A caccia di Sparvieri
Le “commedie umane” di balzachiana memoria che si sviluppano per decenni e sono composte da tante realtà più o meno piccole e più o meno autonome non sono rare nello sterminato mondo dei fumetti. D’altronde, essendo figlia degenere (anche) del feuilleton ottocentesco, la letteratura disegnata si presta a un approccio partenogenetico che può anche arrivare ad assumere toni da soap opera. Da una parte e dall’altra dell’Oceano non mancano esempi, eppure uno solo tocca vette di qualità e consapevolezza tali da non sfigurare accanto alla Comedie Humaine vera e propria.
Guarda caso, tutto ha inizio in Francia e i creatori di questo universo sono due autori operanti nel colto e stimolante ambiente della bédé francobelga. L’anno è il 1978: l’ubriacatura per il fumetto sperimentale e “liberato” di Metal Hurlant sta cominciando a scemare ed il riflusso della struttura classica sta per prendere il sopravvento sull’improvvisazione grafica. A poco a poco torneranno le “storie” che, ancora influenzate dalla nuova visione adulta del fumetto, potranno finalmente indirizzarsi ad un pubblico non più composto solo da adolescenti. Ed anche su una rivista “per ragazzi” c’è posto per qualche innovazione grafica e contenutistica.
Masquerouge inizia le sue avventure proprio su una di queste, la gloriosa Pif-Gadget: è una serie a episodi autoconclusivi (calibrati però in modo tale da poter figurare poi sui classici albi da 46 tavole) e pur nell’ordito classico e fortemente ripetitivo delle sue storie sfoggia ampi margini di inventiva e originalità. La baronessa Ariane de Troïl ha il vezzo di travestirsi con maschera e mantello rossi e di raddrizzare in tal guisa i torti cui periodicamente le tocca assistere. Germain, un omaccione grasso e bonario, le fa da paggio e maestro d’armi e, ignaro della sua doppia identità, talvolta le busca per lei. Il teatro delle avventure è quasi esclusivamente la Parigi del 1624.
Il disegnatore, André Juillard, matura a vista d’occhio e quando Masquerouge termina è ormai un valido professionista dal tratto pulitissimo, privo degli orpelli barocchi della sua prima produzione. Patrick Cothias, lo sceneggiatore, sa calibrare con maestria azione serrata e momenti più rilassati, quasi umoristici, mentre la sua vena più letteraria avvince e incuriosisce il lettore proponendogli alcuni misteri da svelare e inserti aulici che contribuiscono molto all’atmosfera della serie. Serie che si conclude nel 1982 e di cui rimangono tre volumi cartonati editi da France-Loisirs e ristampati in seguito da Glenat.
Proprio per Glenat, sempre nel 1982, Cothias e Juillard tornano a lavorare sui personaggi di Masquerouge. Se qualche anno prima la “grande narrazione” stava lentamente rifacendo capolino in un panorama segnato dalla “fantasia al potere”, nei primi anni ’80 si può dire che ormai l’avventura di impianto classico aveva quasi scalzato del tutto i fumetti più deboli a livello narrativo. Non a caso Jacques Glenat aveva coniato la formula delle «Avventure della Storia», fumetti storico-avventurosi le cui caratteristiche dovevano essere un’ottima documentazione, delle trame solidissime, una narrazione avvincente ed uno stile il più adulto possibile. Les sept vies de l’Epervier, la cui pubblicazione ebbe inizio sul n° 54 di Circus, rientrava in questo progetto e ne esaltava le caratteristiche.
In pratica Cothias e Juillard realizzarono il prequel di Masquerouge, introducendo però nuovi personaggi e ammantando tutta la vicenda in una spessa coltre di tragedia e mistero.
Attraversando tutto il primo quarto del XVII secolo, la serie terminò col settimo volume, ma la forza creativa sprigionata da Cothias non si fermò lì. Tanto più che la settima vita doveva ancora essere assegnata. Nuove saghe vennero ad integrare quella portante e da Coeur brûlè (spin off dedicato a Germain) a Le fou du roy (romanzata biografia di Moliere, settimo ed ultimo Sparviero) sono in totale 9 le serie ambientate nel mondo dello Sparviero. Anzi, 10 se si considera come autonoma la “premiere epoque” di Masquerouge disegnata da Marco Venanzi. Caso raro nel panorama fumettistico mondiale, una parte di una saga ancora “in progress” viene affidata ad un altro editore. Plume aux vents, le avventure canadesi di Ariane de Troïl dopo i fatti delle Sette vite, è infatti pubblicata da Dargaud.
