mercoledì 30 gennaio 2019

Fumettisti d'invenzione! - 137

Mi permetto di integrare il divertente e interessantissimo volume di Alfredo Castelli con altri “fumettisti d’invenzione” e simili.
In grassetto le categorie in cui ho inserito la singola segnalazione e la pagina di riferimento del testo originale.

[NARRATIVA] CARTOONIST COME PROTAGONISTA (pag. 71)

I HATE THE INTERNET (Io odio Internet)
(Stati Uniti 2016, We Heard You Like Books, satira)
Jarett Kobek

Durante una sua conferenza universitaria, Adeline lancia degli strali alle celebrità Beyoncé e Rihanna suscitando l’indignazione del popolo della Rete. Negli anni ’90 Adeline aveva avuto un buon successo disegnando il fumetto Trill, da cui venne anche tratto un film d’animazione.
Ma Adeline è solo uno dei molti personaggi di questo romanzo che è fondamentalmente un’invettiva sul mondo dei Social e sulla gentrificazione dell’area di San Francisco.
Nel 2018 è uscito il prequel The future won’t be long.
Pseudofumetti: Trill, fumetto indipendente (comic book autoprodotto di 32 pagine in bianco e nero) disegnato da Adeline e scritto dal suo amico di colore Jeremy Winterbloss che faceva uso di sostanze allucinogene: Trill è dichiaratamente ispirato a  Omaha, the Cat Dancer e il protagonista Felix Trill è un gatto antropomorfo. Le storie si basano su lotte contro cani antropomorfi, finché nel 51° episodio le due parti si coalizzano contro le «scimmie glabre inclini al fervente monoteismo», gli umani. La serie durò 75 numeri rivelandosi redditizia e popolare.
Jeremy fece lo stagista in Marvel alla fine degli anni ’80 e conobbe così il sessismo e il razzismo che imperano nell’industria del fumetto statunitense: per questo chiese ad Adeline di usare degli pseudonimi: diventarono quindi rispettivamente J. W. Bloss e M. Abrahamovic Petrovic. A causa di questo pseudonimo Adeline venne intervistata dalla rivista Wizard come se fosse un uomo russo.
Dopo che Bone di Jeff Smith ebbe successo nella versione tascabile a colori curata da Scholastic, anche Trill venne raccolto in una edizione analoga che gli ridiede visibilità tanto che ne venne pure tratto un film. Non fu un successo economico ma ridestò l’interesse per il fumetto e al produttore Joel Silver scappò di dire i veri nomi degli autori portando alla ribalta Adeline, che dopo Trill ha lavorato a Los Angeles come disegnatrice di storyboard.
Jeremy lavora a una nuova versione di Wild Dog (fumetto scritto originariamente da Max Allan Collins) per la DC ma vorrebbe realizzare un fumetto realistico su una famiglia afroamericana borghese, ispirato al 78 giri My Black Mama di Son House, coi disegni di Adeline.
Fatto perché siamo troppi è un fumetto edito dalla Image realizzato dalla sola Adeline dopo l’insediamento di Barack Obama: 64 pagine senza una trama in cui Adeline riflette sulle problematiche del mondo contemporaneo.
La Lavandaia Cieca di Moorfields è un fumetto a cui Adeline sta lavorando e che dovrebbe essere pubblicato dalla Image, ma verso la fine del romanzo ne ha realizzato solo le prime tavole.

CARTOONIST COME COPROTAGONISTA OCCASIONALE – ONE SHOTS IN PUBBLICAZIONI ANTOLOGICHE (pag. 56)

IL MIO NIPOTE VASA
(Italia 2018, © non indicato, umorismo)
Misic “Zico” Zivorad

Vassilje detto Vasa, nipotino dell’autore, è protagonista di scene di vita quotidiana o racconta barzellette ad amici e conoscenti.
Anche il nonno fumettista compare occasionalmente in alcuni siparietti.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie
METAFUMETTI E AUTOREFERENZIALITA’ (pag. 64)

WELL DRAWN FUNNIES # 0
(Stati Uniti 1991, in King-Cat, © Spit and a half, dichiarazione programmatica)
John Porcellino

John Porcellino in persona spiega su un numero del minicomic che realizza ininterrottamente dal 1989 il motivo della sua scelta di usare uno stile istintivo e “brutto”. L’autore ha anche realizzato un reportage sui rifiuti che ha ricevuto dalle case editrici a cui ha sottoposto i suoi lavori.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie
FUMETTI BIOGRAFICI (pag. 63)

BUGS CAFÉ
(Italia 2018, © BUGS Comics S. r. l., biografia, umorismo)
Helena Masellis

Il repertorio tipico della vita del fumettista (la pressione delle consegne, la tensione prima delle fiere, gli amici che non capiscono quale sia il tuo lavoro…) interpretato dallo staff della casa editrice italiana Bugs Comics.

