venerdì 30 novembre 2018

Intervista a José Muñoz

Luca Lorenzon (LL): Alejandro Aguado de La Duendes mi diceva che è in corso una crisi in Argentina, anche loro hanno rarefatto la pubblicazione di volumi cartacei a causa delle condizioni economiche poco favorevoli del Paese.

José Muñoz (JM): Adesso c’è un’altra di quelle cicliche e umilianti manomissioni della popolazione argentina che ha votato per questo governo: è la prima volta che votano direttamente per i finanzieri, i bancari e gli speculatori che li uccideranno. La democrazia è problematica (certo, meglio la democrazia che la dittatura) perché non tutti sono all’altezza di votare per i propri interessi, votano per l’interesse del boia. È triste come fenomeno.

LL: Lei il fumetto lo ha messo in un angolino…

JM: No! Continuo con il fumetto, è uno dei miei amori principali. Direi che io sono un disegnatore con tendenze narrative e con dei problemi artistici… il fumetto è un campo nel quale io ho tentato di esprimermi, di realizzarmi, di crescere con altri andando oltre me stesso e il mio egocentrismo.
Approfittare di questa pulsione è stata anche un’occasione per sublimare le ferite che la Storia ti infligge vivendo. Si è trattato di sublimare l’ingiustizia e lavorare nella forma, omaggiare le forme attraverso la denuncia, come con Sampayo abbiamo fatto con le brutture che vedevamo, non soltanto nel mondo esterno ma anche nel nostro mondo interiore. Una catarsi sublimata in maniera di poter continuare a respirare. E offrire una consolazione anche estetica e narrativa a quelli che ci scelgono come partner del loro panorama di intrattenimento.

LL: Mi viene in mente Sudor Sudaca, in cui molti esuli si sarebbero potuti identificare.

JM: Sì, era il 1981/82 quando abbiamo incominciato quel fumetto con Carlitos. Ci siamo sentiti capaci di affrontare la nostra circostanza reale all’epoca delle Malvine, ci è scoppiato un desiderio argentinoide di metterci dentro la pelle della nostra gente, ritornando un po’ alla nostra infanzia. Carlos continua il suo lavoro di scrittore, continua a raccontare storie che si svolgono alla fine degli anni ’40 e agli inizi degli anni ’50 a Buenos Aires. Quella Buenos Aires che è stata la nostra infanzia e adolescenza.
In quel particolare momento storico io e Sampayo siamo stati spinti da questi dolori interni argentini (ma più in generale sudamericani se vogliamo) a dare il nostro contributo con il nostro mestiere.

LL: Se non sbaglio lei in un’intervista aveva detto che il suo primo passaggio in Europa, in Spagna, con Carlos Sampayo fu il periodo più buio della sua esistenza ma che poi le ha dato la forza di elaborare tutto questo in forma narrativa. [l’intervista è su Fumetti d’Italia 17 dell’autunno 1995 ma Muñoz si riferiva anche alla cupezza della Spagna all’epoca ancora franchista, ndr]

JM: Ci ricolleghiamo a quello che dicevo prima, cercare di realizzarmi come disegnatore espressivo: esprimere le mie gioie e il mio dolore attraverso il disegno collegato con il momento della Storia che stavamo vivendo.
In quel momento con Sampayo ci siamo trovati in un momento di rottura della sua e della mia vita, l’Argentina che si incupiva dietro di noi, uccidendo i suoi figli. Noi siamo scappati per un pelo, nel senso che non eravamo attivisti politici ma prima o poi ci avrebbero fatto fuori. È stato l’ultimo tentativo organizzato delle forze repressive argentine che possiedono il Paese di eliminare qualsiasi tipo di inquietudine critica. Noi grazie al fumetto, grazie all’Historieta [termine che in Argentina designa il fumetto, ndr] ci siamo salvati dalla Historia.

LL: Era lei che aveva detto che l’Historia vi ha deluso e quindi è meglio l’Historieta?

JM: Esatto, quello che voglio dire è che fondamentalmente quello che succede nei lavori con Carlos Sampayo è che arriva a volte una pioggia di angoscia sublimata e catartica, che esige una sopportazione vitale che non è soltanto intrattenimento, anche se “intrattenimento” è una parola che si usa male: l’intrattenimento può essere alto, basso, altissimo, bassissimo. Ossia noi siamo stati un altro tipo di intrattenitori sublimando le angosce della Storia, le nostre paure, le nostre miserie, pur senza esagerare: non siamo stati autobiografici, il nostro linguaggio si è sviluppato a partire anche dal contributo degli autori underground nordamericani e tutto lo straordinario apporto che hanno dato.
Noi della scuola di Buenos Aires, io come autore della scuola di Buenos Aires e Carlos come mio scrittore e compagno d’avventure, ci siamo piazzati come uno dei frutti della scuola di pensiero e di spessore narrativo a cui io ho avuto la fortuna di partecipare negli ultimi momenti, quando nell’imbrunire sono arrivato io con il mio pennellino e ho visto Pratt che se ne tornava in Europa, Breccia che si rifugiava nel silenzio… però noi siamo riusciti a essere formati da quelle Eccellenze.

LL: Alla Escuela Panamericana de Arte lei era brecciano? [nella scuola la differenza principale era tra chi seguiva lo stile di Pratt e chi quello di Alberto Breccia, ndr]

JM: Sono stato allievo di Breccia, ma io ero prattiano, ero un prattiano sfrenato. Però Breccia mi piaceva perché ci sono piaceri nascosti nel nostro mestiere, per esempio l’inchiostratura per me è uno dei piaceri supremi. Io vedevo questa energia che montava nel lavoro di Breccia, le cose che faceva con l’inchiostratura, i lavori con le lamette, con tutto quello che trovava: lui intingeva qualsiasi cosa nella china e la metteva sulla pagina.

LL: C’è il famoso episodio della ruota di bicicletta.

JM: Tutto quello che c’era in giro! Però io ero prattiano. Quando ho avuto, come adesso con Miraggi di Memoria, l’opportunità di avvicinare le mie linee in omaggio ai disegni del Maestro ho provato un estremo piacere, perché è un’occasione per ringraziare attraverso il mio disegno le finestre verso la meraviglia che il disegno di Pratt mi ha procurato.

