lunedì 30 novembre 2020

Confessioni

Ho letto e apprezzato (pur nell’estemporaneità della proposta) il fascicolo Una giornata qualsiasi di Algozzino e Battestini. Però non l’ho capito. Il gioco degli autori è quello di calarci nella soggettiva di tre adolescenti che hanno ognuno un qualche tipo di problema, fino alla rivelazione finale quando si guardano allo specchio. Ma non ho capito quale sia questa rivelazione. Ho provato a fare qualche supposizione ma nessuna mi ha soddisfatto:

1 – i tre ragazzi (due maschi e una femmina) sono affetti da qualche patologia come deficit cognitivi o autismo ma fino a quel momento il lettore non se ne sarebbe dovuto accorgere (impossibile, perché il fascicolo è presentato proprio nell’ottica di evidenziarne le disabilità).

2 – i tre ragazzi  sembrano essere affetti da qualche patologia come deficit cognitivi o autismo, ma alla fine si scopre che non lo sono (il casco che uno porta ancora addosso smentirebbe però questa lettura.

3 – i tre ragazzi sono in realtà la stessa persona (ma lo stile di Battestini non è molto realistico e non è facile capirlo, né avrebbe avuto senso delimitare fino alla fine le loro vignette con colori diversi per distinguerli).

4 – alla fine sono i tre ragazzi che osservano il lettore (il riflesso di quello centrale allo specchio non è ribaltato).

Il mistero si infittisce considerando che nell’introduzione si fa riferimento a cinque protagonisti mentre in questo fascicolo ce ne sono solo tre – non è un refuso: degli altri due vengono anche forniti i nomi. Sono sicuro che appena risolto l’arcano la cosa mi sembrerà evidente, nel mentre se qualcuno volesse aiutarmi…

venerdì 27 novembre 2020

Tentazioni

 
E so che c'è anche altra roba che mi attende, tra cui l'ultima Anteprima. Solo che la fumetteria è in un altro comune, a una dozzina di chilometri dal mio. Spero vivamente che col 3 dicembre il Friuli Venezia Giulia torni zona gialla.

giovedì 26 novembre 2020

Shade la ragazza cangiante: In fuga verso il grande Blu

Un quarto di secolo fa la Comic Art aveva mandato in edicola un poker di comic book della linea Vertigo come tentativo estremo di far fruttare i personaggi dopo che il loro passaggio su antologici non aveva riscontrato il successo sperato (ricordo che la testata che li ospitò per ultima passò di colpo da 5.000 a 7.000 lire prima di chiudere, e per l’epoca non erano pochi soldi). In pratica venivano venduti dei comic book molto simili agli originali, almeno come struttura: un unico episodio inframmezzato da pubblicità. Per il resto l’editore mise in atto delle scelte discutibili: per raccattare qualche lettore in più Sandman portava il contestato sopratitolo «fumetto dark» mentre per non spaventare troppo qualche altro potenziale lettore il povero Shade non aveva quasi mai le copertine originali ma ingrandimenti di vignette interne. C’era però di buono il prezzo, 1.200 lire, talmente stracciato che non permise alle collane di durare a lungo con quella formula portandole a trasformarsi in antologici monotematici con due episodi e mezzo per numero. E infatti, se non ricordo male, gli ultimi numeri (a parte quello di Swamp Thing che aveva anche un episodio celebrativo più lungo) finivano con un episodio lasciato a metà… Shade era il mio preferito ed ebbi la fortuna di trovare parecchi comic book originali americani proprio da quel numero in poi, o subito dopo. Bachalo era ancora un po’ scarno ma leggibile, non si era ancora dato agli sgorbi che disegna adesso, Peter Milligan era stato veramente uno scoperta. E poi come mi sentivo intelligente nel leggere i commenti dei lettori che dicevano di non capire Shade! Insomma, il personaggio ha sempre avuto un certo ascendente su di me e così ho voluto concedere una possibilità a questo reboot.