Pseudofumetto: Bolan Bob, parodia di Dylan Dog che viene omaggiato di varie interpretazioni in appendice al volume.

domenica 27 gennaio 2019

I Mondi di Thorgal 9 - La Giovinezza di Thorgal 3: Il Drakkar dei Ghiacci

Continua inesorabile (e inevitabile dato lo sforzo a cui è sottoposto Surzhenko) la decadenza grafica de La Giovinezza di Thorgal. Non siamo ancora arrivati alla soglia di guardia, ma i dettagli scarseggiano sempre di più, le ampie pennellate risolvono un po’ tutto, gli sfondi sono desolatamente vuoti o appena abbozzati (vedi le montagne e soprattutto il mare), il colore cerca di sopperire a tutti questi difetti e Yann, forse consapevole della situazione, ha rinunciato a mettere in queste storie troppe scene di massa con tante “comparse”. E nel secondo degli episodi qui raccolti mi sembra che alcuni vecchi disegni di Rosinski siano serviti da base per alcune vignette. Roman Surzhenko è sempre un disegnatore piacevole ed efficace, ma non posso non rimpiangere la bellezza dei suoi primi volumi dei Mondi di Thorgal.
La storia che si dipana in questi due capitoli, parte di una saga più ampia, è appassionante e ben architettata. Yann si concentra sulla figura di Slive, a cui è dedicato il titolo del primo capitolo. Mentre Thorgal è alla ricerca di Hierulf, l’unico che potrebbe testimoniare dell’imbroglio di Gandalf nella gara per fare impalmare la figlia, Slive riesce a fuggire dalla prigionia quasi decennale a cui l’aveva sottoposta Gandalf per impossessarsi della sua mano e del suo “tesoro”, ciò che resta dell’equipaggiamento della missione spaziale che la condusse sulla Terra. E nel frattempo Aaricia e altre ragazze vichinghe fuggono dalla brutalità degli uomini locali.
Nel secondo capitolo, quello che dà il titolo al volume Panini, viene svelato il destino di Aaricia e più di un personaggio secondario va incontro al suo destino. Vengono inoltre piantati i semi per ulteriori sviluppi, con la figlia di Slive bramosa di vendetta e Aaricia prigioniera dei danesi.
Yann scrive con brio e si premura di imbastire delle sottotrame che possano inserirsi coerentemente nel canone della saga originaria, ricorrendo a certi espedienti che giustifichino che di queste vicende non ci sia traccia in essa (ad esempio la pozione con cui Hierulf perde la memoria). Unica critica che posso muovergli è il ricorso a esclamazioni comicamente anacronistiche come quelle di Goscinny su Asterix: difficile rimanere seri dopo la citazione, per quanto mascherata, di Calimero!

venerdì 25 gennaio 2019

Historica Special: Auschwitz

Con l’approssimarsi del Giorno della Memoria la collana Historica propone uno Special a tema. Auschwitz nasce dalla raccolta di testimonianze che Pascal Croci ha effettuato sulle condizioni di vita nel campo di sterminio e il volume si gode pienamente preso nella sua interezza, leggendo quindi anche gli interventi in appendice, che non con il solo fumetto. Questo è infatti un po’ frammentario, inizialmente non sembra seguire un vero filo conduttore e forse avrebbe avuto bisogno di qualche pagina in più per approfondire meglio certi argomenti.
La vicenda, per motivi spiegati da Croci nell’appendice, ha come cornice una breve sequenza ambientata nel 1993 nella ex Jugoslavia: Kazik e Cessia, marito e moglie, affrontano per la prima volta dopo decenni i loro ricordi del lager, da cui emergono le circostanze della morte della figlia Ann, di cui Kazik viene a conoscenza dopo cinquant’anni. Come dicevo, Auschwitz è un po’ frammentario, almeno nella prima metà, data la volontà dell’autore di fornire un documento fedele (cucendo assieme testimonianze diverse) piuttosto che un’unica trama forte e ben delineata. Con l’ingresso di Kazik nel Sonderkommando, la squadra di ebrei costretti a bruciare i cadaveri delle camere a gas, il fumetto prende una direzione più chiara che lo rende coerente e coinvolgente.
Lo stile grafico di Croci mi è sembrato piuttosto inadatto a un fumetto di questo tipo. Ha usato la matita sfumata e forse in alcuni casi acquerellata, ma applicata a delle figure spigolose un po’ caricaturali. Le onnipresenti derive grottesche sembrano quasi irrispettose della tragedia delle persone vere che le vissero (qui ritratte sempre e comunque con degli occhioni sproporzionati), inoltre tendono a ripetere le stesse fattezze confondendole tra loro, soprattutto all’inizio. Il perché di questa scelta stilistica viene comunque spiegato nell’appendice, ed è innegabile che alcune splash page o anche singole vignette abbiano una fortissima carica drammatica forse proprio perché realizzate con questo stile.
Il fumetto in sé conta in totale 68 tavole, inframmezzate da alcune pagine vuote, e il volume è integrato da 24 pagine con una lunga intervista a Croci, alcuni interventi dei testimoni, un glossario e schizzi preparatori. Questa appendice è indispensabile per comprendere certe scelte stilistiche dell’autore e permette di approfondire alcuni aspetti che nel fumetto sono stati fisiologicamente solo accennati.

