domenica 22 dicembre 2024

Jekyll e Hyde, il bianco e il nero

Tra i volumi della meritoria collana dei Classici Horror edita da Lo Scarabeo mi sembra che questo sia finora quello che reinterpreta di più il testo di partenza. Ma non ho sotto mano il romanzo originale quindi potrei sbagliarmi.

La spinta di Henry Jekyll a separare il bene dal male nell’animo umano originò dalla scoperta infantile della tresca che la madre aveva con lo stalliere. Divenuto adulto e scienziato, crea il suo doppio Hyde a cui dà istruzioni scritte precise su quali crimini perpetrare e come perpetrarli, soddisfacendo per interposta persona (anche se ne condivide il corpo) le sue inconfessabili pulsioni. A questo quadro di omicida perversione, su cui indaga lo stesso Robert Louis Stevenson elevato al rango di ispettore, si inseriscono due fattori che turbano la tranquillità di Jekyll/Hyde: da una parte un’artista dalle opere morbose e necrofile, una specie di anticipatrice antropocentrica di Hermann Nitsch, dall’altra un concorrente di Hyde che sgozza le prostitute di Whitechapel.

Marco Cannavò è stato molto abile nell’architettare la vera identità di Jack lo Squartatore: una prima rivelazione sembra scontata, ma poi ecco la sorpresa. E un’altra sorpresa sono le origini di Jekyll. Molto rilievo viene dato al suo domestico Poole e al diacono Cunningham, forse nel rispetto del testo di partenza o forse riprendendo quel discorso sul classismo anglosassone già in controluce in Dracula. Molto valido, per quanto arzigogolato, il finale.

Corrado Roi è distante anni luce dall’interpretazione che già aveva dato di Jekyll su Dylan Dog 35 anni or sono. Le sue inquadrature sghembe e ardite trasudano Espressionismo (non solo cinematografico) e prendono il sopravvento sul calligrafismo anatomico, e in questo contesto ci sta benissimo. Molto interessante la sua interpretazione scapigliata di Hyde, quasi punk come rileva anche Matteo Pollone nella postfazione.

Come di consueto, il volume si conclude infatti con un ricco apparato redazionale in cui Pollone parte dalle considerazioni dello sceneggiatore Cannavò e dalle interpretazioni psicanalitiche del romanzo (oltre che dal processo della sua stesura) per offrire una generosa panoramica, anche iconografica, sulle varie versioni che ha avuto l’opera di Stevenson nei medium più diversi. A quanto pare erano gli adattamenti teatrali a dare popolarità alle opere letterarie che poi venivano tradotte come in questo caso in una moltitudine di film spesso poco fedeli. Non mancano ovviamente ghiotte curiosità: a quanto pare uno degli interpreti più famosi di Hyde a teatro venne sospettato di essere Jack lo Squartatore!

giovedì 19 dicembre 2024

The Twilight Children

In un villaggio di un paese latinoamericano mai nominato affiorano periodicamente dal mare delle sfere luminose. All’ennesima apparizione uno scienziato viene chiamato a darci un’occhiata ma stavolta la sfera sparisce prima del previsto senza lasciare traccia. I monelli locali la trovano nella grotta in cui era vietato loro di entrare e quando una di loro la tocca si scatena il finimondo. Una tempesta devasta il villaggio e i ragazzini diventano ciechi.

Oltre che disastri vari la tempesta ha portato con sé una misteriosa ragazza dai capelli bianchi che non parla la lingua locale ma sembra capirla. Le cose si fanno sempre più strane: altre sfere “rapiscono” delle persone per poi farle ricomparire prive di parte della memoria, mentre degli agenti governativi si infiltrano per indagare – o almeno ci provano, imbranati come sono. E la fatalona locale ci mette del suo a incasinare ulteriormente le cose.

Gilbert Hernandez non si dilunga in spiegazioni ma preferisce chiudere la storia con una sequenza toccante, comunque ha fornito tutti gli indizi con cui il lettore può ricostruire le origini delle sfere e della ragazza.

