Fumetti di frontiera: Miguel Angel Martin
Jorge Vacca è un argentino naturalizzato italiano che a Milano ha fondato una piccola casa editrice, la Topolin Edizioni, che da qualche anno sforna piccoli gioielli che altrimenti, con tutta probabilità, sarebbero rimasti inediti in Italia (“qualcuno deve pur fare il lavoro sporco” è il motto di questa editrice). Purtroppo il lavoro di Vacca è assurto agli “onori” della cronaca non per la sua qualità o il suo coraggio ma bensì per le vicissitudini legali che ha dovuto attraversare. Dei tentativi di censura e dei danni alla sua proprietà si è già discusso a lungo nel recente passato ed è quindi superfluo tornare su questi episodi (che peraltro si commentano da soli). Per inquadrare meglio la figura e il lavoro di Jorge Vacca ed avere un’idea dei suoi rapporti con le istituzioni è utile il servizio che gli fu dedicato nella rubrica Minima Amoralia sul numero 56 di Blue, oltre naturalmente a tutti i volumi pubblicati dalle Edizioni Topolin.
Tra questi, i più innovativi sono senz’altro quelli di Brian the Brain realizzati dallo spagnolo Miguel Angel Martin.
Miguel Angel Martin è nato a Leòn, in Spagna, nel 1960 ed è disegnatore professionista dagli inizi degli anni ’90. Collabora con la rivista El Vibora, ultima vestigia delle meraviglie che caratterizzarono gli ultimi vent’anni del fumetto, per cui realizza storie dei generi più vari (cyberpunk, metropolitano, sociale, ecc.) ma tutte pervase dalla sua particolare visione del mondo e dai macabri temi che sottende. Brian the Brain nasce in ambito underground ma viene continuato per il nuovo editore, che ne ristampa i primi episodi e ne produce di nuovi. Su rivista le storie vengono colorate in maniera forse un po’ chiassosa, ma la successiva raccolta in volumetti ne rispetta il bianco e nero originale. Martin ottiene la fama (o l’infamia) internazionale con Psyco Pathia Sexualis, raccolta quasi didascalica di pratiche sessuali efferate e di gesta documentate di serial killer. L’opera provoca scandalo un po’ ovunque (difatti in molti paesi la sua situazione legale è ancora da chiarirsi) ed è quindi un buon trampolino di lancio per il suo autore, di cui possono finalmente cominciare a circolare lavori di maggiore spessore.
Brian the Brain è una sorta di “one-man-zine” gestito e realizzato interamente da Martin, che in appendice agli episodi veri e propri di Brian inserisce le storie del medico-boia Boris (Life fading) e le comiche mute di Bug. Mentre i racconti di Psyco Pathia Sexualis sono molto poveri dal punto di vista dei testi, quelli che hanno per protagonista Brian testimoniano invece della grande abilità di Martin come sceneggiatore, in grado di spaziare dalla tavola unica pienamente compiuta alle storie di maggior respiro, delineando perfettamente i personaggi e creando una forte complicità con il lettore (e non mancano originali citazioni).
Brian è il figlio mutante, nato senza calotta cranica, di una donna che ha venduto il suo corpo ad un laboratorio, il Bio Lab Research, per farsi sperimentare addosso gli effetti degli ultrasuoni. Dotato di una grande intelligenza e di poteri telecinetici e telepatici (che deve tenere nascosti per non essere ulteriormente preso di mira), deve scontrarsi ogni giorno con le difficoltà dell’integrazione e con i drammi delle altre persone. Le sue vicende sono strutturate in modo che nelle prime pagine dei fascicoli siano ospitate alcune tavole autoconclusive, poi sviluppate in tavole doppie, cui fa seguito un episodio completo più lungo e articolato.
Una parte fondamentale della carica innovativa del fumetto è dovuta al particolare stile grafico adottato da Martin. Psyco Pathia Sexualis si presenta sicuramente più raffinato a livello di disegno e coniuga un tratto underground poco tratteggiato (diciamo sullo stile di un Clay Wilson semplificato o di Francesca Ghermandi) con la ligne claire ricercata di Joost Swarte (con tanto di spiraline per simulare il movimento). Brian the Brain invece non ricorre ad un disegno sofisticato per accattivarsi i lettori, e le immagini scarne ed essenziali risultano molto più efficaci per gli scopi provocatori dell’autore: le tristi e shockanti vicende di cui il piccolo protagonista è vittima o testimone acquistano una forza ben maggiore accompagnate dal tratto innocente, quasi infantile, con cui sono narrate. Se il “twist ending” di una bambina che deve morire di tumore o il racconto del calvario di chi ha una malattia genetica delle ossa farebbero balzare sulla sedia o comunque metterebbero a disagio già illustrate con uno stile realistico, l’effetto di questi disegni così candidi applicati a queste situazioni è semplicemente dirompente.