giovedì 24 gennaio 2019

Michel Vaillant Nuova Stagione 7: Macao

Con questo settimo episodio la saga di Michel Vaillant in versione Ultimate arriva finalmente a un punto fermo, anche se probabilmente è solo un pit-stop temporaneo in attesa di riprendere la lunga, lunghissima corsa.
Lo scorso episodio si era concluso con il protagonista prossimo a visitare le patrie galere, ma già a pagina 14 la sua permanenza nelle carceri francesi si conclude, grazie a un accordo segreto tra suo figlio e il nipote che lo aveva incastrato. La rinata Vaillante può quindi tentare l’assalto al gran premio di formula 3 di Macao, in cui non mancheranno momenti emozionanti. Nel frattempo Patrick Vaillant abbandona l’industria di famiglia per seguire le sue ambizioni ingegneristiche (in realtà come parte dell’accordo col cugino), Steve Warson viene eletto senatore del Texas ricorrendo a strategie politiche che lo ripugnano e soprattutto Evelyne è esasperata da Ethan Dasz e torna dalla parte dei Vaillant anche se non proprio mossa da intenti cristallini.
Ecco, la figura di Evelyne è paradigmatica di questa Nuova Stagione di Michel Vaillant: è un personaggio chiave, ma io manco la ricordavo. Se i Graton vogliono impostare questa incarnazione  del loro eroe come una serie televisiva dai ritmi frenetici e coi finali sospesi tra un episodio e l’altro, dovrebbero intensificarne la produzione e non limitarsi a un volume all’anno. Mi rendo conto che mantenere alta la qualità sarebbe difficile, ma con tutti questi personaggi e gli avvenimenti che si susseguono io perdo il filo.
La Nuova Stagione si conferma comunque un ottimo prodotto, molto curato e appassionante. In Macao non mancano rivelazioni, sottotrame e sequenze mozzafiato, e soprattutto un finale in cui si intravede una risoluzione per la vicenda portante – e arrivati al settimo episodio era anche ora.
I testi sono sempre realizzati da Philippe Graton e Denis Lapiére, mentre stavolta ai disegni c’è il solo Benéteau (con Christian Lerolle ai colori) che in precedenza si occupava delle parti tecniche delle tavole. Nelle prime pagine deve ancora prendere un po’ di confidenza con le fisionomie dei protagonisti, e qualche rara volta le proporzioni anatomiche gli fanno difetto, ma il risultato è veramente molto buono. Ha saputo fare suo il tratto sintetico di Bourgne, riprendendone l’eleganza e soprattutto l’efficacia: Benéteau ha uno spiccato senso della regia e della costruzione della tavola, inoltre i suoi personaggi sono molto espressivi senza mai fare le boccacce.
Buona come sempre l’edizione Nona Arte, anche se la mia copia presenta qualche fuori registro.

martedì 22 gennaio 2019

Mattéo - Il Quarto Periodo (Agosto-Settembre 1936)

