martedì 31 marzo 2020

Fumettisti d'invenzione! - 147

Mi permetto di integrare il divertente e interessantissimo volume di Alfredo Castelli con altri “fumettisti d’invenzione” e simili.
In grassetto le categorie in cui ho inserito la singola segnalazione e la pagina di riferimento del testo originale.

CARTOONIST COME PROTAGONISTA – GRAPHIC NOVELS E ONE SHOTS (pag. 24)

FRACTION (IDEM)
(Giappone 2009, © Shintaro Kago, thriller)
Shintaro Kago

Un killer insospettabile si aggira nei dintorni del distretto di Setagaya trucidando ragazze in maniera rituale: taglia i loro corpi a metà. Il fumettista Shintaro Kago, un po’ male in arnese a causa delle mutate condizioni del mercato (e anche per questo deciso a cambiare genere dall’ero guro per cui è famoso), viene coinvolto in un progetto che prende spunto dalle gesta dell’assassino per ricostruirne il profilo. L’autore si prende degli ampi spazi per parlare del linguaggio fumettistico e degli “inganni” che può mettere in atto. Non sono solo disquisizioni teoriche, ma li usa magistralmente per cogliere di sorpresa il lettore: pagherà caro, però, il voler diventare un personaggio del suo manga.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie
CITAZIONI, CARICATURE, CAMEI (pag. 61)

BOY COMMANDOS
(Stati Uniti 1942, in Detective Comics, © DC Comics, guerra)
Joe [Joseph Henry/Hymie] Simon (T), Jack Kirby [Jakob Kurtzberg] (D)

Durante la Seconda Guerra Mondiale un gruppo di quattro adolescenti orfani provenienti da vari paesi Alleati vive delle inverosimili e patriottiche avventure in giro per il mondo, sabotando i piani dell’Asse. Con la fine della guerra e qualche cambiamento nel cast, la serie si concentra sui diari di guerra dei Boy Commandos per poi virare sull’avventuroso con frequenti concessioni al fantastico.
Dopo la prima apparizione su Detective Comics 64 del giugno 1942 e qualche passaggio su World’s Finest Comics ottennero la loro testata quadrimestrale a partire dall’inverno 1942, consolidando un grande successo che portò la rivista alla bimestralità e i protagonisti a diventare una presenza fissa anche nelle due testate dove comparvero inizialmente.

Satan wears a Swastika (1942), su Boy Commandos 1. Joe [Joseph Henry/Hymie] Simon (T), Jack Kirby [Jakob Kurtzberg] (D)
Lo staff della DC Comics è in agitazione dopo aver letto la notizia secondo cui i Boy Commandos sarebbero morti in azione. Per questo si rivolge a Simon e Kirby per far trovare loro qualche stratagemma con cui salvarli: i due autori arriveranno anche a evocare il loro altro personaggio Sandman dalle pagine di Adventure Comics (nella storia compare anche l’Esercito degli Strilloni, altra creazione di Simon e Kirby) ma la vicenda ha una spiegazione logica.
In questo episodio compare per la prima volta Agent Axis, nemesi dei Boy Commandos.

Fuori tema: fumettisti non d’invenzione: citazioni, caricature, camei; fumetti biografici; metafumetti e autoreferenzialità; parodie
PARODIE (pag. 67)

LA VIDA ES UNA FANTASÍA (UNA STORIA REALE)
(Argentina 1983, in Skorpio, © Ediciones Record, fantascienza)
Riccardo Barreiro (T), Ernesto Melo (D)

Un ragazzo si arruola nell’armata dello spazio per uscire dalla pessima situazione in cui si trova (il pianeta dove vive ha un clima glaciale e la popolazione femminile è di appena il 4% di quella totale), ma anche i fumetti propagandistici che l’armata diffonde, di cui viene presentato un lungo estratto, hanno un peso nella sua scelta.
Curiosamente la prima versione italiana (su L’Eternauta 58) ha per titolo quello del fumetto nel fumetto e non il titolo originariamente previsto. E d’altra parte anche sullo Skorpio argentino apparve come La Vida es Fantasía e non «una Fantasía».

[TELEVISIONE] ALTRO (pag. 129)

STUCK IN THE MIDDLE (Harley in mezzo, Disney Channel)
(USA 2016/2018, 3 stagioni, 57 episodi più uno speciale)
Situation comedy, Disney Channel, creato da Alison Brown. Con Jenna [Marie] Ortega, Ronni Hawk, Kayla [Rose] Maisonet

Harley Diaz è un’adolescente geniale che crea gli apparecchi più strani, “stretta in mezzo” a una famiglia numerosa in cui è la quarta di sette figli.

