Finalmente mi sono letto questa
celebre saga di Cothias e Adamov. Cioè, già ne avevo letto qualche spezzone su Circus, ma figurarsi cosa ne avevo
capito per quelle poche tavole che pubblicavano per volta, oltretutto con buchi
consistenti tra una puntata e l’altra e numeri precedenti recuperati
successivamente.
L’ambientazione è una Terra
post-apocalittica come la si poteva immaginare in una colorata Francia anni
’80. Come in molte opere di fantascienza (il genere che invecchia peggio) la
tecnologia e la scienza fungono in sostanza da sostituti della magia, con cui
si possono creare senza difficoltà cloni e ibridi. Gli abitanti della città di
Mortelune, che poi si scoprirà essere Parigi, vivono costantemente in deficit
di cibo e soprattutto di acqua, sparita dopo il disastro se non sotto forma di
pioggia acida che brucia tutto ciò che è organico. Ma peggio di loro stanno i
Pallidi che vivono fuori dalle mura cittadine («Blêmes» vuol dire “Pallidi” in
francese, giusto?), regrediti a uno stadio poco più che bestiale. Non manca
però una casta ristrettissima di privilegiati che può permettersi più acqua e i
vizi di un’aristocrazia decadente.
Il primo protagonista di cui
facciamo la conoscenza è Pancrasse, uno degli ultimi macellai di Parigi che per
arrotondare e invogliare la clientela fa prostituire la figlia quindicenne
Violhaine, sovente con rappresentanti del clero. Pancrasse ha un altro figlio, Nicolas,
sordomuto e un po’ tocco. Il cast dei personaggi contempla poi il Principe
Jèrôme di Mortelune e il suo servitore nano Goliath (anche loro introdotti
all’inizio della saga), il Duca Malik che vorrebbe rubare al Principe il
segreto della sua eterna giovinezza e poi il saggio Barnabé e una neonata con
la coda da topo che dopo aver rischiato di finire macellata da Pancrasse viene
adottata da Violhaine. Su tutti vigila un profeta bizzarro che la mattina
sveglia Mortelune cantando come un gallo, e che annuncia una nuova epoca
all’orizzonte.
Il Principe Jèrôme
(ultracentenario ma col corpo di un ventenne) è colui che presiede alla
depurazione e alla distribuzione dell’acqua potabile alla popolazione di
Mortelune, ma per far funzionare i macchinari che gli permettono di farlo ha
bisogno del gasolio di cui è invece il Duca Malik ad avere il monopolio, che a
sua volta necessita ovviamente di acqua, portando a uno stallo in cui nessuno
dei due parenti serpenti osa attaccare l’altro.
Nei primi volumi la storia è
Patrick Cothias all’ennesima potenza: personaggi sopra le righe, situazioni
estreme per
épater la bourgeoisie,
scene epiche e spettacolari, alto e basso che si incontrano, cinismo stemperato
da un po’ di umorismo, una trama che si intuisce ben architettata ma che stenta
a decollare. Come nei primi volumi delle
Sette
Vite dello Sparviero,
i personaggi sembrano infatti girare un po’ a vuoto: ci si chiede come andrà a
finire il gioco che Violhaine conduce col Principe da lei sedotto, che ruolo
avrà la bambina-ratto e come si svilupperà la tematica del rinnovamento del
mondo. E magari i vaghi riferimenti ai poteri di Nicolas troveranno una
spiegazione. Ma dal quarto episodio,
Les
Yeux de Nicolas, Cothias manda tutto a monte ammazzando un bel po’ di
personaggi (anche quelli che pensavo avrebbero avuto un ruolo di rilievo) e si
concentra sulla caccia del Duca Malik, che dispone di una fortezza mobile, al
Principe Jèrôme. Da qui in poi più che Cothias ogni tanto sembra di leggere
Jodorowsky, con un incremento delle crudezze a cui si abbandonano i personaggi
(cannibalismo, che già era presente, e alla fine anche incesto) e con una vena
ecologista che giustifica l’introduzione di enormi insetti parlanti. Ma per un
lettore francese immagino che sia stato divertentissimo vedere le varie città
francesi in versione post-atomica sul tragitto che dovrebbe portare verso
l’ultimo mare dei deliri di Nicolas. Il finale amarissimo è apprezzabile, anche
se ho stentato ad appassionarmi alle vicende di personaggi che sono, chi più
chi meno, tutti dei pezzi di merda o degli stupidi.
I disegni di Adamov sono
spettacolari, veramente molto belli. È una sorta di Moebius/Giraud più
squadrato. Gli sfondi e i panorami sono particolarmente curati, così come i
mezzi di locomozione di questo mondo apocalittico. Particolarmente riusciti gli
scorci della Parigi post-atomica e delle altre città, con i monumenti ridotti a
rovine. Immagino però che a suo tempo i pinailleurs
della rivista BoDoï si siano
scatenati con lui: Pancrasse è monco e ha sostituito una mano con una
lama-spuntone, che però passa dalla mano destra alla sinistra di vignetta in
vignetta, anche nella stessa pagina! E a volte ha ancora tutte e due le mani. Sarà
una protesi mobile che si sposta da una vignetta all’altra? Forse, però in
altre pagine ci sono ferite che passano da una gamba all’altra, rovine che non
proiettano le ombre corrette, pantaloni che cambiano forma di vignetta in
vignetta…
Più ancora che nell’altra opera
di Cothias-Adamov, Il Vento degli Dei,
qui ci sono un sacco di bambini e bambine nudi spesso coinvolti in scene di
sesso, soprattutto nei primi episodi, per cui è improbabile che vedremo mai la
saga in Italia.
Da quanto ho letto su internet,
il secondo ciclo di 5 episodi di Les Eaux
de Mortelune è unanimamente considerato peggiore del primo, ma ormai che ci
ho messo le mani sopra dovrò pur leggerlo…
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