lunedì 30 aprile 2018

Injection Volume 3

Dopo il buon exploit del secondo volume, con questa nuova uscita torniamo ai livelli del primo. Anzi, addirittura più in basso.
Stavolta la protagonista è la superhacker Brigid Roth. In Cornovaglia è stato rinvenuto un sito megalitico con annesso cadavere scarnificato incatenato a un pilastro e per vederci chiaro Maria Kilbridge manda sul luogo proprio lei, visto che il sito opera come un rilevatore di particelle cosmiche. Con un misto di iperteconologia e di conoscenze esoteriche (più che altro folkloristiche) Brigid verrà a capo di quello che, letteralmente, c’è sotto. Nel mentre Robin Morel, ormai irreggimentato nel suo ruolo di mago istituzionale, pare voler remare contro l’FPI.
L’Inoculazione si manifesta banalmente in una maniera e in un contesto culturale già trattati nel primo volume, ma quello che delude di più è l’estrema linearità del racconto, che finisce per risultare scontato e prevedibilissimo, con personaggi stereotipati (si salva un po’ solo Emma Beaufort) e nessun colpo di scena che sia tale. I dialoghi non sembrano nemmeno scritti da Warren Ellis, ma da uno che cerca di imitarne lo stile fallendo miseramente e risultando forzato e fastidioso. Qualche volgarità gratuita à la Garth Ennis e del citazionismo spicciolo sviliscono ancora di più il quadro complessivo dei testi.
I disegni scialbi di Declan Shalvey non bastano certo a risollevare il tutto, tanto meno se anche i colori di Jordie Bellaire contribuiscono ad appiattirli e se la stampa è quella che è.
Il primo volume era confuso e frammentario, ma probabilmente era meglio di questo encefalogramma desolatamente piatto. Non è da escludersi però che con il prossimo volume Ellis riesca a tirare fuori una nuova chicca.

domenica 29 aprile 2018

No, no, no - Diablotus - Le 24 ore del Fumetto

Nuova tripletta di fascicoletti sperimentali di Lewis Trondheim a opera di ProGlo Edizioni, dopo quelli chec omprai a una Lucca di alcuni anni or sono.
No, no, no è la storia muta della vita di un omino che oppone sempre ai suoi interlocutori un netto rifiuto delle loro proposte, ma che viene regolarmente costretto a fare quello che vogliono gli altri. Molto interessante la caratterizzazione di Trondheim, che con pochi tratti riesce a diversificare i vari personaggi. A volerle attribuire un significato più profondo, forse No, no, no potrebbe essere una riflessione su come delle scelte apparentemente poco importanti in realtà condizionano tutta un’esistenza fino alla morte.
Se la ruvidità della carta è una cosa voluta e identificativa della collana, trovo che il pattern grigiastro che fa da sfondo ai disegni disturbi un po’ la lettura, e anche se comprensibili le scritte di pagina 4 avrebbero potuto essere tradotte, anche solo con una noticina a piè di pagina.
Diablotus è una scatenata Silly Symphony in cui un diavoletto si arrabatta all’inferno cacciando dannati (raffigurati come scheletri) da gettare nelle fiamme eterne, ma alcuni sono assai scaltri e ci sono poi altri diavoli più grossi e prepotenti con cui scontrarsi. Basandosi su una struttura di 12 vignettine per tavola, questo fumetto ha un ritmo frenetico e dimostra la grande perizia grafica e narrativa di Trondheim. Date le dimensioni microscopiche, forse l’autore avrebbe fatto meglio a contornare le vignette, che nei casi degli elementi non chiusi tendono a confondersi.
Pur con il suo allegro e scatenato vitalismo (mi ha ricordato Squeak the Mouse di Mattioli) forse in Diablotus si può avvertire una certa nota malinconica di fondo.
Le 24 ore del Fumetto (sottotitolo: cena + colazione + pranzo) è il risultato della celebre sfida omonima di Scott McCloud. Qui, unico fumetto “parlato” del gruppo, Trondheim non accenna a una storia ma sfoga qualche sua frustrazione (reale o presunta che sia) e spara a zero su alcuni miti del fumetto d’Oltralpe, ostentando l’aria di che stia facendo questa operazione controvoglia. Elucubrazioni sul fumetto e sul festival di Angoulême si susseguono senza una direzione chiara, fino alla sarcastica rivelazione dell’ultima vignetta (questo libricino ne ha quattro per tavola, No, no, no ne ha sei). Lodevole il lettering elaborato da ProGlo.
Pur per motivi diversi, tutti e tre questi libricini sono quantomeno interessanti e almeno nel caso di Diablotus decisamente piacevoli. A costituire un ulteriore motivo di interesse dell’edizione italiana ci sono degli approfondimenti curati rispettivamente da Andrea Fiamma, Tonio Troiani e Valerio Stivè.