Episodio Stuck in a Nice Relationship (2017)
Scritto da David Baldy
Harley è infastidita dal rapporto che sua sorella Georgie ha col suo fidanzato, che finisce per coinvolgere sempre anche lei nelle loro attività. Nel mentre suo fratello Ethan stringe un’amicizia “clandestina” (Harley lo ha messo nella lista nera delle persone che odia) col vicino Aiden, perché gli fa avere in anteprima i fumetti di Doctor Tick-Tock, che riesce ad avere visto che l’autore Garth Benson è il padre di un suo amico. Aiden lo invita addirittura a cena col suo fumettista preferito.
Pseudofumetti: oltre a Doctor Tick-Tock si vede una copia di Vampilot, unico fumetto che Aiden prende in prestito da Ethan dopo che questi gli ha offerto tutta la sua collezione di fumetti in cambio del suo silenzio sul fatto che si incontrano all’insaputa di Harley.

domenica 29 marzo 2020

Robinson: Resistere

L’emergenza Coronavirus ha offerto il destro a Repubblica per imbastire un numero di Robinson a tema coinvolgendo svariati fumettisti. Dietro una copertina di Lorenzo Mattotti sospesa tra De Chirico e i comic book di mostri della Marvel pre-supereroi c’è veramente di tutto, sia per tematiche che per stili. Vignette, illustrazioni, fumetti veri e propri. E nessuno degli autori coinvolti sembra aver tirato via il lavoro, nemmeno quelli la cui produzione abituale è orgogliosamente scarna e affrettata. Milazzo ha riciclato un acquerello del 2011 (o così almeno si legge nella firma) ma quello che importa sono le sue considerazioni messe in esergo. Ed effettivamente alla nutrita schiera degli autori elencati nell’introduzione di Luca Valtorta (Altan, Mirka Andolfo, Paolo Bacilieri, Barbara Baldi, Alessandro Baronciani, Alice Berti, Giacomo Bevilacqua, Mauro Biani, Massimo Bucchi, Giorgio Carpinteri, Francesco Cattani, Giorgio Cavazzano, Lorenzo Ceccotti – di cui forse il contributo è stato pubblicato capovolto –, Anna Cercignano, Gianluca Costantini, Dr. Pira, Vincenzo Filosa, Fumettibrutti, Valerio Gaglione, Gabriella Giandelli, Vittorio Giardino, Jeff Kinney, Tanino Liberatore, Piero Macola, Maicol & Mirco, Milo Manara, Riccardo Mannelli, Martoz, Lorenzo Mattotti, Elisa Menini, Ivo Milazzo, José Muñoz, Joevito Nuccio, Giuseppe Palumbo, Rita Petruccioli, Tuono Pettinato, Sergio Ponchione, Roberto Recchioni, Andrea Serio, Silver, Sio, Alice Socal, Cristiano Spadoni, Angelo Stano, Geronimo Stilton – ! –, Davide Toffolo – piuttosto sacrificato dalla riduzione della sua tavola – Vanna Vinci, Eldo Yoshimizu, Zerocalcare, Silvia Ziche, Zuzu) vanno aggiunti, oltre a Sergio Gerasi, anche i meno visibili autori dei testi, che hanno contribuito con le loro considerazioni (Giancarlo Berardi, Mario Gomboli, Michele Masiero) o proprio sceneggiando una pagina a fumetti (Tiziano Sclavi).
Da oggi in vendita a 50 centesimi separatamente da Repubblica, per chi ha la possibilità di recarsi in edicola è un ottimo modo per rifarsi gli occhi (Manara!) e lo spirito, con una lettura corposa che terrà occupati per un bel po’.

giovedì 26 marzo 2020

Straitjacket/Camicia di Forza

Alexandra Wagner ha ammazzato suo fratello gemello Alex quand’era ancora poco più che una bambina, facendolo a pezzi. Per come la vede lei, non è stato un gesto gratuito né crudele ma lo ha fatto per rendere il fratello irrintracciabile dalle entità che predano gli umani dall’Altra Parte. Da allora suo fratello la guida nel mondo reale facendole evitare di attirare le attenzioni dei predatori.
Dopo essere stata ospite di vari istituti psichiatrici Alexandra finisce al McLaine Hospital: è una clinica per straricchi (ci è finito anche un comico di grande successo), ma visto che il suo caso è così interessante viene studiata ben volentieri dal luminare dottor Carrington che però la affida al suo assistente Thomas Hayes, psichiatra in carrozzella (omaggio a Dario Argento?). Alla clinica la situazione precipita e per la protagonista arriva il momento del redde rationem contro il suo nemico più potente.
Come ambientazione e tematiche Camicia di Forza ricorda un po’ Infedele, anche se qui non ci sono sovrastrutture relative a razzismo e paranoia. È comunque un horror giocato sulle aspettative del lettore, a cui non viene rivelato subito se gli elementi paranormali siano “reali” o solo nella testa della protagonista. El Torres forse si è bruciato troppo in fretta la sorpresa (sorpresa molto relativa, ovviamente) facendo compiere ad Alexandra un’azione impossibile già nel secondo episodio, anche se poi ha cercato di rimediare dandone una spiegazione logica, ma nel complesso ha gestito bene il ritmo e la tensione, giocando sapientemente con l’alternanza delle pagine dispari e pari. Anche i dialoghi non sono male. Forse però quattro comic book (il fumetto è un prodotto spagnolo ma il formato è quello statunitense) sono pochi per sviluppare compiutamente la storia – non ci sono trame in sospeso né rimandi a prossimi episodi, ma si leggono molto rapidamente e alla fine sembra che El Torres abbia premuto sull’acceleratore.
I disegni di Guillermo Sanna, quasi a voler assecondare il tono del fumetto, sono schizofrenici: spesso sintetici e un po’ schematici (forse memori di Alex Toth, ma io ci vedo anche Zaffino), con una certa frequenza vengono arricchiti da tratteggi più fitti, da sfondi più curati e da retini che rendono iperrealisti certi volti. Il tutto stampato in una azzeccata bicromia in cui il rosso va a braccetto col nero – ma nelle prime tavole dell’ultimo episodio c’è anche del giallo. Il risultato finale è suggestivo, anche se qualche sporadica vignetta sembra un po’ scarna.
I 20 euro a cui è stato annunciato da DoubleShot non sono pochi, ma Camicia di Forza non è malaccio e probabilmente gli appassionati di horror lo apprezzeranno.

