Uno degli uomini che Christopher sta addestrando viene trovato morto e questo innesca un’indagine che coinvolge a catena tutti e tre i personaggi. Nassir dal canto suo deve anche rispondere dell’omicidio di tre soldati statunitensi colpevoli (apparentemente) di avere trucidato le sue figlie. E i suoi contatti col terrorista Abu Rahim, mandante dell’omicidio della recluta di Christopher, attraggono ancora più attenzioni su di lui da parte delle forze di liberazione americane.
Non si tratta insomma del solito fumetto di supereroi, ed è già qualcosa, ma non si può certo dire che The Sheriff of Babylon sia un capolavoro. Letto tutto d’un fiato si finisce per pensare «Beh, tutto qua?» ma d’altra parte a leggerlo mensilmente nelle dodici uscite originali sarà sembrato che non finisse mai e si sarebbe potuto perdere il filo della trama, per quanto esile. Per il pubblico statunitense l’ambientazione e l’argomento avranno sicuramente un forte impatto, ma al di là di questo la trama si sviluppa in maniera sin troppo lineare con pochissimi colpi di scena (tra cui un trascorso comune tra Nassir e Sofia) e un sacco di dialoghi che vorrebbero essere profondi o almeno cool senza riuscirci sempre. Curiosamente i personaggi smettono di blaterare quando invece avrebbe potuto essere necessario: cioè alla fine, quando la storia si sposta in avanti di qualche mese verso un finale moraleggiante che svela, o forse no, chi siano i veri responsabili. Essendo molto “parlato” immagino che The Sheriff of Babylon fosse in origine un progetto per il cinema; forse Tom King viene da quel medium (o forse è la trasposizione di un romanzo, dove i dialoghi lunghissimi e le occasionali elucubrazioni filosofiche avrebbero trovato la loro dimensione ideale), anche se gli va riconosciuto di essersi sforzato di elaborare una soluzione abbastanza originale per le tavole dove ci sono sparatorie, che diventano spesso delle specie di scacchiere in cui le onomatopee sono contenute in vignette interamente nere.
Passando alla parte grafica, anche il disegnatore Mitch Gerads produce qualcosa di diverso rispetto a quello che si vede di solito nei comic book, ma nemmeno lui realizza qualcosa di innovativo o memorabile. Parte evidentemente da fotografie, o comunque si rifà a della documentazione precisa, ma ciò non gli impedisce di limitarsi ad abbozzare alcuni dettagli e imbastire sfondi e interni che a volte sono solo schizzati rapidamente. Troppo computer, comunque, soprattutto alla fine quando forse Gerads si era trovato con i tempi più stretti: vedere gli stessi identici sfondi può anche starci, ma personaggi che parlano e sono immobili senza differenza di vignetta in vignetta danno un senso di staticità poco adatto a questa storia. Nemmeno le sue linee cinematiche bianche mi convincono molto: stonano con l’ostentato realismo del resto. Gerads si occupa infatti personalmente anche dei colori, indugiando troppo spesso in effetti incongruenti che fanno sembrare le tavole delle vecchie pagine rovinate o scolorite in alcuni punti.
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