venerdì 31 luglio 2015

La maledizione del sesto dito

Stavolta ha colpito Antonella (mi pare... nei crediti i Paolini non mettono il nome di battesimo per esteso) Platano:
(da Il Giornalino 30/2015)

mercoledì 29 luglio 2015

Lucy: L'espoir

"Perché non lo pubblicano in Italia?" mi ha chiesto l'amico che me l'ha regalato.
"Perché è troppo bello." gli ho risposto io.

domenica 26 luglio 2015

Destino 2099 2: Il Regno di Destino

Secondo e, immagino, ultimo volume del Destino 2099 di Warren Ellis. Il primo era decisamente buono e andava in crescendo, questo è ancora meglio.
Le multinazionali cannibali che Destino ha messo in ginocchio nello scorso volume sono in realtà la manifestazione di un ulteriore potere segretissimo che opera dietro le quinte e che per far fronte all’azione del despota illuminato ordisce un piano che prevede nientemeno che lo sterminio di buona parte di ciò che resta dell’umanità, tanto i privilegiati se la svigneranno su Marte.
Nel mentre riappare Steve Rogers/Capitan America, perfetto uomo-immagine cui affidare la carica di Presidente dopo aver esautorato Destino e averlo apparentemente sconfitto con l’utilizzo di tecnologie aliene segrete e ritrovati militari proibiti.
Ho notato come in questi comic book di vent’anni fa aleggiasse quasi già lo spettro della decompressione che di lì a pochi anni lo stesso Ellis avrebbe imposto al mercato statunitense: le sottotrame del numero scorso non ci sono più e tutto sommato la storia è lineare e tesa verso la risoluzione finale. Manca la frenesia di oggi visto che nel 1995 andava di moda uno stile verboso che in questo caso ha portato anche all’elaborazione di pagine singole con un sacco di bla-bla-bla, scene talvolta avulse dalla storia portante.
I marchi di fabbrica di Warren Ellis ci sono comunque tutti e al massimo grado: idee innovative e originali (a metà anni ’90 quanti sapevano delle nanotecnologie?) e dialoghi spettacolari. Le prime dichiarazioni del redivivo Capitan America e la scenetta familiare tra Destino, Renfield e Static Annie mi hanno fatto ridere di gusto alla faccia dell’otite che mi sta perforando un timpano da sabato. Il tutto perfettamente integrato nelle logiche di un fumetto che doveva ancora seguire il Comics Code e inserito in una struttura editoriale smaccatamente commerciale in cui lo sceneggiatore ha dovuto destreggiarsi tra crossover e coordinamento editoriale con le altre testate del 2099.
Ai disegni c’è stato un nettissimo miglioramento rispetto a quanto visto in precedenza. Steve Pugh, disegnatore di quasi tutto questo ciclo, ha fatto un gran bel lavoro e John Royle (disegnatore del primo capitolo) ha confezionato delle tavole dal tratto sufficientemente realistico e rigoroso per farsi apprezzare. L’intervento dell’artsy Ashley Wood è stato fortunatamente limitato alle copertine e a un solo episodio, nemmeno disprezzabile peraltro. Notevolissimo il lavoro del veterano John Buscema nell’ultimo capitolo, realizzato quando immagino il “Big John” fosse piuttosto in là con gli anni. Può darsi che l’inchiostratore Scott Koblish abbia avuto un ruolo determinante nel dare uniformità stilistica al lavoro di ben quattro disegnatori diversi e a rendere digeribili le deformità di Wood.
Nonostante una vaga sensazione di chiusura affrettata (ma probabilmente sono io che vorrei leggere Ellis all’infinito) e qualche trascurabile refuso (merita la citazione un Pugh diventato «Push» nei crediti di un capitolo) il volume è consigliatissimo.