Shade la ragazza cangiante è un’aliena di nome Loma che ha sempre avuto una passione per Rac Shade e tramite una tresca col custode del museo delle bizzarrie aliene è riuscita a prendere la sua Veste della Follia e a impossessarsi di un corpo terrestre, quello di Megan Boyer: una ragazza ormai morta cerebralmente dopo un “incidente” di qualche mese prima.

A quanto pare la ragazza di cui si è impossessata era una grande stronza, oltretutto dedita a festini a base di alcol, droga e sesso (essendo questo un fumetto statunitense, solo i primi due vengono mostrati). Da qui l’“incidente” per cui è entrata in coma. Il primo ciclo di sei è una specie di teen drama che vede tornare Megan/Shade al liceo e cercare di adattarsi alla nuova realtà, con la scuola e in generale tutto il pianeta Terra visti come una prigione. Frattanto su Meta, il pianeta di Shade, hanno inizio delle indagini per trovare la Veste della Follia (e i creatori del progetto originario non sono così innocenti come vorrebbero sembrare) mentre lo spirito di Megan cerca a sua volta di rimpossessarsi del suo corpo. La risoluzione di questo primo ciclo mi è sembrata un pochino affrettata.

Il secondo arco narrativo, sempre di sei capitoli, si concentra inizialmente sulla Loma “aliena” e sulla sua difficile vita su Meta, dove i bambini vengono assegnati non ai genitori biologici ma alle coppie che superano il test di genitorialità, come ci spiegò a suo tempo Peter Milligan (se già Ditko vi avesse accennato non lo so). Essendo un essere simil-uccello e tendente quindi alla libertà e al vagabondaggio, oltre che a impossessarsi degli oggetti luccicanti senza preoccuparsi di chi sono i proprietari, la sua infanzia e la sua adolescenza non furono felici nell’irreggimentato pianeta Meta. Anche qui ci sono però parecchi riferimenti da teen drama (o comedy, o quello che è), per poi virare dopo una sequenza forse memore di Carrie lo Sguardo di Satana in una trasferta a Gotham City! Nessuna apparizione di Batman, ma in compenso la nascita del desiderio di andare a “salvare” l’attrice di una sit-com degli anni ’50 che piace tanto a Shade. Questo porterà a un finale da commedia degli equivoci in salsa aliena (con qualche tragedia e una comparsata dello Shade originale), ma a quanto pare la serie continua.

Non che Shade la ragazza cangiante sia proprio un brutto fumetto. Cecil Castellucci ce la mette tutta per scrivere qualcosa di originale e di brillante ma la mancanza di un percorso chiaro e la necessità di inserire per forza sequenze psichedeliche poco convinte si fanno sentire: in definitiva la serie è piuttosto insipida.

I disegni di Marley Zarcone non sono malaccio, anche se sono molto scarni e la necessità di nascondere i capezzoli l’ha costretta ad alcune contorsioni nelle anatomie. Ogni tanto risulta un po’ più incisiva e modulata, quindi più efficace: immagino dipenda dall’occasionale inchiostrazione di Ande Parks.

Meglio comunque il lavoro di Marguerite Sauvage nell’unico episodio che ha disegnato e che ha funto da raccordo tra primo e secondo ciclo.

PS: «Sadie Hawkins» è una citazione da Li’l Abner o esiste davvero negli Stati Uniti?

lunedì 23 novembre 2020

Non che ce ne sia bisogno...

 ...chi è interessato lo avrà saputo prima di me grazie a social che io non bazzico, e mi dicono che il mio blogroll abbia già assolto al compito - oltretutto l'obiettivo è già stato raggiunto! In ogni caso, qui sotto trovate il KickStarter per l'ultimo volume di Stirpe di Pesce:

https://www.kickstarter.com/projects/stirpedipesce/stirpe-di-pesce-volume-5

domenica 22 novembre 2020

The Doomsday Machine #4

Arrivato insieme al terzo, questo quarto numero non conclude la parabola della rivista visto che fonti più che attendibili mi informano che ne sono usciti altri due numeri! Le stesse fonti mi informano che dal settimo numero si cambierà argomento, ma sei numeri mi sembrano un ottimo risultato.

