Ho voluto aspettare di leggere il
secondo numero di questa simpatica nuova proposta prima di esprimermi in merito
e credo di aver fatto bene visto che tra primo e secondo numero ci sono delle
differenze sostanziali (non eccessive ma sostanziali).
Spesso dichiarare le proprie
influenze e i propri modelli è un passo falso, visto che inevitabilmente porta
il fruitore di un’opera a fare confronti tra le opere di riferimento e quelle
dell’ultimo arrivato che si affaccia al mercato. Da questo punto di vista
Andrea Ciccarelli l’ha combinata veramente grossa sul primo numero di Volt, in cui dichiara per nulla
velatamente che questa nuova proposta saldaPress vuole inserirsi nel solco di Rat-Man, nientemeno che il “miracolo
italiano” che negli ultimi vent’anni ha spopolato tra i lettori italiani. Una
dichiarazione tanto più coraggiosa e avventata quanto più consideriamo che
anche gli eredi ufficiali di Rat-Man,
Nirvana e “A” come Ignoranza editi dalla stessa Panini di Rat-Man, non sembrano essere riusciti a
raggiungere gli stessi livelli di popolarità della creatura di Leo Ortolani.
Ma tutto sommato tanta genuinità
potrebbe anche ben disporre il lettore, che sorridendo pensa “Tanto non potrà
mai essere come Rat-Man” mentre si
appresta a leggere benevolmente questo nuovo fumetto. E forse, come tipo di
umorismo e pubblico d’elezione, Volt
potrebbe veramente essere l’erede di Rat-Man.
Il brossuratino presenta un menu
piuttosto ricco, che contempla anche dei redazionali (proprio sulla scia di
quanto fatto dalla Panini su Rat-Man)
e non solo ben quattro serie a fumetti – ma col secondo numero la proporzione
degli ingredienti varierà sensibilmente. La serie titolare viene narrata con
l’espediente della favola raccontata ai nipotini e racconta di come Volt,
aspirante fumettista,
abbia dovuto accantonare momentaneamente i suoi sogni di gloria per cedere allo
sfinimento della luciferina madre, esasperata dalla sua vita senza sbocchi, e accettare
un lavoro presso una fumetteria. La serie portante conferma anche nel secondo
numero di pescare nell’immaginario nerd più classico, con un umorismo basato
sui “mammoni” dai meccanismi un po’ scontati e alla fine autoassolutorio.
Stefano Conte/TheSparker disegna
in maniera semplice, pulita e rigorosa. Non credo di poter essere accusato di
lesa maestà se dico che a confronto con il primo Ortolani (non necessariamente
quello di Spot ma anche del
primissimo Rat-Man Panini), Conte
risulta essere più maturo e professionale. La sua personale linea chiara viene integrata
da retini che la abbelliscono e da espedienti grafici che dinamizzano il tutto.
La particolare scelta stilistica dell’autore di usare gli oggetti più vari al
posto delle teste dei personaggi avrebbe potuto comportare il rischio di
rendere le sue tavole poco espressive. In effetti è difficilissimo far recitare
sia il protagonista che sua madre (uno è un robot, l’altra indossa la maschera
di Darth Vader), eppure Conte ha saputo comunque ricavare un bel po’ di
espressività nei limiti angusti di questa scelta stilistica. Inoltre il fatto
di avere un protagonista programmaticamente inespressivo assume quasi i
contorni di una coraggiosa dichiarazione d’intenti: visto che non posso farvi
ridere con le faccette buffe, allora vi prometto dei bei testi.
Va comunque aggiunto che molte
figure di contorno, pur non avendo una “vera” faccia, dispongono
di un volto animalesco che Conte sa far recitare con grande abilità.
di un volto animalesco che Conte sa far recitare con grande abilità.
Con la seconda uscita Volt si conferma una piacevole lettura,
anche più divertente del numero d’esordio, e il suo universo comincia a
espandersi in maniera coerente dando la piacevole sensazione di trovarsi
davanti a un progetto coerente che verrà dispiegato ancora di più nei prossimi
numeri (la continuity, insomma).
Ci sono poi le strisce di Che vita di Mecha… (come si chiamava la
serie di strip pubblicate su internet, da cui tutto il progetto nasce),
fulminanti tranches de vie in cui
vengono riproposte le situazioni più bizzarre con cui può avere a che fare un
commesso di fumetteria: è la parte più esilarante di tutto il fumetto, con
certe uscite che fanno veramente scompisciare. Alcune vengono addirittura
presentate dai lettori stessi, siano essi titolari di edicole/fumetterie o
meno. Le soluzioni di Conte per raffigurare i clienti sono spesso geniali nella
loro semplicità: un bifolco ha una lampadina come testa, che si accende quando
ha un’“illuminazione”, così come una cliente autoproclamatasi romantica ha il
visetto incastonato in una caramella.