E finalmente la saga raggiunge il suo culmine, la meta a cui era destinata sin dall’inizio, ovvero la Guerra Civile Spagnola. Il protagonista, pavido di professione, si trova involontariamente nel ruolo di comandante di un gruppo di anarchici che devono prendere un villaggio. Robert viene eliminato dal quadro senza tanti complimenti (forse non era troppo simpatico a Gibrat, ma è probabile che ritorni più avanti) mentre una nuova splendida figura femminile si aggiunge ad Amèlie, che dal canto suo si lascia affascinare dall’aviatore Mermoza – omaggio a Mermoz o è proprio lui? L’implacabile assenza di omofonia tipica dell’italiano ci impedisce di apprezzare fino in fondo il gioco di parole per cui inizialmente il pilota viene scambiato per una “Suor Mermoza”.
La vicenda si sviluppa come negli scorsi volumi tra ricostruzione documentatissima e cinico disincanto, mettendo sulla scena personaggi ben tratteggiati e molto affascinanti. Si sorride e ci si lascia coinvolgere, anche perché lo scrupolosissimo e maestoso disegno di Gibrat fa veramente percepire al lettore il caldo indolente dell’attesa e la frescura della notte. Ma stavolta la delusione, almeno per me, è dietro l’angolo.
Non so perché (forse era stato annunciato così al momento della sua prima uscita dieci anni or sono) io ero convinto che Mattéo fosse una quadrilogia, e che quindi questo quarto episodio fosse quello conclusivo. Nelle ultime pagine già subodoravo un finale come quello de Il Rinvio, e invece l’episodio finisce in maniera sospesa con un cliffhanger! Non ci sono dubbi: il finale della saga NON PUÒ essere questo. E di fronte a questo smacco anche qualche piccolissima defaillance vista qualche pagina prima mi è sembrata un difetto. In questo episodio i balloon sono scontornati, ostentando così la loro matrice digitale che mal si sposa con gli splendidi acquerelli di Gibrat. Il quale, nei campi lunghi, si dimentica di colorare la tracolla dei fucili, che risulta trasparente. A pagina 8 è poi evidente che si è dimenticato di disegnare i fazzoletti rossi al collo dei passanti della seconda vignetta, e il tentativo di riparare realizzandoli direttamente col colore non ha sortito un bell’effetto. Anche Alessandro ci mette un pochino del suo, scentrando il lettering di un balloon (può capitare) e soprattutto confondendo in un dialogo il 1914 con il 1944. Sciocchezzuole, ma alla luce del finale incompleto risultano anche queste un po’ fastidiose.
Restano gli splendidi acquerelli di Gibrat, la sua prosa tragicamente divertente (qualcosa potrebbe essersi fisiologicamente perso nella traduzione, come alcuni giochi di parole) e molte sequenze memorabili. Ma purtroppo anche la certezza che probabilmente mancano ancora un bel po’ di anni alla conclusione della saga.

domenica 20 gennaio 2019

Wacky Raceland

Negli ultimi anni la DC Comics ha prodotto una linea di fumetti che vorrebbero ammodernare i cartoon di Hanna e Barbera. Sempre meglio di Doomsday Clock. Le Wacky Races (non ricordo come le avevano tradotte in italiano) hanno avuto la loro versione in Wacky Raceland, dai toni violenti e gritty, a cui ho ceduto per i disegni di Manco.
La trama è deliziosamente cazzona: una serie di cataclismi inspiegabili ha ridotto la Terra a un inferno postatomico abitato da mutanti cannibali, naniti assassini e mostri cthulhoidi. Alcune persone (e animali, cloni, neanderthaliani) sono state salvate dal disastro e hanno beneficiato di qualche miglioria da parte di una misteriosa entità, come le loro automobili che adesso sono diventate senzienti. Lo scopo è quello di impegnarli in una serie di corse attraverso questo mondo desolato che avrà il suo culmine col raggiungimento di Utopia, una mitica terra dove i desideri potranno realizzarsi. Le regole sono semplici: solo un corridore potrà essere il vincitore, si può ricorrere a qualsiasi scorrettezza ma se un concorrente è attaccato da una minaccia esterna gli altri sono tenuti ad aiutarlo. L’onnipresente Annunciatrice spiega di volta in volta il percorso ai concorrenti e dissemina il loro cammino di trappole.
Visto che l’assunto di partenza non è proprio originalissimo, per quanto delirante, Wacky Raceland punta molto sulla spettacolarità dei disegni di Leonardo Manco che (per quanto ogni tanto riveli la matrice digitale dei suoi disegni) in effetti fa un lavoro notevole. Curiosamente solo il quarto episodio dei sei di cui si compone la miniserie sembra essere stato realizzato in fretta, e anche i colori di Mariana Sanzone sono meno curati del resto degli episodi.
Ai testi Ken Pontac ha avuto l’ingrato compito di dover caratterizzare una moltitudine di personaggi in poche pagine, concentrandosi quindi su Penelope Pitstop, Dick Dastardly e pochi altri. L’impressione complessiva è comunque abbastanza piacevole perché sembra che ci fosse chissà quale universo narrativo alle spalle di Wacky Raceland di cui ci è stata raccontata solo una parte selezionata. Meno efficace è il ritmo narrativo scelto da Pontac, che alterna rapidamente passato e presente in una struttura non lineare non proprio adattissima per un fumetto di scatenato intrattenimento come questo. Così come mi sono sembrati un po’ fuori luogo i tentativi di introdurre qualche argomento più maturo come i preti pedofili, la violenza domestica, le tematiche lgbt, il conflitto tra fede e scienza, gli esperimenti sugli animali, il razzismo, la piaga dell’alcolismo e la satira politica (con tanto di comparsata di un simil-Trump). Il finale è comunque ben scritto, per quanto affrettato, e coerente con tutto quello che si è letto in precedenza.
Il volume è stampato bene e non costa nemmeno troppo (14,95 euro per 160 pagine), cose niente affatto scontate per la RW Lion.