Quasi a celebrare il traguardo della quarta uscita, i fumetti di questo numero sono quattro: Luoisiana Patriots di Federico Cecchi e Renzo Lotti mette in scena una ricerca al sopravvissuto nelle paludi contaminate. La storia è molto articolata (dura ben 10 pagine), ci sono scene d’azione e personaggi pittoreschi ma il nucleo centrale è la rivelazione di cosa sono capaci le tute che l’esercito fornisce ai suoi soldati. I disegni di Lotti non sono ancora a un livello pienamente professionale, ma in qualche modo “funzionano”, almeno nelle giuste scene.

Vagare all’Infinito di Hannu Kesola e Todd Benstead è il flusso di coscienza di uno zombi londinese che vorrebbe tanto farla finita definitivamente. Più che una storia è la descrizione di uno stato d’animo, senza grosse sorprese che pure verso la fine sembrerebbero arrivare. I disegni di Benstead mi hanno ricordato certi comic book contemporanei dai toni dark. C’è un lodevole rispetto dell’anatomia ma anche un uso massiccio del computer.

Perfino un Uomo Puro… del solo Kesola è una gustosissima storiella dal finale fulminante. Niente male i disegni, che si rifanno sempre all’ambito dei comic book ma con uno sguardo (credo) agli anni ’70 e ’80.

Per finire 20 Gennaio di Alessandro Bacchetta, in cui in un universo distopico ultrarazzista due agenti del Recupero Manufatti Sovietici incriminano nientemeno che Charlie Mingus per il possesso di un disco proibito. Lo sviluppo è originale e divertente e anche lo stile di disegno di Bacchetta alla fine mi ha convinto anche se io preferisco il realistico.

A differenza del numero precedente, in questo l’appendice presenta due manifesti pubblicitari invece della moltitudine di finti annunci.

Non ha molto senso fare classifiche tra stili e atmosfere così diverse come quelli che sono passati sulle pagine di The Doomsday Machine, ma per me questo è il numero migliore – di una serie che comunque non ha deluso mai. Purtroppo questo quarto fascicolo è anche quello che ha avuto più intoppi a livello redazionale: nel primo fumetto la punteggiatura è un po’ incerta e nel secondo due didascalie riportano lo stesso testo (non credo fosse una scelta stilistica). Inoltre sempre in Louisiana Patriots mi sfugge il significato della frase «[…] un team di ingeneri [sic], sono invasivi ma lavano bene.»

Nemmeno stavolta viene indicato l’autore della copertina ma scommetto che è Officina Infernale.

giovedì 19 novembre 2020

The Doomsday Machine #3

Siccome i primi due numeri di questa rivista “atompunk” erano arrivati in fumetteria a distanza di un mese l’uno dall’altro disperavo di vedere il terzo che latitava appunto da circa un mese sulla tabella di marcia che mi ero creato in testa. Che lo avessero esaurito? Che il distributore fosse cambiato? Che mi fossi scordato di ordinarlo in fumetteria? Pericolo rientrato: semplicemente hanno spedito il 3 insieme al 4.

Questi i contenuti del terzo numero: White Buffalo di Mauro Di Stefano racconta una caccia al bisonte post-atomico con molta azione e un simpatico finale. Purtroppo i disegni di Luigi Consolante sono ancora molto acerbi.

Joyland di Paul Rizzo è ambientato in un parco dei divertimenti contaminato e ha una bambina per narratrice e protagonista. Si tratta di una classica storia dal finale a sorpresa basata sulle percezioni del narratore; probabilmente non è originalissima ma è ben scritta e si legge con piacere. Ai disegni Mirko Fascella adotta uno stile umoristico: scelta legittima che oltretutto addolcisce un po’ l’atmosfera di una storia altrimenti troppo straziante. Però avrebbe dovuto elaborare di più le sue tavole, che sembrano quasi ingrandimenti da un formato più piccolo.

