Fumetti come Orbiter, e come il
precedente Scars, rincuorano e
tranquillizzano sulla natura di Warren Ellis: sono la prova che anche lui è un
essere umano e ogni tanto può scappargli di scrivere una stronzata. Beninteso, «stronzata»
se paragonata al resto della sua produzione, ché da molti elementi interessanti
e suggestivi è comunque caratterizzata anche quest’opera.
In un imprecisato futuro in cui i viaggi spaziali sono solo un ricordo
(forse il nostro presente solo un tantinello distopizzato) precipita sulla
Terra il vecchio space shuttle Venture, partito per il suo viaggio nel cosmo
dieci anni prima. Al suo interno c’è un solo sopravvissuto dell’equipaggio
originario di sette membri e al suo esterno una misteriosa membrana cutanea. Il
Kennedy Space Center deve giocoforza tornare in attività e organizza una task
force di tre specialisti per venire a capo del mistero: come ha fatto il
Venture ad atterrare? I detriti sabbiosi rinvenuti provengono veramente da
Marte? Come ha fatto John Cost, l’unico superstite, a sopravvivere?
I dialoghi spumeggianti ci sono. I personaggi ottimamente caratterizzati ci
sono. L’idealismo e la fede nella scienza ci sono. Le nozioni ardite di fisica
teorica ci sono (forse pure troppe). Quello che manca, e che è lecito chiedere
a Warren Ellis, è l’originalità di base, o almeno un turning point o una
soluzione al mistero che non si sia già vista altrove. Purtroppo da Arthur C.
Clarke a Mission to Mars
il lettore ha solo l’imbarazzo della scelta tra tante fonti a cui può avere
attinto, magari in buona fede e magari inconsciamente, Warren Ellis. E anche quel
tipo di finale aperto si è visto ormai tante di quelle volte... Senza contare
che nelle pubblicità dei suoi albi la RW Lion per presentare Orbiter ha avuto la pessima idea di
riportare proprio l’ultimo dialogo della storia!
Decisamente un’occasione mancata, più che perdonabile considerando il
curriculum dello sceneggiatore ma al contempo frustrante perchè non è riuscita
a trasmettere al lettore l’entusiasmo e il coinvolgimento che questo argomento
suscita in Ellis come si evince dalla sua accorata introduzione.
Ai disegni una Colleen Doran terribilmente pesante e ingessata, forse alla
ricerca di uno stile più elaborato che finisce però per risultare a volte
persino poco leggibile.
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