Sospeso tra umorismo, realismo magico e atmosfere da B-movie anni ’50 The Twilight Children si lascia leggere senza difficoltà; anche i pupazzetti di Darwyn Cooke hanno una loro raison d’être, peccato che il colorista Dave Stewart usi delle “tappezzerie” improbabili per colorare le camicie degli agenti in incognito e che si dimentichi che i bicchieri avevano delle cannucce. In ogni caso, nulla che aggiunga alcunché di memorabile alla lunga lista di film, fumetti e serie televisive dello stesso filone.

lunedì 16 dicembre 2024

La Città dei Dragoni

Quando nel medioevo Parigi è meno di un villaggio un abate manesco protegge un drago dai cavalieri che lo vogliono trucidare spacciandolo per una statua. Da lì trae origine il patto che lega segretamente uomini e draghi: questi ultimi si nascondono nelle statue che decorano Parigi cullati in un sonno eterno a patto che ogni anno venga loro dedicato il sacrificio di una creatura fantastica.

Agli albori del XX secolo una forzuta hawaiana che si esibisce in un circo viene licenziata per l’irruenza con cui sconfigge chi osa affrontarla sul ring e azzardando la strada della prostituzione viene condotta in un bordello dove a esercitare sono mostruosità varie. Qui si imbatte in una sirena morente di cui si innamora (le sirene hanno questo magnetismo che non possono controllare) e salvandola sconquassa l’equilibrio della tregua tra cavalieri e draghi: era proprio la sirena la vittima designata di quell’anno, che per la precisione è il 1900.

Risvegliato dalla situazione, l’abate cerca di porvi rimedio insieme al suo vecchio amico drago che per secoli si era nascosto sotto l’identità della perpetua della chiesa. Comincia una sarabanda di rincorse, massacri, esplosioni, inondazioni, interludi amorosi, risvegli di altri draghi (tra cui intellettuali eccellenti) e quant’altro, puntellati da giochi di parole e citazioni dalla cultura francese più o meno alta.

Una storia pazzerella che sulla non-logica dei racconti per bambini innesta turpiloquio e sequenze ammiccanti quando non proprio osé. Dato il contesto fracassone e scanzonato, i rimandi metanarrativi di Joann Sfar non stonano affatto, così come le interpellazioni e gli ammiccamenti nelle didascalie. Con un discreto tocco di classe, però: i veri retroscena de La Città dei Dragoni si apprendono dal prologo e l’epilogo ambientati in un altro contesto.

Tony Sandoval fa un buon lavoro, dato il tono della storia preme ancora di più sul caricaturale e in alcuni frangenti mi ha ricordato Manu Larcenet.

L’edizione Tunué, immagino fedele all’originale, è caratterizzata da bordi e fregi simil-oro piuttosto proni a rovinarsi – solo dopo aver esaminato un paio di copie ne ho trovata una pressoché intonsa. La qualità della stampa non rende sempre al 100% giustizia all’arte di Sandoval ma nulla per cui lamentarsi in questa disgraziata epoca digitale.

venerdì 13 dicembre 2024

Marvel Must-Have 113: Avengers - Guerra senza fine

Non tutti gli Warren Ellis riescono col buco.

Questa storia si svolge in un’epoca in cui a far parte dei Vendicatori erano anche Wolverine e Capitan Marvel, mentre Iron Man sfoggiava un’armatura gialla e nera. Nello staterello della Slorenia, recentemente liberato dal regime che lo opprimeva anche grazie al contributo degli Stati Uniti, alcuni ribelli che invece vorrebbero restaurare l’antico governo rinvengono dei “droni” che in realtà sono un incrocio tra mostri norreni e tecnologia americana tratta da tecnologia nazista. Sia Capitan America che Thor hanno dei conti in sospeso con queste entità e quindi convincono il resto dei Vendicatori ad andare sul posto per indagare: scoprono così che un “carico” di queste macchine da guerra biomeccaniche è stato spedito negli Stati Uniti, solo che è una versione potenziata e incontrollabile! Partono quindi alla volta della base dello S.H.I.E.L.D. dove sono stati recapitati e la bonificano a sganassoni (e fulmini e artigliate e raggi laser e frecce multiuso e scudate e colpi di quinjet e…). Qui però vengono raggiunti da Bruce Banner con un messaggio da parte dello S.H.I.E.L.D.: che i supereroi tornino a farsi gli affari loro a New York, o dovranno vedersela con Hulk. Questa almeno è l’idea dei capoccia dello S.H.I.E.L.D.: imbottito di tranquillanti Banner può posticipare l’entrata in scena del suo alter ego verde che quindi darà invece una mano ai Vendicatori per sradicare definitivamente la minaccia.

