lunedì 16 dicembre 2024

La Città dei Dragoni

Quando nel medioevo Parigi è meno di un villaggio un abate manesco protegge un drago dai cavalieri che lo vogliono trucidare spacciandolo per una statua. Da lì trae origine il patto che lega segretamente uomini e draghi: questi ultimi si nascondono nelle statue che decorano Parigi cullati in un sonno eterno a patto che ogni anno venga loro dedicato il sacrificio di una creatura fantastica.

Agli albori del XX secolo una forzuta hawaiana che si esibisce in un circo viene licenziata per l’irruenza con cui sconfigge chi osa affrontarla sul ring e azzardando la strada della prostituzione viene condotta in un bordello dove a esercitare sono mostruosità varie. Qui si imbatte in una sirena morente di cui si innamora (le sirene hanno questo magnetismo che non possono controllare) e salvandola sconquassa l’equilibrio della tregua tra cavalieri e draghi: era proprio la sirena la vittima designata di quell’anno, che per la precisione è il 1900.

Risvegliato dalla situazione, l’abate cerca di porvi rimedio insieme al suo vecchio amico drago che per secoli si era nascosto sotto l’identità della perpetua della chiesa. Comincia una sarabanda di rincorse, massacri, esplosioni, inondazioni, interludi amorosi, risvegli di altri draghi (tra cui intellettuali eccellenti) e quant’altro, puntellati da giochi di parole e citazioni dalla cultura francese più o meno alta.

Una storia pazzerella che sulla non-logica dei racconti per bambini innesta turpiloquio e sequenze ammiccanti quando non proprio osé. Dato il contesto fracassone e scanzonato, i rimandi metanarrativi di Joann Sfar non stonano affatto, così come le interpellazioni e gli ammiccamenti nelle didascalie. Con un discreto tocco di classe, però: i veri retroscena de La Città dei Dragoni si apprendono dal prologo e l’epilogo ambientati in un altro contesto.

Tony Sandoval fa un buon lavoro, dato il tono della storia preme ancora di più sul caricaturale e in alcuni frangenti mi ha ricordato Manu Larcenet.

L’edizione Tunué, immagino fedele all’originale, è caratterizzata da bordi e fregi simil-oro piuttosto proni a rovinarsi – solo dopo aver esaminato un paio di copie ne ho trovata una pressoché intonsa. La qualità della stampa non rende sempre al 100% giustizia all’arte di Sandoval ma nulla per cui lamentarsi in questa disgraziata epoca digitale.

4 commenti:

  1. Bella recensione. Mi ha favorevolmente colpito l'uso dell'aggettivo "prono". Si vede il tocco dello scrittore professionista.
    Io banalmente avrei usato "sono soggetti a rovinarsi".
    In inglese, probabilmente "are bound to be ruined" o "bound for ruin".

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    1. Googlando rapidamente vedo che "Bound for Ruin" è il titolo di un romanzo di Forgotten Realms. Come citazione mi pare estranea ai tuoi interessi ma chissà!

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    2. Ah, non sapevo. Eoni fa per praticare l'idioma ebbi a leggere un romanzo di Dragonlance, e mi è bastato.

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    3. Un po' come quando Bastien Vivès a Lucca disse che gli piace molto l'Italia e che voleva imparare l'italiano, quindi chiese a un suo professore un romanzo con cui impratichirsi, che fosse il più semplice possibile. Gli suggerì quello di Moccia.

      Fun fact su uno dei romanzi di Dragonlance: il traduttore non ci capiva molto di giochi di ruolo e prese un "turn" per "turn into", così uno dei sacerdoti del libro in italiano si lamentava di non potersi più trasformare in non-morto invece di scacciarli.

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