giovedì 29 novembre 2018

Linus 11/2018

Tra una cosa e l’altra riesco a parlare dell’ultimo Linus di Igort solo adesso, quando il prossimo uscirà tra pochi giorni…
Era già presente allo stand Oblomov di Lucca, ovviamente, ma io l’ho preso qualche giorno dopo, in tempo per elaborare l’impressione funesta che campeggiava sulla copertina. Alla fine ho deciso che Jack Kirby non bastava ad allontanarmi dalla testata, tanto più che veniva promesso anche dell’Andrea Pazienza inedito.
Il numero novembrino di Linus alla fine è stato una lettura più che piacevole, considerata la rotazione un po’ casuale delle serie sulla testata credo di essere stato fortunato. Grandiosi come sempre i classici Peanuts, Calvin & Hobbes, Little Nemo (stavolta non si avverte poi molto la necessità di un formato più grande) e Copi; ho letto persino Barnaby, anche se probabilmente devo avere già queste strisce da qualche parte: carino, anche se sempre decisamente anodino.
Per giustificare il sopratitolo del mese, Igort ha commissionato due storie brevi (ma proprio brevi: due tavole a testa) a Fior e Bacilieri: la prima è una tranche de vie probabilmente autobiografica, che mi tornerà utile per i Fumettisti d’Invenzione, la seconda è un tristissimo spaccato metropolitano magnificamente retinato al computer.
Due le nuove proposte: Elisa Macellari scrive e disegna Il primo uomo sulla terra, quattro tavole che avrebbero reso di più come racconto illustrato che non come fumetto; Tom Gauld coi suoi Literary Cartoons inanella una perla di raffinato umorismo dietro l’altra, e chi se ne frega se i disegni non sono proprio accattivanti.
Per il resto, i “soliti noti” si mantengono pressoché stabili. Richard Short col suo Klaus ogni tanto colpisce in pieno il bersaglio mentre altre volte lo manca, Tonetto racconta con Rufolo una barzelletta un po’ troppo diluita, la InkSpinster di Deco accenna a decollare solo occasionalmente.
Quello che per me è il meglio della rivista si conferma tale: la Marzocchi infittisce la trama de Il mondo di Niger, Merendino di Mò è simpaticissimo (qui poi è presente con un’unica storia lunga) e Perle ai porci è sempre corrosivo e divertentissimo. Stavolta ho apprezzato persino I quaderni di Esther, in cui Sattouf ci mostra la protagonista che si sta ormai affacciando all’adolescenza.
Unica delusione tra le serie, per quanto relativa, è stata Jopo de Pojo: Joost Swaarte non riesce a gestire bene la dimensione della storia “lunga” di 16 pagine, e si inventa una situazione assurda dietro l’altra pur di far procedere la storia, che non ha neanche una vera trama e che non è sempre divertente come probabilmente vorrebbe essere. Ma forse a leggerlo nel 1974 questo episodio sarebbe sembrato geniale.
Questo per quel che riguarda la parte a fumetti, quella scritta si mantiene costante a un livello quanto meno interessante (piuttosto toccanti i due racconti di questo numero, Titipu di Andrew Sean Greer e Sara di Viola di Grado).
E la promessa e la minaccia che campeggiavano in copertina? Di Pazienza vengono presentate due gigantesche tavole a fumetti orizzontali dell’epoca del Liceo Artistico: strepitose. La brossura di Linus ne penalizza la lettura a meno che non si voglia proprio spalancare la rivista (oltretutto sono state inserite tra le primissime pagine) ma viste le dimensioni non si sarebbe potuto fare diversamente – poi magari tra qualche anno la Cosmo le ristamperà in formato bonellide. Il Kirby inedito sono in realtà i bozzetti per il film mai realizzato Lord of Light, alla base della storia di Argo di cui Barry Ira Geller racconta genesi e retroscena. Tra testo e immagini sono ben 11 pagine, ma passano in fretta.

mercoledì 28 novembre 2018

Intervista a Dave McKean

Claudio Zuddas (CZ): Con quali novità è presente a Lucca?

Dave McKean (DM): Le Edizioni Inkiostro hanno pubblicato un artbook, è una raccolta di materiale eterogeneo, quasi casuale, ma è una cosa voluta: il titolo è Apophenia, che in greco si può tradurre come “illusione di significato”. A seconda dell’ordine in cui le immagini sono presentate possono creare un significato piuttosto che un altro. Si tratta di cose poco viste, soprattutto in Italia.

CZ: Lei farà parte del progetto Sandman Universe?

DM: No. [il tono secco della risposta fa ridere gli astanti, ndr]
Però sto facendo delle copertine nuove più simili a quelle dei comic book normali, per riportare Sandman all’epoca in cui fu pubblicato.

CZ: L’arrivo di Sandman rivoluzionò il settore dei comic book americani, e il suo influsso si fa sentire ancora oggi.

DM: Sì, certo, erano poche le opere realizzate in quel modo all’epoca: non erano numerose ma piantarono dei semi, che adesso sono ormai cresciuti rigogliosi. Moltissimi fumetti non ci sarebbero stati senza Sandman.

CZ: Karen Berger viene ancora ricordata per il suo coraggio e il suo intuito nel lanciare la linea Vertigo.

DM: Certo, dette un’impostazione molto originale alla DC Comics e incoraggiò molti nuovi autori (anche lei “piantava semi” tornando al discorso di prima), ma non ci ho avuto molto a che fare perché era una script editor, si occupa delle sceneggiature.
Agli inizi degli anni ’90 gli editor acquisirono più potere dicendo la loro anche sulla parte grafica… e così me ne sono andato.

CZ: Cosa pensa del fumetto contemporaneo?

DM: Attualmente il fumetto sta vivendo un’Età dell’Oro, anche grazie al lavoro che facemmo noi a suo tempo, tanto per tornare al discorso dei semi che sono maturati. Mi piacciono i fumetti molto curati dal lato visuale ma che abbiano anche un buono script e storie che parlano di vita vera, di quello attraverso cui passiamo tutti.
Mi piacciono le graphic novel che parlano di scienza, della natura, di politica, di “come sono le cose”, libri scritti da scienziati che spiegano come funzionano le cose.
Attualmente in Inghilterra ci sono degli editori indipendenti straordinari.

CZ: Quali sono i suoi strumenti preferiti? So che lei usa molto il computer.

DM: No, in realtà i miei strumenti sono la matita, la carta e la gomma: il computer lo uso, ma solo per controllare l’immagine e rifinire qualche dettaglio. Un’immagine digitale mi trasmette una sensazione di “plastica”.

CZ: Tornerà a girare film o videoclip?

DM: Mi sono divertito a farlo, ma l’ho anche trovato frustrante. Con una graphic novel penso a una cosa e la metto subito su carta, il cinema richiede molto più tempo e lavoro senza avere necessariamente il controllo su tutte le fasi della realizzazione. No, dei film non mi interessa più molto. E poi il tipo di storie che vorrei fare richiedono un certo budget che non sarebbe facile da trovare per finanziare un film.

CZ: Cosa pensa della Brexit, se può dircelo?