giovedì 17 gennaio 2019

Dubbio

Qualche anno fa la 001 pubblicò questo volume:
Era un esperimento molto interessante in cui una sceneggiatura tratta da un classico della letteratura veniva interpretata da una ventina di disegnatori diversi, due tavole ognuno. Al di là dell'alta qualità grafica di molti dei nomi coinvolti, c'era la piacevole sensazione di girare pagina senza sapere quale stile sarebbe spuntato fuori nella pagina successiva.
L'ho ripreso in mano recentemente e ho visto che nell'ultima pagina c'era un annuncio:
Ma questo secondo volume non è mai uscito, vero?

domenica 13 gennaio 2019

Chiedi a John - Quando i Beatles persero Paul

La più famosa leggenda metropolitana della musica pop offre lo spunto per questo fumetto che ne sviscera le basi e le presunte ragioni che avrebbero portato a sostituire con Billy Shears il defunto Paul McCartney. Il lavoro di documentazione di Paolo Baron è ovviamente egregio (io però sapevo che i baffi strategici del sosia di Paul fossero serviti a coprire un gonfiore al labbro dovuto non a un pestaggio ma a un’operazione di chirurgia estetica per renderlo ancora più simile al vero McCartney) ma il meglio lo dà nella costruzione della storia e nel ritmo che ha saputo infonderci. Un ardito flashback all’inizio mi ha fatto pensare che le pagine fossero state stampate nell’ordine sbagliato, ma per il resto la storia procede con la cadenza giusta tramite sequenze ben architettate. E poi vedere i Fab Four (per l’occasione Fab Three) che si improvvisano detective è divertente. La vicenda finisce sul più bello, quando si vorrebbe leggerne ancora e sapere cosa sarebbe successo dopo. Ma non è necessariamente un male.
I disegni digitali di Ernesto Carbonetti sono infatti pesantemente psichedelici, con un profluvio di effetti, effettini ed effettacci a simulare le percezioni distorte dall’lsd o a evocare le emozioni dei personaggi – occasioni per citare anche copertine di dischi, ovviamente. Sono la trama e lo spirito stesso di questo fumetto a richiederlo, ma alla fine l’ostentazione di questi virtuosismi diventa ridondante e manierista. Se c’è qualcuno che ama il Manierismo quello sono io ma, insomma, quando è troppo è troppo. Comunque la perizia grafica di Carbonetti è fuori discussione (per quanto ne capisca io di grafica digitale e fatte salve le mani enormi che disegna, che probabilmente sono una sua particolare cifra stilistica); forse il suo John Lennon ricorda più Luigi Lo Cascio che il Beatle, ma onore al merito: vuol dire che non si è limitato a copiaincollare fotografie.
Nel complesso una lettura frizzante e piacevole, che potrebbe rappresentare un colpaccio per l’editore 80144 andando ad attingere tra i fan dei Beatles, ben più numerosi dei lettori di fumetti.
In appendice una postfazione dello sceneggiatore e una dozzina di pagine di schizzi e prove.

sabato 12 gennaio 2019

Historica Biografie 21: Churchill (seconda parte)