Fin qui i semplici fatti oggettivi. Ma Les sept vies de l’Epervier ha saputo diventare qualcosa di più di una semplice saga a fumetti di successo. Quello che Cothias e Juillard hanno creato è un’epopea le cui stesse contraddizioni sono funzionali allo sviluppo del mito dello Sparviero. Il meccanismo prettamente feuilletonesco e centrifugo della serie è senz’altro la prima causa che viene alla mente quando ci si chiede il perché di tanto seguito e di tanto successo, ma alla base del fenomeno che ci spinge a non staccare gli occhi dalle tavole di Juillard e a chiederci “adesso cosa succederà?” quando un ciclo è concluso ci sono anche altri fattori.
A percorrere le tavole in cui compaiono Ariane e gli altri c’è un pesante senso di predestinazione e alcuni riferimenti saggiamente dosati portano spontaneamente il lettore ad arrovellarsi sui loro possibili significati reconditi anche quando forse non ce ne sono…
Cothias e Juillard sono insomma degli abilissimi affabulatori che non hanno nulla da invidiare in quanto a carisma alla loro creatura Leonard Langue-agile. Persino il semplicissimo confronto tra Masquerouge e Les sept vies de l’Epervier sembra rivelare chissà quali simbologie, quasi che a generare la seconda serie ci fossero elementi predefiniti che si trasfigurano in archetipi ancestrali. Come ad esempio il cervo che viene cacciato in Masque Rouge 3, nell’episodio “Una caccia speciale”, che troverà poi un corrispettivo nelle Sept vies con due reintepretazioni diverse: da una parte con la preda umana de L’ora dei cani e dall’altra con il cervo ucciso in contemporanea con Enrico IV di Hyronimus. Senza contare le altre citazioni, piccole o grandi, che danno continuità alla saga.
Il ciclo dello Sparviero si regge soprattutto su questa fitta rete di rimandi e di autocitazioni, fondamentali per imbrigliare il lettore nel tessuto narrativo anche se alcuni dei raffinati colpi di cesello di Cothias si scoprono solo ad una seconda lettura (il carbonaio de L’ora dei cani, ad esempio, è già presente in La morte bianca, volume in cui tra l’altro sarà anticipata la fine di metà dei personaggi con una semplice allusione alla «corda con cui si impiccheranno»). Ma un meccanismo che si vorrebbe così perfetto, ovviamente, non è per nulla esente da errori. Anzi, se ci si mette di buona lena a smontare tutto l’ordito sapientemente intessuto da Cothias si troveranno un sacco di contraddizioni…
Non è certo il caso di svilire uno dei più grandi successi d’oltralpe (un milione e mezzo di copie vendute solo da Les sept vies) con questioni di lana caprina che alla lunga non fanno altro che impedire il piacere della lettura, ma alcune imprecisioni sono veramente macroscopiche e forse sottolinearle potrà far apparire più umana una serie che per argomenti e stile può anche risultare inizialmente ostica o inaccessibile al lettore. Alcune premesse d’obbligo: fintantoché sarà possibile, ci si riferirà solo al materiale giunto anche in Italia (cioè Le sette vite dello Sparviero edito da Glenat Italia e Lizard, Maschera Rossa pubblicato su Il Messaggero dei ragazzi, Il giullare del re su Skorpio e Plume aux vents edito da Lizard). Inoltre, benché il metodo di lavoro adottato dalla coppia Cothias-Juillard permetta molte influenze dell’uno sul lavoro dell’altro, lo sceneggiatore sarà il punto di riferimento privilegiato per le particolari scelte fatte nel corso della saga e per l’introduzione di alcuni elementi piuttosto che altri. Dopotutto, Cothias figura come unico sceneggiatore e questa qualifica gli vale nel bene e nel male.