giovedì 23 luglio 2015

Anteprima

Da domani in edicola. Qui sotto il meglio che riesco a fare dal lavoro, visto che sul pc di casa ho il fottuto errore "rete non identificata nessun accesso ad internet":

mercoledì 22 luglio 2015

Ringo 2: Il Giuramento di Gettysburg



Poco entusiasta della prima uscita, ho aspettato senza fretta di avere un momento libero per leggere il secondo e conclusivo volume di Ringo. Non è stata una rivelazione, ma comunque il meglio della serie lo hanno messo qui.
La prima storia breve, La Città della Paura, vede la consueta trama in cui l’agente della Wells Fargo deve indagare sul proverbiale furto ai danni di una consegna d’oro e offre alcuni margini di originalità grazie all’atmosfera di tensione che sa evocare. La brevità della storia scritta da Jacques Acar, sole 16 tavole, giova al ritmo. Carina la cornice della storia, ovviamente meglio apprezzabile in questa versione in volume.
Il pezzo forte comunque è la storia lunga che dà il titolo al volume, anche questa scritta da Acar: durante la Guerra Civile il nordista Ringo strinse un’amicizia “d’emergenza” con un ufficiale sudista, con la promessa di ritrovarsi dopo la carneficina. Ma passata la guerra il Sud è in uno stato penoso, percorso dalla miseria e oggetto delle attenzioni rapaci dei faccendieri senza scrupoli del Nord. È in questo contesto che Ringo (in missione per conto della Wells Fargo, ça va sans dire) incontra nuovamente un irriconoscibile George Morton convertitosi al banditismo. Ma i veri “cattivi” sono altri.
Nonostante uno stile narrativo un po’ datato (e i disegni belli ma un po’ statici di Vance non aiutano) e la necessità, anch’essa retaggio di un’epoca che fu, di giustificare le azioni dei protagonisti che devono essere dei fulgidi esempio per i giovani lettori, Il Giuramento di Gettysburg è una lettura interessante e non banale.
A integrare il volume ci sono due storie brevi scritte da Yves Duval che costituiscono un unico episodio per un totale di 14 tavole, che avrebbero potuto essere di più se la storia fosse continuata come lascia intuire il finale sospeso. È spiazzante notare come nell’arco di pochi anni (dal 1966 al 1970) lo stile di Vance sia molto cambiato, privilegiando il tratteggio alle pennellate corpose e percorrendo altre strade per le inquadrature e le anatomie.
L’Oro dei Disertori-Lo Zampino del Diavolo rientra in canoni più classici, per non dire banali, e privilegia l’azione e i colpi di scena che si susseguono frenetici – ho fatto una certa fatica a stare dietro alla sarabanda di agguati, tradimenti, sorprese, controsorprese e personaggi nuovi che appaiono dal nulla. La storia è l’ennesima variazione sul tema della rapina alla diligenza e del recupero del bottino ma qui compare una coppia di malviventi che permette a Vance delle inedite derive caricaturali.