È meglio del primo, questo secondo e conclusivo volume sulla vita di Winston Churchill. Non che ci volesse molto, comunque.
Siamo arrivati allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e in 46 pagine bisogna affastellare gli eventi più rilevanti e gli incontri che decideranno l’assetto del mondo dopo la guerra, il tutto dal punto di vista del protagonista. Il risultato è simile a un film mandato avanti velocemente con l’avanzamento rapido del videoregistratore, e non è una brutta impressione. Quello che affascina di più è però il caratterino del protagonista, un uomo deciso, risoluto e talvolta geniale ma anche umorale, prevaricatore e un po’ opportunista. Paperino o Braccio di Ferro con parecchi chili in più, insomma. La scelta di Delmas di concentrarsi sull’aspetto umano di Churchill porta inevitabilmente allo sciorinamento di alcuni aneddoti già ben conosciuti, ma fa parte del gioco (come ricordato nell’appendice, Churchill fu anche un abile costruttore della sua immagine) e aggiunge un po’ di pepe al fumetto.
I disegni, però, rimangono di qualità molto bassa e francamente non mi so spiegare perché, visto che le tavole sono state pensate e realizzate in team da due disegnatori: Regnault al layout e Cammardella alla realizzazione finale. Le anatomie improvvisate, le figure storte, le derive grottesche e gli sfondi piuttosto poveri potrebbero andare bene per un altro tipo di fumetto, non per una BéDé storica. Anche la colorista Alessia Nocera ha avuto qualche problema a raccapezzarsi tra queste vignette e ogni tanto ha interpretato come cicatrici quelle che invece erano le indicazioni di Cammardella per le ombre portate.
Un ruolo molto importante riveste in questo volume la parte redazionale curata da François Kersaudy che contribuisce a dare un’immagine veramente a tutto tondo di Churchill, con cui peraltro sembra condividere il terrore per il pericolo rosso. Per l’occasione anche il “making of” finale è più che altro un’appendice dell’appendice e approfondisce ancora di più la figura del protagonista, spiegando perché non lo si è mostrato mentre dipingeva o senza animali attorno, entrambe sue grandi passioni.

giovedì 10 gennaio 2019

Linus 1/2019

La frammentarietà continua a essere la caratteristica principale del Linus di Igort. Non che prima fosse tanto diverso, in ogni caso. C’è poco di tanto, e qualche volta si avverte un’impressione di incompiutezza e di sospensione dovuta alla pubblicazione forse incompleta di alcuni fumetti nell’ottica di invogliare all’acquisto del volume che ne verrò tratto. Mi è successo con Il Cammino della Cumbia, con quello di Paco Roca (ma presentandone solo una selezione mi hanno fatto un favore), il numero scorso con La lingua del diavolo e questo con Ermanno di Mazza e Campanella: queste quattro pagine sono l’introduzione di un graphic novel? Se così non fosse il senso della storia non mi è molto chiaro…
Nonostante lo spazio ridotto riservato alla parte scritta e le dosi omeopatiche delle strisce (quattro, massimo cinque pagine ognuna) non si riesce a dare continuità a tutte le proposte, stavolta ad esempio saltano la Giandelli, Deco e Tonetto – ma forse perché non hanno ancora prodotto abbastanza materiale. E anche questo contribuisce un po’ a rendere meno omogeneo da un numero all’altro questo Linus; che, chissà, magari è proprio quello che Igort vuole fare.
Il tema di questo primo numero del 2019 è la maschera, intesa in senso tanto ampio da abbracciare anche il mistero e l’esoterismo. Facendo la solita classifica dei buoni e dei cattivi, segnalo tra i primi i soliti Peanuts, Calvin & Hobbes, Literary Cartoons (che in questo numero diventano anche Science Cartoons), Mutts, Perle ai porci, Underworld, Copi e Matticchio. Qualche parola in più la meritano Carpinteri con l’intrigante inizio di una serie, Bacilieri che confeziona con JPL uno struggente gioiello usando magistralmente il non-detto (è solo una mia impressione o Capitan Biscotto somiglia a De Chirico?), Ponchione che in Ombre oscure disegna splendidamente il suo contatto con la soap opera horror Dark Shadows (ma queste due pagine fanno parte di un corpus più esteso? Sono estrapolate da un altro contesto? Frammentarietà, frammentarietà), Toffolo che col suo virtuosismo L’uomo mascherato racconta una vita senza apparentemente raccontare nulla. Molto bello anche il fumetto “lungo” (13 tavole) autobiografico di Noah Van Sciver.
Little Ego in Slumberland a volte si rivela una lettura ostica, ma credo che molto dipenda dalla disposizione del lettore; di Ermanno ho già detto sopra; Barnaby l’ho leggiucchiato e non era poi male; I Quaderni di Esther procede senza guizzi; il datato Cheech Wizard di Vaughn Bodé sembra essere arrivato al capolinea (o prossimo ad arrivarci); Un’ora di vita di Paolo Castaldi è il tipico fumetto (per modo di dire: a parte un balloon ci sono solo didascalie) in cui l’autore esprime la sua ansia di raccontare una storia, e poi fa un “fumetto” su di sé che vuole fare un fumetto – i disegni almeno sono molto buoni; meno buoni ma sempre di alto livello sono anche i disegni di Valerio Gaglione, che in Balthus ci offre uno spaccato in due pagine di un momento della vita del pittore omonimo (ma queste due pagine fanno parte di un corpus più esteso? Sono estrapolate da un altro contesto? Frammentarietà, frammentarietà).
L’unico fumetto che non mi è piaciuto di questo numero è Verità da Bagno di Silvia Rocchi, ostentatamente raggomitolato su se stesso e disegnato in fretta e furia.
Nell’elenco dei fumetti in sommario ci sarebbero pure i lacerti del lavoro iperdettagliato di Bogadn Lupescu, ma quattro tavole (di cui due hanno tutto l’aspetto di essere ingrandimenti di un unico disegno) sono troppo poche per dare un giudizio. Molto divertente invece la terza di copertina realizzata da Stefano Zattera.
In sostanza, per 6 euro ci sarebbero le basi per esultare, tanto più che anche la parte redazionale è molto interessante e scritta con brio. Però non riesco a togliermi dalla testa l’impressione che quello che ci viene accordato mensilmente sia solo la punta di un iceberg che dovremo cercare altrove per gustarlo appieno, o che meriterebbe una pubblicazione più massiccia e razionale, o che forse è stato realizzato in maniera estemporanea e non avrà nessun seguito.