È proprio dal particolare stile di Cothias che vale la pena di cominciare. Una sua bizzarra caratteristica, che proprio con il ciclo dello Sparviero risalta in tutta la sua singolarità, è lo spiazzante connubio tra atmosfere elevate (dialoghi aulici e magniloquenti, forte drammaticità, ecc.) e umorismo spicciolo. Non sferzante ironia o feroce sarcasmo, ma proprio tentativi di far ridere il lettore lanciandogli casuali strizzatine d’occhio. E finché Enrico IV si sfianca per soddisfare Maria De Medici possiamo anche abbandonarci al sorriso: si tratta di una sequenza chiusa in sé che non rallenta il ritmo della storia. Ma è proprio necessario spiegare cosa fosse un «portatore di latrina» con una sguaiata e supponente didascalia?
Cothias sembra amare esageratamente ammiccamenti di questo tipo, che dovrebbero rendere “simpatica” la vicenda ai lettori ma spesso non fanno altro che rallentarla rompendo la tensione che era riuscito a creare (i primi episodi di Les chemins de Malefosse di Bardet e Dermaut sono comunque ancora peggiori da questo punto di vista, con interpellazioni dirette al lettore e persino una “guest appearance” di André Juillard! - Cothias avrebbe ricambiato il favore su Le fou du roy). Il gusto un po’ buffonesco per queste trovate lo si può rilevare già dal titolo del primo volume, un gioco di parole tra «La blanche mort» e «La Blanche morte» che ovviamente in italiano si perde.
Proprio sulla tensione costruita da Cothias vale la pena inoltre di soffermarsi. Alcune delle sue sequenze più drammatiche sono veramente coinvolgenti e sanno ammaliare il lettore come poche altre. In particolare, è impossibile staccare gli occhi dalle ultime cinque tavole di Hyronimus senza essersele “sparate” di botto sino alla fine. Merito della perfetta architettura di Juillard, ma anche del gioco di incastri e inseguimenti di cui Cothias si dimostra maestro. Eppure a volte sembra che lo sceneggiatore si affidi a mezzucci poco degni delle sue reali capacità per far colpo sul lettore, oppure il suo gioco si spinge troppo oltre e da dramma la storia si fa melodramma. Fateci caso: ogni volta che nelle Sette vite qualcuno fa una rivelazione importante o succede qualcosa di fondamentale, inizia a piovere come per magia. E una volta conclusa la scena, della pioggia spesso non rimane traccia! Piove quando Gabriel confessa a Yvon, mentendo, che Ariane non è sua figlia; piove quando Baragoline assume il ruolo della strega; piove quando Ariane rimprovera Guillemot dopo essere stata stuprata da Germain; piove quando Bruantfou attacca il maniero dei De Troïl…
Ma questi climax si manifestano per fortuna come sfogo finale di una sequenza piatta in cui apparentemente non succede nulla, per cui risultano essere il giusto corollario a una data situazione o il momento risolutivo finalmente manifestato dopo tanta attesa. L’avvicendamento improvviso di momenti rilassati e speculativi e di altri esageratamente patemici ha però l’effetto di una doccia scozzese, può spiazzare il lettore minandone le certezze e l’idea che si era fatto della storia fino a quel momento. Il particolare indirizzo che hanno preso gli spin off dedicati a personaggi storici realmente esistiti (Les tentations de Navarre, Ninon secrète e Le fou du roy) sembra comunque privilegiare una rigorosa esposizione dei fatti piuttosto che un’estenuante ricerca di colpi di scena e voli pindarici.
Soprattutto i primi, però, non sono così numerosi come ci si potrebbe aspettare; francamente, leggersi Le sette vite dello Sparviero senza la giusta continuità può essere un calvario, soprattutto quando il lettore si è già fatto incantare dalla sarabanda di personaggi indimenticabili che la popolano. Essendo probabilmente la serie che meglio interpreta lo spirito delle «Avventure della Storia», Les sept vies adotta con sadica e calcolata abilità gli stratagemmi del feuilleton, incantando il lettore per poi destarlo bruscamente con l’annuncio che l’episodio è finito e tutti i nodi che si sono allacciati verranno sciolti solo con le prossime puntate. Da notare come nei primi tre episodi della serie questo meccanismo si basi principalmente sull’accumulo di storie e dettagli apparentemente slegati fra loro mentre dal quarto episodio in poi la tensione viene ravvivata dalla tragica sorte (mutilazioni, morti, ecc.) riservata a quei personaggi cui solo adesso capiamo di esserci affezionati dopo averli visti recitare apparentemente senza copione per oltre cento pagine. Il meccanismo con cui Cothias incanta il lettore è invisibile e sotterraneo, ma efficacissimo.