DM: Stavo lavorando a Calegaro, la mia ultima graphic novel; ero proprio nel mezzo della storia e non sapevo come sarebbe finita: avevo previsto due finali, uno più positivo e l’altro negativo. Proprio in quel momento è capitata questa Brexit e alla fine ho scelto il finale che mi piaceva di meno, perché si adattava bene a quel momento. Trovo che la Brexit sia una cosa stupida, dovuta all’egoismo e alla paura.

martedì 27 novembre 2018

Skandalon

Tazane è una rockstar di grandissimo successo che ha collezionato scandali e provocazioni, come ad esempio dire che Hitler è uno dei suoi ispiratori, ma anche trasformare una canzoncina pop per bambini nella sua nuova hit. La sua non è solo ostentazione o strategia pubblicitaria, ma qualcosa lo tormenta veramente e lo spinge ad avere anche atteggiamenti autolesionisti, oltre che a disporre del suo entourage e dei suoi fan come meglio crede. La noia e l’apatia del successo non bastano a spiegare i suoi atteggiamenti: c’è qualcosa nel suo passato e nella sua vita sentimentale che lo ha portato a diventare così, ma non verrà chiarito cosa. La situazione precipita dopo che Tazane stupra una fan: a quel punto, con tutto lo strascico polemico e legale che ne segue, i suoi detrattori si fanno ancora più virulenti e persino il suo gruppo lo abbandona. Fino al tragico epilogo.
Skandalon non è esattamente una “storia” a fumetti, ma si concentra sulle ultime fasi di una parabola discendente iniziata con modalità e motivazioni che non conosceremo. Lo spirito con cui l’ha confezionata Julie Maroh è nettamente più descrittivo che narrativo, con molte tavole che sviluppano le sensazioni e gli stati d’animo del protagonista o che invece sono metafore della sua percezione del mondo e dell’alienazione in cui è immerso. Quasi un trattato di psicanalisi rock. Ma questa non è ancora la chiave di lettura corretta.
Il volume si conclude infatti con una postfazione dell’autrice stessa, in cui tracciando accademicamente una storia della natura dei tabù (forse Levi-Strauss è citato con una certa leggerezza, ma potrei sbagliarmi) lascia intendere che in realtà Skandalon è un pamphlet, teso a dimostrare come anche le società più evolute abbiano bisogno di crearsi dei capri espiatori a cui demandare la mondatura da tutte quelle pulsioni che non dovrebbero mai venire alla luce. Il tormentato e odioso Tazane sarebbe quindi il “buono” della storia, o perlomeno la vittima sacrificale. A livello narrativo il fumetto può lasciare insoddisfatti, perché la linea su cui si muove è semplice e senza sviluppi di sorta; a livello patemico offre invece molto di più ma fondamentalmente rimane una storia a tesi. Questo è quanto, prendere o lasciare.
La Maroh ha realizzato delle tavole coloratissime usando dei colori pastosi (tranne le ultime che sono acquerellate), riuscendo con efficacia a trasmettere gli stati d’animo dei personaggi e a evocare le giuste atmosfere. Non so quando è stato realizzato Skandalon, da alcuni dettagli sembra che risalga (o almeno sia ambientato) nel 2011, però mi sembra che il tratto dell’autrice fosse un po’ più acerbo rispetto a Il Blu è un colore caldo. È chiaro che visto il tenore del fumetto è più importante l’espressività del rigore accademico, ma sono rimasto un po’ interdetto nel vedere certe semplificazioni anatomiche o certe derive marcatamente caricaturali, tutte comunque funzionali allo spirito ultimo del fumetto.

Intervista a Tito Faraci

Luca Lorenzon (LL): Con quali novità sei a Lucca quest’anno?

Tito Faraci (TF): Quest’anno sono presente soprattutto come curatore di Feltrinelli Comics, la nuova linea di fumetti della casa editrice Feltrinelli. Certo, “nuova” relativamente, perché è già un anno che è stata avviata, ma siamo ancora giovani rispetto ad altre realtà.
E poi sono presente anche come autore, chiaramente, perché proprio all’interno di questa collana c’è un libro che abbiamo fatto insieme io e Sio, per la precisione è il nostro secondo libro: Il Pesce di Lana e altre storie (il titolo completo è lunghissimo e non potreste mai ricordarlo!).
Per me quindi questa è una Lucca molto impegnativa visto che sono impegnato su due fronti, quello dell’autore e quello del curatore qui al nuovissimo stand di Feltrinelli Comics che inauguriamo proprio in quest’occasione.

LL: Ti ritrovi di più nelle vesti di autore, di curatore o in entrambe?

TF: Soprattutto come autore, anche se devo dire che questa esperienza di curatore è bellissima, totalizzante e non è che sia poi molto lontana dall’altra: è sempre la stessa partita ma giocata da due lati diversi del tavolo, diversi ma non contrapposti.

LL: L’esperimento Feltrinelli Comics ha avuto un buon riscontro di pubblico?

TF: Sì, sta andando bene, siamo tutti molto soddisfatti. I nostri libri stanno andando bene, i librai sono contenti, soprattutto il pubblico è soddisfatto, gli autori sono contenti: insomma si è rivelata davvero una bella esperienza. Siamo entrati nel mercato come una vera casa editrice di fumetti, producendo in prima persona titoli e non limitandoci a importarli, e questo è un impegno molto grosso che dimostra un grande coraggio e una grande fiducia da parte dell’editore.

LL: Certo, produrre direttamente fumetti ha sicuramente un costo molto più elevato che pubblicarli su licenza.

TF: Non è solo una questione di costi: c’è tutto l’impegno che c’è dietro alla realizzazione di un titolo, ed è una scommessa, perché non sai se il libro piacerà o no. Devi essere tu per primo convinto che piacerà. Questa è forse la nostra principale fonte d’orgoglio.

LL: Puoi darci qualche anticipazione su alcuni dei prossimi titoli che saranno pubblicati da Feltrinelli Comics? La collana è molto variegata, ospita fumetti di tipi e stili molto diversi.

TF: Come ho già detto stamattina in conferenza [l’intervista è stata raccolta il 1 novembre, ndr], ci sono delle cose gigantesche in arrivo: Manara verrà ospitato con un nuovo art book intitolato Red Light che lo riporta al disegno erotico, e all’inizio dell’anno prossimo uscirà la prima graphic novel firmata da Tiziano Sclavi. Non sarà un progetto legato a Dylan Dog ma una cosa più personale e autonoma. Poter pubblicare questi due grandissimi Maestri del fumetto internazionale è fonte di grandissimo orgoglio per noi.

LL: E i tuoi progetti futuri come autore?

TF: In questo momento sono molto concentrato sull’ipotesi di cominciare un nuovo romanzo, però devo appunto cominciare a scriverlo! Questo non c’entra niente col fumetto però ti assicuro che è abbastanza impegnativo.

lunedì 26 novembre 2018

Il Morto 35: La Tara di Famiglia

Alla fine non ho dovuto aspettare poi tanto per leggere la seconda e conclusiva parte del dittico iniziato il numero scorso. È mancato però inevitabilmente il pathos che ci sarebbe stato a leggere tutta la vicenda di fila, anche se fortunatamente la Menhir ha messo un riassunto di una pagina all’inizio – talmente pieno di errori grammaticali da pensare che forse li hanno messi apposta.
Orso Gosi, fresco di plastica facciale, è ospite delle disturbate zie mentre Corrado (fidanzato della nipotina delle sorelle Gosi) indaga sulla sparizione del padre. Nel frattempo Peg sta cercando di mettersi in contatto con un ex prete divenuto malfattore (sono malizioso a ritenere sarcastica la scelta del nome Don Matteo?) che, guarda caso, gestisce un’attività di escort con annessi ricatti in cui era rimasto invischiato anche il padre di Corrado. Insomma, ancora una volta Peg si trova coinvolto nelle vicende dei comprimari e sarà il suo intervento, anche nelle veci de Il Morto, a risolvere la situazione. Anche se a dire il vero stavolta buona parte del lavoro la fanno il caso, i beoni locali e i carabinieri.
La storia è piacevole ma mette forse un po’ troppa carne sul fuoco e gli avvenimenti si susseguono incalzanti senza un attimo di pausa. Meglio così che aspettare altri due o tre mesi per finire di leggere la storia, comunque. Le molte sequenze con la fitta nebbia sono veramente suggestive.
Ai disegni il team Conforti-Codina esegue il solito ottimo lavoro, stavolta mi sembra che per l’inchiostrazione si sia scelto un tratto più netto e marcato, comunque efficace: i personaggi sono sempre dinamici ed espressivi. Curiosamente c’è stata qualche indecisione sui capelli di Corrado, ora biondo e ora moro.
In appendice c’è la storia breve Maria d’Avalos di Santo Sersale, che rielabora con un certo brio una leggenda napoletana. I disegni sono ancora a livello dilettantesco ma promettono bene.

