre che bello.

martedì 23 febbraio 2016

Falleció Leopoldo Durañona.

Gerardo Canelo mi ha girato la seguente comunicazione:

Simplemente avisarles que en el dia de hoy en San Luis, ha fallecido a los 77 años el maestro Leopoldo Durañona (1938/2016).

Durañona era un disegnatore molto particolare, per essere argentino. Di scuola brecciana (si può trovare un esempio di questo suo stile in una storia pubblicata su Sgt. Kirk), ebbe contatti con il mercato nordamericano prima di tanti altri connazionali e lo sviluppo del suo stile ne fu influenzato, adottando alcune soluzioni grafiche tipiche della Warren dei tardi anni '70 e degli artisti che la animavano.
Nei primi anni '80 l'Eura pubblicò diversi suoi lavori decisamente sperimentali, in cui faceva ricorso anche a collage e fotografie. Non so quanto la qualità di riproduzione ne fosse responsabile, ma accanto a felicissimi esiti iperrealistici ci furono anche risultati in cui la lettura dei disegni risultava un po' difficoltosa con tutte quelle masse di nero.
Nel corso degli anni il suo stile si fece sempre più personale fino a diventare molto scarno, tanto che su Fumo di China venne accusato di disegnare ormai solo storyboard, come nel caso di Construct scritto da Paul Jenkins. Il punto è che Durañona gli storyboard li disegnava sul serio: saltai sulla poltrona del cinema quando vidi il suo nome nei credits di Sky Captain and the World of Tomorrow.
Ho sempre trovato che Guy Davis disegnasse come il Durañona maturo, e finché non avrò evidenza del contrario rimango convinto che fosse uno pseudonimo usato da Durañona.
Non riesco più a risalire al suo sito o blog, quindi non riesco ad avere la certezza che alcune delle storie molto originali e ironiche (di un'ironia spesso macabra) che disegnò le avesse scritte lui, in ogni caso erano un bel leggere.
Mi sarebbe piaciuto intervistarlo, e da qualche parte dovrei avere ancora un suo indirizzo mail. Ormai non sarà più possibile, peccato.

lunedì 22 febbraio 2016

Intervista a Walter Chendi

Walter Chendi è nato nel 1950 a Trieste, dove risiede attualmente, e dopo passaggi su Fumo di China e soprattutto su Comic Art (per cui ha prodotto principalmente la serie Nuvola Rossa, interessante esercizio di stile in cui il tema del titolo veniva interpretato in maniera diversa di episodio in episodio) ha adattato la sua produzione alle mutate condizioni del mercato italiano realizzando dei volumi a fumetti nel formato “graphic novel”: con Rizzoli Lizard pubblica Vedrò Singapore? (2004, tratto dal romanzo omonimo di Piero Chiara), Mont Uant (raccolta di tre storie, 2005) e EstNordEst (2007). Nel 2010 pubblica La Porta di Sion con Edizioni BD, opera con cui vincerà il prestigioso premio Gran Guinigi per la Migliore Storia Lunga.

Oltre a questi lavori di più ampia diffusione ha realizzato anche materiale dedicato alla realtà locale e dopo le prime vignette e strisce realizzate in gioventù ha fatto uscire con due editori diversi la sua versione a fumetti delle Maldobrìe di Carpinteri & Faraguna.
Il suo ultimo lavoro in uscita il 25 febbraio con Tunué è la storia lunga Maledetta Balena: oltre alla recensione che leggerete su Fucine Mute l’occasione è buona per fare due chiacchiere con l’autore.

Da quanto si può vedere sul tuo sito, mi pare di capire che Maledetta Balena ha avuto una gestazione piuttosto lunga (se ne trovano tracce anche in un post di tre anni e mezzo fa): in totale quanto tempo ci hai dedicato tra la stesura del soggetto alla realizzazione vera e propria?

        È vero, mi sono concesso un tempo piuttosto lungo nella realizzazione. La prima idea nacque nel marzo del 2011 mentre stavo per pubblicare una raccolta di racconti dal titolo "Sessanta Quaranta" assieme a Roberto Franco. Sono quindi passati cinque anni, ma la balena finì di nuotare a casa mia nel giugno del 2013. Diciamo quindi che ci ho messo più di due anni a concluderla.
        Molto tempo, poi, fu dedicato a spedizioni, attese, altre spedizioni, altre attese. Se dovessi giustificarmi direi che per i nove mesi seguenti lavorai al primo tomo, 54 pagine, di "Rasca", una storia con protagonista il Simplon Orient Express. Poi mi montai la testa e scrissi un romanzo. Avrebbe dovuto essere l'ennesimo fumetto autoconclusivo, ma, scrivendo la sceneggiatura, ci presi gusto ed il risultato diventò "La tigre del circo svedese", 160 pagine.
       Quando, nel giugno del 2015, Massimiliano Clemente mi scrisse che la balena sarebbe potuta uscire in mare aperto nella primavera del 2016, fui contento; ho sempre reputato la Tunuè una casa editrice seria e meritevole dei molti premi ricevuti negli anni.

Sessanta Quaranta lo conosco, oltre ai racconti ci sono anche delle illustrazioni tue. La tigre del circo svedese invece confesso che mi giunge nuovo… chi e quando lo ha pubblicato?