lunedì 20 luglio 2015

Lanciostory Maxi 1



Tra il celebrativo e lo sperimentale l’Aurea ha mandato in edicola una versione Maxi della sua rivista ammiraglia, 96 pagine a 3,50€ con materiale quasi esclusivamente già edito (anche per quel che riguarda i redazionali).
L’intento sembrerebbe appunto quello di offrire ai vecchi lettori un nuovo modo di fruire dei classici di Lanciostory e contemporaneamente di attirare nuovi acquirenti con un formato più visibile in edicola e senza il cruccio delle storie a puntate.
Nel sommario di questo primo numero ci sono 3 “liberi” d’Autore (è stato perfino recuperato Carlos Roume) e quattro strisce di Beep Peep con cui la riproduzione tipografica non sempre è stata generosa, ma il pezzo forte sono le storie a episodi presentate a colori. In un’unica soluzione vengono ristampati i primi due capitoli di Yor e, strano a dirsi, i colori non sono male – non ho verificato ma è probabile che si tratti della stessa colorazione realizzata dallo Studio Rosi nel 1978 per Il Libro di Yor.
La seconda serie è I Partigiani, un inedito a opera di Lebovic e Jules che in pratica è l’unico fumetto che ho letto di Lanciostory Maxi. Nonostante le premesse programmatiche la storia non ha per protagonisti dei partigiani jugoslavi ma un ufficiale inglese che si serve del loro aiuto. Facendo due conti I Partigiani dovrebbe avere circa quarant’anni, essendo stata ideata per la rivista olandese Eppo che tenne a battesimo anche Storm, ma tutto sommato si difende bene ancora oggi grazie alla documentazione attendibile su cui si basa e all’originale finale tabagista. Non male i disegni delafuentiani di Jules, inoltre il formato più grande di Lanciostory Maxi permette un intervento redazionale minimo per l’allargamento delle didascalie e una qualità di stampa impensabile se l’Aurea avesse dovuto rifarsi ad archivi informatici.
Interessanti i redazionali, tra le altre cose Ervin Rustemagic scrive una lunga introduzione a I Partigiani e Luca Raffaelli comincia una rubrica “bis” che è un compendio della rubrica Nuvolette (si comincia con Carlos Trillo). Forse emozionato dal numero di esordio, Raffaelli si confonde e dice che tra l’anno di esordio della rubrica, il 1992, e il 2015 sono passati 13 anni invece di 23. Il fumetto mantiene giovani.

domenica 19 luglio 2015

Un omaggio inaspettato

Questa è una vecchia storia in una pagina di Milo Manara:
Questa è una storia breve presentata su Speciale Martin Mystère 32 (ma probabilmente ripresa da chissà quale altra fonte):

sabato 18 luglio 2015

Cosmo Color Extra 13 - Il Crepuscolo degli Dèi 5: Brunhilde



Riprende dopo qualche mese la saga e benché si tratti di un episodio interlocutorio che mette nuova
carne sul fuoco (gli Aesir cercano un’alleanza coi Vanir, Sigfrido apprende il suo destino e il suo retaggio, rientra in scena la Valchiria) si lascia leggere con piacere grazie al tono epico e coinvolgente – che non risparmia comunque una descrizione sin troppo umana del pantheon norreno.
Ho trovato poi molto interessante la scena con le rune e la loro intepretazione, e in definitiva poco importa se come avevo già subodorato la serie si prende delle libertà sul canone d’origine per inglobare un po’ di estetica tolkieniana.
Purtroppo, però, la scelta del team creativo è stata secondo me alquanto infelice e mi lascia perplesso la scelta di associare uno sceneggiatore magniloquente ed evocativo come Jarry a un disegnatore delicato, blando, poco incisivo e quasi caricaturale come Djief.
A questo prezzo si continua comunque, ovvio, tanto più che in questa occasione la stampa mi è sembrata migliore che in passato.

sabato 11 luglio 2015

R.I.P.

Pare che undici anni di vita per un personal computer siano tantissimi, ma non mi è di molta consolazione. Qualche maniera per rimanere in contatto la troverò, come adesso.