domenica 25 novembre 2018

Skybourne

Si è fatto attendere ma ne è valsa la pena. Cho me ne aveva parlato già due Lucca or sono e la storia si è confermata un mix di Indiana Jones e Highlander. Gli Skybourne sono tre immortali figli del Lazzaro resuscitato da Gesù: Grace è la dinamica e intelligente agente sul campo della Top Mountain Foundation, Thomas è un depresso che dopo aver perso la moglie 29 anni fa (forse in un incidente nucleare, ma magari è la metafora di qualcos’altro) e aver avuto conferma che non può morire si è ritirato rassegnato in un monastero cinese, Abraham in questo primo volume non compare.
Quando Grace viene uccisa e un pericolo di proporzioni titaniche si profila all’orizzonte, Thomas rientra nei ranghi della Top Mountain Foundation con la promessa di ottenere un metodo per uccidersi. La fondazione è un’emanazione del Vaticano con sede in Svizzera, che si occupa della raccolta e della conservazione di artefatti e creature mitologiche. È sorta propria sul vaso di Pandora, in realtà una porta verso altri mondi, e il cattivo della storia, nientemeno che Mago Merlino, è diretto proprio lì per far invadere la Terra da mostri infernali. Con motivazioni anche condivisibili, peraltro.
Come intuibile, il fumetto è caratterizzato da azione sfrenata e sequenze spettacolari, sempre con un certo umorismo in sottofondo (unica nota un po’ stonata, la scena di pagina 97 con il centauro e l’unicorno). Pur non inventando nulla di nuovo e dichiarando palesemente le sue fonti di ispirazione, Cho ha confezionato un prodotto abbastanza originale rimescolando elementi classici. Anche se i personaggi sono inevitabilmente un po’ stereotipati, come si conviene a una storia d’avventura, sono molto ben tratteggiati e anche quelli di contorno hanno una forte personalità. Come aveva già dimostrato con la sua Shanna (e prima ancora con Liberty Meadows), Frank Cho non è solamente un disegnatore di pin up.
Ciò detto, è ovvio che Skybourne si fa leggere e acquistare per i suoi splendidi disegni. Le donnine sono veramente poche, ma la vera forza di Cho sta nella grandissima espressività che sa dare ai suoi personaggi, nel dinamismo delle tavole e nel grande realismo delle sue anatomie, non necessariamente ipertrofiche nonostante il genere (anzi, le donne sono decisamente curvy). Anche i molti mostri che appaiono nella storia sono resi efficacemente e, paradossalmente, con un grande realismo. Unico appunto da muovergli, tanto per dire qualcosa, è che a volte i tratteggi escono dai contorni delle figure che dovrebbero contenerli: va benissimo per i peli degli avambracci, ma altrove dà un’impressione di non finito michelangiolesco, come se fosse andato in stampa direttamente con gli sketch. Ma, ripeto, è tanto per dire qualcosa.
Ottimi i colori di Marcio Menyz, che ha saputo mediare tra elaborazione pittorica e immediatezza cromatica da comic book. Anche lui come qualche altro collega si è preso un paio di volte delle libertà nel colorare degli elementi che avrebbero figurato meglio nel nero originale (narici, capelli, qualche ruga d’espressione) ma lo ha fatto solo in poche occasioni.
Purtroppo anche Skybourne ci ricorda delle dinamiche del mercato statunitense e di quanto siamo fortunati a essere nati in un paese civile come l’Italia: in queste tavole ci sono un sacco di sparatorie e ammazzamenti, anche con qualche deriva splatter, ma le tette vengono coscienziosamente censurate anche laddove la logica vorrebbe che fossero pienamente visibili.
Molto buona l’edizione saldaPress, un cartonato di grande formato (certo, “grande” per gli standard nordamericani) stampato su una splendida carta patinata opaca e con le pagine numerate. La qualità di stampa è buona, cosa per nulla scontata di questi tempi, e ho particolarmente apprezzato il lettering molto grande e leggibile. In appendice c’è la solita galleria di variant cover affidate anche ad altri disegnatori, nessuno dei quali si avvicina alla classe e alla bellezza di Cho – c’è anche Geof Darrow, ma lui non si concentra sulle figure umane.
Il prezzo, 24,90 euro, potrebbe sembrare esagerato per una miniserie di soli cinque episodi ma in realtà ogni capitolo dura di più delle canoniche 20 tavole dei comic book contemporanei, arrivando quasi sempre a sfiorare le 30.

sabato 24 novembre 2018

Intervista a Dan Panosian

Luca Lorenzon (LL): Sei piuttosto espressivo in confronto ad altri disegnatori che lavorano per il mercato statunitense. Come sviluppi un personaggio?

Dan Panosian (DP): Penso per prima cosa alla sua personalità e alle espressioni del volto. Ho avuto qualche esperienza nell’animazione, quindi mi concentro molto sull’espressività e il movimento dei personaggi: è la parte più difficile, ma anche la più divertente.
Figurati che quando disegno mi viene spontaneo fare le boccacce dei miei personaggi. Quando passa mia moglie e mi vede pensa che sono matto!

LL: Il tuo passato di boxeur può aver influito sulla ricerca dell’espressività?

DP: Ma no, non c’entra niente; se proprio devo trovare un modello per l’espressività più che altro mi viene dalla passione per i film Disney, che con poche linee raccontano molto e fanno capire subito lo stato d’animo dei personaggi.

LL: Anche tu hai fatto animazione…

DP: In realtà ho fatto poco in animazione, in quel settore c’è un lavoro di tipo più collettivo che non me lo ha fatto sentire “mio”. Ho lavorato per Kung Fu Panda ma ero solo un ingranaggio del meccanismo. Una curiosità: Kung Fu Panda in origine era un videogame bruttissimo (credo si chiamasse Tai Fu), poi Spielberg lo vide e dopo dieci anni volle farne il film che ebbe un grandissimo successo.

LL: Ci sono degli artisti in particolare che ti hanno ispirato? Mi sembra di vedere influssi europei nei tuoi disegni.

DP: Più che altro sono stato influenzato da mio padre. Era un pubblicitario, amava i comic book e volevo essere come lui (tra l’altro anche lui era pugile). C’era sempre tanta arte in casa nostra ed era inevitabile che mi sentissi ispirato da quell’ambiente.