       Beh, ho confessato d’aver scritto “La tigre”, non d’averla pubblicata. Come mi è già capitato di dire, io disegno e scrivo perché non posso farne a meno e finchè avrò cassetti capienti, occhiali puliti e una moglie comprensiva continuerò a farlo. “Rasca” si trova nel cassetto vicino, assieme alla sceneggiatura della sua seconda parte e alcuni dialoghi della terza.
       
La documentazione riveste un ruolo fondamentale in Maledetta Balena, come testimoniato anche dalle planimetrie e dagli schizzi in appendice al volume. Ti ha portato via molto tempo?

        Non direi che la documentazione porti via del tempo. È una parte fondamentale per la costruzione del racconto. Trovare un particolare specifico può portarti da una parte anziché da un'altra. Ti posso confidare che l'idea di un'azione e di una battuta, tra le pagine 19 e 20, mi è stata suggerita da una fotografia nella quale mi sono imbattuto mentre cercavo come si vestiva una contadina del 1940. Ma, per tornare al punto, posso rispondere che la ricerca, fondendosi con la sceneggiatura è durata, per le 142 pagine finali, dai due ai tre mesi. La parte più lunga è stata, forse, la "costruzione" della nave. La storia si basa sulla vera Stockholm, ma non ci sono foto degli interni, a parte un paio di una cabina, o progetti disponibili, perciò ho dovuto farmi dottor Frankestein e creare la mia Kosbörg con i pezzi di molte navi passeggeri dell'epoca.    

Ho notato una netta evoluzione stilistica rispetto alle tue storie più vecchie, come la serie di Nuvola Rossa: mi sembra che qui la linea chiara sia stata integrata da dettagli, anche il colore è più materico e gli elementi caricaturali si sono fatti più rari. Dando per scontato che un’evoluzione stilistica è quasi sempre inevitabile (ed era già in corso nei tuoi ultimi lavori), è una svolta che hai voluto e ricercato o come a volte succede il tuo stile ha preso quella direzione naturalmente?

        Beh, se non ci fosse stato alcun cambiamento in più di vent'anni mi meraviglierei molto. Il disegno può migliorare (spero che evoluzione sia sinonimo di miglioramento) per molti fattori. In questo caso lavorare in A3 anziché in A4, usare punte più fini e intestardirsi sul risultato, ha la sua importanza.

Sul serio lavoravi in A4? Praticamente è la dimensione reale di una pagina di rivista! Con l’A3 mi immagino le difficoltà a trovare uno scanner adeguato, ammesso che scansioni le tavole (Philippe Druillet che disegnava su fogli enormi se le faceva fotografare). Hai parlato di “punte”: che strumenti usi, il Rapidograph?

        Lavoravo in A4 ed il nero risultava un po’ ingombrante. Ora disegno ancora in A4,  porto la misura in A3 per l’inchiostrazione, mi crogiolo nei particolari e nelle espressioni con pennarelli dallo 0,05 allo 0,3 e riporto a una teorica misura di pubblicazione per colorare. Alla fine, una vita dopo, infilo tutto nel cassetto di cui sopra.

Il computer… lo usi per una questione di comodità o per ragioni stilistiche, magari perché certi effetti si possono ottenere solo col computer?

        Ah, il computer! Ho cominciato ad usarlo convinto di velocizzare il lavoro.
Non cerco gli effetti speciali, non m'interessano. La possibilità d'ingrandire l'immagine mi ha portato però, alcune volte, ad un livello maniacale. Esempio: in un'inquadratura del volume "Mont Uant" spuntava, da sotto un telo, una banconota indocinese del 1955. C'erano dei contadini che raccoglievano e portavano dei sacchi, c'era la risaia, il fiume, il valore, il testo, i colori esatti. Quando finii, un paio d'ore dopo, ero proprio soddisfatto di quei 4 millimetri per 6! Tornerei volentieri alle tempere, agli acrilici e alle matite colorate.

Hai mai usato gli acquerelli? Mi era sembrato che usassi quelli (o comunque un medium liquido tipo chine o ecoline) in alcuni lavori.

No, gli acquarelli no. Avevo cominciato con le ecoline, poi ho aggiunto delle tempere ed un po’ di candeggina. Per i miei quadri utilizzavo gli acrilici e mi venne la pazza idea di fare tutto un fumetto con quel medium. Avevo visto Segrelles ed i suoi olii e volli tentare. Feci la prima stesura di EstNordEst tutta in acrilico su carta. Un lavoro pazzesco che ora riposa nascosto in una borsa dietro la scrivania. Qualche anno dopo rifeci tutto in un formato più adatto, colorando con il computer come avevo già fatto per Vedrò Singapore? e Mont Uant.

La citazione di Vicente Segrelles ti fa onore: notoriamente i fumettisti non leggono fumetti. Cosa leggi di solito? Quali sono i tuoi autori preferiti, se ce ne sono?