Chiude questo terzo fascicolo Il Dio Atomico del Mondo Nucleare di Massimo Rosi, una parabola radioattiva desolata in cui un santone cerca di portare la parola di Dio ai mutanti. Splendidi i disegni a mezzatinta di Ignazio Piacenti.

In appendice ci sono due pagine di finti annunci pubblicitari a tema, che più che alla fantascienza guardano all’horror. Una trovata già vista altrove ma comunque simpatica.

Un altro numero quantomeno interessante, anzi pienamente soddisfacente, in cui la libertà concessa agli autori permette di presentare un ventaglio molto ampio di atmosfere e stili diversi. Bella la copertina, ma non ho capito chi l’ha disegnata.

martedì 17 novembre 2020

Padovaland

Padovaland
è un affresco corale che segue alcuni personaggi gravitanti attorno all’ateneo patavino. Giulia va in giro in bici a fotografare scorci di archeologia industriale che il suo relatore smonta regolarmente ritenendoli inutili per la tesi. Da un paio di mesi la sua amica Irene, che si è presa un anno sabbatico e lavora in un supermarket, non le parla più. Irene è cicciottella e ha due tette enormi, che in una maniera o nell’altra influiscono pesantemente sui rapporti che ha con gli uomini. Insieme al fratello Fabio frequenta Catia, bella e molto desiderata (in primis da Fabio), due caratteristiche che non vive affatto con serenità e che anzi per lei sono ormai un problema. Nel supermercato dove lavora Irene fanno capolino anche la dispotica Lucia e il suo fidanzato-zombi Andrea mentre il pugliese Nicola semina consigli su come relazionarsi con l’altro sesso ai problematici uomini veneti.

Nel corso di due feste di laurea le carte si mischieranno e, anche grazie a qualche intervento esterno al gruppo (Irene frequenta un collega più maturo), scopriremo qualche segreto dei protagonisti e un paio di piccoli misteri verranno risolti.

Miguel Vila segue i suoi personaggi con scrupolo da entomologo, le inquadrature sono quasi tutte panoramiche dall’alto in assonometria isometrica, oppure dettagli o ancora campi medi frontali come se guardassimo un terrario. A dispetto di quanto scritto in quarta di copertina, la situazione dei personaggi non è poi così catastrofica e anzi sul finale ci sono almeno un paio di sequenze umoristiche o comunque divertenti. È pur vero però che tutti i protagonisti sono resi con grande realismo e hanno sia pregi che difetti, che per alcuni sono quasi delle patologie. Ho trovato geniale che due personaggi che hanno un grande peso nelle storie di alcuni protagonisti, Tobi e Luisa, non si vedono mai!

I disegni (e i colori) di Vila sono molto buoni, il suo tratto è sottile e non modulato ma spesso intervengono puntinismo o tratteggi per dare corpo ai volti. Oltre che efficace il risultato è molto espressivo. Inoltre lavora con i “pesi” delle tavole, giocando sulle dimensioni e il posizionamento delle singole vignette. Mi è sembrato di scorgere un po’ di Daniel Clowes e un po’ di Paolo Bacilieri.

Si potrebbe cedere alla tentazione di definire il suo stile grottesco, ma in realtà la determinazione con cui sottolinea le imperfezioni della pelle o la grandezza di un naso sembra più che altro un modo per creare dei volti (forse ispirati a persone vere) senza ricorrere a forme stereotipate, e soprattutto è un meccanismo in più, oltre i piercing e le capigliature, per rendere immediatamente distinguibili i personaggi nei frequentissimi campi lunghi.

Pur avendo meno di trent’anni e nonostante questo sia il suo primo fumetto, Miguel Vila dimostra insomma una grandissima maturità e Padovaland è uno dei fumetti migliori che ho letto nel 2020. Tra tanto ben di Dio (che un veneto dovrebbe declinare con epiteti ben diversi da quelli soft che affiorano ogni tanto, ma capisco che le bestemmie potevano sembrare una provocazione gratuita) risalta come un pugno in un occhio l’a capo sbagliato («magis-trale») a pagina 151, ma almeno Vila si fa pure il lettering da solo mentre case editrici ben più titolate di Canicola ricorrono a quello digitale e di a capo sbagliato ne macinano anche più di uno a volume.