In effetti, quando si ritorna con la memoria alle vicende dello Sparviero è molto difficile che a balzare subito alla mente siano gli errori di Cothias o dei suoi disegnatori. Di fronte alle memorabili sequenze che riempiono questo universo narrativo importa veramente poco se i tre moschettieri prendono un abbaglio nel definire Maschera Rossa «raddrizzatore di torti le cui imprese hanno infiammato la nostra infanzia» (6° episodio del Giullare del re, pag. 3: Athos, Porthos e Aramis erano già comparsi, adulti, in La parte del diavolo, quando la sedicenne Ariane de Troïl doveva ancora assumere la sua doppia identità) oppure se il bieco carceriere del Petit Chatelet fa una comparsata ne Il marchio del condor, ambientato nel 1625, dopo essere stato ucciso un anno prima nell’episodio “Il prigioniero del Piccolo Castello” di Masque Rouge. E in fondo anche errori più marchiani come l’interpretazione grafica di Gabriel De Troïl ad opera di Brice Goepfert (secondo cui il padre di Ariane è monco a intermittenza del braccio destro e del sinistro) appare come un peccato veniale. A voler dissezionare la commedia umana di Cothias si troveranno tantissimi errori o imprecisioni, ma che senso ha soffermarcisi sopra quando l’ambientazione ed i personaggi hanno saputo conquistarci con tanta efficacia?
L’unico difetto che forse sarebbe stato meglio evitare a monte (ma ai lettori italiani per il momento è quasi del tutto risparmiato) è la grossa disomogeneità stilistica che caratterizza gli spin off ed i prequel delle Sette vite. La qualità del lavoro di Juillard è pressochè irraggiungibile, non ci sono dubbi, ma alla Glenat avrebbero potuto tentare di costituire un vivaio di disegnatori che ne riprendessero lo stile. A parte il Robet di Le Chevalier, la Mort et le Diable, ogni singolo interprete dell’universo dello Sparviero segue tranquillamente il proprio stile senza badare a ciò che fanno gli altri. Prendiamo ad esempio la figura di Leonard Langue-agile: per Juillard è un artista di strada miserevole ma al contempo molto fiero, dal portamento austero e dallo sguardo penetrante. Per Wachs, invece, Leonard diventa un vecchietto segaligno mentre per Prudhomme è un grassone tracotante e per Goepfert un mendicante gobbo e sdentato. Non stupisce quindi che, nonostante la presenza di Cothias (incostante, ambiguo, supponente e a volte quasi fastidioso ma, come abbiamo visto, capace di raggiungere vette stilistiche impressionanti), le altre serie gemmate dal troncone principale siano raramente diventate un successo. Les tentations de Navarre, addirittura, è stata abortita dopo solo due uscite.
Malgrado questa mole impressionante di volumi prodotti faccia pensare ad un universo complesso ed ingestibile, il rischio che Cothias si perda ancora di più nei meandri delle sue creazioni pare scongiurato. La conclusione di ogni singola serie edita da Glenat, infatti, è già stata prevista. Qualcuna ha già toccato il suo traguardo nei tempi stabiliti ma alcune dichiarazioni di Cothias rendono il futuro dello sparviero un po’ inquietante. Lo sceneggiatore aveva infatti promesso di portare a compimento tutte le serie nel 2000, rimangiandosi poi la parola e posticipando la fine al 2001, mentre nel 2002 non si conosce ancora il destino di alcune… se è giustificabilissimo l’attaccamento di un autore per i personaggi che gli hanno dato gloria e onori, risulta abbastanza strano che uno sceneggiatore della sua statura non riesca a trovare delle buone idee per concludere una storia. D’altronde gli spin off più recenti hanno in effetti un andamento molto lento e rilassato e speriamo che di fronte alla difficoltà di concludere Le fou du roy Cothias non si abbandoni all’accumulo di volumi su volumi fino a farne una serie fantasma, un olandese volante della bédé che si trascina stancamente senza poter arrivare mai ad una conclusione definitiva.