Cauuet: confesso che non lo conoscevo
Ammetto anch'io di non essere un gran lettore di fumetti; credo di avere meno di 200 album nella mia libreria. Come quasi tutti, fui segnato dai fumetti che leggevo da ragazzino: L'uomo mascherato, gli Albi del Falco con i Nembo Kid e poi Blake e Mortimer. Fui affascinato dal bianco e nero di Attilio Micheluzzi, dal primo Giuseppe Bergman di Milo Manara, dalla Rapsodia Ungherese e dal Sam Pezzo bolognese di Giardino. Più vicini nel tempo ho amato i personaggi di Baru, la lucida magia di Gradimir Smudja con il suo Vincent, i due volumi del Rinvio e la serie Matteo di Gibrat, quel gran raccontatore di Gipi, Arthur De Pins, simpatico favoliere, e tra i disegnatori Serpieri, Sicomoro, Alemanno, Alberti, Meyer, Quintanilha, Christophe Bec, Cauuet e moltissimi altri che non ho letto, ma che ho visto sui siti dedicati. Invidio la capacità di sintesi grafica e colorista di alcuni americani e inglesi. Autori preferiti... la lista sarà sempre monca, continuerò a scoprirne altri.     

In Maledetta Balena utilizzi delle onomatopee molto originali e colorate, in alcune sequenze non credo sia esagerato definirle psichedeliche. Una scelta di questo tipo si era già vista nelle Maldobrìe, ma quello era un contesto umoristico: qui hai fatto ricorso a questo espediente per stemperare certe scene un po’ crude?

In quel periodo avevo letto un paio d’articoli sul lettering. Marco Pellitteri aveva scritto, tra le altre cose, questo: “… oltre alla ricca varietà di rumori e suoni consolidati, normalmente usati dalla maggior parte degli sceneggiatori e dei letteristi, è possibile anche inventare nuove «parole» per comunicare vecchi e nuovi suoni…”
Ebbi voglia d’impegnarmi di più su quei segni. Volevo vedere i suoni e ho usato il colore anche per qualche testo nei balloon. Vorrei sottolineare, con assoluta neutralità, che la sceneggiatura non era per niente semplice e credo d’aver disegnato tutto quel che ho potuto per rendere fluido il racconto.

Tu hai vissuto dall’interno la gloriosa stagione delle riviste d’Autore: cosa ricordi di quel periodo?

Oh, dall'interno! Uno che vive e lavora a Trieste non è mai "all'interno". Ho venduto alla Comic Art alcuni raccontini che servivano alla rivista di Traini come tappabuchi. Non ho mai visto la redazione, ho parlato una sola volta con Oscar Cosulich, il direttore responsabile, e cinque o sei volte con Rinaldo Traini, il capo. Ricordo il grande impegno; per alcune "Nuvola rossa", così s'intitolava quella serie, impiegai anche quasi due mesi. Quelle tre, quattro pagine furono le radici del metodo che misi in pratica in ogni altro lavoro: lento. Ricordo le insistenti telefonate a Rodolfo Torti che aveva il compito di programmare la costruzione dei numeri. Penso di avergli rotto le scatole alcune volte, ma fu sempre gentile, tenendo conto che aveva gente del calibro di Crepax, Cavazzano, Tardi, Boucq, Eisner, Otomo, Toppi, Rotundo, Baldazzini, Micheluzzi, Magnus e se stesso, da impaginare.
Il periodo delle riviste, a detta di tutti, fu un bel tempo. C'era spazio per chi stava cominciando, per il lettore era un gran supermercato. Con poco ti potevi fare un giro nella 9a arte migliore. Ci arrivai alla fine, o quasi. Poco dopo, ad una ad una, chiusero.

Classica domanda di fine intervista: a quali progetti stai lavorando attualmente? Immagino che uno sia il Rasca che hai citato all’inizio.

La storia di Rasca mi è piaciuta da subito. L'idea germinale è di vent'anni fa. Ci sono cose che tieni per te per tutta la vita avendo paura di rovinarle. Forse "Rasca" è una di quelle. 
Il progetto al quale lavoro di più si chiama Gaia ed è mia nipote, ma continuo a scrivere... cassetti capienti, occhiali puliti, moglie comprensiva, ricordi?

lunedì 15 febbraio 2016

ricevo e condivido




Indieversus sostiene i fumetti online!
L'unico sito che porta gli autori di webcomics a casa del pubblico.


Da Febbraio 2016, sul sito internazionale www.indieversus.com, riprenderanno gli eventi online in cui il pubblico dei webcomics potrà incontrare artisti di tutto il mondo.

Come per gli eventi di novembre, il pubblico che compra il biglietto ha accesso ad una Streaming Room: osserva il proprio autore preferito mentre disegna dal vivo ed è in grado di chattare con tutti e fare domande, esprimere apprezzamento e sostegno.
Chiunque acquisti i biglietti sostiene in maniera diretta l'autore, che percepisce una percentuale sul totale venduto.
Alla fine di ciascuna sessione di streaming, e a seconda del tipo di biglietto acquistato (a partire da 3$), il pubblico riceve una ricompensa per il sostegno dato all'autore: opere firmate e dedicate, capitoli inediti, volumi cartacei e opere originali che gli autori si impegneranno a spedire ai soli partecipanti delle live.
Sono regali esclusivi e da collezione, messi a disposizione dagli stessi artisti.

I nuovi eventi di febbraio 2016.

Il mese di Febbraio presenta un nuovo tipo di evento: un format doppio in cui due autori disegnano
contemporaneamente in diretta streaming.