mercoledì 9 gennaio 2019

Blake e Mortimer 25: La Valle degli Immortali Tomo 1 - Minaccia su Hong Kong

Se la prima parte di un dittico deve essere per forza di cose introduttiva questa lo è forse un po’ troppo. Nella prima metà di Minaccia su Hong Kong veniamo messi a conoscenza dei retroscena della vicenda e delle basi storiche su cui poggia. Vengono introdotti i vari attori coinvolti e Yves Sente si premura inoltre di spiegarci cosa fosse successo dopo Il Segreto dell’Espadon riempiendo (immagino) alcuni buchi della saga. Ma l’azione comincia a pagina 30 o poco prima.
La storia è ambientata subito dopo gli eventi del primissimo capitolo della serie e vede il Professor Mortimer impegnato su due fronti: dovrà andare a Hong Kong sia per supervisionare la costruzione di una nuova arma che ha progettato sia per rintracciare la seconda parte di un antico manoscritto che, se la sua autenticità verrà provata, riscriverà la storia della Cina. Anche Olrik ovviamente rientra nel quadro, agli ordini del Generale Xi-Li ma ben contento di contrastare ancora una volta i protagonisti.
L’incipit della storia è alquanto ingenuo: tra tutte le migliaia di casse di antichità che vengono imbarcate per sottrarle alla violenza dei tumulti si sfascia casualmente proprio quella che contiene una statua che, guarda caso, si rompe provvidenzialmente rivelando parte del manoscritto (oltre ai resti del meccanismo dell’arma decisiva per l’affermazione di una dinastia cinese, la balestra). Nelle prime pagine fa anche una comparsata nientemeno che Odilon Verjus, protagonista di un bel fumetto umoristico che ho ricordato qui – oltretutto il primo “subliminale” che ho riportato riguarda proprio Blake e Mortimer e Yves Sente. Per fortuna lo spettro della farsa aleggia solo in questi frangenti e il fumetto si incanala presto in una vicenda sospesa al momento tra esotismo, spionaggio e guerra. Con un bel po’ di nozionismo in mezzo.
I nuovi disegnatori, Teun Berserik e Peter Van Dongen, sono sicuramente bravi ma la loro linea chiara non mi sembra molto in sintonia con quella di Jacobs, quanto più debitrice di autori moderni come Swaarte, Torres e il primo Bênoit. Le mani sono spesso innaturalmente contorte (e poi perché disegnare le unghie solo nei primi piani?) e le figure femminili, comunque pochissime, hanno qualcosa che non mi convince. Possibile poi che al Savoy ci fosse tutta quella polvere? Mi è sembrato che anche i colori, dati dallo stesso Van Dongen, a volte non siano proprio ottimali (per quanto sicuramente buoni), accostando ogni tanto tinte un po’ troppo simili che non mettono in evidenza i soggetti più importanti.
Dopo questo antipasto poco più che introduttivo (che si conclude con un cliffhanger non da poco) spero che la storia decolli nella seconda parte.