giovedì 9 luglio 2015

Ringo 1: La Pista di Santa Fe



Visto che ho chi riesce a procurarmelo, così come mi ha procurato Mac Coy, ho deciso di provare già che c’ero anche Ringo: in fondo sono solo due numeri e poi è pur sempre William Vance. Tutto vero, ma da questa prima uscita mi sembra di poter dire che questo fumetto ha molto risentito del passaggio del tempo, e che probabilmente nemmeno all’epoca della sua prima pubblicazione fosse tra le teste di serie.
Il primo episodio, La Pista di Santa Fe, è interamente opera di Vance e non sarebbe nemmeno male: il protagonista viene ingaggiato per scortare una carovana Wells Fargo con un ghiotto carico d’oro che fa gola sia ai banditi locali che agli indiani coyotero. La svolta abbastanza originale è che i due gruppi collaborano per appropriarsi del bottino e la storia viene movimentata un po’ anche dalla suspence di vedere dei personaggi ricorrenti minacciare il protagonista.
Purtroppo, inevitabili stereotipi del genere a parte, La Pista di Santa Fe soffre di un ritmo sincopato che alla lunga mi ha sfibrato. Costretto nel formato obbligato delle due tavole per numero di Tintin, Vance crea delle situazioni di forte tensione o sospensione nelle pagine pari per poi sgonfiarle inesorabilmente nella prima vignetta delle pagine dispari. Alla fine questo saliscendi finisce per vanificare il pathos che vorrebbe creare anche se immagino che a leggerlo su rivista il risultato fosse diverso e più efficace.
Il primo episodio risale al 1965 e in effetti lo stile di disegno di William Vance non è ancora quello con cui sarebbe diventato famoso in seguito. Il tratto non è acerbo, se non in certi dettagli minori (gli occhietti piccolini e posizionati un po’ troppo vicini tra di loro), più che altro si notano certe scelte che poi Vance avrebbe abbandonato per strada, come le potenti campiture a pennello secco. Molto belli i paesaggi, buoni (ottimi per l’epoca) i colori. Mi è sembrato di cogliere qua e là qualche rimando all’iconografia classica del genere, in particolare il protagonista mi sembra ispirato a Henry Fonda.
A seguire, l’episodio Tre Bastardi nella Neve di cui Vance ha sceneggiato solo il primo dei cinque capitoli di cui è composto, affidando gli altri nientemeno che ad André-Paul Duchâteau. Nell’introduzione Fabio Licari sostiene che la differenza di sceneggiatore si vede ma sinceramente a me questo episodio è sembrato soffrire degli stessi difetti del precedente pur essendo stato realizzato dieci anni dopo – e inserito in questo primo volume per volontà dell’autore. L’idea di partenza è anche in questo caso carina: un irriconoscibile Ringo (Vance lo disegna in maniera diversa rispetto al primo episodio) viene incaricato dalla Wells Fargo di recuperare una diligenza che oltre al proverbiale carico d’oro trasportava anche la figlia di un senatore, ma i tre bastardi del titolo (messicani ritratti con fattezze lombrosiane) vengono fortuitamente a conoscenza del bottino e si lanciano anche loro all’inseguimento.
Il tutto calato in un contesto invernale con una tormenta di neve che ostacola l’avanzata dei vari personaggi e ne confonde le tracce. Ignoro se abbia mai nevicato in qualche stato confinante col Messico, ma la suggestione funziona a meraviglia. Quello che non funziona è il ritmo della storia, che nonostante le premesse non ha saputo coinvolgermi. Le didascalie in prima persona singolare con i pensieri di Ringo non bastano a rendere più appassionante la vicenda. Forse perché frutto del rimontaggio da un altro formato (ben visibile in alcune vignette), Tre Bastardi nella Neve ha un andamento frammentario e in alcuni casi sembra che lo sceneggiatore abbia voluto allungare il brodo. A tal proposito, è un vero peccato che la scena potenzialmente splendida, e sicuramente originale, dell’intervento finale della donna del capo dei banditi sia risolta come se fosse un battibecco tra Sandra Mondaini e Raimondo Vianello.
A proposito di donne, Licari segnala giustamente anche l’abilità di Vance nel disegnarle ma purtroppo in questi due volumi (per la precisione solo nel secondo visto che nel primo non compare una donna che sia una) il disegnatore non sembra affatto a suo agio con profili e altre inquadrature muliebri.
Nel complesso, quindi, nulla di irrinunciabile – e d’altra parte se Ringo in patria ha avuto una vita così effimera ci sarà un perché. Da consigliarsi agli amanti del western e di Vance, anche se per i secondi sarà più un’occasione di vedere come è evoluto il suo stile piuttosto che di godere della sua arte qui non al top.
Cionondimeno io il prossimo volume lo prenderò per completezza, e magari qualcuna delle storie brevi annunciate sarà pure simpatica.