 I protagonisti dei nuovi incontri, tutti trasmessi a partire dalle 21:00, sono:

    Manuela Soriani e Laura Carboni, disegnatrici, insieme alla sceneggiatrice Francesca Da Sacco per il fumetto Samsara.
Lunedì 15 Febbraio 2016 – 09.00 pm Central Europe Time (GMT+1)
    Giulia Fragola e la Asu, autrici che disegneranno in coppia presentando i rispettivi fumetti: Miss Hall e 2FindU.
Lunedì 22 Febbraio 2016 - 09.00 pm Central Europe Time (GMT+1)
    Simone Delladio, disegnatore di Paranoid Boyd, insieme allo sceneggiatore e creatore della serie Andrea Cavaletto.
Martedì 1 Marzo 2016 - 09.00 pm Central Europe Time (GMT+1)

Questi tre nuovi eventi in streaming sono la continuazione del progetto Indieversus, che vuole far conoscere nuove realtà del panorama indipendente del fumetto attraverso incontri tra autori internazionali e il loro pubblico, creando un luogo virtuale per incontrarsi, interagire e scambiarsi esperienze, il tutto comodamente da casa.

Gli incontri nascono dall'esigenza da parte di lettori ed autori di stringere un legame più forte. Noi di
Indieversus siamo consapevoli dell'importanza dell'incontro fra queste due figure per un più saldo coinvolgimento e scambio reciproco, grazie al quale un webcomic può vivere nel tempo garantendo la “fumettodiversità” nel panorama nazionale e oltre.

Per ogni informazione o domanda: info@indieversus.com
Per rimanere sempre aggiornati sui nuovi eventi: http://eepurl.com/bF_Gb

Grazie per l'attenzione e vi aspettiamo nell'universo del fumetto online!

Il Team di Indieversus

domenica 14 febbraio 2016

Paperi: PaperUgo

L’antefatto non è poi così inconsueto: il collo della spedizione in cui c’era roba per me si è perso o è in ritardo e quindi dovrei uscire dalla fumetteria a bocca asciutta. Non mi rassegno a questa eventualità tanto più che la copertina livida di Paperi occhieggia in maniera invitante. A sfogliarlo in velocità sembra interessante, mi sembra di tornare indietro ai tempi di Schizzo Presenta e il prezzo è basso (3 euro), così mi porto a casa quella che sembra una originale parodia Disney. Ma non lo è per nulla, una parodia Disney. Se lo avessi maneggiato con maggiore attenzione avrei visto che in quarta di copertina campeggia il monito «adatto a un pubblico maturo». Giustificatissimo.
Paperi racconta le tribolazioni esistenziali di PaperUgo, ricalcato sulle fattezze opportunamente deformate e corrotte di Paperoga. In questo universo narrativo i paperi sono una moltitudine che sottostà al dominio dei ratti, per cui recitano dei copioni fatti di una positività e di una melensaggine che sono del tutto assenti nella loro “vera” vita. Tanto per mettere in chiaro le cose, sulla porta del camerino di PaperUgo campeggia una stella di David.
Il protagonista è affetto da una grave depressione. Mangia a stento, coglie nei gesti più casuali degli altri delle dichiarazioni di odio nei suoi confronti, reagisce in maniera esagerata a situazioni a malapena imbarazzanti e in definitiva non possiede alcuna autostima e vorrebbe solo sparire ma rendendosi conto della propria apatia si disprezza ancora di più.
La scrittura di Marco Rincione è efficace e coinvolgente nel rappresentare questa discesa (o meglio stagnazione) negli inferi, ed è difficile rimanere indifferenti alla scena del supermercato in cui un ratto prepotente acquista per cena un cucciolo d’anatra sotto gli occhi di PaperUgo e del cassiere, anch’egli un’anatra. Ai disegni Giulio Rincione riesce a usare con molta più creatività di altri autori gli strumenti che il computer gli offre, e oltre ai vari virtuosismi ho apprezzato l’utilizzo di fotografie bene amalgamate col resto sempre nella lunga sequenza del supermercato.
Operazioni come questa, però, mi lasciano perplesso. Come diceva Carlos Trillo è più facile scrivere L’Anno scorso a Marienbad piuttosto che un film “normale” (non ricordo quale usasse come termine di paragone). Se i Rincione colpiscono efficacemente lo stomaco del lettore, il suo cervello non ne viene minimamente toccato. Al di là dell’ambientazione originale c’è poco su cui concentrarsi a livello intellettivo: Paperi è un esercizio descrittivo ma non narrativo e una trama vera e propria non c’è, solo l’accumulo di scene che narrativamente non portano da nessuna parte. Ed è molto più facile ripetere “quanto sto male” che impostare una situazione di partenza, uno sviluppo e una risoluzione.
Nel fascicolo non sono presenti redazionali e quindi non mi è chiaro se PaperUgo sia una storia autoconclusiva oppure il primo capitolo di una serie. Se fosse vera la prima ipotesi mi sembrerebbe piuttosto sprecato il lavoro fatto, che si esaurirebbe in sé senza preludere a una storia vera e propria. Il fatto che ci siano sia un titolo, Paperi, che un sottotitolo, PaperUgo, lascia sperare che l’esperimento non rimarrà isolato. Ma, appunto, è solo una speranza: dalle gerenze risulta che questa uscita fa parte della collana Fumetti Crudi e non vengono citati i dati in merito a una eventuale iscrizione al Registro dei Giornali e dei Periodici, quindi chissà.