martedì 8 gennaio 2019

Historica 75: la Brigata Ebraica

Come nel caso de I Cosacchi di Hitler anche in questo volume la guerra è più che altro lo spunto di partenza per una narrazione più estesa. La Brigata Ebraica prende l’avvio nel giugno 1945 quando Ari e Leslie, membri della divisione del titolo, incontrano in Polonia la giovane Safaya Mehringer nel corso di uno dei loro raid a caccia di criminali nazisti. Il primo episodio, Il giustiziere, è un’avvincente fuga attraverso l’Europa appena liberata dall’incubo della Seconda Guerra Mondiale ma ancora profondamente segnata dalle sue brutture, e per nulla liberata dall’antisemitismo.
Il secondo episodio, TTG, ruota attorno alla caccia all’ex SS-Sturmbannführer Eckhart Krause, prossimo a fuggire in Argentina, mentre si aprono squarci sul passato di Leslie. Alcuni colpi di scena ben piazzati (tra cui l’esilarante rivelazione su cosa significasse l’acronimo del titolo) non bastano a risollevare una storia che in certi passaggi è un po’ confusa e che scade nel ridicolo involontario con un’apparizione del Mortimer di Jacobs – Blake apparirà nel terzo e conclusivo episodio.
Il trittico si risolleva nettamente con Hatikva, in cui l’azione si sposta nella Palestina del 1948: il contesto è decisamente più originale di quello della Seconda Guerra Mondiale, Marvano scrive con documentatissimo coinvolgimento e lo snodo finale della vicenda è intelligente e originale (anche se la bandiera risolutiva non ha sempre un disegno coerente). Rimane forse un certo senso di incompiutezza, anche perché La Brigata Ebraica si basa su una struttura della tavola assai povera con poche vignette per pagina, oltre al fatto che certi elementi del passato dei protagonisti, in particolare la figura di Erika Pasternak (che se ho ben capito in origine aveva pure l’onore di una copertina), vengono solo accennati.
Questo volume avrebbe potuto essere una bella storia d’avventura, coinvolgente e piena di momenti drammatici (ma bilanciati da altri più leggeri e divertenti), non un capolavoro ma un fiore all’occhiello di Historica, se non fosse per i disegni di Marvano. Sarà pure bravo a raccontare per immagini, vedi la sequenza quasi del tutto muta a pagina 22, ma il suo tratto scarno e impreciso toglie gusto alla lettura, tanto più che i personaggi possono cambiare fisionomia di vignetta in vignetta e a seconda dell’estro del momento ingrassano e dimagriscono, così come pure la lunghezza dei loro arti è variabile senza alcun criterio. I disegni influiscono pesantemente anche sul tempo di lettura, assai ridotto, perché se gli sfondi sono quattro pennellate in croce o sono del tutto assenti uno non può nemmeno fermarsi ad ammirarli come dovrebbe succedere con un fumetto franco-belga. Il colorista Bérengère Marquebreucq fa un buon lavoro, ma la base di partenza è quella che è.

domenica 6 gennaio 2019

Bugs Café

Un giorno dovrò fare l’elenco di tutti i fumetti, i libri e i film che ho acquistato per i Fumettisti d’Invenzione e presentare il conto a Castelli. Questi comunque sono 14,90 euro spesi abbastanza bene.
Bugs Café è una raccolta di strisce e vignette sulle figure (non solo fumettisti in senso stretto) che gravitano attorno alla casa editrice Bugs Comics. A quanto ho capito si tratta di una versione ampliata e corretta di quello che l’autrice Helena Masellis ha già messo online su FaceBook. Bugs Café si muove tra gli estremi del cartellone di laurea (esilarante per quanti sono direttamente coinvolti, incomprensibile per tutti gli altri) e delle rivelazioni così illuminanti da risultare universali. In mezzo, e sono la maggioranza, ci sono gag e scenette che a volte ripropongono situazioni già viste (la classica domanda dell’amico su quale sia il “vero” lavoro di un fumettista) e altre le sviluppano con maggiore originalità prendendo spunto dalla fauna professionale con cui è in contatto l’autrice: divertentissima la sequenza di pagina 49.
Il volume alterna pagine strutturate su quattro vignette e altre interamente occupate dai “consigli” di Olimpieri. Ogni tanto ho avuto l’impressione di perdere il filo, visto che qualche situazione si sviluppa su più pagine, ma l’effetto complessivo è piacevolmente ritmato. Assecondando lo spirito dei tempi (e poi è un progetto che nasce su internet tra amici) la Masellis punta sull’immediatezza del tratto e lascia in secondo piano la cura dell’aspetto grafico. Per quello che deve raccontare, il disegno raggiunge comunque il suo scopo.
In appendice vengono presentati un making of e una galleria di omaggi a Bolan Bob, il finto personaggio su cui ruotano alcune gag. L’idea è carina, però con i ringraziamenti e i QR Code questa parte occupa ben 15 pagine di un volume che ne conta solo 80. Forse non c’erano effettivamente altre vignette con cui riempire lo spazio, ma resta la voglia di leggerne ancora.