sabato 28 aprile 2018

Le dimensioni sono importanti

Amara sorpresa stamattina in fumetteria: l'integrale di Blacksad annunciato sull'Anteprima come un 24x32 in realtà è un ben più canonico (mi verrebbe da dire misero, data l'importanza del fumetto e il costo di quasi 50 €) 21x28. 21,5x28,5 per la precisione, ma la situazione non cambia.
Certo, di questi tempi è già tanto che non ce l'abbiano propinato in formato bonellide, ma è veramente poco più grande di altri due acquisti della mattinata, il Supplemento di Linus e il MAXI di Lanciostory e Skorpio, e i mezzi centimetri in più se li guadagna solo per la copertina cartonata ovviamente più grande delle pagine interne:
Fa una ben misera figura accanto ad altri volumi del formato promesso, ma anche di Fumo di China.
Tempo fa la Rizzoli Lizard aveva l'abitudine di comunicare qualche mese dopo gli annunci ufficiali sull'Anteprima, quando cioé non era più possibile disdire gli ordini, delle "riproposte/variazioni" che ritoccavano al netto rialzo il prezzo precedente (Zazie nel Metro, il primo che mi viene in mente) o che modificavano i contenuti dei volumi (le raccolte erotiche di Magnus). Una simpaticissima strategia di marketing che rasenta il raggiro, ma almeno così uno sapeva cosa doveva aspettarsi quando gli sarebbero arrivati i volumi ordinati.
Adesso a quanto pare non resta che sperare che il formato, la foliazione e il prezzo siano veramente quelli dichiarati - con l'integrale di Jonas Fink, a quanto pare, mi è andata di lusso.

giovedì 26 aprile 2018

Sorprese in edicola

Flash Art è tornata alla carta patinata (beh, quasi del tutto), ha cambiato grafica e formato (proprio di quei due o tre millimetri per cui non riesco a metterla nella mensola con il resto della collezione, maledizione), potrebbe essere tornata mensile e l'ultimo numero è interamente dedicato al fumetto!