Dopotutto, il fascino del feuilleton risiede anche nel fatto che prima o poi tutti i nodi vengono al pettine.
Piccola guida all’edizione italiana ed al cosmo dello Sparviero
In Italia ci siamo accorti abbastanza presto delle potenzialità de Les sept vies de l’Epervier: tra il 1984 e il 1985 Orient Express pubblica a puntate La morte bianca sui numeri 24, 25, 26, 27 e 28. E non si trattava solo di un escamotage di Luigi Bernardi per dare ossigeno alla sua rivista dopo che il sogno di un fumetto italiano concorrenziale con quello francobelga stava svanendo. La qualità del lavoro di Cothias e Juillard è difatti testimoniata dal fatto che subito dopo ne avrebbe recuperato il testimone la Glenat Italia. Dal 1986, infatti, la collana Le avventure della storia proporrà integralmente la serie (nei fascicoli 2, La morte bianca, 5, L’ora dei cani, 10, L’albero di maggio, 30, Hyronimus, 42, Il signore degli uccelli, 50, La parte del diavolo, 59, Il segno del condor). Le sette vite dello Sparviero sarà una delle poche serie della collana a vedersi dedicata nel 1987 un’edizione in similpelle con fregi in oro che raccoglie i primi due episodi accompagnati da schizzi preparatori e interventi degli autori. Si tratta di materiale rarissimo, dal costo ovviamente proporzionato.
Le edizioni Lizard hanno poi provveduto a continuare le peripezie di Ariane con la pubblicazione di Plume aux vents dal 1998 e dal 1999 hanno intrapreso la ristampa integrale delle Sette vite, regolarmente terminata alla fine del 2001. Questa edizione si avvale delle belle copertine della serie «Caractere» realizzate da Juillard per una ristampa del 1992. I prezzi della Lizard sono però piuttosto salati: 25.000 lire per un volume brossurato di 48 pagine. Di Masquerouge si è occupato recentemente Il messaggero dei ragazzi, che dal 1997 al 2001 ne ha diluito in 9 uscite i primi tre volumi (quelli cioè disegnati da Juillard). A conti fatti quella del Messaggero dei ragazzi è l’edizione migliore della saga dello Sparviero: non solo stampa e colori sono ottimi, ma il lettering è ancora quello “vecchio e buono” fatto a mano e nei primi episodi alcuni elementi delle trame fornivano l’occasione per approfondimenti e spiegazioni (anche se nati con chiari intenti didattici questi chiarimenti sono utilissimi per cogliere alcune sfumature che Cothias ha soltanto abbozzato). Inoltre, tutto il “tome” 2 è stato presentato in un’unica soluzione sul “MeRa” n° 9 del 1998.
Le fou du roy, la serie che in teoria dovrebbe rappresentare il vertice della saga dello Sparviero, è stata ospitata su Skorpio dal n° 11 al n° 43 del 2001 e successivamente dal n°32 del 2004, con tutti i piccoli difetti delle riviste dell’Eura: numerazione rifatta, qualità di stampa altalenante, balloons ingranditi a coprire parte dei disegni.
Le rimanenti sei serie dell’universo dello Sparviero, ancora inedite in Italia, sono le seguenti:
Coeur brûlé (disegnato inizialmente da Dethorey e poi da Meral) narra le avventure di Germain Grandpin alla ricerca di Ariane nelle Americhe; Les tentations de Navarre (Wachs) è la romanzatissima biografia del “re dei francesi”, Enrico IV; Le Chevalier, la Mort et le Diable (Robet) punta i riflettori sulle imprese giovanili di Yvon de Troïl, fratello di Gabriel e finto padre di Ariane; Ninon secrète (Prudhomme) narra le vicende della cortigiana Anne (Ninon) de Lenclos, personaggio realmente esistito che nella fantasia di Cothias è figlia di Ariane; Le masque de fer (Marc-Renier) è una variazione sul tema e ha per protagonista un commediografo rivale di Moliere; il Masquerouge di Marco Venanzi, infine, riprende il personaggio narrandone l’arrivo a Parigi, con maggiore attenzione alla cronologia e ricreando, sviluppandole, alcune situazioni delle Sette vite, di cui è in effetti un “sequel del prequel”.