mercoledì 8 luglio 2015

Il Corriere dei Piccoli va alla guerra


L’altro giorno ho trovato un’inaspettata sorpresa nell’edicola della stazione, fresca fresca di stampa: l’agile libretto (forse troppo agile per il costo, 12 euro) di cui al titolo di questo post.
È probabile che in origine fosse un testo (o parte di un testo) nato in ambiente accademico la cui pubblicazione presso Kellermann è stata resa possibile grazie alla ricorrenza della Prima Guerra Mondiale, stesso motivo per cui la collana Historica è ingolfata di fumetti ambientati nel 14-18.
Il Corriere dei Piccoli va alla Guerra propone una carrellata di personaggi più o meno conosciuti dello storico settimanale, la maggioranza dei quali a me ignoti e creati appositamente all’epoca per indirizzare il favore dei giovani lettori verso i soldati al fronte e veicolare il disprezzo verso gli Imperi Centrali.
Pur nella sua compattezza il testo è estremamente esaustivo e approfondito e presenta anche tutta una serie di approfondimenti su argomenti correlati. L’approccio è ovviamente compilatorio ma con frequenti puntate nel sociologico.
A livello stilistico mi è sembrato di cogliere una certa differenza nei toni con cui sono trattati i temi e i personaggi, ma forse sono stato influenzato dal fatto che le autrici sono due, Camilla Peruch e Sonia Santin: comunque accanto a una trattazione più pacata ci sono effettivamente capitoli e passaggi in cui domina l’iperbole in una profusione di punti esclamativi.
Una menzione particolare merita la parte grafica. Oltre a godere del ricchissimo apparato iconografico (e che invidia per chi ha messo le mani sopra simili tesori), il lettore beneficia di una organizzazione razionale delle immagini in relazione al testo: gli argomenti trattati vengono accompagnati dalle immagini corrette nelle pagine affiancate. Sarà pure una cosa banale, eppure non tutti sono in grado di farlo.

domenica 5 luglio 2015

Un Integrale non proprio integrale



Dunque. È chiaro che volumi di 96 pagine (e stavolta anche di più) a 4 euro sono una manna dal cielo. A maggior ragione se questi volumi sono di formato dignitoso, a colori, su carta patinata e stampati bene, per quanto concesso dai materiali di stampa esistenti. Oltretutto anche la parte redazionale, per quanto sobria, è stata soddisfacente e la smania di presentare le copertine anche straniere dimostra senz’altro una certa attenzione nei confronti del lettore.

Ma...

L’edizione di Mac Coy della Gazzetta (benemerita, non finirò di dirlo) non è integrale perché manca l’episodio breve Le pire Noël de Mac Coy, visto su L’Eternauta e, nel mio ricordo, piuttosto simpatico. Inoltre stando all’autorevole Alla Scoperta della Bande Dessinée di Mauro Giordani dovrebbe esserci anche un’altra storia breve a me del tutto sconosciuta: un Intermezzo Madrileno presentato su Super-Totem 2. Peccato, ma immagino che avranno avuto le loro ottime ragioni per saltarli, e d’altra parte anche i volumi 100% di Thorgal della Panini non contemplano almeno due storielle (poco canoniche, certo, ma la collana era presentata come integrale).

sabato 4 luglio 2015

!

Questa mattina ho pensato che ci fosse veramente un ponte di Einstein-Rosen a Turriaco visto che a 50 anni di distanza dalla sua uscita ho trovato questo:
In realtà apprendo dalla Rete che si tratta di una lodevolissima iniziativa che prevede la ristampa dei primi 12 numeri della rivista (anzi, della Rivista)! Ovviamente mi ci sono gettato a pesce confidando che, chissà, la cosa possa avere successo e innescare altre iniziative analoghe. Certo, forse sarebbe stato meglio farla partire prima dell'estate e quindi senza il rischio degli edicolanti in ferie, ma voglio essere ottimista.