Padovaland oltretutto mi ha intrigato con un mistero: a pagina 79 della mia copia un adesivo con una tavola del fumetto ne copre forse un’altra. Avevano stampato per sbaglio una tavola già messa? Per un errore di stampa era venuta fuori bianca o illeggibile? L’autore ha avuto un ripensamento che ha corretto in corso d’opera? Guardando in controluce si intravedono delle forme (e mi pare che non siano quelle di pagina 80) e la tentazione di strappare l’adesivo è forte ma mi sa che rovinerei il volume…

domenica 15 novembre 2020

Historica 97 - Caterina de' Medici 1: Da Firenze a Parigi

Ingoiato il rospo, ho finito di leggere questa nuova “Regina di Sangue”. L’inizio promette benissimo, si comincia in medias res con il Sacco di Roma, un contesto che Gomez conosce alla perfezione visti tutti gli episodi di Dago ambientati in quell’ambito. Ma poi la scena si sposta a Firenze per raccontare le origini della protagonista e vi ho ravvisato gli stessi difetti delle altre produzioni firmate Mogavino & Delalande. I personaggi parlano in modo un po’ artefatto (e retorico) in preda all’ansia di spiegare quello che succede, i loro sentimenti e in generale tutti i retroscena della storia. Qualora non fosse sufficiente, balloon di pensiero forniscono ulteriori dettagli del quadro generale in cui si muovono. Anche se l’impressione è quella di una certa innaturale ingessatura, non è che questo taglio sia di per sé “sbagliato”, solo che gli sceneggiatori non mantengono costante lo stile, adottando ogni tanto soluzioni più moderne o ricorrendo raramente anche all’umorismo: così si spezza l’equilibrio e il lettore può rimanere un po’ perplesso. Confesso poi che la sequenza a cavallo delle pagine 57 e 58 non l’ho capita e non comprendo a quale reazione fa riferimento Caterina con le sue dame di compagnia. Interessante comunque la testimonianza di come la rozza corte francese trasse beneficio dalla presenza di Caterina e dalle innovazioni della cucina e della profumeria italiane.

Nel primo dei due episodi qui raccolti assistiamo alla travagliata infanzia e alla tormentata giovinezza di Caterina de’ Medici, rinchiusa in uno spaventoso convento dopo una delle periodiche sollevazioni popolari fiorentine: come di consueto in questi casi, i deposti tornano presto a governare e quindi Caterina, liberata, cresce e diventa merce di scambio con cui i Medici (in particolare lo zio papa Clemente VII) possono creare una testa di ponte con la corte francese di Francesco I. Lei è perfettamente consapevole di questi giochi di potere e acconsente di buon grado in attesa che arrivi il suo momento, che però probabilmente non arriverà mai: è stata infatti data in sposa a Enrico II, figlio cadetto di Francesco I che quindi verrà succeduto dal primogenito Francesco. Se non fosse che quest’ultimo muore prematuramente spianando la strada del trono a Enrico e quindi anche a Caterina!

In realtà, esattamente come nei volumi dedicati a Eleonora, la protagonista non è sempre sotto i riflettori ed è quasi solo una scusa per ricostruire una storia molto più ampia con comparsate e citazioni eccellenti come quelle di Michelangelo Buonarroti e Niccolò Machiavelli.