Nato nel 1948, Cothias è uno degli sceneggiatori più importanti e prolifici della scuola francobelga. Curiosamente, i suoi esordi nel mondo della bédé lo vedono tentare la strada del disegno (vinse addirittura un concorso a cui partecipò anche Juillard) ma è con la scrittura di soggetti e dialoghi che si è fatto conoscere ed apprezzare. Cothias si è dedicato praticamente a tutti i generi possibili, spaziando dal western al noir, dall’avventura moderna alla ricostruzione storica, dall’umorismo alla fantascienza. Molte sue opere sono state pubblicate anche in Italia, ma la mole di volumi usciti in Francia è semplicemente impressionante (solo la saga dello Sparviero ha superato complessivamente i 50 libri).
Tanto per rimanere alle sue opere più incisive che hanno visto la luce dell’edicola o della libreria italiana, è d’obbligo citare Le sette vite dello Sparviero (Glenat Italia prima, Lizard edizioni poi), Il vento degli Dei (Glenat Italia), Il giullare del re (Eura Editoriale su Skorpio), L’uomo che non doveva tornare (Eura Editoriale su Lanciostory) e Alice e gli Argonauti (Comic Art su L’Eternauta).
Tra i tanti disegnatori con cui ha collaborato ci sono alcuni dei rappresentanti, francesi e non, più prestigiosi della professione: Juillard, Gillon, Griffo, Font, Adamov, De la Fuente, ecc.
Divenuto recentemente anche romanziere (sempre sotto il segno dello Sparviero), Patrick Cothias sta portando avanti molteplici attività tra cui il seguito delle sue serie “classiche” (come Les eaux de Mortelune).
Qualche anno fa si diceva che il migliore disegnatore realistico di fumetti fosse Burne Hogarth. A chi spetterebbe il titolo oggi? A Giraud, a Zanotto, a Garcia Seijas, ad Eleuteri Serpieri? Tra i pochi candidati un posto d’onore lo merita senz’altro André Juillard.
Coetaneo di Cothias, matura professionalmente tra gli anni ’70 e ’80 ed è con la breve serie di Masquerouge (lo Sparviero embrionale) che comincia a farsi un nome e ad impostare un suo stile personale. Negli anni ’80 avverrà la sua consacrazione definitiva con Le sette vite dello Sparviero (Glenat) cui farà seguito l’acclamato Plume aux vents (Dargaud). Si è lanciato anche nella stesura delle sceneggiature, ottenendo ottimi risultati (Le cahier bleu è comparso su Comic Art mentre Apres la pluie è ancora inedito in Italia).
A conferma della grandissima importanza conquistata nel campo del disegno, Juillard (acclamato autore di manifesti, illustrazioni e portfolio vari) è stato contattato già nel 1987 per portare avanti l’opera di Edgar P. Jacobs ma solo nel 2000, quando Mortimer contre Mortimer era già stato ultimato da Bob de Moor, ha adottato insieme a Yves Sente i personaggi di Jacobs realizzandone un’avventura interamente nuova, La machination Voronov, con cui ha dimostrato ancora una volta tutto il suo grande talento, riuscendo senza traumi e con molta umiltà ad adottare una linea chiara molto rigorosa.
Ulteriore fiore all’occhiello della sua produzione, la serie Le derniere Chapitre, scritta da Convard, in cui gli eroi classici della bédé francobelga vivono il loro “ultimo capitolo” prima di andare in pensione.
Attualmente i suoi fan sono in attesa di un nuovo albo di Blake e Mortimer (personaggi portati avanti parallelamente anche da Van Hamme con vari disegnatori che si sono succeduti nel corso degli anni) e della continuazione della serie “parigina” iniziata con La cahier bleu che dovrebbe costituire alla fine una trilogia.
Nessun commento:
Posta un commento