NOTA CONCLUSIVA DA VECCHIO ROMPICOGLIONI

Il fumetto inizia con una tavola illustrata da Prenzy che mostra la storia di finzione interpretata da PaperUgo. Nello scrivere «fantastici» si è andati a capo dividendo fantas-tici. Sì, sì, ormai solo un maniaco si perde in questi dettagli e bisogna giudicare il contenuto dell’opera e bla bla bla. Ma per me è sempre desolante vedere un errore del genere, non perché stia a indicare che Marco Rincione sia un analfabeta (anzi, nel resto del fumetto ha dimostrato tutto il contrario) ma perché un segnale della scarsa cura di un prodotto crea un certo distacco dal prodotto stesso e finisce per dare l’impressione che nemmeno il suo autore ci tenga poi molto a quello che ha creato. E mi fa tornare in mente gli anni in cui cose del genere non succedevano così di frequente. A proposito di motivi per deprimersi.

giovedì 11 febbraio 2016

Dylan Dog Color Fest 16: Tre Passi nel Delirio

Coerentemente col titolo felliniano (ché tanto gli altri due registi non se li ricorda mai nessuno) il sedicesimo Dylan Dog Color Fest presenta materiale dalla forte impronta autoriale. Dalle quattro storie per numero si è scesi a tre, forse per coerenza col titolo o forse perché nel panorama italiano attuale è difficile trovare altri fumettisti che soddisfino i requisiti di questo Color Fest, anche se più probabilmente la foliazione ridotta è stata adottata per ritoccare al ribasso il prezzo della testata e renderla più appetibile ai potenziali acquirenti che adesso ne troveranno un numero in uscita ogni tre mesi. Dai 5,50 euro si è passati a 4,50€: alla fin fine non è questo grande risparmio. E sicuramente al contenimento del prezzo ha contribuito la scelta di adottare una carta nettamente più povera rispetto alla patinata lucida usata in precedenza (da quel che mi ricordo io). Quella della carta è comunque l’unica nota negativa in un volume che ho trovato abbondantemente soddisfacente.

In Sir Bone – Abiti su misura Ausonia racconta i retroscena della creazione della “divisa” di Dylan Dog, sempre uguale negli anni (anche se ricordavo che in alcune copertine la camicia era bianca). Ovviamente ignoro se Ausonia abbia elaborato il soggetto in autonomia oppure se sia nato a livello redazionale, ma è quasi miracoloso come si sia riusciti a trovare un argomento nuovo e originale per una serie che ha decine di migliaia di tavole alle spalle – poi magari lo stesso argomento è stato oggetto di decine di altre storie che io non conosco non seguendo Dylan Dog ma il soggetto così come è stato concepito e sviluppato mi è sembrato geniale.
Oltre che la citazione forse casuale di Robert Gligorov in apertura, di questa storia ho apprezzato molto la struttura che farebbe pensare a un what if e invece non lo è (questo sì che è un colpo di scena!), l’atmosfera malinconica ma non inquietante che mi ha ricordato ABC dello stesso autore e la libertà che è stata concessa ad Ausonia, tanto che si vedono addirittura i genitali di un uomo, o quello che è, fatto a pezzi. Certo, data la qualità della carta diciamo che più che altro si intravede, e forse la uso mano a bassa grammatura è stata scelta anche per rendere meno evidenti questi dettagli “sensibili” (ma almeno, avendo le tavole di Ausonia una cornice nera, non si vede la tavola stampata dall’altro lato come succede nelle altre due storie).
Mi è sembrato inoltre che Ausonia sia riuscito a inquadrare molto bene il protagonista, sottolineandone il pietismo/buonismo (quando nei dialoghi la signorina Claretta ricorda come ogni volta Dylan Dog sia dispiaciuto per le “capre”) e giustificando anche la sua raffigurazione ipertricotica non strettamente canonica: prima di incontrare la cliente di turno Dylan andrà a tagliarsi i capelli, come se ciò a cui abbiamo assistito fosse un dietro le quinte di quello che succede prima delle avventure ufficiali del protagonista. Un tocco di metafumetto delicato e molto piacevole.
Sui disegni non mi soffermo: sono semplicemente ottimi. E poco importa se l’effetto anticato è stato ottenuto con l’uso del computer.
Mi sa tanto che se faranno una versione in un formato più grande e su carta dignitosa di Sir Bone la prenderò.

Grick grick è a un livello grafico molto più basso rispetto a quello di Ausonia, anche se va riconosciuto a Marco Galli (mai coperto) che il suo buon uso degli acquerelli nobilita molto il suo tratto stilizzato in cui Dylan Dog è difficilmente riconoscibile come tale. Anche se non tocca le vette di Sir Bone, anche questa storia è una lettura piacevole, suggestiva e originale.
Dylan e la sua nuova fiamma Genny si trovano in casa un demone obeso apparentemente innocuo che però, essendo costantemente affamato, digrigna i denti producendo lo snervante rumore di cui al titolo, che pervade quasi costantemente le vignette. Il buon samaritano Dylan Dog è impietosito dalla povera creatura e spende una fortuna per nutrirlo mentre Genny ne è talmente infastidita da arrivare all’esaurimento nervoso. Vietato dire di più, ma come avranno immaginato i lettori più arguti non era di cibo materiale che aveva veramente fame il demone.
Anche se occasionalmente scompagina le vignette quasi a manifestare una volontà iconoclasta Galli è in realtà molto bravo a gestire il ritmo della gabbia bonelliana e persino a usare l’alternanza delle tavole pari e dispari a vantaggio del suo storytelling. Come ho detto in apertura, il suo lavoro sui colori è molto buono e a testimonianza della tecnica usata si vedono addirittura le piccole imperfezioni e la brunitura della carta per acquerello che ha utilizzato. Ah, no, quella è la carta usata per questo Color Fest. Scherzi a parte (e comunque dato per certo che Galli ha usato la carta per artisti mista a lana) è un vero peccato che queste tavole non siano state riprodotte su carta patinata, o perlomeno più pesante, perché le parti lasciate bianche dei disegni rivelano quello che c’è nell’altra facciata anche senza metterle controluce. E intravedere le vignette dell’altro lato della pagina sul volto di Dylan Dog o sul pancione del demone va decisamente a scapito dell’atmosfera.