lunedì 23 marzo 2020

Jupiter's Legacy Volume 2

Ecco, io gli avevo dato fiducia e Mark Millar mi ripaga così. Il seguito di Jupiter’s Legacy è solo un lunghissimo scontro tra supereroi. Millar si perde in battutine cool, o che tali vorrebbero essere, ma soprattutto ricicla il suo repertorio (la realtà illusoria già vista in Authority e nei suoi Fantastici Quattro, il personaggio miniaturizzato che salva la situazione come in Ultimates, i cattivi che diventano buoni come in Supercrooks…), butta i personaggi sulla scena senza logica a seconda della necessità e contravviene alle regole che lui stesso ha stabilito: nel primo arco narrativo Hutch attiva chiaramente la sua torcia (o quello che è) del teletrasporto anche se in quel momento ce l’ha un altro personaggio, e poi pure a distanza, quindi avrebbe potuto usarla anche qui quando gli viene sottratta per un momento. E francamente il suo funzionamento è assurdo anche per un fumetto di supereroi… solo un McGuffin per risolvere situazioni altrimenti troppo complesse da sciogliere in maniera ragionevole o per offrire il destro alle ennesime battutine sceme. Millar ha pure sbagliato l’attacco della storia, che in precedenza ripartiva dal 2022 mentre qui è ambientata nel 2020! Che cagata.
Uno pensa che almeno a livello grafico il fumetto sia dignitoso, e in effetti Frank Quitely si mantiene sullo standard del volume precedente con le stesse piccole criticità dovute alla scelta di non inchiostrarsi: solo che stavolta è colorato da Sunny Gho che copre i suoi disegni con effettini adatti per le bozze di un progetto di urbanistica e non per un fumetto.
Pare che questa minchiata (in cui i supereroi vengono solo fintamente criticati per confermarne invece il fascino infantile) dovrebbe avere un seguito. Ma ci vorrà ben più di un Coronavirus per farmelo leggere.

giovedì 19 marzo 2020

La Lega degli Straordinari Gentlemen: La Tempesta

Credo di non aver capito del tutto questo ultimo (pare definitivamente ultimo) capitolo della saga di Moore e O’Neill. Cioè, la storia è perfettamente comprensibile e lineare e non ho colto allusioni al fatto che ci siano chissà quali livelli di lettura. Anche i vari inserti, a fumetti e no, sono innecessitanti di ulteriori approfondimenti. E proprio questa linearità è disarmante in un opera del Bardo di Northampton, che adotta addirittura la classica trovata di chi non sa più che pesci pigliare, cioè far comparire gli stessi autori nella loro opera. La presenza è giustificata (beh, insomma) ma rimane comunque un po’ esornativa.
Stavolta Moore se la prende con gli editori di fumetti che hanno affamato i fumettisti britannici. La conclusione della storia vede (salvo altre interpretazioni che non sono riuscito a formulare) l’invasione definitiva della fiction nel mondo reale, cosa che Moore dipinge come una cosa non necessariamente positiva. Ma d’altra parte il pessimismo è un po’ una costante de La Tempesta.
L’oggetto degli omaggi trasfigurati di quest’ultima miniserie sono i giornalini inglesi, ovviamente appena appena trasfigurati. Alcuni sono celeberrimi e li conosco pure io (2000 A. D. che diventa 2010 A. D.), ma ovviamente l’impatto maggiore lo avranno sui lettori albionici. In controluce si legge lo sconforto di Moore per un ambiente produttivo ingrato e teso al solo profitto. Ed emerge anche qui l’odio verso James Bond, già ampiamente dimostrato nel Black Dossier.
Kevin O’Neill ovviamente disegna come disegnerebbe qualsiasi disegnatore che lavori con il mito Alan Moore, cioè a scartamento ridotto, tanto il fumetto stravenderà comunque. In realtà non è proprio così, e gli va riconosciuta la dedizione con cui riempie di tratteggi le sue figure geometriche. Però è un po’ desolante vedere che le tre protagoniste femminili si riescono a distinguere (e nemmeno sempre) solo dalla pettinatura o dagli abiti o dal contesto in cui agiscono.
La lettura non è sgradevole, anche se non riserva poi molte sorprese e alla fine trasmette un senso di stanchezza, di disincanto e anche di sfiducia verso il mezzo fumetto.
Viene da chiedersi che razza di fumetti sarebbe stato in grado di creare Moore se fosse nato in un paese fumettisticamente più civile come Francia o Argentina. Ma forse in quel caso non ne avrebbe creati proprio, almeno non per reazione alla ripetitività dei soggetti e alle condizioni umilianti cui erano sottoposti gli autori.