Il secondo capitolo (di cui, ricordo, è presentata solo la prima metà) inizia con un flashforward vertiginoso nel 1589, quando una Caterina ormai anziana è preda di incubi e perciò ricorre all’occultismo (con qualche contrappunto dato da commenti clericali) per venire a capo dei simbolismi che popolano le sue notti, ripercorrendo così la sua vita dal 1559 fino alla morte del consorte Enrico II profetizzata da Nostradamus, che è uno dei vari personaggi storici di contorno. Siamo arrivati quindi a un punto di svolta, all’apice della “carriera” di Caterina che da adesso in poi governerà la Francia pure se per interposta persona dei suoi figli; solo dalla lettura del prossimo volume sapremo se il ritmo narrativo originale è stato spezzato o no.

Ai disegni Carlos Gomez (colorato da José Luis Rio) fa un lavoro eccellente, facendo recitare meravigliosamente i suoi personaggi e riempiendo le tavole di dettagli. Però ne ha messi anche troppi e per godersi appieno le vignette bisogna guardarle con la lente d’ingrandimento. Probabilmente, come si evince dal “making of” in appendice al volume, ciò è dovuto all’uso del computer con cui ha integrato le tavole di partenza di altri disegni dettagliatissimi realizzati a parte.

Appuntamento a chissà quando con il seguito, quindi.

venerdì 13 novembre 2020

Acc... dannaz... malediz...

Che bello, è uscito il nuovo Historica di Gomez. Certo, sembra un po’ smilzo: queste serie sulle regine non le facevano a gruppi di tre episodi? Ahimè, allertato da questa pulce nell’orecchio sfoglio il volume e scopro che le tavole a fumetti terminano in un’incongrua pagina 88. Considerando che nel computo complessivo ci sono anche i redazionali di Brancato e che nelle gerenze vengono indicati due volumi originali, quanto possono durare? Solo 40 tavole l’uno? Continuando l’indagine noto quello che dovrebbe essere un punto fermo dopo 54 tavole, che infatti è un nuovo formato standard oltre alle classiche 46 e 62.
Insomma, a quanto pare la Mondadori ha spezzato il secondo volume in due parti. Certo, è già successo: ma una volta si è trattato di una divisione consentita dal fatto che alla base ognuno dei tre volumi originali fosse diviso in due capitoli mentre un’altra è servito a ripristinare la scansione originale voluta dall’autore, o almeno questa è la versione ufficiale.

Non dubito che con la densità di scrittura di un albo francese si possano trovare vari punti fermi all’interno di uno stesso episodio, ma non sarebbe stato meglio pubblicare tutta la trilogia (perché immagino che si tratti di un’altra trilogia) in un’unica soluzione, come si è sempre fatto, anche aumentando legittimamente il prezzo, che è lo stesso dalla nascita della collana? O in alternativa (e non è una provocazione) non è meglio pubblicare un solo episodio integrandolo di schizzi, dietro le quinte, ecc. che sono presenti anche qui? Non ho ancora letto il volume e forse non ci sarà nessun fastidioso effetto cliffhanger, ma di certo non è entusiasmante l’idea di aspettare per leggere nella sua interezza una miniserie che fino a qualche anno fa avremmo letto in un’unica soluzione. Per me tornare alle vecchie foliazioni varrebbe di sicuro un proporzionato, anche consistente, aumento del prezzo.

giovedì 12 novembre 2020

Nostalgia

La recente trionfale risoluzione del caso Silverini-Gaudenzi mi ha fatto tornare alla memoria le copertine di Lanciostory e Skorpio dei primi anni ’90. Anche se da quelle parti passarono tantissimi illustratori, tra gli italiani due in particolari secondo me sono rappresentativi di quell’epoca, oltre all’inarrivabile Massimo Carnevale che fa storia a sé.

Alessandra D’Andrea e Lorenzo Sperlonga rappresentavano due degli ultimi baluardi dell’aerografo in un mondo che dopo qualche anno sarebbe stato inflazionato dalla computer grafica. A volte la freddezza e lo schematismo erano gli stessi, ma c’era ancora tanta creatività. Anche loro due producevano pin up nelle più varie situazioni.