Al di là dei dialoghi ironici Warren Ellis è quasi irriconoscibile. Le didascalie con cui presenta motivazioni e gesta dei vari personaggi potrebbe averle scritte chiunque altro. Mi sembrano poi stonate le caratterizzazioni di alcuni personaggi, soprattutto di Tony Stark e Carol Danvers, ma magari una dozzina di anni fa (Guerra Infinita è del 2013) il canone Marvel era quello. Non che sia una porcheria, ma è una storiella stiracchiata non molto originale e in cui l’azione più parossistica va a braccetto con lungaggini testuali poco coinvolgenti. Forse a suo tempo Ellis dovette scrivere seguendo direttive tematiche e strutturali molto stringenti, o forse la dimensione da graphic novel non ha giovato al suo ritmo: se ho ben capito, Guerra senza fine uscì direttamente in volume senza essere prima serializzata nei canonici comic book, senza quindi la necessità di mettere almeno un po’ di sostanza ogni ventina di pagine.

I disegni di Mike McKone sono come i testi di Ellis: non hanno sugo. Sì, le anatomie più o meno le conosce ma lavora al risparmio e non è Alex Toth. L’evidente ricorso a fotografie per posture ed espressioni porta allo sgradevole effetto per cui i protagonisti cambiano spesso volto di vignetta in vignetta. E l’uso del computer per riempire gli sfondi non fa che sottolinearne la povertà. Purtroppo nemmeno i colori di Jason Keith aiutano molto.

martedì 10 dicembre 2024

Blake e Mortimer 30: Firmato Olrik


Fa una certa impressione pensare che questo non sarà solo l’ultimo episodio della saga a essere disegnato da André Juillard, ma proprio il suo ultimo fumetto. Ma bando alla malinconia.

Nonostante il titolo, Olrik non è il protagonista di questo volume ma come al solito ha il ruolo dell’arcinemico del duo. Peccato, perché come credo di aver già detto da qualche parte per me il vero eroe della serie è lui: lo sconfiggono, lo usano come cavia, gli fanno il lavaggio del cervello ma non si arrende mai e torna sempre sulla scena. Stavolta è in prigione tormentato da incubi forse presaghi della sua prossima esecuzione, quando per i tagli del budget delle galere inglesi deve condividere la cella con due tizi che fanno parte del Free Cornwall Group, organizzazione terroristica per l’indipendenza della Cornovaglia che da innocui atti dimostrativi sta passando ad attentati veri e propri.

Allertata la sicurezza nazionale, Blake viene inviato a indagare sul posto proprio mentre Mortimer vi dovrà giungere per presentare la sua nuova invenzione: un escavatore sotterraneo in grado di perforare qualsiasi tipo di roccia (la Cornovaglia ha un’antica tradizione mineraria risalente a due millenni prima di Cristo) che, a quanto è trapelato alla stampa, ha dei comandi molto simili all’Espadon.

La casualità è in effetti il motore principale di questo episodio. Non solo i due terroristi si lasciano sfuggire i piani degli indipendentisti in presenza del loro compagno di cella nonostante si siano raccomandati di non farlo, ma guarda caso una delle poche persone al mondo che sa guidare un Espadon (quindi in teoria anche la “Talpa” di Mortimer) è proprio Olrik. E così anche lui sarà cooptato dal “Grande Druido” che vuole ritrovare la mitica Avalon dove riposerebbero i resti di Re Artù col suo favoleggiato tesoro, ritrovamento che ringalluzzirebbe i conterranei ancora indecisi se unirsi o no al suo movimento. E, sempre guarda caso, la metà perduta delle indicazioni su come rintracciare Avalon viene rinvenuta fortuitamente proprio quando i protagonisti entrano in azione.

Firmato Olrik è un episodio di stampo spionistico e investigativo con qualche vaga spruzzata fantasy, giustificata però scientificamente se l’iridio di cui era composta Excalibur è realmente il metallo più resistente del mondo. La “spiegazione” di come Olrik si salvi la pellaccia è invece del tutto inverosimile, ma magari è stata solo una sua boutade canzonatoria all’indirizzo dei due protagonisti titolari – eh, sì: anche se i riflettori non sono del tutto puntati su di lui, alla fine avrà la sua bella soddisfazione.