lunedì 23 aprile 2018

Sine Requie Anno XIII: Braccamorte

Sotto una copertina minimalista (a suo modo elegante) si nasconde uno dei supplementi più interessanti di Sine Requie tra quelli usciti negli ultimi anni.
Ufficialmente l’argomento del volume è la setta omonima, fondata sui deliri (ma saranno veramente tali?) di Suor Patrizia da Lodi e dedita alla ricerca della Morte o, a seconda della dottrina delle singole cellule, almeno della sua Falce. Questo in virtù del fatto che, qualora servisse ricordarlo, nel mondo di Sine Requie agli umani non è più concesso di morire, ma nel momento supremo si rinasce come zombi, occasionalmente di tipologie diverse.
In realtà mi è sembrato più che altro che gli autori abbiano voluto con Braccamorte andare finalmente più in profondità nel definire quale sia la causa del Risveglio e soprattutto chi o cosa l’abbia generata (e dove risieda). Il tutto viene proposto sempre in modo simbolico, metaforico e volutamente ambiguo, ma la cosmologia dell’universo dietro le quinte di Sine Requie comincia a mostrarsi e altri indizi sparsi nei volumi precedenti si inseriscono coerentemente in questo mosaico. A meno che ovviamente non sia tutto uno scherzo degli autori e le visioni dei Braccamorte non siano tutte false! In un’occasione (i bambini descritti come schizzi non ancora rifiniti dal disegnatore) mi è balenato nuovamente in mente il sospetto che il tutto vada inserito in un contesto metanarrativo, visto che il Cartomante – nome del Master in Sine Requie – è una figura reale nel gioco al pari di Elia Moretti, disegnatore dei tarocchi, ma spero che la rivelazione finale, se mai ci sarà, non si esaurisca così.
Un argomento così specifico e circoscritto ha richiesto ovviamente l’integrazione del materiale di base, ovvero la descrizione delle Congreghe, con capitoli accessori come quelli su «La Giustizia dei Braccamorte» e i rapporti con l’Inquisizione, oltre a una parte dedicata agli onnipresenti Burattini. Non si tratta affatto di una maniera per allungare il brodo, tutt’altro: in questi capitoli vengono presentati elementi altrettanto (se non più) rilevanti al quadro generale che nel resto del volume.
In appendice ci sono ben due avventure che ovviamente ruotano attorno al mondo dei Braccamorte.
Come già si era intuito nel precedente Anno 0, il Cortini e il Moretti sono molto maturati come scrittori “puri” e le molte parti solamente narrative sparse per Braccamorte si leggono con piacere senza ravvisare quelle forzature o quelle ingenuità che potevano emergere nei primi volumi. La lettura è poi resa avvincente dai collegamenti tra i singoli testi, e dal fatto che non sempre è palesato che scrive o pensa.
Gli unici due difetti di Braccamorte sono per me la pessima illustrazione a pagina 14, che sembra più un rapido schizzo che un disegno finito (in un altro contesto forse non avrebbe sfigurato, qui non può reggere il confronto coi lavori di Maffioli e Bontempi) e il prezzo di 29,95 euro per 112 pagine. È vero che l’aumento si è mantenuto costante in questi anni: a parità di foliazione, il secondo Tomo dei Morti presentato a Modena nel 2014 costava 25,95 euro mentre il Tomo delle Creature del 2016 ne costava già 27,95, ma nel caso di Braccamorte un po’ dello spazio è riservato a materiale “di servizio” come le schede dei personaggi delle avventure, sottraendolo così ad altre parti potenzialmente più interessanti.
Potete approfondire qui.

venerdì 20 aprile 2018

La Grande Letteratura a Fumetti 3: Robinson Crusoe

Preso dopo aver perso una scommessa con l’edicolante (il retro non era stampato al contrario: era il flyer a essere posizionato male), Robison Crusoe riprende lo stile del primo volume della collana dopo i relativi fasti del secondo.
La ben nota storia del romanzo viene condensata ponendo molto l’accento sul sentimento religioso del protagonista, con un’enfasi che non ricordo di aver ravvisato nemmeno nella riduzione che ne fece Toppi per Il Giornalino. Questa scelta tematica verrà parzialmente screditata nell’appendice arrivando ad attribuire a Robinson Crusoe tratti satanici (!), e chissà che forse Christophe Lemoine non volesse effettivamente sottolineare la discrasia insita nel protagonista, che si commuove per aver causato la morte della madre di un capretto ma che all’inizio della storia si avviava tutto entusiasta a far incetta di schiavi in Africa.
Nonostante l’ambientazione le giustificasse abbondantemente (c’è solo un personaggio per quasi tutto il volume) le didascalie non sono omnipervasive, e ampio spazio viene lasciato ai dialoghi unidirezionali che Robinson intraprende con Dio, il suo cane e se stesso. Questo approccio deve aver confuso il letterista originario, che a pagina 26 interpreta l’ultima didascalia come un balloon di dialogo.
Il disegnatore Jean-Christophe Vergne me lo immagino come un ottuagenario (almeno) già attivo su Vaillant. Il suo stile è piuttosto scarno e veramente molto distante dalla modernità, e spesso anche impreciso in certi dettagli. Ma i colori, vivaddio, li fa direttamente lui con gli acquerelli e sono senz’altro la parte migliore delle tavole, che oltretutto così risentono meno della qualità di riproduzione non eccelsa che grava su questa collana.
Come al solito, la copertina è di Delitte e in appendice ci sono 8 pagine di approfondimenti, particolarmente interessanti: Defoe era un discreto paraculo, oltre ad aver avuto una vita veramente movimentata.
Al netto di altre scommesse perse, credo che con La Grande Letteratura a Fumetti mi fermerò qui. Ma questa cosa la vado ripetendo dal primo numero, quindi chissà.