domenica 15 marzo 2020

Jupiter's Legacy

Ho aspettato un bel po’ prima di leggere questo fumetto, essendo scritto da un Mark Millar che all’epoca dell’uscita aveva già rivelato il suo vero volto, quello della ripetitività e del facile shock value a coprire una pochezza di contenuti che probabilmente ne caratterizza la produzione sin dagli esordi. Ma invece Jupiter’s Legacy non è affatto male.
L’ambientazione è quella canonica dei supereroi, appena appena mescolata con un po’ di fantascienza e un vago retrogusto da romanzetto pulp anni ’30. I supereroi sono il frutto di un incontro con della tecnologia aliena che a ridosso della Grande Depressione contattò delle menti elette (tecnicamente una sola, che però formò un gruppo di altri soggetti meritevoli) per fornire loro dei superpoteri con cui salvarono l’America e divennero degli esempi per la gente comune, degli ideali a cui tendere. Non credo di essermi immaginato il feroce sarcasmo sottinteso a questo spunto di partenza e ai dialoghi del primo episodio.
Arrivati ai giorni nostri (ovvero al 2013) le alte aspirazioni che mossero il nucleo centrale del primo supergruppo sono un po’ appannate, se non proprio disilluse: la progenie dei primi supereroi è una masnada di debosciati dediti ai party, alle droghe e alla vacuità da celebrità (concetto già talmente sviscerato da risultare banale) mentre quanti ancora combattono contro minacce superumane sono prossimi a uno scisma: i metodi di Utopian sono ormai considerati desueti e inefficaci dal suo intelligentissimo fratello, che vorrebbe incidere molto di più sulla società americana con metodi concreti, mettendo in atto un suo elaborato piano economico. Proprio quando sta per avvenire la “deposizione” di Utopian per mano di suo figlio, il supercriminale Hutch fugge con l’altra sua figlia Chloe, una buddista vegetariana che non disdegna le droghe (è appena finita in overdose) e che aspetta un figlio da lui.
Dopo un salto temporale tra il terzo e il quarto capitolo arriviamo nel 2022 che all’epoca doveva sembrare ancora così lontano, e vediamo la realizzazione della società ideale immaginata dal fratello di Utopian: la terra è una dittatura in cui delle corazzate volanti pattugliano i cieli alla ricerca dei superumani rimasti e non ancora piegati alla nuova “utopia”. Chloe e Hutch vivono in Australia e il loro figlio Jason ha già sviluppato poteri che probabilmente sono superiori ai loro (Hutch non ne ha ma usa una bacchetta per teletrasportarsi, quelli di Chloe e degli altri sono volutamente lasciati nel vago per permetter loro di fare quello che serve nelle singole scene senza che i neuroni di Millar si affatichino troppo) e deve nascondersi fingendo di essere un ragazzino normale, anzi piuttosto mediocre. In realtà, all’oscuro degli stessi genitori, ha un suo piano. Ma la loro copertura non può durare in eterno, se non altro per ragioni narrative, e nel quinto e ultimo episodio avviene il redde rationem.
Pur lavorando con materiale di partenza trito e ritrito Mark Millar è riuscito a renderlo piacevolmente suggestivo con quel sottotesto sarcastico che ricordavo sopra; inoltre molte sequenze sono veramente ben scritte e in più di un’occasione ha saputo creare la giusta tensione nel lettore con lunghi dialoghi molto ben “recitati” che fanno da contraltare alle sue tipiche scene di violenza esagerata (qui virate anche sullo splatter).
Pur non amando Frank Quitely, non posso certo esimermi dal rilevare l’ottimo lavoro che ha svolto: è molto dinamico ed espressivo e non si tira certo indietro quando deve disegnare delle tavole affollate di persone o dei panorami dettagliati. Purtroppo non si è inchiostrato le matite ma evidentemente è andato in stampa direttamente con quelle, opportunamente “inchiostrate” digitalmente: questa scelta rende un po’ imprecisi o solo abbozzati certi particolari, ma tutto sommato è adatta per assecondare il tono parodistico di Jupiter’s Legacy.
Certo: trattandosi di Millar ci si aspetta la fregatura, che anche stavolta puntualmente arriva. La prima miniserie di cinque episodi è appunto solo la prima parte di una storia più ampia che dovrebbe concludersi con un altro volume (e vedo che Millar ne ha anche tratto degli spin off). Poco male: leggerò pure quella, visto che non devo andare da nessuna parte…

venerdì 13 marzo 2020

Ci si vede, Cleopatra...

Mi sono informato e ho avuto conferma che l’ultimo numero di Historica Biografie è arrivato nella mia edicola di riferimento, che però si trova in un altro comune… un comune praticamente fuso con quello in cui risiedo io ma è ovvio che preferisco evitare rischi, tanto più che ci sono già stati casi di contagio (anche nell’amministrazione comunale e tra i vigili) e persino qualche morto.
Tanto l’edicolante me l’ha messo da parte, si tratta solo di aspettare…

mercoledì 11 marzo 2020

Coronavirus

Sicuramente sono io che non sono riuscito ad afferrare molto bene alcuni elementi del Decreto in vigore dal 9 marzo, però mi sembra che le disposizioni siano ambigue (quando non contraddittorie) e l’esposizione nebulosa.
Di andare in fumetteria o in qualsiasi altro negozio “voluttuario” ovviamente non se ne parla, salvo avercelo sotto casa. Ma nell’edicola di paese si può andare? Non è che i giornali (e le sigarette, i gratta e vinci, le fotocopie…) siano beni di prima necessità ma continuano a uscire. Se è consentito uscire di casa solo per i beni di prima necessità bisogna per forza andare a comprare il pane in un centro commerciale per andare nella relativa edicola?
Queste considerazioni mi fanno venire in mente che forse la limitazione degli spostamenti vale solo fuori dal comune di residenza, come mi hanno detto alcuni, ma da nessuna parte nel Decreto viene detto esplicitamente che nel proprio comune si può circolare liberamente, io almeno non ho trovato nessun riferimento in merito, anche se alcuni interventi sui giornali e su internet sostengono che si possa fare.
Se qualcuno potesse gentilmente chiarirmelo con le relative pezze d’appoggio…

