Non tutti gli Warren Ellis riescono col buco.
Questa storia si svolge in un’epoca in cui a far parte dei Vendicatori erano anche Wolverine e Capitan Marvel, mentre Iron Man sfoggiava un’armatura gialla e nera. Nello staterello della Slorenia, recentemente liberato dal regime che lo opprimeva anche grazie al contributo degli Stati Uniti, alcuni ribelli che invece vorrebbero restaurare l’antico governo rinvengono dei “droni” che in realtà sono un incrocio tra mostri norreni e tecnologia americana tratta da tecnologia nazista. Sia Capitan America che Thor hanno dei conti in sospeso con queste entità e quindi convincono il resto dei Vendicatori ad andare sul posto per indagare: scoprono così che un “carico” di queste macchine da guerra biomeccaniche è stato spedito negli Stati Uniti, solo che è una versione potenziata e incontrollabile! Partono quindi alla volta della base dello S.H.I.E.L.D. dove sono stati recapitati e la bonificano a sganassoni (e fulmini e artigliate e raggi laser e frecce multiuso e scudate e colpi di quinjet e…). Qui però vengono raggiunti da Bruce Banner con un messaggio da parte dello S.H.I.E.L.D.: che i supereroi tornino a farsi gli affari loro a New York, o dovranno vedersela con Hulk. Questa almeno è l’idea dei capoccia dello S.H.I.E.L.D.: imbottito di tranquillanti Banner può posticipare l’entrata in scena del suo alter ego verde che quindi darà invece una mano ai Vendicatori per sradicare definitivamente la minaccia.
Al di là dei dialoghi ironici Warren Ellis è quasi irriconoscibile. Le didascalie con cui presenta motivazioni e gesta dei vari personaggi potrebbe averle scritte chiunque altro. Mi sembrano poi stonate le caratterizzazioni di alcuni personaggi, soprattutto di Tony Stark e Carol Danvers, ma magari una dozzina di anni fa (Guerra Infinita è del 2013) il canone Marvel era quello. Non che sia una porcheria, ma è una storiella stiracchiata non molto originale e in cui l’azione più parossistica va a braccetto con lungaggini testuali poco coinvolgenti. Forse a suo tempo Ellis dovette scrivere seguendo direttive tematiche e strutturali molto stringenti, o forse la dimensione da graphic novel non ha giovato al suo ritmo: se ho ben capito, Guerra senza fine uscì direttamente in volume senza essere prima serializzata nei canonici comic book, senza quindi la necessità di mettere almeno un po’ di sostanza ogni ventina di pagine.
I disegni di Mike McKone sono come i testi di Ellis: non hanno sugo. Sì, le anatomie più o meno le conosce ma lavora al risparmio e non è Alex Toth. L’evidente ricorso a fotografie per posture ed espressioni porta allo sgradevole effetto per cui i protagonisti cambiano spesso volto di vignetta in vignetta. E l’uso del computer per riempire gli sfondi non fa che sottolinearne la povertà. Purtroppo nemmeno i colori di Jason Keith aiutano molto.
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