LL: E hai avuto una formazione specifica?

DP: No, non ho frequentato nessuna scuola d’arte e ancora oggi lo rimpiango. Possiamo dire che sto ancora imparando. Oggi con Facebook e Instagram puoi imparare molto confrontandoti con gli altri.

LL: Arrivano fumetti italiani in USA?

DP: Non molti… Tex, Diabolik, Dylan Dog e Ken Parker che amo molto.

LL: Però tanti italiani lavorano in America…

DP: Certo, e sono molto bravi. Si vede che hanno delle basi differenti e più solide.

venerdì 23 novembre 2018

Historica Biografie 19: Filippo il Bello

Non era la mia edicola di fiducia a esserselo fatto scappare ma a quanto riportato da Zona BéDé era un ritardo preventivato e il volume era programmato per questa settimana. In ogni caso, questo Filippo il Bello è piuttosto insipido.
Dopo un inizio abbastanza promettente, cioè un flashforward con l’esecuzione di Enguerrand de Marigny, consigliere di Filippo, Mathieu Gabella procede a singhiozzo con frammenti della storia del protagonista distanti anche quasi dieci anni l’uno dall’altro, con personaggi che a volte usano dialoghi moderni (scelta spiegata nel “making of” in appendice) e si piegano alla necessità di spiegare la situazione contingente al lettore. Non mancano le didascalie, alcune piuttosto consistenti. Quello che ne viene fuori è un lungo elenco di lotte politiche e di battaglie, principalmente contro il Papato, e i personaggi rimangono bidimensionali. Può darsi che il fascino di questo volume in origine risiedesse in quello del protagonista stesso, probabilmente molto amato in Francia tanto da non necessitare di troppi approfondimenti su alcuni degli avvenimenti qui riportati. Credo però che per sviluppare compiutamente la storia di Filippo il Bello sarebbero serviti almeno due volumi. Qui vengono affrontati molti argomenti: lo sviluppo della borghesia, il ricorso del Diritto nel governo, le schermaglie tra potere temporale e secolare, l’embrione di uno “Stato monarchico” francese, i complessi rapporti diplomatici tra potenze europee… probabilmente sarebbe stato meglio concentrarsi solo su uno per imbastirci sopra un volume che lo analizzasse in profondità.
I disegni di Christophe Regnault sono piuttosto grezzi anche se è innegabile e lodevole l’impegno che ha messo in queste tavole, strapiene di dettagli e comparse. Le sue architetture e i suoi interni sono veramente ottimi, anche se nelle scene di massa si notano comunque le sue anatomie sghembe. Non viene indicato l’autore dei colori, che quindi immagino sia lo stesso Regnault.
L’approfondimento storico è affidato a Étienne Anheim e Valérie Theis, e stavolta non aggiunge molto a quanto letto nel fumetto, pur se è interessante la distanza presa dalla storiografia di fine ’800. Il “making of” d’altra parte occupa ben tre pagine e quindi lo spazio riservato agli Storici è un po’ più limitato del solito. Le giustificazioni finali degli autori sulla rappresentazioni degli edifici e di altri elementi come le armature (impossibili da ricostruire con precisione per assenza di documentazione) mi sembrano indirizzate più agli appassionati di storia che di fumetto, avendo questi ultimi del materiale più che soddisfacente, pur con i limiti che ho elencato sopra, per apprezzare almeno graficamente il volume.

giovedì 22 novembre 2018

Ok, abbocco.

L'altro giorno noto un nuovo follower, dal volto familiare. Ci clicco sopra e vedo che si tratterebbe di un tal Graziano, la cui foto del profilo ha un che di familiare. Rimanda infatti a Graziano Origa, di cui riprende la foto che compare nella sua pagina di Wikipedia (anzi, che ci compariva).
Ora, vogliamo credere che il vero Graziano Origa segue solo il mio blog? Con ogni probabilità è uno scherzo di quel buontempone di Crepascolo per tutte le volte che ho sovrapposto la sua prosa a quella di Origa.
Certo, se Graziano Origa seguisse il mio blog sarebbe un onore!

Intervista a C. B. Cebulski

Claudio Zuddas (CZ): Quest’anno stanno facendo un sacco di portfolio review qui a Lucca, ne hai fatti anche tu?

C. B. Cebulski (CBC): Figurati che al mio incontro delle 11 di stamattina [l’incontro è avvenuto il 2 novembre, ndr] c’erano addirittura 110 persone con il portfolio da farmi vedere! Ovviamente visto che il tempo era limitato ho potuto dare un’occhiata solo alla metà circa, e alcuni li ho più intravisti che visti. Posso dirti però che 14 di loro lavoreranno per la Marvel.

CZ: Mi sembra un ottimo risultato. Tra le tue molte “scoperte” quale ti ha dato più soddisfazione?

CBC: È difficile dire quale sia la “scoperta” preferita, sarebbe come dire qual è il tuo figlio preferito! Ti confesso però che ho una certa preferenza per Sara Pichelli. Non solo perché è brava, ma anche perché si può dire che siamo cresciuti insieme visto che siamo entrati in Marvel più o meno nello stesso periodo. E poi lei svolge anche un ruolo molto importante perché oltre che disegnare fa anche da mentore per altri artisti e a sua volta li aiuta a crescere.

CZ: Quale stile bisogna avere per lavorare in Marvel? Ci sono dei modelli di riferimento, magari di qualche autore famoso?

CBC: L’importante è lo storytelling, non imitare uno stile. Devi essere leggibile e sapere raccontare bene.

CZ: I film e i telefilm con protagonisti i personaggi Marvel sono stati utili a migliorare le vendite dei fumetti?

CBC: Certo, le vendite hanno sicuramente beneficiato del traino di film e serie tv.

CZ: Non so se puoi parlarne, ma ho letto che la serie di Visione in America è stata cancellata prima ancora di partire…

CBC: Ma è una cosa che capita tutti i giorni, avevamo altri nuovi progetti per Visione e la figlia Viv, non è detto che non torni. Pensiamo al caso di World War Hulk: avrebbe dovuto uscire nel periodo della Civil War di Mark Millar, ma una guerra bastava! WW Hulk venne pubblicata due anni dopo, ma alla fine vide la luce. Posso anticipare che da febbraio ci saranno novità su Visione.

CZ: Tu sei sempre in giro per convention a fare scouting…

CBC: Sono abituato a fare il globetrotter, mia madre è svedese e da ragazzino passavo le estati in Europa, ho passato molto tempo anche in Giappone. Questo mi ha permesso di lanciare uno sguardo globale al fumetto mondiale ed europeo.
Stan Lee mostrava nei suoi fumetti il mondo “fuori dalla finestra”, ma era la finestra del suo ufficio di New York. Adesso con questo [indica lo smartphone, ndr] il tuo ufficio è dovunque e la finestra dà sul mondo intero.

CZ: Puoi parlare della tua esperienza in Giappone?

