domenica 21 giugno 2020

La Solitudine del Fumettista Errante

Preso per i fumettisti d’invenzione, questo fumetto fa parte del genere (perché ormai è un genere vero e proprio) in cui gli autori raccontano le loro esperienze come professionisti: la falsariga è quella di Emotional World Tour, visto che molto spazio è dedicato alle fiere e alle presentazioni, ma lo spirito è quello dell’“Uomo in Pigiama” Paco Roca perché il tutto è trattato in maniera umoristica.
Articolato come un diario, prende le mosse dal 1982 quando Adrian Tomine, bambino spaesato in una nuova scuola di Fresno, spiega il suo amore per i comics e la sua aspirazione a diventare un fumettista, guadagnandosi il ruolo di bersaglio dei nuovi compagni di classe. Tredici anni dopo Tomine vola a San Diego, ormai autore affermato o convinto di esserlo. E da qui in poi vengono raccontati gli episodi più strani, umilianti e assurdi che il protagonista ha vissuto in oltre vent’anni di carriera. È evidente che è spiacevole, e a volte anche traumatico, essere scambiato per un tecnico informatico da un altro disegnatore, venire accusato di aver tradito il primo editore, scoprire i mezzucci con cui il gestore di una fumetteria (bontà sua) raccatta dei “fan” per una presentazione altrimenti deserta, avere a che fare con quello stronzo di Frank Miller ed essere messo in ombra da Neil Gaiman, ma Tomine racconta questi episodi con grande autoironia e spesso li collega fra di loro creando una certa continuity. È lui insomma il primo a riderci sopra, come testimoniato anche dalla gag ricorrente del cognome storpiato, o meglio impronunciabile ai più.
Ne La Solitudine del Fumettista Errante confluiscono anche alcune vicende personali dell’autore, e l’ultimo capitolo ambientato nel 2018 è molto lungo e drammatico: Tomine, che si ritrae sempre come insicuro e paranoico (per fortuna ha la moglie a fargli da maturo contrappeso), finisce al pronto soccorso per dei sintomi che potrebbero essere gli stessi della patologia cardiologica che ha portato alla tomba suo padre. In queste 33 tavole non mancano momenti divertenti e i soliti spunti autoironici (fino al beffardo finale) ma l’angoscia è tangibile.
Si tratta insomma di un fumetto molto divertente in cui Tomine conferma dopo Morire in Piedi la sua totale padronanza del mezzo e la perfetta capacità nel gestire i tempi comici. Graficamente è molto piacevole nonostante l’intenzione di spacciarlo per un diario schizzato in fretta: ovviamente altre opere di Tomine sono più curate, ma la sua maestria emerge anche dai pochi segni con cui disegna un viso e dai tratteggi solo apparentemente confusi con cui riempie le vignette. I suoi personaggi, poi, sono sempre molto espressivi.
Il volume ha però un difetto alquanto fastidioso: è confezionato sin dalla copertina e dai risvolti come un quaderno a quadretti (in modo da creare una mise en abîme metanarrativa con l’ultima tavola) e i quadretti ci sono davvero. Per quanto siano quelli classici azzurrini, tendono un po’ a confondere i disegni, che per loro natura in questo progetto sono volutamente poco marcati. Quando poi il bordo di una vignetta si trova accanto a una colonna di quadretti l’effetto è un po’ simile a quello “ipnotico” dei vecchi retini messi senza criterio, fenomeno ancora più evidente quando in una vignetta ci sono dei tratteggi. Peccato.

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