martedì 17 aprile 2018

Campo 97

C’è molta cronaca e ben poca azione, com’è giusto che sia, in questo fumetto che basandosi su fonti di prima mano ricostruisce la drammatica (e a tratti paradossale) vicenda di Corrado Perissino, internato nel campo di concentramento fascista di Renicci d’Anghiari.
Con l’avvicendarsi di Badoglio a Mussolini a capo del governo il 25 luglio del 1943, Perissino e altri reclusi politici vengono trasportati dal confino di Ventotene a questa nuova destinazione, a dispetto del fatto che i reclusi socialisti e comunisti venissero poi messi in libertà. A Renicci i “politici” vengono fatti convivere con i prigionieri di origine slava, in condizioni di vita miserevoli che però con la loro ostinata determinazione riusciranno almeno in parte a migliorare.
Come nel caso della precedente liberazione dal confino nelle isole, il fatidico 8 settembre non risolverà la loro situazione ma li farà cadere dalla padella nella brace: caduto il fascismo, adesso i prigionieri dovrebbero essere consegnati ai tedeschi che stanno invadendo il nord della penisola.
Campo 97 nasce dalle annotazioni dello stesso Perissino su un diario ricavato dal vecchio taccuino di un ferroviere tedesco. Forse anche per questo il volume ha un formato un po’ particolare, molto alto, che rispecchia proprio quello del diario. In effetti il disegnatore Fabio Santin è estremamente scrupoloso nel riprodurre i documenti su cui Paola Brolati si è basata per imbastire la sceneggiatura. Le direttive interne, i dispacci ufficiali, le comunicazioni tra uffici diversi non sono infatti stati semplicemente fotocopiati o scansionati, ma Santin li ha meticolosamente riprodotti e inseriti nelle tavole!
Il disegnatore ha uno stile robusto e ricco di grossi tratteggi, che in alcuni casi può ricordare Toppi ma che evidenzia delle maggiori affinità con lo stile “xilografico” che si può ravvisare alla base dello stile del Dottor Trip o di Charles Burns.
Le parti in cui Santin dà il meglio di sé sono i profondi primi piani basati su fotografie, e va lodato il suo sforzo nel rendere espressive a seconda delle necessità (con un labbro un po’ sollevato, gli occhi più chiusi, ecc.) le facce dei vari personaggi, di cui evidentemente esiste una cospicua documentazione fotografica che necessitava però di essere modificata a seconda della situazione. Al di là di alcuni virtuosismi, come le sagome sullo sfondo appena accennate per creare profondità, le tavole non sono dinamiche, e d’altra parte lo scopo principale del fumetto è quello di fornire una testimonianza e non una storia d’avventura.
Coerentemente con questa filosofia di base, la Brolati lascia maggior spazio alle testimonianze scritte senza romanzarle o farle “recitare” ai protagonisti, che nei dialoghi le riportano solitamente così come le hanno vissute.
Ci sono però dei bei momenti non scontati, come ad esempio quando ci viene mostrata la solidarietà degli abitanti di Anghiari ai detenuti o quando sfilano i molti “artisti” che nel campo cercarono (riuscendoci) di lasciare una testimonianza grafica delle loro condizioni di vita.
D’altra parte l’utilizzo di fatti realmente avvenuti e documentati solleva gli autori dai vincoli della narrativa di genere e degli stereotipi che fisiologicamente la accompagnano: in Campo 97 non ci sono ruoli già assegnati, a testimonianza di quanto la base sia reale: anche tra i fascisti ci sono delle anime tutto sommato umane (l’alpino Rouep), così come Perissino non risparmia strali ai “compagni” comunisti e socialisti che una volta liberi e organizzati politicamente non mossero un dito per salvare gli anarchici.
Il volume costa 15 euro e immagino che sia acquistabile solo alle presentazioni o direttamente dal sito dell’editore.

domenica 15 aprile 2018

Shaolin Cowboy: Chi fermerà il Regno?