Seguono Le Cinetiche Mangavventure di MangaMan, il “fumetto nel fumetto”
che presenta alcuni lacerti dell’opera di Volt. Si prendono ovviamente in giro
le convenzioni e i luoghi comuni dei manga, ma a questo umorismo può avere
accesso anche il non appassionato che conosca almeno per sommi capi alcuni
degli stereotipi che vengono presentati di volta in volta. Il lavoro grafico di
Conte è lodevole, nella dimensione della tavola unica su quattro o (addirittura
più spesso) cinque strisce ha saputo inventarsi delle soluzioni grafiche
ottimali per far stare tutte le scenette in una pagina di formato bonelliano.
La parte scritta è affidata a
Stefano Perullo, ed è quasi un corpo estraneo nel complesso del progetto
editoriale: l’argomento (la storia delle fumetterie) è più che pertinente ma lo
scrupolo documentaristico e le puntuali considerazioni a margine, forse
elaborazioni dal libro di interviste di Will Eisner, rende la sua parte un po’
seriosa anche se il tono che usa Perullo non lo è affatto.
Conclude il sommario del primo
numero No Robo! (o forse Noi Robot, la grafica del logo non mi è
molto chiara), una serie di gag indirizzate a quanti subiscono ancora il
fascino dei robottoni delle saghe animate giapponesi, a cui io sono del tutto immune.
In questa appendice Conte dedica ancora più attenzione all’aspetto grafico,
profondendo maggiore cura nei disegni.
Ho fatto bene ad aspettare la
seconda uscita per esprimere un giudizio, perché l’idea che mi sono fatto
dell’organizzazione della collana dal sommario del primo numero in realtà è
fallace: nel secondo numero c’è una storia portante molto più lunga e, oltre
alle consuete e sempre graditissime strisce di Che Vita di Mecha…, c’è quasi solo un altro fumetto, che poi non è
nemmeno un fumetto: riprendendo l’idea del “fumetto nel fumetto” del numero
precedente, vengono presentate le schede del Nerdonomicon a cui si fa
riferimento all’interno della storia lunga.
In appendice c’è ancora spazio
per due tavole di Le 108 arti oscure
dell’amore materno (corollario alla serie portante che ovviamente non può
condividerne lo stesso mordente esaurendosi nella dimensione di one pager) e per un redazionale «a cura
della redazione» che in sostanza è una pagina di pubblicità dei prodotti
saldaPress, né finge di non esserlo.
Confortato dalla lettura del
secondo numero, posso dire che nel complesso Volt è una lettura piacevole con punte di vera ilarità, e ho
trovato interessante lo spiazzante cambiamento del sommario del secondo numero:
così si viene anche a creare la curiosità di sapere cosa ci sarà come “fumetto
nel fumetto” nel prossimo numero. Ma al di là della qualità del fumetto, posso
capire benissimo perché saldaPress abbia puntato sul progetto: il protagonista
è un nerd aspirante fumettista in cui molti lettori potranno riconoscersi (e
quindi chissà che il suo neutro volto di robot non riesca alla fine a
facilitare l’immedesimazione) e, almeno nel primo numero, molto spazio viene dedicato
ai nostalgici dei manga puntando quindi su un bacino di utenza potenzialmente
molto ampio.
Chiaramente è ancora presto per
dire se in effetti è stato trovato un erede di Rat-Man, ma nel frattempo io continuerò ad acquistarlo. Anche se
credo che per leggere il terzo numero dovrò aspettare due mesi nonostante in
terza di copertina venga già annunciato per il 10 aprile!
Ah.
RispondiEliminaIo il primo numero l'ho visto,e... non preso.
Ora mi ritrovo (finalmente) una recensione come si deve. E quindi dai, magari gli do una possibilità :)
Moz-
Potrebbe piacerti, secondo me. E poi sono solo 3 euro...
EliminaRat-Man è un concorrente per il titolo di fumetto più sopravvaluatato della storia. Un po' va bene, poi diventa una noia mortale. La serie Panini l'ho retta per una quarantina di numeri poi ho mollato.
RispondiEliminaIo sono arrivato fino al 100, ma non l'ho seguito dall'inizio (ho recuperato con le raccolte). Il problema è che a un certo punto invece che "semplici" parodie Leo Ortolani comincia a fare metafumetto e può risultare un po' pesantino.
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