CBC: Ci vado abbastanza regolarmente. Poi per due anni ho lavorato a Marvel Asia in Cina per esportare la Marvel in Oriente e creare una base di fan là. Ci siamo ispirati ai sistemi produttivi e distributivi dei manga per penetrare quel mercato, e tutto sommato non è che ci siano solo differenze tra comics e manga, ci sono anche molte somiglianze, come l’attenzione per i personaggi: in fondo Peter Parker “entra” nella maschera di Spider-man così come Shinji entra nel suo E.V.A. E poi molti creatori asiatici vogliono lavorare per la Marvel.

mercoledì 21 novembre 2018

Intervista a Umberto Pignatelli

Luca Lorenzon (LL):  Puoi presentarti brevemente?

Umberto Pignatelli (UP): Ciao, sono Umberto Pignatelli e collaboro con GG Studio, ora Space Orange. Scrivo libri-gioco ma anche molti giochi di ruolo. Faccio questo lavoro dal 2008, scrivo prevalentemente in inglese, per editori esteri.

LL: Qui a Lucca presenti qualcosa in particolare?

UP: Presento il terzo librogame della serie di Kata Kumbas: La Magia della Baldera. È appunto il terzo e chiude una trilogia, ma non si sa ancora se sarà l’ultimo o no. Si capirà entro l’anno prossimo se continuare o no con la saga. In questo episodio il protagonista Ugger, il Cavaliere della Porta, se ne torna per un’altra volta su Laìtia [ambientazione del gioco di ruolo Kata Kumbas: è un’Italia medievale trasfigurata, ndr], questa volta non tanto per salvare il ducato di Torviero quanto per salvare il suo mentore, il mago Maugrigio.

LL: Nel mondo di Kata Kumbas tutte le città e le regioni sono anagrammi di quelli veri, più o meno corretti: Torviero è Orvieto, giusto?

UP: Esatto. La storia ruota attorno alla Baldera, ovvero alla persona fittizia di Francesca Baerald che è l’illustratrice della serie di Kata Kumbas, sia dei librogame che del materiale per giochi di ruolo [quelli editi per il sistema di gioco Savage Worlds, ndr], ma è anche un personaggio del libro: lei è la cartografa dell’imperatore di Maro.

LL: E Maro in Kata Kumbas è Roma.

UP: Sì. Lei è la persona che fornisce i magici disegni al mago Maugrigio che sono gli stessi disegni che si trovano nei libri. In questo terzo volume si scopre che tutti i disegni precedenti che lei ha dato al mago in realtà non glieli ha mai dati di sua volontà, ma sono sempre stati rubati dal mago.

LL: Hai fatto un bello spoiler!

UP: Nessun problema: il libro comincia proprio così. Lui quindi va a cercare di rubare questo nuovo set di disegni per il terzo libro (cioè per la terza chiamata di Ugger in questo mondo) ma scopre che questa volta c’è una trappola e finisce lui stesso all’interno del disegno. Il disegno però non è stato ancora chinato e incomincia a decomporsi lentamente. Quindi i due altri soci di Ugger in questo storia, ovvero la principessa Fiordalisa e il capo delle guardie Imperius, lo chiamano nuovamente su Laìtia in modo che trovi la Baldera e la convinca a fare uscire il mago dal libro. Solo che la storia da questo punto in poi si complica in maniera enorme e si scopre che in realtà la trappola era stata messa per un altro personaggio.
Anche in questo libro c’è il meccanismo delle immagini-enigma che abbiamo introdotto sin dall’inizio della serie.

LL: Spieghiamolo per chi non avesse familiarità col genere: nei libri ci sono delle illustrazioni a tutta pagina (ma anche non necessariamente a tutta pagina) in cui sono nascosti dei numeri e i numeri corrispondono al paragrafo a cui il lettore/giocatore può accedere utilizzando appunto quel numero.

UP: Sì, oppure sono anche degli enigmi sempre su base numerica, che si basano su altre operazioni come contare degli oggetti.
Ora, la cosa che si aggiunge in questo terzo libro sono i vari travestimenti, ovverosia in più punti il nostro Ugger ha la possibilità di trovare questi travestimenti e di usarli nel corso del gioco andando a fare delle cose specifiche.
Un altro fattore diverso sono le storie parallele, ovvero il fatto che c’è sia la storia principale che le storie di altri personaggi che vanno a incrociarsi in più punti della narrazione. Ognuno di questi incontri (o scontri) va a cambiare la storia di Ugger, ma anche di questi personaggi secondari e ci sono un paio di queste storie che, se mai faremo un quarto libro, a seconda di come sono state risolte in questo andranno a cambiare la relazione dei personaggi col protagonista: i personaggi saranno trovati nuovamente con un ruolo che cambia a seconda di cosa hai fatto tu nel libro precedente.
Un’altra cosa ancora: questa storia è in buona parte una storia di mare. C’è una parte abbastanza consistente del libro in cui si va ad esplorare un arcipelago di isole italiane. Ugger ha un equipaggio da gestire, ha una piccola nave da far muovere e c’è un meccanismo abbastanza semplice con cui gestire la nave e l’equipaggio. Il tutto sempre senza dadi.

LL: A livello stilistico ti ispiri ad alcuni autori di librogame in particolare?

UP: Assolutamente a H. B. Brennan. L’intera serie si ispira al suo stile, soprattutto per un fattore: la cosa che io ho sempre trovato che andasse ad appiattire il librogame come forma narrativa (se lo paragoni con il romanzo normale) è che hai sempre un solo personaggio, ovvero te stesso, e il libro è scritto sempre alla seconda persona singolare. Spesso, proprio per come sono fatti questi librogame, ci sono pochissimi dialoghi perché l’eroe è quasi sempre da solo, a parte nei momenti in cui interagisce con altri personaggi. Con la forma di Brennan invece c’è sempre una seconda voce narrante che ti fa da contraltare e tu stesso vai a dialogare col libro stesso e si crea quindi una struttura più vivace e più ritmata. Questo spiega anche come mai solitamente un librogame del Cavaliere della Porta è più lungo di un librogame normale: perché sotto alcuni punti di vista è più simile a un romanzo.
Questo libro ha 25 paragrafi in più rispetto al precedente, sono 525. Quindi questo significa che ora complessivamente per tutta la saga di Ugger abbiamo creato 1525 paragrafi, 48 immagini di dimensioni grosse, innumerevoli di dimensioni piccole, 4 mappe, le schede del personaggio… insomma è già diventato un lavoro notevole.

LL: Se siete arrivati al terzo libro immagino che sia un lavoro che vi ha ripagato a livello di vendite. Più in generale, secondo te c’è una rinascita del librogame oppure siete stati fortunati (o molto bravi) voi?

UP: Ovviamente io passo parlarti dal nostro punto di vista e di quello che vediamo noi come autori e casa editrice. I primi librogame “contemporanei” sono stati fatti proprio da noi e sono stati i tre scritti da Mauro Longo tra il 2015 e il 2016: la trilogia di Ultima Forsan. E quelli secondo me hanno dato un po’ il “la” a una serie di altre iniziative che sono partite più o meno in parallelo.
C’è comunque da considerare che altre case editrici hanno sempre continuato a pubblicare titoli storici, in particolare la Raven ha continuato a proporre la saga di Lupo Solitario e questo vuol dire che in realtà il librogame non è mai “morto”.
Sicuramente in questi ultimi anni c’è stata una spinta sempre più forte: in questa edizione di Lucca Comics & Games i nuovi librogame dovrebbero essere tra i 15 e i 18! Da piccole produzioni a produzioni più grandi, passando per le riedizioni; insomma tra tutti ce ne sono veramente tanti. Ci sono anche case editrici di un certo peso che si sono lanciate nel settore.