Perché Miguel Angel Martin sceglie di raccontare queste storie con un tratto così leggero, quasi neutro, quando la loro crudezza evoca piuttosto situazioni purtroppo realistiche se non reali? E’ una scelta sbagliata che porta ad una contraddizione o è solo la scarsa voglia di impegnarsi in un disegno “bello”? In realtà nessuna delle due ipotesi è corretta; Brian the Brain nasce con intenti ben precisi: innanzitutto è un fumetto impegnato, un’opera concepita con il proposito di sensibilizzare il lettore su alcune realtà (l’ingegneria genetica, l’emarginazione dei soggetti deboli, ecc.) ed in secondo luogo è l’opera di un autore underground che, non importa se per una precisa pulsione o per semplice calcolo, deve mantenere la sua identità di figura alternativa. L’unione di queste due necessità determina l’apparente contraddizione in Brian the Brain, frutto invece di una scelta ben ponderata.
Da una parte c’è la crudeltà quasi compiaciuta dei testi mentre dall’altra si trova l’estrema semplicità, quasi infantile, dei disegni: ci troviamo di fronte cioè ad un’opposizione aperta tra la brutalità e la violenza del mondo reale (ovviamente amplificate dal tono iperbolico) e la disarmante innocenza di un bambino costretto a subirle. È come se tutte le storie fossero delle soggettive che mostrano il marciume attraverso il candore di Brian. L’effetto è un pugno nello stomaco, è il raggiungimento di uno straniamento brechtiano totale. Ma l’impatto distruttivo non termina i suoi effetti alla prima lettura; a mano a mano che ci si riprende dallo shock si notano altri particolari che ne amplificano la portata. I primi episodi di ogni fascicolo sono tavole autoconclusive o storie di due pagine e, poiché la loro prima lettura scorre molto veloce, sembrano messe lì come un’introduzione a ciò che seguirà, come dei “titoli di testa” per presentare i personaggi e il loro ambiente. Ma considerandole dal punto di vista tecnico, queste pagine sono fin troppo simili alle vecchie sunday pages dei quotidiani americani, con tanto di intestazione in alto a sinistra e una scansione molto rigorosa delle vignette. Le “tavole domenicali” costituiscono il supplemento a fumetti dei giornali, che durante la settimana ospitano invece le “strisce giornaliere”: gli argomenti trattati, dovendo rivolgersi ad un pubblico vastissimo, si limitano quasi esclusivamente all’umorismo e all’avventura e ingabbiare il rivoluzionario Brian the Brain in una struttura così classica (oltre a dimostrare la cultura e l’intelligenza di Martin) è un ulteriore scossone per il lettore, preso alla sprovvista da quest’altro scarto tra sostanza e forma.
Per quel che riguarda l’organizzazione dei contenuti, la struttura più frequente delle storie, anche degli episodi lunghi, è quella del finale a sorpresa (a chute direbbe Moebius), che non si risolve con il semplice stupore del lettore ma con la sua forzata riflessione sulle vicende appena lette: l’ultima vignetta è infatti spesso occupata da un personaggio che pensa o dice qualcosa che fa risuonare nel lettore varie eco. Inoltre talvolta è richiesto un piccolo sforzo di ragionamento per comprendere appieno la storia raccontata (e per riempirne gli eventuali “buchi”): indicativa al riguardo è quella, straziante e geniale, della bambina malata di cancro.
Miguel Angel Martin ha inoltre la tendenza di scegliere come vittime dei suoi intrecci soggetti indifesi per cui il lettore è portato a provare naturalmente pietà: bambini, animali, portatori di handicap (handicap ovviamente scelti con sadica ricercatezza). Brian the Brain è, anche per questo motivo, un’opera catartica (e quante altre ce ne sono nel panorama fumettistico di questi ultimi anni?) con cui il lettore può esorcizzare i suoi timori riguardo gli orrori della società prossima ventura, che Martin ci sbatte in faccia senza pietà.
Chi non ha ancora letto Brian the Brain potrebbe pensare che una volta entrati nell’atmosfera cupa e pessimista delle sue storie queste non abbiano più nulla da offrire avendo già espresso la loro carica programmaticamente provocatoria alle prime uscite. Non è affatto così; aldilà del fatto che i rimandi interni alla serie (il ricordo del sandwich di compleanno, la figura del falso padre, ecc.) riescono a creare una struttura omogenea, quasi da continuity marvelliana, che invoglia alla lettura, bisogna dare atto a Martin della sua abilità di concepire situazioni sempre più “estreme”, ma non nel senso del noioso Psyco Pathia Sexualis. Non si tratta cioè di stupire il lettore con storie sempre più efferate, ma di farlo affezionare al protagonista per poi colpirlo a tradimento. Alla fine si ha quasi paura di procedere in una lettura che, per chi ha un minimo di sensibilità, sarà come minimo disturbante.
Non bisogna insomma andare a “scavare” poi troppo a fondo per capire l’eccezionalità e la valenza culturale di Brian the Brain. Basta ripensarci su un attimo (dopo lo shock della prima lettura) per rendersi conto di quanto il lavoro di Martin sia curato, e di come diventerà un classico ed un punto di riferimento in un prossimo futuro.
Dieci anni dopo la pubblicazione online di questo articolo si può dire che in effetti Miguel Angel Martin abbia mantenuto le promesse. Recentemente le sue opere sono state pubblicate in Italia da Coniglio Editore e Purple Press.
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