Claustrophia di Aka B (anche lui visto qui per la prima volta) è un lungo ed estenuante monologo di Dylan Dog finito in un pozzo e in lotta contro la montante disperazione. Aka B ci tiene a mostrare quanto conosce la materia e inanella riferimenti su riferimenti alla continuity della serie. Il risultato è alquanto sterile e in definitiva non si può nemmeno definire una storia vera e propria visto che non c’è una trama che sviluppa la situazione di partenza. È un esercizio di stile come se ne sono visti tanti altri, oltretutto con un tipo di disegno lontano dai canoni della serie e anche abbastanza bruttarello, anche se con la scusa della presunta artisticità Aka B può sollevarsi dall’incombenza di disegnare Dylan Dog con lo stesso viso di vignetta in vignetta. Non continuo a infierire perché l’alto livello del resto di questo Color Fest non viene certo inficiato da questo scivolone finale. Così come glisso sul copertinista tardo-mignoliano Arturo Lauria presentato con toni entusiastici ma che, almeno da questa prova, mi sembra poco originale e ancor meno incisivo.

PS: in questo albo ho trovato forse l’unico refuso di tutta la storia della Bonelli, nel colofon il titolo Grick Grick è stato trascritto Gick Grick.

mercoledì 10 febbraio 2016

Sì, so che non è il colmo dell’eleganza…‏

…tessere le lodi di un prodotto di una casa editrice con cui si collabora. Ma:

due volumi originali al colpo
cartonato
stampa impeccabile
ottima carta
nessun balloon rifatto
numerazione originale rispettata
redazionali che approfondiscono gli argomenti trattati
8,50€

Da non perdere, se non altro per il rapporto qualità/prezzo dell’iniziativa (comunque I.R.$. merita, e Vrancken migliorerà col tempo).

lunedì 8 febbraio 2016

Historica 40 - U-47 1: La Battaglia dell'Atlantico

Che palle, un altro volume di Historica di guerra. Ma vabbè, per evitare ritorsioni da parte della Mondadori, visto che ho già marcato visita con il numero precedente, ho abbozzato e l’ho preso comunque, magari alla fine il fumetto meritava. Non è stato così.
La saga, di cui al momento sono stati presentati i primi 4 volumi (scelta che ha imposto un timone strettissimo e la decurtazione dell’introduzione di Brancato a sole due paginette), ruota attorno al sottomarino del titolo, terrore delle flotte inglesi nel periodo che va dal 1939 al 1941. Intorno a questo pezzo di metallo gravitano le vite di tantissimi personaggi, non solo quelle del personale di bordo ma anche quelle di alcuni ufficiali inglesi, delle donne della Resistenza francese, degli indipendentisti bretoni e di altre figure effimere (come l’estemporaneo meteorologo del terzo episodio, Convogli nell’Artico) che si aggiungono di volta in volta tanto per complicare ancora di più una trama già fittissima.
L’inizio è molto promettente e Mark Jennison sa far montare la tensione con grande efficacia ma ben presto la storia portante si perde nei molteplici rivoli da cui è composta, sicuramente affascinanti per chi ama il genere ma un pochino difficili da seguire per chi come me fa fatica a distinguere le divise e rimane perplesso davanti a ordini come «196 giri per 22 nodi!» o «azimut 280 per 5 miglia!». Di carne al fuoco Jennison ne mette veramente tanta, immagino supportato da una documentazione monumentale, e non faccio nemmeno finta di aver compreso tutto quello che succede in questo fumetto con un sacco di storie parallele e di personaggi che appaiono e riappaiono e occasionalmente cambiano pure bandiera. Sicuramente qualche didascalia mi sarebbe stata utile per inquadrare correttamente molte sequenze, tanto più che i disegni non aiutano: anzi, sono la parte più debole di U-47.
Gerardo Balsa sfoggia uno stile terribilmente freddo e purtroppo anche impreciso, nonostante sia palese l’utilizzo del computer. Non solo le anatomie sono spesso sbilenche o imprecise, ma anche il pannello che si vede nella seconda striscia di pagina 10 è abbozzato malamente. Negli episodi successivi anche lui come tanti altri disegnatori moderni farà ricorso “fortunatamente” a fotografie prese da internet e schiaffate nelle tavole senza curarsi di armonizzarle col resto.
Vista l’età (è del 1974) è quasi giustificabile che di argentino questo disegnatore non abbia nulla, se non qualche vaghissimo riferimento al primo Juan Gimenez (a voler esser molto, ma proprio molto, magnanimi). Anche i colori, ad opera di Nicolas Caniaux, sono quello che sono. Purtroppo questi effettini ed effettacci con cui si cerca di simulare al computer la matericità delle tempere o la trasparenza degli acquerelli alla fine rivelano tutta la loro artificiosità, anche se probabilmente il peggio è quando si ricorre a effetti iperrealisti.
Come avevo preventivato, U-47 è una serie dedicata a chi gode nel farsi sciorinare date e fatti con cui ha già confidenza e nel vedere che i dettagli tecnici sono riprodotti fedelmente senza un bullone fuori posto e non è interessato ad altro, ad esempio a come sono disegnate le donne – peraltro, oltre che talvolta anatomicamente discutibili particolarmente inespressive. Decisamente non il mio genere.
Nessun balloon invertito, questa volta (cosa che avrebbe potuto ravvivare un po’ la lettura), segnalo solo un «fato» invece di «fatto» e la probabile interpretazione errata del termine “Lunette”, che non indica un’amica inesistente di una delle protagoniste ma la piccola lente che frega al suo amante tedesco.
In ultima analisi è innegabile che un bel tomo cartonato come questo, che contiene ben quattro volumi originali francesi stampati su ottima carta pesante, offerto a 13 euro sia un affarone ma io lo vedo più come un “pizzo” da pagare alla Mondadori affinché continui a rifornire ancora di Historica l’edicola dove prendo i volumi della collana.