Simpatico fumetto sopra le righe, anzi decisamente esagerato, com’è nello stile e nello spirito di Geof Darrow. Bourbon Thret/Shaolin Cowboy si riprende dal massacro di zombi in cui era rimasto al termine della sua precedente avventura in cinemascope, ma i guai per lui sono appena iniziati visto che in questa versione distorta dell’America (il “Texis”) un suo arcinemico ha sollevato un mezzo esercito di assassini bizzarri per farlo fuori.
Sfogliando il volume, e quindi vedendo le caricature di Trump, ho pensato che in Chi fermerà il Regno? ci fosse un certo sottotesto di satira, cosa evidenziata anche da Antonio Solinas nell’introduzione. In realtà non è così: i vaghi rimandi alla contemporaneità sono solo elementi decorativi al pari degli altri dettagli più o meno folli che Darrow usa come tappezzeria per le sue “storie”. Più che altro, c’è una critica ossessiva alla dipendenza da device e social network, tanto ripetitiva da diventare stucchevole.
Le tappe della marcia di morte intrapresa dal protagonista sono punteggiate dalla stessa situazione di partenza che si ripete immutata, variando solo l’animale protagonista: forse in uno slancio nazi-vegano Darrow racconta di come la consapevolezza di essere letteralmente carne da macello induca maiali e aragoste (e alla fine il ciclo continuerà coi polli) a diventare gangster. Non ho capito se i riferimenti ai ristoranti dello Iowa siano un omaggio alla sua terra natale o al contrario una presa in giro.
Al di là della “trama” quello che colpisce di questo fumetto sono ovviamente i disegni molto dettagliati, anche se sacrificati nel formato comic book e a dirla tutta nemmeno poi così dettagliati com’erano nelle opere precedenti di Darrow. Ogni tanto, e non serve nemmeno passare le tavole ai raggi X per accorgersene, alcuni particolari non tornano: certe scritte fuori dai locali cambiano di vignetta in vignetta, così come gli orecchini di Pork Kong o i coltelli al posto delle zampe dei cani-killer che tornano a essere zampe in una vignetta. Forse Darrow ha inserito volutamente questi “errori” per suscitare il pinailleur che è in noi, o per vedere se stavamo attenti mentre leggevamo il fumetto.
Alla fine della lettura, pur se la trama è talmente esile da risultare impalpabile, rimane una piacevole sensazione di appagamento per essersi riempiti gli occhi dei disegni di Darrow (ben colorato da Dave Stewart) e per le sue folli trovate tra infantilismo iconoclasta e Surrealismo – peccato che il formato renda meno godibili le numerose tavole doppie. Anche il suo umorismo, per quanto macabro e di grana grossa, riesce spesso a far sorridere. Inoltre Darrow ha svolto un attento lavoro sul linguaggio dei suoi personaggio, infarcendo i dialoghi di giochi di parole che deve essere stato un incubo cercare di rendere in italiano.