martedì 10 marzo 2020

Dotter of her father's eyes

Sfogliando questo volumetto i disegni di Brian Bolland mi sono sembrati un po’ sintetici, in alcune parti quasi tirati via rispetto allo stile per cui lo conosco. E vabbeh, ho pensato, si sarà adattato al tipo di fumetto che doveva disegnare. Eppure in molte vignette non sembrava nemmeno lui. E infatti il Brian (anzi, Bryan) che ha disegnato questo fumetto è Talbot, non Bolland. Chissà se quando ho ordinato questo volume ne ero consapevole oppure pensavo che fosse opera di Bolland.
Dotter of her father’s eyes racconta il legame complicato tra Mary Atherton, sceneggiatrice del fumetto e moglie di Talbot, e il padre James S. Atherton, eminente studioso joyciano. James Joyce è la chiave di volta del racconto perché l’autrice ravvisa un inquietante riflesso del suo rapporto col padre nella vicenda di Lucia, figlia dello scrittore irlandese e ballerina di grande talento costretta a rinunciare dai familiari alle sue ambizioni finendo reclusa in un ospedale psichiatrico. Questo dramma nella vita di Lucia Joyce viene comunque trattato molto rapidamente solo alla fine, perché il fumetto si concentra principalmente, pur con abbondanti inserti biografici sui Joyce (quasi metà delle pagine), sulla descrizione di quanto James S. Atherton fosse uno stronzo irredimibile. Le motivazioni del suo carattere iracondo e sprezzante hanno origine nella condizione paradossale in cui versava: pur avendo un prestigioso lavoro di insegnante, era più indigente degli appartenenti alla working class con cui giocoforza doveva convivere, che possedevano la televisione e servizi igienici moderni. Forse questa situazione (intollerabile per un vero figlio di Albione, ancorché cattolico) era dovuta alla numerosa prole degli Atherton o forse ai rovesci di fortuna conseguenti alla Seconda Guerra Mondiale, come forse lascerebbero intendere alcuni documenti reali appartenuti al padre che l’autrice ha inserito nel fumetto a mo’ di cornice. In ogni caso, Mary Talbot non giustifica affatto il padre, verso cui lascia trasparire un sincero rancore, e anche il paio di circostanze in cui riporta degli episodi sereni di vita con lui sembrano dei tentativi non molto sinceri di dare un quadro più obiettivo della situazione, ma giusto per proforma.
Insomma, questo fumetto si inserisce nella memorialistica con cui togliersi i sassolini dalle scarpe, genere molto diffuso in questi ultimi anni, e quindi le vicende vengono più riassunte che raccontate, anche se va detto che rispetto a tanti altri fumettisti più giovani la Talbot riesce a evitare di ridurlo a un semplice racconto illustrato e addirittura azzecca anche un paio di belle sequenze che sfruttano le possibilità grafiche che solo il fumetto può dare, si veda in particolare la tavola a pagina 56. Inoltre all’inizio la Talbot è stata efficace nel creare un certo straniamento nel lettore intorbidendo un po’ le acque e mettendo in dubbio se stesse parlando di suo padre o di James Joyce. E poi la scena dell’incontro con l’amico “scoppiato” dopo il funerale è veramente esilarante, talmente surreale che non dubito sia accaduta sul serio.
Resta però la sgradevole sensazione di aver fatto i guardoni nel privato di una persona (perché dilungarsi così tanto nella scena del parto, con accenti quasi splatter, se poi tutto si risolse per il meglio?), per quanto la stessa autrice abbia voluto mettersi a nudo. E poi notoriamente è molto più difficile elaborare una vera trama che mettere in fila i propri ricordi.
Le tavole di Talbot presentano purtroppo alcune criticità. Le tecniche con cui le ha colorate sono sicuramente valide esteticamente e soprattutto efficaci nel distinguere i diversi piani temporali (presente=computer, passato=acquerelli seppia con inserti a colori, storia dei Joyce=mezzatinta grigia) ma il disegno al tratto non è ai livelli di altri suoi fumetti. Nell’insieme il lavoro non è affatto brutto, ma proprio perché basato su un segno sintetico quando lo si legge si notano in alcune vignette delle semplificazioni anatomiche grossolane e delle figure non sempre simmetriche o armoniose; in particolare la bocca della madre di Lucia è “impossibile”. Spero sia solo il frutto della scelta di disegnare di getto e non il sintomo di qualche problema alla vista del disegnatore. Cionondimeno, un formato un po’ più grande avrebbe giovato al godimento del fumetto (sarà che i problemi di vista comincio ad averceli io) ma su questo non credo che Nicola Pesce Editore abbia avuto voce in capitolo riprendendo semplicemente il formato originale. Invece sarebbe stata d’uopo un’introduzione all’edizione italiana, laddove è presente solo una breve nota della traduttrice, per spiegare almeno il significato del titolo; capisco ovviamente che “Dotter” è un gioco di parole con “daughter”, ma cosa (o chi) diavolo è un “dotter”? E poi in un’opera così imbevuta di letteratura colta vedere delle (rare) virgole tra soggetto e verbo è veramente un pugno in un occhio.