domenica 7 febbraio 2016

Il Morto 21: Nostra Signora dei Porci

Episodio di ottimo livello per questo numero 21 de Il Morto. Venuto a conoscenza di una taglia di 100.000 euro (!) che pende sulla sua testa e che qualcuno ha già provato a riscuotere senza successo, Peg fugge su un treno merci e con un altro hobo all’amatriciana trova impiego presso una porcilaia gestita da due volitive e piacenti donne, madre e figlia, che raccattano proprio tra i disperati le maestranze per portare avanti l’attività, tra cui scelgono anche qualche fusto che le soddisfi in camera da letto e non solo come dipendente.
Peg e il suo nuovo amico Zeno, già frequentatore del posto, vi capitano proprio quando un simpaticone soprannominato “Machoman” ha fatto una brutta fine per aver avanzato pretese con la padrona Circe Giano, nomen omen.
Nella premiata azienda agricola Giano Peg/Il Morto dovrà vendersela non solo con dei cacciatori di taglie decisi a riscuotere i 100.000 euro ma anche con una congiura degli altri operai, in una vicenda che pesca a piene mani dalla continuity della serie ricollegandosi ad alcuni filoni sospesi che danno la piacevole impressione che ci sia un quadro generale alla base in cui tutti i pezzi stanno andando a posto. E infatti una nuova minaccia post-Zaxan si profila all’orizzonte.
Il sano cinismo a cui ci ha abituati il Ruvo Giovacca migliore (che non esclude dei dialoghi molto brillanti) si manifesta non solo nella delineazione delle due figure femminili molto decise e risolute e alla loro paraculata finale, ma anche nei particolari meno evidenti come la mano del killer che apparentemente sta per prendere nella giacca una pistola che poi diverrà una banconota con cui “oliare” il funzionario delle FF. SS., e soprattutto come lo scontrino che la cassiera batte all’inizio della storia: 80 centesimi contro l’euro e 10 fatto pagare a Peg. Magari è solo una mosca di Dreyer, un particolare estemporaneo nato dalla contingenza, però ci sta benissimo.
Ai disegni Luciano Bernasconi fa un buon lavoro, ma va riconosciuto anche allo Studio Telloli la buona resa che hanno ottenuto integrando i suoi disegni ruspanti e carichi di neri con i soliti sfondi e dettagli realizzati al computer.
In appendice una storia di H. W. Grungle ben disegnata da Laura D’Allura. Anche se il colpo di scena finale è prevedibile rimane comunque una piacevole lettura.
Straniante ma efficace la copertina parzialmente fotografica: immagino che la pin up che vi compare sia amica o fidanzata di qualcuno della Menhir.