sabato 14 aprile 2018

Historica Biografie 12: Gengis Khan

Questo nuovo volume di Historica Biografie ha più le caratteristiche di un romanzo di formazione che di un fumetto storico.
L’artificio narrativo con cui Denis-Pierre Filippi ci narra la vita di Temujin/Gengis Khan è il resoconto della sua epopea fatto da un monaco (realmente esistito) a un suo allievo, che nel corso del racconto lo tempesterà di domande o sottolineerà gli aspetti meno chiari della vicenda a vantaggio del lettore. Romanzo di formazione, dicevo: in effetti la metà esatta del fumetto è dedicata all’infanzia e alla giovinezza del futuro Gengis Khan, tutt’altro che facili, mentre nella seconda si affastellano gli eventi che avrebbero determinato la sua ascesa a un potere mai visto prima di allora in Mongolia e oltre (con particolare attenzione al rapporto con Djamuka, prima amico fraterno e poi nemico), sino alla conclusione della sua esistenza terrena.
La scelta di usare una cornice narrativa mette in prospettiva l’oggetto della storia, e ovviamente viene fatto un grande uso di didascalie. L’effetto che ne scaturisce non è però affatto pedante o noioso e la vita di Gengis Khan viene evocata efficacemente anche con qualche deriva simbolica (il lupo blu) che stuzzica la fantasia del lettore.
Manuel Garcia si inserisce nelle fila di quei disegnatori supereroistici pastosi e imprecisi. Anche se la selezione dei suoi disegni messi a decorare il dossier finale dimostra una certa cura, il suo lavoro medio è molto meno dettagliato, talvolta sproporzionato e anche occasionalmente tirato via. In suo soccorso ci sono i ricchissimi colori di Sara Spano, che si profonde in una tavolozza molto ampia e mai scontata, con qualche ulteriore virtuosismo dato dagli effetti digitali e da una grande attenzione per i particolari (vedi ad esempio i cieli). Forse la cura che ci ha messo la Spano è addirittura troppa, e per una vicenda così violenta sarebbero bastate tinte più cupe e uniformi, oltre al fatto che tanta magnificenza dà l’impressione di stare sfogliando degli stralci da un libro d’illustrazioni quando ci fermiamo ad ammirare i panorami. Molto ben colorati, certo, ma non indispensabili alla narrazione.
L’appendice curata da Marie Favereu permette di integrare la vita di Gengis Khan con informazioni (anche importanti) non riportate nella parte a fumetti, pur se sottolinea quanto siano incerti e forse del tutto inventati certi particolari che sono stati tramandati – di Temujin si ignora anche la data di nascita precisa. Questo limite viene sottolineato anche nel “making of”. Il dossier della Favereu è comunque interessante anche per altri elementi correlati a Gengis Khan, come la divisione del potere prima di lui e la curiosa origine del termine “Tartari” in occidente.
Gengis Khan non figura tra le punte di diamante della collana, ma è comunque un volume che si legge con piacere.

venerdì 13 aprile 2018

La Grande Letteratura a Fumetti 2: Il Giro del Mondo in 80 Giorni

Netta svolta qualitativa per la neonata collana della Mondadori: la riduzione del romanzo di Verne ha un taglio decisamente più moderno e avvincente di quello de L’Isola del Tesoro.
Chris Millien fa tutto: adattamento, sceneggiatura, disegni e colori, indulgendo ogni tanto in alcune derive caricaturali e in certi siparietti quasi da manga che movimentano a dovere le tavole. La narrazione è frizzante e il volume si divora in un fiato. L’aspetto in cui l’autore è leggermente carente rispetto agli altri è la colorazione, che spesso è un po’ troppo livida. La pessima resa di stampa sembra quasi essere stata scelta per sottolinearlo.
Come al solito, la copertina è di Jean-Yves Delitte e in appendice c’è un dossier con saggi sulla figura, l’opera e l’epoca di Jules Verne.
Pur se questo volume è stato una piacevole sorpresa, aspetto eventualmente di provarne ancora un altro prima di decidere se fare tutta la collezione. È evidente che il target ideale è molto più giovane di me, e non mi sembra che per la Mondadori migliorare la qualità di stampa sia una priorità.