venerdì 3 luglio 2015

Historica 33 - Le Torri di Bois-Maury 3: Verso Gerusalemme



Mah, c’è poco da dire. Che fosse un gran fumetto lo avevo vagamente intuito durante le letture troppo frammentarie e distanziate fatte su L’Eternauta e nei relativi volumi, con questa iniziativa della Mondadori ho capito tutta la sua portata di vero e proprio capolavoro.
Le Torri di Bois-Maury è un’opera magistrale che unisce crudo realismo e ironia. I personaggi delineati sono meravigliosi, sospesi anch’essi tra il realismo della loro posizione sociale e le derive umoristiche dei loro difetti. Leggendo di seguito i volumi (e condivido l’opinione di Sergio Brancato che questi ultimi quattro qui raccolti siano i migliori della serie) mi sono inoltre accorto della genialità con cui Hermann è riuscito a tessere una continuity rigorosa ma per nulla invasiva, praticamente invisibile, e l’abilità con cui trova gli spunti e i meccanismi giusti per coinvolgere i suoi protagonisti nelle avventure.
Disegni e colori sono spettacolari: è vero che Hermann non sa disegnare le donne, e forse non solo quelle, ma le sue tavole hanno un’organizzazione e un dinamismo unici. E i paesaggi sono stupefacenti.
L’unica pecca di questo volume è che mi è arrivato in edicola un po’ rovinato, ma ovviamente non è colpa della Mondadori. È anche vero che due balloon di Aymar ed Hendrik a pagina 109 sono invertiti, ma oramai lo considero un marchio di fabbrica senza il quale la collana Historica non sarebbe più la stessa.

giovedì 2 luglio 2015

Cosmo Noir 3 - Battaglia 3: Muro di Piombo



Attendevo questo numero di Battaglia con una certa curiosità per il comparto grafico (e manco a farlo apposta è uscito un po’ in ritardo): Francesco Francini avrebbe seguito il percorso esteticamente accattivante di Des Dorides o quello più scarno (diciamo così) di Lovelock?
Spiazzandomi, Francini ha scelto una linea radicalmente diversa: la modernità. Pur nel limitato formato tascabile è riuscito a organizzare le tavole in maniera molto creativa, con suddivisioni in vignette non banali, inquadrature dinamiche e un uso interessante perfino del lettering. Il suo tratto mi è sembrato memore delle inchiostrazioni robuste e decise di Palumbo e Catacchio, ma non mancano influssi milleriani e modulazioni originali del tratto. Un ottimo risultato che ha anche ottenuto l’effetto di rendere meno stranianti le battute cool che con un disegnatore dallo stile più classico sarebbero risultate stridenti.
Ho notato però una qualità di stampa quantomeno curiosa. Sono visibili quegli elementi che solitamente in stampa non dovrebbero esserlo, cioè  i bianchi non compatti della tempera coprente e i neri della china anch’essi non sempre compatti, eppure non si può dire che la resa finale sia buona visto che ci sono anche i tremolii tipici della stampa digitale. Peccato.
A livello di storia, in Muro di Piombo scopriamo che il DC9 di Ustica venne abbattuto niente meno che per eliminare Pietro Battaglia in modo da eliminare ogni traccia del suo coinvolgimento nelle operazioni sporche del governo italiano! Ovviamente le cose non vanno come previsto dai “poteri forti” e il protagonista farà una vera e propria carneficina, con torture e sparatorie decisamente iperboliche e con derive splatter, da cui probabilmente il titolo.
La suspence costruita da Giovanni Masi all’inizio è molto efficace, poi dall’inevitabile crollo dell’aereo la storia procede rapida e incalzante, con un ritmo frenetico e scene d’azione praticamente ininterrotte. A mio avviso questo terzo episodio è finora il migliore della miniserie – è anche vero che Francini ha qualche difficoltà a rimanere fedele al volto di Battaglia, ma è un problema comune a tutti i disegnatori.
Oltretutto, molto interessante l’editoriale che stavolta non ricostruisce l’atmosfera dell’epoca ma anticipa i punti salienti dell’azione e contiene informazioni utili per meglio godersi il fumetto.