sabato 7 marzo 2020

Historica 89: Seconda Guerra Mondiale - La nascita del SAS 1 (?): Il reggimento - La vera storia del SAS

Lo Special Air Service era un gruppo di incursori paracadutisti Alleati che durante la Seconda Guerra Mondiale si infiltravano oltre le linee nemiche in Africa sabotando aerei e perpetrando più danni possibili.
La storia prende le mosse proprio dalla loro costituzione nei ricordi di uno dei tre fondatori: Vincent Brugeas identifica il nucleo centrale del SAS con lo scozzese David Stirling, l’irlandese Blair “Paddy” Mayne e l’australiano Jock Lewes. Tutti e tre sono delle teste calde refrattarie alle gerarchie, con punte di coraggio che sfocia in incosciente eroismo. Nel primo capitolo (ma la divisione in capitoli è in dubbio: ci tornerò sotto) c’è la presentazione del SAS e la sfilata della sua travagliata fase preliminare prima di mettersi in luce con una importante operazione che finalmente ne giustifica l’esistenza. Compare anche il Long Range Desert Group reso celebre da Hugo Pratt ne Gli Scorpioni del Deserto. Nel secondo capitolo entra in scena un nuovo personaggio, Bill Fraser, e le operazioni del SAS si intensificano (non sempre coronate dal successo) fino al tragico finale.
Brugeas si sforza di adottare uno stile di scrittura che possa soddisfare anche chi non è appassionato del genere bellico ma il ritmo sincopato, il frequente ricorso a flashback, la frammentarietà di molte situazioni rendono la lettura un po’ ostica a chi non abbia già confidenza con il tema trattato (è intuibile ma non proprio esplicito il senso della scena a pagina 45). E questo pur con la trovata della memorialistica a fare da collante alle varie sequenze. Lo spirito del fumetto è invece sin troppo classico e retorico, lo stesso di un film con John Wayne degli anni ’40: cameratismo, scazzottate, spavalderia elevata a eroismo, frasi a effetto e in definitiva tutti i luoghi comuni sui soldati e sulla guerra, senza molto approfondimento psicologico. Bene o male tutti e tre i protagonisti sono intercambiabili tra di loro, così come anche Bill Fraser, che si differenzia dagli altri solo perché non ha la barba.
I disegni di Thomas Legrain sono sicuramente validi, però mi era sembrato più convincente nel Sisco visto su Lanciostory: in questo volume, forse perché col formato più grande ci si fa più caso, i suoi personaggi si assomigliano un po’ troppo – il che è paradossale visto che si tratta di persone realmente esistite (ci vengono forniti anche la loro altezza e il loro peso) di cui sicuramente esiste documentazione fotografica. Niente da eccepire sui mezzi militari e sugli aerei (anche perché non ci capisco niente – cionondimeno mi è sembrato di cogliere dei “copia e incolla”) e soprattutto sui paesaggi, molto curati ed evocativi. I colori di Elvire De Cock sono anch’essi buoni, pur se il ricorso al computer vanifica in certi punti la suggestione degli acquerelli o delle tempere usati come base; se li avesse realizzati interamente al computer, tanto di cappello.
Come accennavo sopra, La nascita del SAS ha una struttura un po’ particolare. Il primo dei due volumi originali è stato presentato integralmente mentre del secondo sono state pubblicate solo le prime 30 tavole. Certo, lo so benissimo che il formato a 30/32 tavole (come quello degli episodi da 23) è uno degli standard del mercato franco-belga, ma non si usa più da quarant’anni, almeno non per un fumetto di stampo realistico. E in ogni caso il secondo episodio risulta composto da 54 tavole come il primo. A giudicare dalla numerazione delle tavole di Legrain non dovrebbe mancarne nessuna, e inizialmente ho pensato a un escamotage della Mondadori come quello già visto per Napoleone Beresina: però in quel caso la scelta poteva essere giustificata dal fatto che sin dall’origine i tre volumi erano divisi in due capitoli ognuno, quindi espungibili senza traumi. Però ho anche notato che stavolta la Mondadori non ha distinto i due episodi come fa di solito, cioè mettendoci in mezzo una pagina bianca col titolo e parte della copertina, nonostante lo spazio non mancasse (e infatti le due copertine originali sono riprodotte integralmente alla fine). Inoltre il finale di questo volume è assolutamente conclusivo, almeno per quel che riguarda una vicenda: spero di spoilerare il meno possibile, ma per forza di cose la serie deve essere continuata da un altro punto di vista considerati gli avvenimenti finali. Tutto ciò mi porta a pensare che quello che ha voluto fare la Mondadori sia un compendio autoconclusivo (magari anticipando o ispirandosi a uno analogo che uscirà in Francia) dei primi due volumi, di cui l’ultimo è stato sfoltito per alleggerire la narrazione e creare con il primo un tutto unitario. E se Legrain avesse modificato la numerazione delle sue tavole per assecondare questa operazione non sarebbe stato certo il primo a farlo. La serie è continuata con un altro volume ma, ripeto, dalla tavola 31 del secondo capitolo il punto di vista dovrebbe essere cambiato, salvo fare ricorso all’espediente del sovrannaturale. Per questo ho messo un punto interrogativo dopo il numero nel titolo: può darsi che Historica si limiti a questa sola versione. Ma ammetto di aver elaborato questa teoria memore di quando agli inizi della collana la norma fossero quattro volumi originali per ogni tomo di Historica… 12,99 euro sono sempre pochi per un centinaio di pagine di BéDé stampate su carta patinata e in grande formato, ma piuttosto che troncare dei volumi a metà non sarebbe meglio aumentare un po’ il prezzo, fermo dal 2012?
Se poi pubblicherà anche il terzo e i prossimi episodi (e/o ciò che resta del secondo) rimarrò col dubbio di come Brugeas abbia sviluppato la situazione, visto che La nascita del SAS non mi ha colpito tanto da spingermi a comprarne un eventuale seguito.