lunedì 9 aprile 2018

Historica 66 - Il Sangue dei Codardi 1: Le Indie Orientali

Può succedere anche questo: quando venerdì mattina sono passato nell’edicola dove mi mettono da parte Historica non c’era il mio edicolante di fiducia ma suo padre, ignaro di dovermi consegnare il nuovo numero. Tutto preso da L’Isola del Tesoro, non mi è venuto in mente di chiedere se fosse arrivato anche quest’altro e quindi solo oggi ho potuto metterci le mani sopra.
Il Sangue dei Codardi ha un inizio coinvolgente e si sviluppa nella lunghezza di due capitoli in maniera complessa e articolata, seguendo due linee temporali diverse e solo casualmente convergenti, che oltretutto non seguono necessariamente un ordine cronologico.
Nel 1641 a Giava viene commesso un delitto e un ufficiale di Sua Maestà Britannica viene inviato a indagare sul caso tra la reticenza e l’aperta ostilità degli Olandesi. Circa vent’anni dopo (questa prima linea temporale si sviluppa nell’arco di due anni dall’aprile 1641 al luglio 1643) un graduato londinese del Royal Regiment of Horse di stanza a York si trova coinvolto in una serie di macabri delitti compiuti da qualcuno che ha smembrato delle persone spargendone i pezzi per la campagna inglese.
Entrambe le vicende si sviluppano in maniera macchinosa, accumulando elementi e personaggi nei rispettivi “casi”, né mancheranno le false piste. Il fatto che i personaggi parlino ostentatamente in maniera forbita non aiuta a calarsi nella storia, così come i rarissimi tentativi di battute umoristiche risultano infelici e nessuno dei personaggi è simpatico, limitando drasticamente il coinvolgimento del lettore verso le loro sorti. Oltre ai limiti grafici di Delitte di cui dirò sotto.
La vicenda degli anni ’40 ha una conclusione arzigogolata ma efficace, quella degli anni ’60 (la principale) si basa interamente su un colpo di scena non banale ma già visto altrove (il colpevole è proprio colui che indaga), che in questo contesto così storicamente accurato mi è sembrato fuori luogo, tra il thriller postmoderno e lo sberleffo – pur se Delitte aveva seminato indizi che portavano verso quella direzione. In sottotesto, comunque, sembra che l’autore abbia voluto puntare il dito contro la VOC, la Compagnia Olandese delle Indie Orientali, come causa di molti dei mali del XVII secolo connessi all’avidità e alla sopraffazione che generarono i suoi colossali giri d’affari.
Dall’introduzione di Sergio Brancato risulta che, nonostante il distico qui raccolto sia autoconclusivo, la serie in Francia è continuata.
A livello grafico Jean-Yves Delitte è spettacolare quando disegna panorami, architetture e ovviamente le imbarcazioni che ne hanno decretato il successo, inoltre è l’unico colorista digitale che conosco a ottenere col computer dei risultati accostabili alle tecniche tradizionali, se non addirittura migliori. Per il resto è un disastro. Come già avevo rilevato le sue figure maschili (donne e bambini sono poco più che mostri) sono praticamente tutte uguali, con qualche modifica minima ma racchiuse sempre in quelle quattro o cinque inquadrature fisse, addirittura nella stessa vignetta: alla lunga l’effetto è stucchevole. Solo due o tre personaggi, per ragioni narrative, si discostano da questo standard, per il resto è veramente difficile distinguere un personaggio dall’altro. Meno male che i due protagonisti sono uno biondo e l’altro moro. Inoltre questo fumetto risale a pochi anni fa, quindi l’ormai affermato Delitte presta ancor meno attenzione a certi particolari: se di base i suoi uomini hanno tutti delle spalle piccole e delle gambette secche, nel secondo capitolo sfoggiano anche degli occhi sproporzionati e posizionati in maniera arbitraria quando sono di profilo. Le tavole doppie panoramiche sono senz’altro uno splendore, ma non bastano a risollevare la parte grafica de Il Sangue dei Codardi.
Per l’occasione (immagino riprendendo un’edizione francese) i due volumi di 46 tavole l’uno sono integrati da un’appendice con dei brevi saggi sulla storia della Batavia e della VOC, che per il loro partecipato lirismo potrebbero anche essere opera dello stesso Delitte che li ha illustrati con schizzi e studi vari.
Di sicuro non si tratta di un volume banale e, vivaddio, non è nemmeno un fumetto di guerra; cionondimeno, Il Sangue dei Codardi mi ha lasciato più perplessità che soddisfazioni.