LL: Ad esempio?

UP: La Salani, l’Armenia, la stessa Mondadori. Secondo me qualcosa si sta muovendo. Se sia una cosa destinata a durare non lo so dire. Quello che posso dire è che con questo terzo episodio il Cavaliere si ferma per un anno ma non si fermano i nostri librogame, perché a partire da gennaio io e Francesca inizieremo a lavorare a un’altra serie di librogame (anche se è prematuro parlare di “un’altra serie”… per il momento uscirà il primo libro, poi vedremo!) che si baserà sempre sullo stesso format del Cavaliere, quindi con le immagini-enigma e con una versione leggermente diversa del Venture System. Sarà uno sviluppo e un miglioramento di quanto abbiamo fatto finora e uscirà direttamente in inglese. Stavolta sarà una storia di space romance che si ispira abbastanza vagamente ai romanzi della serie del Pianeta Tshai di Vance.

LL: Quindi nei progetti futuri non ci sono nuovi manuali di Kata Kumbas

UP: Il lavoro sul gioco di ruolo di Kata Kumbas è una cosa che va affrontata sempre con molta calma.

LL: Me ne sono accorto.

UP: Perché è un lavoro in cui devi sempre fare molta attenzione alle fonti che hai e a come le usi, in quanto si basa su un mondo preesistente e che richiede molta attenzione e cura del dettaglio. Quindi più di un lavoro all’anno nel mondo di Kata Kumbas non ci sentiamo di fare.

Daredevil 8: Un diavolo a San Francisco

L’alto livello qualitativo del Daredevil di Mark Waid non poteva durare in eterno e dopo alcune avvisaglie adesso siamo forse arrivati al capolinea. Non è che questo “nuovo” Daredevil, ennesima ripartenza dal numero 1, sia proprio brutto ma è indistinguibile da altri mille fumetti di supereroi uguali.
L’azione si sposta a San Francisco e i primi quattro capitoli dei sei qui raccolti sono un concentrato di azione e adrenalina. Si leggono tutti d’un fiato e la cosa in generale sarebbe pure un pregio, ma nei sette volumi precedenti Waid ci aveva abituato a ben altro. Non è che l’umorismo sbandierato da Simon Bisi nell’introduzione sia poi tanto presente e incisivo.
Daredevil, ormai universalmente conosciuto come Matt Murdock, aiuta il vicesindaco a liberare la figlia rapita, scoprendo che sotto c’è tutto un sottobosco di boss del crimine e vigilantes ingelositi dalla sua presenza nella loro città. Gli immancabili cliffhanger con cui si conclude ogni episodio vengono vanificati dall’incipit di quello successivo, in cui la minaccia viene ribaltata o ridimensionata: esattamente quello che fa Mark Millar, e non è un complimento. Oltretutto, Waid si sente in dovere come non mai di spiegare tramite la bocca di Daredevil perché faccia certe azioni e perché i suoi poteri non funzionino quando la storia necessita che non funzionino. E quasi ogni occasione è buona anche per ricordare come Daredevil ha ottenuto i suoi poteri, qualora ci fosse veramente un lettore che ha cominciato a comprare il fumetto proprio da quel numero senza sapere nulla del protagonista.
Anche i fotoreporter meritano un dito in più
Nel quinto capitolo viene fatta luce sulla vera sorte di Foggy Nelson, ufficialmente morto ma non di cancro come avrebbero lasciato immaginare gli episodi scorsi. L’episodio segue la traccia fracassona dei precedenti ma è un po’ confuso, io almeno non ho ben capito fin dove Daredevil fosse responsabile o meno del finto (finto?) attacco dell’Uomo Rana e del coinvolgimento di Ant-Man. I disegni di Chris Samnee non sono certo brutti, ma il suo stile sintetico e cartoon non aiuta certo a risollevare il tutto.
In appendice viene presentato un numero “0.1” extralarge di ben 42 pagine, uno sfoggio di cultura Marvel che viene risolto in maniera un po’ bislacca. Qui almeno c’è un po’ di umorismo e il lettore viene agganciato dal mistero iniziale, ma non si va oltre la solita storiellina di supereroi scritta con mestiere. Ai disegni Peter Krause, più che dignitoso anche se un po’ discontinuo: nelle sue tavole convivono dei bei primi piani molto intensi e anatomie ipertrofiche. I colori sono stati realizzati rispettivamente da Javier Rodriguez e John Kalisz.
Siamo insomma piuttosto distanti dalla qualità del primo volume e di molti dei successivi, ma ormai resto a bordo finché dura la collana, magari coi prossimi episodi decolla di nuovo.
Il volume costa 16 euro, prezzo giustificato dalla foliazione più corposa dovuta non solo alla durata dello 0.1 ma anche alle variant cover in appendice e disseminate tra i capitoli.

martedì 20 novembre 2018

Intervista a Marco Galli

Luca Lorenzon (LL): Prima di presentarci il progetto Materia Degenere posso chiederti come stai adesso?

Marco Galli (MG): Piuttosto bene. Sto recuperando, pian piano mi sto rimettendo in forma.

LL: Certo, Lucca non è il contesto migliore per passare la convalescenza.

MG: Sì, a detta di tutti è la fiera in cui ci si stanca di più, ma le vendite sono sempre alte e quindi è giusto esserci.

LL: Puoi parlarci del progetto di cui tu sei stato l’ispiratore e il supervisore?

MG: Materia Degenere è edito dalla Diabolo Edizioni, una casa editrice di Torino abbastanza giovane ma molto dinamica. Il libro è una raccolta di racconti realizzati da cinque ragazze poco più che ventenni e quasi tutte alla prima pubblicazione (o meglio, quando le ho contattate erano tutte semisconosciute). Si tratta di cinque racconti di genere scritti e disegnati da loro stesse, in cui giocano con il singolo genere destrutturandolo.

LL: Ti dirò, dopo aver letto il volume alcuni dei generi di riferimento non mi sono molto chiari… o meglio, il noir è evidente, anche la fantascienza è evidente ma altri ho avuto difficoltà a individuarli.

MG: Dei cinque racconti due sono di fantascienza: uno più esplicito che è quello di Fumettibrutti mentre l’altro è quello di Elena Pagliani, anche se è una fantascienza un po’ particolare. Un critico lo ha definito body horror, cioè una sorta di horror psicologico e fantascientifico dove la mutazione del corpo è il “leitmotiv” della storia.
Oltre al noir ci sono poi due fumetti che fondamentalmente sono assimilabili al western.

LL: Anche la seconda storia è un po’ fantascientifica visto che è ambientata in un prossimo futuro. Non basta a catalogarla come fantascienza?

