La storia è ambientata in quel fatidico 1939 che vide la nascita di Batman (anzi, Bat-Man) su Detective Comics. Gli Stati Uniti sono ancora nella morsa della Grande Depressione mentre in Europa l’ascesa del nazismo fa già presagire una nuova guerra. A questo menu Gotham aggiunge anche le uccisioni di politici locali in maniera efferata. Batman è all’inizio della sua carriera: il commissario Gordon non si fida ancora di lui e in molti pensano sia solo una leggenda metropolitana.
La città si trova tra l’incudine di un malavitoso che agisce nell’ombra col nome di «Voce» e il martello di una banda di “uomini mostro” che a quanto pare sono cadaveri rianimati! Ovviamente tutti riferimenti a storie classiche di Batman, o così almeno ci vengono venduti.
Bruce Wayne deve anche vedersela con dei divi di Hollywood che protestano per l’apparente stop al film che dovevano girare, ma se all’occorrenza un’attrice si rivela una valida infermiera non c’è di che lamentarsi.
Il Primo Cavaliere è un noir con banditi spietati e pittoreschi, pestaggi sanguinolenti, ambienti sordidi, poliziotti razzisti, tenutari di bordelli con cui bisogna venire a patti… Un’attenzione quasi maniacale è stata dedicata alla ricostruzione degli anni ’30, di cui vengono passati in rassegna slang, architetture, film, canzoni, vestiti, pubblicità, automobili, programmi radiofonici e quant’altro. Il realismo si scontra un po’ con le incredibili performance di Batman, che sopravvive persino alla sedia elettrica (per quanto depotenziata), ma un po’ di sospensione dell’incredulità Dan Jurgens la merita: i dialoghi non sono male e soprattutto le vera identità della Voce è stata una sorpresa.
Mi resta il dubbio se il rabbino Cohen sia una citazione da vecchie storie o un’invenzione originale, ma poco importa.
Il formato del volume scimmiotta quello dei fumetti franco-belgi, ma siamo distanti da quella qualità. I disegni di Mike Perkins sono sicuramente belli, ma l’evidente ricorso a riferimenti fotografici toglie pathos alle scene in cui una faccia o una posa è sì “bella” ma fuori contesto. E probabilmente data l’atmosfera della storia ci sarebbe stata meglio un’inchiostrazione più contrastata. Ma questo è il meno: a smorzare di più l’efficacia delle tavole è l’uso del computer con cui sono stati realizzati sfondi e interni che somigliano drammaticamente a fotografie sovraesposte. Inoltre i colori al neon di Mike Spicer sono troppo garruli (quando entra in scena, anche Bruce Wayne/James Stewart è di un bel viola radioattivo come gli altri personaggi), e comunque per nulla in sintonia con la cupezza dell’ambientazione.
Fatte salve queste considerazioni, avercene altri fumetti di supereroi come questo.