Peccato però che l’identità segreta del Grande Druido non mi abbia riservato alcuna sorpresa nonostante le false piste (un certo armadio non avrebbe dovuto essere così spalancato) e che la “Talpa” sia un po’ troppo fantascientifica – poi magari negli anni ’50 era possibile munire un mezzo già incredibile di suo di tutti quei gadget, ma l’impressione che mi ha trasmesso è questa.

Con questo episodio Yves Sente ha voluto probabilmente anche riallacciarsi un po’ all’attualità. Basandosi sicuramente su dati storici, ha infatti trattato il fenomeno dello spopolamento della Cornovaglia a seguito dei lutti di guerra e dell’emigrazione verso le grandi città, cosa che determinò la necessità di ripopolare la zona con lavoratori stranieri presi dalle colonie: politica osteggiata da parecchi abitanti che però a quanto pare si guardavano bene dall’andare a lavorare nelle miniere.

Il processo di “juillardizzazione” dei disegni è continuato e la falsariga di Jacobs si vede ormai quasi esclusivamente nei volti dei tre protagonisti. La vedova di Juillard citava negli ultimi CaseMate gli interventi digitali concordati con il disegnatore per sopperire alle difficoltà nel disegno che la malattia gli aveva imposto per la copertina e le ultime tavole. Io non me ne sono assolutamente accorto e la qualità grafica si è mantenuta altissima, evidenziata anche dai colori di Madeleine Demille che avrebbero meritato di essere stampati su carta patinata per essere valorizzati a dovere.

Della produzione di Sente e Juillard io continuo a preferire il dittico dei Sarcofagi del Sesto Continente, ma pur con le particolarità che ho evidenziato sopra questo episodio è per me uno dei migliori. Considerando le derive di certa altra produzione recente questo potrebbe essere il volume giusto per congedarsi dalla serie.

sabato 7 dicembre 2024

Canto di Natale - Una storia di fantasmi

Interpretazione originale e blandamente femminista del classicissimo natalizio di Dickens. Ebenezer Scrooge viene trasfigurato in Elizabeth, tirchia e odiosa come il modello. Immagino che non serva ricordare nel dettaglio la trama, con tutte le versioni e le parodie che ne sono state fatte: protagonista negativa, visita dei tre fantasmi (più quello del socio morto di fresco), ravvedimento finale.

Ho solo vaghissimi ricordi della lettura scolastica in inglese del testo originale (che poi chissà che non fosse una versione adulterata), quindi non posso dire quanto Munuera ci abbia messo di suo. La divisione in «strofe» e il linguaggio ricercato farebbero propendere per una scrupolosa fedeltà al testo di partenza, ma probabilmente una certa ironia nei dialoghi è opera del fumettista. Ovviamente l’elemento più evidente del suo intervento è il cambio di genere del/la protagonista, cosa che gli ha permesso di fare qualche parallelo sulla condizione femminile dell’800 con quella dei giorni nostri. Senza salire in cattedra né cercando consensi forzati ma cogliendo l’occasione per una descrizione più approfondita della protagonista e un’analisi più meditata del suo passato.

I disegni sono caricaturali e d’altra parte nella biografia nella bandella di destra viene ricordato come Munuera fosse arrivato in Francia per disegnare i fumetti come voleva lui, non piegandosi allo stile manga o supereroistico me nemmeno al realismo. Espressività e dinamismo non mancano, ma la colorazione a opera di Sedyas trasmette ogni tanto l’impressione di trovarsi davanti a quegli anime book in cui venivano riorganizzati fotogrammi di cartoni animati per simulare dei fumetti. Oltretutto qualche volta (raramente, per fortuna) Munuera inserisce nelle vignette delle foto di oggetti e scorci reali, che contrastano in maniera straniante col resto delle tavole.

Il volume si chiude con una divertente lettera polemica di «Charlotte» Dickens al Westminster Review che avrebbe pubblicato una critica al suo Canto di Natale con un pretesto risibile: evidentemente la citazione di una polemica di Dickens di cui non sono al corrente.

L’introduzione di Dominique Barbéris va letta rigorosamente dopo il fumetto.