MG: Fai riferimento al racconto della Bellomi, quello ambientato nella Bologna che lei conosce bene, divisa fra napoletani e cinesi. Sì, è una storia ambientata in un futuro distopico ma molto vicino a noi, per cui l’impronta più evidente non è quella fantascientifica.
Questo è il bello del progetto: io come traccia avevo dato questi generi molto generali e ho lasciato loro quasi totale libertà d’interpretazione, anche nella scrittura. Per questo possono esserci delle derive in altri generi. Io ho fatto da curatore ma sono stato più che altro un “curatore-ombra” che non stava col fiato sul collo alle ragazze. Certo, visto che erano ancora un po’ inesperte professionalmente, ho dato i miei suggerimenti per correggere qua e là, però il mio intento era proprio quello di farle esprimere con la massima libertà: se avessero “sbagliato” qualcosa lo avrebbero fatto in piena autonomia.

LL: Volevi responsabilizzarle.

MG: Esatto.

LL: Parlando della dimensione del racconto breve… ogni storia ha trenta tavole e quindi alla fine tanto brevi non sono. Intendo dire che anche se le smontiamo e poi le rimontiamo in una griglia come quelle dei fumetti che comparivano su Lanciostory, sull’Intrepido o sul Corrier Boy, alla fine ne verrebbero fuori ben più di 10 o 12 pagine, quindi le autrici non potevano risolverle solo con l’eventuale effetto sorpresa finale (anche se nella prima storia è presente questo meccanismo narrativo) e dall’altra parte non avevano nemmeno le 46 pagine canoniche per sviluppare interamente una storia come avrebbe potuto essere su un volume franco-belga.
Eri consapevole di questi rischi e hai voluto approfittarne o semplicemente si tratta di una questione di foliazione, come avviene spesso in questi casi? Se fai un volume di 160 pagine il tipografo te lo fa pagare un tanto a copia sennò, che sia più breve o più lungo, deve fartelo pagare di più…

MG: Questa in verità è stata un’esigenza dell’editore, probabilmente anche per le ragioni che hai detto tu. Alla base, probabilmente è una scelta fatta in seguito a considerazioni tecniche. Credo che si sia deciso giustamente che cinque racconti avrebbero già costituito un volume abbastanza corposo, quindi era meglio limitare le pagine di ognuno per non farne un tomo pesante e poco maneggevole, che sarebbe oltretutto costato di più e quindi sarebbe stato più difficile da vendere.
Quello che le ragazze continuano a ripetere nelle presentazioni è che una delle difficoltà grosse è stata proprio questa misura così precisa: trenta tavole, non una di più o una di meno. Ma col senno di poi anche questo è servito molto per farle crescere come fumettiste, perché la lunghezza obbligata delle storie ha fatto emergere le differenti personalità di una rispetto all’altra. E sicuramente sono riuscite a evitare di limitarsi a fare la storiellina facile con l’effetto sorpresa finale, ma hanno costruito delle storie con un loro respiro, anche se corto. Sono state molto brave a gestire questa situazione.

LL: Effettivamente è bello vedere come ognuna di loro ha interpretato a modo suo queste restrizioni: nella prima storia tutto tende verso la rivelazione finale, mentre già la seconda è un vulcano di azione, situazioni e di personaggi che si accavallano, per cui veramente si coglie la differente personalità di ognuna di loro.
Il volume tra l’altro è stampato sia in bianco e nero che a colori. È stato possibile grazie alle nuove possibilità della stampa digitale?

MG: Mi stai facendo una domanda tecnica su cui io so poco, dovresti chiedere all’editore. In verità quattro racconti sono stampati a colori e ce n’è solo uno in bianco e nero, che è quello della Bellomi.

LL: Ma anche quello a matita è in bianco e nero, no?

GM: Certo, quello di Monica Rossi effettivamente è disegnato a matita e inizialmente si pensava di stamparlo in bianco e nero, ma poi Monica ha dato questo virato violaceo con Photoshop [di cui confesso di non essermi accorto, ndr] e si è voluto mantenerlo, perché aveva un effetto gradevole. Quindi alla fine è stato stampato a colori anche quello e l’unico totalmente in bianco e nero è il secondo.

LL: Progetti futuri?

MG: Con Diabolo al momento non ho progetti in corso, questo volume è stata una collaborazione auto conclusiva. A Napoli per Coconino uscirà il mio nuovo libro, il primo che ho fatto dopo la malattia per cui possiamo dire che si tratta del primo libro della mia nuova vita. Poi ci sono vari progetti con Stigma per i prossimi anni e più che altro sto scrivendo. Per la precisione, devo scrivere una sceneggiatura per un film; ma è ancora tutto in fase embrionale, per cui non posso anticipare molto.

LL: Un film in Italia o all’estero?

MG: Un film in Italia.

LL: Ahia!

LL: [ride] Sì, è un film per l’Italia, ma prodotto da Mad Entertainment, la casa di produzione napoletana con cui avevo collaborato al character design di Gatta Cenerentola, il cartoon. Il produttore mi ha chiesto una collaborazione per un film che stavolta sarà live e adesso devo cominciare a scriverlo.

lunedì 19 novembre 2018

Sul sentiero del tramonto

Appena visto sull’Anteprima questo volume edito da Nicola Pesce Editore non ho esitato a ordinarlo, e ne è decisamente valsa la pena. Sergio Tisselli ha confezionato delle tavole acquerellate molto intense ed espressive, sfruttando da maestro le possibilità che il mezzo dà a livello di trasparenza e luminosità. Le occasionali deroghe a una visione accademica dell’anatomia sono funzionali al racconto e sono ben più adatte al fumetto che l’imbalsamato ritrattismo didascalico di Giuseppe Pignata. Non è successo nemmeno quello che temevo ricordando il suo Tex: le figure non sono affatto diafane ma belle solide e concrete, splendidamente integrate in una natura resa magistralmente. Forse anche la carta di pregio, per quanto non patinata, ha contribuito alla resa ottimale del suo lavoro.
Se per quel che riguarda l’aspetto grafico (cioè la spinta principale a comprare il volume) le mie aspettative non sono state disattese, anche i testi non sono affatto male. Non sembra nemmeno un fumetto scritto da François Corteggiani. Ci sono sempre le sue figure molto stereotipate, le battute scontate, qualche didascalia superflua e un po’ di info-dumping, ma stavolta (forse perché la storia si basa su fatti realmente accaduti) c’è una maggiore naturalezza e fluidità nella narrazione, che oltretutto è costituita principalmente da un lungo flashback.
A un mountie della polizia a cavallo canadese, Kenneth Keller, viene affidato il compito di catturare Gabriel Dumont, violento fuggiasco della banda di indipendentisti di Louis Riel, che fa a sua volta una comparsata. Inseguimenti mozzafiato, imboscate e sparatorie porteranno a un finale non proprio scontato, con due bei colpi di scena a nobilitare il livello di quella che è una solida storia d’avventura, classica senza essere banale, disegnata splendidamente.
Un volume consigliato, insomma, che vale tutti i suoi 19,90 euro. E che è pure foriero di una notizia-bomba: nel prossimo futuro Nicola Pesce Editore pubblicherà di Tisselli anche L’Uomo della Schioppa d’Argento, un fumetto su sceneggiatura inedita di Magnus.