venerdì 6 marzo 2020

Sorpresa!

Trovato e preso. Il volume era accompagnato da un flyer da cui si evince che Historica Biografie continuerà anche dopo l'annunciata Cleopatra:
Non più personaggi storici (per quanto la principale collana di riferimento contasse ancora qualche volume inedito da noi) ma Grandi Pittori. Per me è una buona notizia.

giovedì 5 marzo 2020

Domani cosa troverò?

Noto che il sito di Historica della Mondadori non contiene anticipazioni sul prossimo volume, anzi è fermo a Mezek. E d'altra parte ricordo che le copertine degli ultimi due numeri, che di solito attingo da là, ho dovuto fotografarle io perché sul sito non c'erano. E ora che ci penso nemmeno sull'ultima Anteprima ho trovato traccia di anticipazioni di Historica. Chissà cosa troverò domani in edicola (perché qualcosa troverò, vero?).

martedì 3 marzo 2020

Comics&Science 02/2019: The Periodic Issue

Ahimè, mi sono dimenticato di prenderlo all’ultima Lucca e così ho dovuto aspettare un po’ per poterlo recuperare. Anche questo volumetto è veramente bello, come ci ha abituato la collana.
Nell’interpretazione di Giovanni Eccher e Sergio Ponchione gli elementi della Tavola Periodica (di cui l’anno scorso ricorrevano i 150 anni) vengono trasfigurati in supereroi in nuce, una sorta di giovani X-Men con tanto di scuola dedicata e un mentore simil-Professor X, Mendeleev in persona. Ne L’Accademia del Professor M per Elementi Dotati ci troviamo negli anni ’30 e il professor Segrè porta all’istituto la sua creazione/figlio, il numero 43 che corrisponde al Tecneto. Qui viene sottoposto a misurazioni e viene introdotto alla “vita” nella villa-laboratorio, facendo conoscenza con i suoi futuri compagni – non tutti ovviamente “reagiranno” bene alla sua presenza.
Pur nel suo dichiarato intento didattico e praticamente senza alcuna trama alla base, questo fumetto è una storia molto riuscita a coinvolgente, e i disegni di Ponchione sono eccezionali.
Come di consueto negli albetti Comics&Science, una parte consistente del volume è dedicata a un’intervista ai due autori. C’è poi un articolo di approfondimento sulla Tavola Periodica a firma Andrea Ienco e Samuele Staderini. Forse una nota leggermente stonata è l’intervento di Dario Bressanini, sicuramente interessante e documentatissimo (ma anche molto ben scritto: l’incipit con l’associazione degli elementi 15 e 17 agli anni della Prima Guerra Mondiale è un bel tocco di classe) però incentrato sugli effetti venefici e distruttivi che l’uomo ha saputo trarre dagli elementi, il che getta un’ombra un po’ deprimente sul volume. Molto ben scritto e originale anche l’intervento di Gabriele Bianchi sulla vita di Dmitrij Mendeleev, che sfata alcuni miti romantici non solo sulla scienza.
Può darsi che i redazionali siano stati realizzati basandosi su una versione preliminare della sceneggiatura, che poi è stata modificata: nel fumetto la scena in cui il Potassio brucia è diversa e non ci sono tende, e il Fosforo non è proprio incazzoso come descritto nel pezzo di Bressanini.
Sparse per il volume ci sono varie vignette di Walter Leoni e nelle ultime pagine c’è una storia umoristica di 4 tavole di Davide La Rosa, habitué della testata. Manca invece il consueto intervento di Lercio.it, sostituito dal collettivo La Scienza Coatta.
Un altro ottimo volumetto di questa collana.