sabato 6 febbraio 2016

Ultimate Comics: Spiderman 36 - Ultimate End 1

Come coda a quanto scritto finora sulle miniserie legate all’eventone Secret Wars parlo un attimo di Ultimate End – nel frattempo ho letto anche il secondo numero di Planet Hulk che ha confermato le mie impressioni positive pur presentando episodi fisiologicamente interlocutori. Io sono sempre stato affezionato all’universo Ultimate, o almeno ad alcune sue parti (ho letto solo incidentalmente gli X-Men e l’Uomo Ragno in questa versione): sarà perché l’impatto degli splendidi Ultimates di Millar e Hitch è stato enorme, sarà perché non avendo la zavorra di tutta la continuity dell’universo Marvel classico era più facile da avvicinare, sarà perché nell’ultimo periodo era evidente che fosse stato abbandonato a se stesso e nonostante le buone idee del rilancio targato “Ultimate Comics” nessuno se lo filava.
Ciò detto, e considerando che quanto scrivo è filtrato appunto da un certo affetto per questo universo che (pare) dovrebbe morire sul serio, non mi è dispiaciuto questo primo assaggio di Ultimate End, in cui un mix di personaggi provenienti dai due universi (simpatica l’idea di mantenere il diverso lettering a seconda del mondo di appartenenza degli eroi – quelli Ultimate “parlano” in corsivo) provano a cercare un modo per chiudere la faglia che pensano essere alla base della collisione degli universi. Il guaio è che Dio Destino se ne accorge e comincia a comminare severe punizioni per mano dei suoi Thor-poliziotti. L’entrata in scena di due Hulk in lotta potrebbe rappresentare un buon diversivo visto che il loro scontro prelude a un’evasione di massa dal Raft. Anche se a quanto pare sarà il Punitore Ultimate ad avere un ruolo fondamentale in questa storia.
Essendoci Brian Michael Bendis ai testi la storia si dipana molto lentamente e si sfilaccia in vari rivoli con scenette concluse in sé non sempre indispensabili all’economia della storia ma occasionalmente utili ad approfondire certi aspetti della storia o le motivazioni dei personaggi e comunque scritte bene, meglio di quanto abbia fatto in Vecchio Logan.
Mark Bagley disegna meglio di quanto ricordassi, anche se nel primo capitolo fa una figura migliore rispetto al secondo (gli occhioni sproporzionati di Gwen Stacy…), probabilmente grazie a un inchiostratore bravo – Scott Hannah viene indicato anch’egli come “disegnatore” ma immagino che si siano sbagliati e Hannah ha fatto solo da inchiostratore. Anche Cristiano Grassi ha preso un granchio: la miniserie Spider-men era stata disegnata da Sara Pichelli e non da Mark Bagley come riportato nelle note finali. E francamente non mi sembra che l’incontro tra Gwen Stacy e zia May Ultimate con Peter Parker classico necessiti di tutto il costrutto concettuale che elabora Grassi per spiegare i loro dialoghi.

venerdì 5 febbraio 2016

Sì, ok, l'album e tutto, ma...

(intendo questo)
...ancora non sono venuti fuori gli originali realizzati appositamente dai disegnatori? Se non sbaglio erano 100, eppure non ne ho trovato traccia in giro su internet. Credo che più di qualche fortunato, ormai, ne abbia rinvenuto uno: possibile che nessuno pubblicizzi questi rinvenimenti fortunati?
O forse ho cercato male io, se qualcuno ha qualche indirizzo da darmi...

martedì 2 febbraio 2016

Fumettisti d'invenzione! - 95



Mi permetto di integrare il divertente e interessantissimo volume di Alfredo Castelli con altri “fumettisti d’invenzione” e simili.
In grassetto le categorie in cui ho inserito la singola segnalazione e la pagina di riferimento del testo originale.

[TELEVISIONE] CARTOONIST COME PROTAGONISTA (pag. 113)

FAMILY GUY (I Griffin, Italia 1)
(USA 1999-2002 e poi dal 2005 [in corso], 14 stagioni, 258 episodi)
Sitcom, Fox, creato da Seth McFarlane

Più corrosiva e spinta dei Simpsons, la serie presenta un’altra famiglia disfunzionale con un capofamiglia beone e tontolone, Peter Griffin, e dei pittoreschi personaggi di contorno.

Episodio The Simpsons Guy (2014)
Scritto da Patrick Meighan.
Episodio speciale dalla durata doppia. Deluso dalle strip che compaiono sui quotidiani Peter si improvvisa vignettista con buoni riscontri di pubblico. Però i contenuti maschilisti della sua serie For Pete’s Sake (Porca Puttana! nella versione italiana) lo costringono a fuggire insieme alla famiglia a causa delle polemiche che ha suscitato. Giungeranno nientemeno che a Springfield, dove avranno un crossover con i Simpson!

[ALTRI MEDIA] TEATRO (pag. 133)

KING KIRBY
(USA 2014)
Commedia di Crystal Skillman e Fred Van Lente

Opera biografica dedicata alla vita di Jack Kirby, interpretato da Steven Rattazzi.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie
METAFUMETTI E AUTOREFERENZIALITA’ (pag. 64)

IL CONTE DI PIOMBO
(Italia 1970, in Linus, © Sapia, surreale)
Hector Juan Sapia

Fumetti surreali in cui il conte di piombo del titolo (quasi mai disegnato ma principalmente fotocopiato da un’immagine preesistente) osserva o prende parte con riluttanza a vicende che incarnano gli stereotipi della narrativa popolare.
L’episodio pubblicato su Alter Alter 9 del 1978 è probabilmente quello più metanarrativo, con un uso originale della gabbia delle tavole come elemento di scena e frequenti superamenti della quarta parete.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie
CITAZIONI, CARICATURE, CAMEI (pag. 61)

UN VUOTO INCOLMABILE
(Italia 2015, © Dado/Albo/Daccò/Shockdom srl, supereroi, parodia)
Daniele Daccò (T), Dado [Davide Caporali] (D)


Nell’universo alternativo in cui è ambientata questa serie la redazione del portale Orgoglio Nerd è trasfigurata in un gruppo di supercriminali. Monica “Onigiri Calibro 38” Fumagalli indaga sui progetti della Bandage Corporation mentre vari flashback, in cui compare spesso Daniele “Rinoceronte” Daccò, svelano il mondo in cui si svolgono queste storie, in cui fumettisti famosi sono presenti con altre professioni.
Al momento hanno avuto camei o citazioni Roberto Recchioni (un genetista), Silvia Ziche e Leo Ortolani (entrambi giornalisti).