Rivista oggi la D’Andrea non era proprio eccezionale ma aveva un suo perché. Le copertine per cui la ricordavo erano quelle dai soggetti quotidiani, ma vedo che ne ha fatte molte di più di carattere fantasy e soprattutto fantascientifico. Mi sembra avesse la tendenza a privilegiare l’eleganza sulla sensualità. Sperlonga era decisamente più dedito al fantastico e così a occhio mi pare che si ispirasse ad attrici e soubrette di quegli anni.
Quella di X-Files, Laura Freddi e Anna Falchi?
Anni dopo lo ritrovai sulle copertine di alcuni moduli per la terza edizione di Dungeons & Dragons e riconoscendo la mano feci qualche ricerca e scoprii che aveva un sito (oggi non più esistente, a quanto pare) da cui risultava che aveva collaborato con realtà eccellenti come la rivista americana Heavy Metal. Anzi, mi pare che la sua biografia su quel sito dicesse che abitava da anni negli Stati Uniti (ma, appunto, il sito non c’è più). Della D’Andrea invece non ho trovato nessuna traccia.

lunedì 9 novembre 2020

Profezie...

Questo è il sommario del prossimo Lanciostory:

Vista la penultima voce dall’alto? Per fortuna mi sbagliavo.

giovedì 5 novembre 2020

Toh!

Da quando vidi questa vignetta di Giacinto Gaudenzi, tratta da una storia breve per Playboy scritta da Piero Alligo, mi prese un’ossessione. Oddio, “ossessione”: una curiosità. Ero sicuro che qualche illustratore avesse usato la stessa fotografia di partenza per una copertina di Lanciostory o Skorpio e infatti ecco Antonello Silverini sul numero 53 di Skorpio del 1992.
Visto che avevo intuito la parentela (una delle tante) mi sono sempre chiesto se avrei mai visto la foto originale. Grazie al quarto volume del Mencaroni che ho risfogliato l’altro giorno è successo
Se non sono soddisfazioni queste.

lunedì 2 novembre 2020

Il Cercatore

Erano anni che non leggevo un fumetto di Leo Ortolani. In effetti per me Ratman è finito col numero 100. Il Cercatore nasce come parodia o comunque come opera derivativa, ma si sviluppa autonomamente diventando qualcosa di originale. Il Cercatore del titolo, incrocio tra Aragorn e Indiana Jones, sta dando la caccia alla sua vecchia guida Corvus, che gli ha sottratto la Chiave della Papera, una delle cinque chiavi che servono per tenere chiusi i portali da cui secoli prima uscì la magia devastando il mondo, che da tecnologicamente evoluto è diventato un “medioevo prossimo venturo”. Nella cittadina di Scommessa (così chiamata perché nessuno pensava che sarebbe durata) trova le indicazioni per raggiungere Ser Fruttini, possessore delle rimanenti quattro chiavi, che lo accompagnerà nella sua cerca insieme all’inebetito famiglio Evario.

Il Cercatore parte in sordina: all’inizio le gag non mi hanno fatto ridere e anzi hanno fastidiosamente rallentato il ritmo della narrazione. Ma questo perché la storia doveva ancora carburare ed era più avvincente conoscere le origini di questo universo narrativo piuttosto che perdere tempo con le facezie. Dall’incontro con Ser Fruttini in poi, cioè dopo una decina di pagine, la verve di Ortolani deflagra e la storia diventa un turbine di trovate originali e di situazioni esilaranti. Ovviamente essendo sospeso tra il fantasy e il post-apocalittico Il Cercatore attinge a piene mani da più immaginari ben consolidati, ma al contempo elabora anche delle trovate originali come il misterioso deus ex machina Pepo. E il finale non delude.

In appendice una lunga testimonianza della genesi del progetto per voce dello stesso Ortolani, da cui si evince che era nato come sviluppo autonomo delle suggestioni avute dalla lettura de Il Signore degli Anelli.

Al di là della qualità e della quantità (116 pagine) del fumetto il volumetto merita i suoi 6,50 euro anche per la confezione visto che è grandicello, stampato su carta patinata e la copertina ha un paio di effetti (scritte in rilievo e superfici riflettenti).