domenica 1 marzo 2020

The Wild Storm Libro Quarto

L’anno scorso, o forse già nel 2018, la Rw Lion cambiò distributore e quindi le sue anticipazioni non si vedevano più sull’Anteprima ma su un’altra rivista/catalogo. Siccome di quest’altra rivista  non ho intercettato tutti i numeri mi sono evidentemente perso quello in cui veniva annunciato il volume finale di The Wild Storm che non ho potuto ordinare se non qualche giorno fa, quando per caso ho scoperto che era uscito… ma a giudicare dalle date d’uscita dei singoli comic book riportate nel sommario ai lettori americani è andata ben peggio, visto che tra l’uscita del numero 21 e il 22 sono passati due anni!
Questo Libro Quarto si apre con un capitolo interamente dedicato al riassunto dei retroscena della storia: chi sono e cosa vogliono i Khera e i Daemon e quali sono i rapporti tra OI e Skywatch. Confesso che questi ultimi non mi sono stati chiariti più di tanto: troppi personaggi da associare a una fazione piuttosto che a un’altra e troppi sottintesi per chi ha già familiarità con questo universo narrativo. E poi di mezzo ci sono i “CATS”, i personaggi visti nello scorso volume e il nuovo gruppo che Jenny Sparks sta tirando su…
Infatti nei due capitoli successivi assistiamo all’introduzione e al reclutamento delle nuove versioni di Apollo e Midnighter, che dovranno dare man forte a Jenny Sparks e ai suoi per contenere i danni che Henry Bendix sta per infliggere a New York e all’intero pianeta Terra liberando prima i suoi post-umani modificati (in questa riscrittura dell’universo Wildstorm i poteri sono frutto di manipolazione genetica, Jack Hawksmoor non è stato rapito dagli alieni) e lanciando poi dallo spazio un’asta di diamante che potrebbe fare più danni di un’atomica – idea ripresa da un episodio di Global Frequency.
Negli ultimi tre episodi avviene lo scontro finale, per il quale faccio mio il commento conclusivo di Doctor (che in questa versione è anche Swift…): «Spero tu abbia capito ciò che è accaduto, perché io non ne ho la più pallida idea».
Non posso dire di essere rimasto proprio deluso da questa maxiserie, ma francamente mi aspettavo un po’ di più, o meglio qualcosa di diverso. Ma il problema non è il fumetto in sé, il punto è che si rivolgeva evidentemente a un altro tipo di lettore. The Wild Storm è ovviamente stata pensata per quanti da ragazzini leggevano la robaccia della Image 30 anni fa e che adesso possono divertirsi a rivedere quei personaggi in un contesto più moderno e/o originale, sulla scia dell’operazione Ultimate della Marvel. Questo spiega anche la fastidiosa abitudine di Warren Ellis di introdurre personaggi che poi si perdono per strada e non vengono minimamente sviluppati né tornano in scena: nelle ultime pagine ricompare almeno Voodoo, ma chissà quanti altri riferimenti mi sono perso. La trama in sé avrebbe potuto comodamente essere sviluppata in una miniserie di dodici (ma anche solo sei) episodi, oppure avrebbe necessitato di altri 24 capitoli per sviluppare tutte le diramazioni che introduce, ma così come è venuto fuori The Wild Storm sembra un po’ un brodo allungato. Molto allungato.
Non si può certo dire che i dialoghi di Ellis non siano divertenti, ma quasi 20 numeri in cui i personaggi fanno poco più che parlare sono decisamente troppi, tanto più che il gioco alla fine è valso a malapena la candela perché il finale non è poi così illuminante né tantomeno originale – ma evidentemente è servito per determinare il nuovo status quo dell’universo Wildstorm che adesso fa parte del cosmo DC.
A dirla tutta, alcuni dialoghi mi sono sembrati un pochino artefatti e convoluti, segno di una traduzione a volte non proprio ottimale (ma la prosa di Ellis non è facilissima da rendere in italiano); ciò detto, il difetto maggiore dell’edizione italiana non è questo e nemmeno il brutto lettering pseudo-corsivo, forse imposto dalla casa madre, né l’evidente imbarazzo nell’uso delle virgole e nel mandare a capo gli iati. Il problema è che i personaggi ogni tanto cambiano nome (Helspont/Helsport, John/Jack…) ingarbugliando ancora di più la matassa.
Purtroppo anche il pur bravo disegnatore Jon Davis-Hunt segue il trend discendente della maxiserie: la qualità del suo lavoro si appanna progressivamente nel corso degli episodi, portando anche a posture innaturali e a particolari anatomici un po’ strani, oltre all’utilizzo degli stessi due o tre volti per più personaggi. Inizialmente ho pensato che il calo (comunque niente di drammatico se lo confrontiamo con la maggior parte dei suoi colleghi statunitensi) fosse dovuto alla stanchezza del disegnatore arrivato al capitolo 21 col fiato corto, ma in realtà anche gli ultimi tre episodi usciti dopo due anni di pausa sono stati disegnati allo stesso modo, se non forse addirittura un po’ peggio. Inoltre, ma forse è solo una mia impressione, non mi sembra il disegnatore più adatto per rappresentare la wide-screen violence introdotta da Ellis e Hitch nell’Authority originale, e che qui ha molto spazio nei capitoli conclusivi. Anche i suoi post-umani non sembrano poi così tosti come avrebbero dovuto essere.
L’impressione è quasi quella che la DC Comics si sia stancata del progetto e lo abbia abbandonato a se stesso, come (forse) testimoniano le pochissime variant cover che “abbelliscono” le ultima pagine del volume: anche dai crediti delle storie risulta che non tutte ne avrebbero avuta una. Ma in quarta di copertina viene abbondantemente suggerito che questa maxiserie è stata l’antefatto del nuovo universo Wildstorm in casa DC quindi la responsabilità ricade sugli autori. Anche perché sicuramente Warren Ellis non avrà scritto gli episodi improvvisando di volta in volta ma avrà seguito una scaletta che si sarà fatto prima, e che avrebbe potuto, anzi dovuto, essere più equilibrata tra decompressione e vera sostanza.
In definitiva The Wild Storm ha offerto dei bei dialoghi, occasionalmente dei bei disegni ma appunto poca sostanza, almeno per me che conosco a malapena i personaggi classici Wildstorm.