giovedì 25 dicembre 2025
martedì 23 dicembre 2025
Krane le guerrier Tome 3 - La Septième Galaxie
Nel primo volume di Krane disegnato da Patrito avevo ravvisato una certa evanescenza nelle figure umane tratteggiate ad aerografo. Forse anche lui se n’era accorto e in questo terzo e ultimo volume della serie mi sembra che abbia pensato bene di “sporcare” le tavole per renderle più vivaci e tridimensionali.
La storia inizia col botto: un essere umano inseguito da alieni riesce alfine a raggiungere la sua nave spaziale e a lanciare un messaggio in bottiglia, o meglio in un razzo, che verrà raccolto 3000 anni dopo. Sorpresa: pur essendo intestato a lui questo episodio non vede propriamente protagonista Krane, ma ruota attorno alla ciurma dell’astronave Explorateur XII guidata dal comandante Ralph che dopo vari sforzi riesce a tradurre il messaggio di Krane (era lui l’uomo braccato) e a mettersi così alla ricerca di quello che aveva lasciato detto nella vetusta cassetta video modello KG3: in uno dei pianeti di Andromeda aveva nascosto il più importante segreto dell’umanità dentro una… «balise»… che tra i vari significati che ha la parola in francese immagino qui voglia dire “faro” e non “etichetta” visto che nella forma ricorda un po’ il monolito di 2001 – Odissea nello Spazio. A ogni buon conto, l’equipaggio va anche sul vecchio satellite di Krane per recuperare i suoi effetti personali tra cui sperano di rinvenire i piani per i motori spaziotemporali.
Può sembrare poco credibile che un formato di conservazione dei dati di tre millenni prima possa essere decifrabile nel futuro, e infatti (forse già presagendo la prossima obsolescenza delle VHS – questo volume è del 1993) recuperarne e decrittarne il contenuto è lo scoglio principale della storia. Anzi, l’unico: in questa vicenda non ci sono pericoli, non ci sono nemici, non ci sono ostacoli, non ci sono prove da superare, non ci sono minacce, non ci sono colpi di scena: gli eventi sono molto lineari (e totalmente avulsi da quelli riportati in quarta di copertina!) e avvicinandomi alla fine delle proverbiali 46 tavole già subodoravo che La Septième Galaxie fosse solo l’antipasto di un ciclo che poi non venne concluso. Per fortuna non è così: la storia in effetti finisce, forse un po’ in fretta, con un finale che potrebbe sembrare filosofico o freddamente scientifico o poetico o beffardo a seconda delle inclinazioni di ognuno.
Il recupero di alcuni elementi dello scorso volume come il pianeta delle amazzoni può trasmettere un piacevole senso di continuity programmata, né manca un pizzico di umorismo. È però pur sempre fantascienza di trent’anni fa: per quanto possano essere suggestive le trovate di Gourmelen nemmeno questo fumetto passa indenne alla prova del tempo.
domenica 21 dicembre 2025
Dungeons & Dragons: Ladra di Meraviglie
Questo raccontino ruota attorno al Deck of Many Things, un classico oggetto magico di Dungeons & Dragons che mi ero sempre ripromesso di mettere in qualche campagna senza poi farlo mai. È una trovata vagamente metanarrativa che introduce un bel po’ di caos nel gioco, visto che a seconda delle carte pescate possono verificarsi situazioni mortali, assurde o vantaggiosissime senza alcuna logica.
La aasimar Rudd, una bara (nel senso di gambler, non di cassa da morto) riceve la visita della sua vecchia conoscenza il mago Bas che la costringe ad accompagnarlo a prendere il Mazzo delle Meraviglie dal goblin che ce l’ha adesso: la carta della Luna concede dei desideri e quindi anche la possibilità di resuscitare la sua, di Luna, cioè la moglie di Bas che intuiamo non essere stata indifferente a Rudd che pure fu parzialmente colpa della sua morte. Visto il pericolo di pescare le carte sbagliate con effetti deleteri, sarà sempre Rudd a estrarle confidando nella benevolenza di Istus, dea presso cui prestava servizio.
I due finiscono così inseguiti da vari gruppi interessati all’oggetto: un ordine di cavalieri che protegge l’universo dal caos generato dal mazzo, un’orda di non morti che vuole vendicarsi del mazzo per essere stati uccisi dai suoi effetti e una gilda di ladri licantropi – forse esistono tutti e tre nell’incarnazione attuale del gioco.
Tra fughe rocambolesche e colpi di scena c’è forse troppo materiale infilato in queste 72 pagine ma tutto sommato il ritmo indiavolato tiene incollati alle pagine. Al di là di una trama articolata Ellen Boener inanella più di una battuta divertente: niente per cui entusiasmarsi, ma basta poco per risaltare in positivo a confronto con altri obbrobri che si sono visti tra il recente materiale a fumetti di D&D.
In compenso i disegni di Eduardo Mello sono atroci. Non credo si possa ritenere bravo nemmeno nel suo genere esageratamente grottesco visti gli esiti sgraziati e soprattutto il fatto che non riesce a rispettare le fattezze di un volto di vignetta in vignetta – adottando uno stile caricaturale dovrebbe essere facile, no?
Considerato che le immagini delle carte in questione sono palesemente tratte da altre fonti (disegnate molto meglio, ça va sans dire) mi viene il sospetto che forse questo volumetto sia stato pensato anche come viatico per pubblicizzare il relativo game prop del mazzo, ammesso che esista. Dopotutto decenni fa la TSR ne aveva allegato una versione sulla rivista Dragon.
I giocatori più attempati potrebbero storcere il naso davanti a certe bizzarrie filologiche: Istus è (era?) una dea specifica di Greyhawk, non dei Forgotten Realms dov’è ambientata la storia. E alcuni effetti delle carte sono discutibili perché dovrebbero sempre riguardare chi le pesca e non essere paragonabili a incantesimi da lanciare addosso agli altri. Ma al di là del fatto che le cose potrebbero essere cambiate nel corso delle varie edizioni di D&D, si è letto ben di peggio (molto di peggio) in questi fumetti dedicati a Dungeons & Dragons.
venerdì 19 dicembre 2025
Storie e Misteri del Lago di Como
Gente riservata, i comaschi. Timidi, direi. Al limite della segretezza. Insomma, capisco che tra le molteplici attività della Etv Publishing – Espansione S. r. l. il fumetto non è quella preminente, ma se io pubblicassi un volume disegnato da Piccinelli e Villa lo strombazzerei ai quattro venti. E invece non hanno nemmeno messo un trafiletto sull’Anteprima e ho scoperto per caso dell’esistenza di questo volume, che poi se ho ben capito sarebbe parte di una collana. Il suo predecessore si occupa di leggende e folklore e quindi come argomento probabilmente mi interessa molto di più, ma visto che ancora non mi è arrivato per il momento mi gusto questa raccolta di fatti storici di Como e dintorni.
I fumetti sono tutti sceneggiati da Dario Campione, che firma anche l’introduzione. È curioso e lodevole che una persona esterna professionalmente al linguaggio del fumetto (così si evince dalle sue note biografiche) sia riuscita a costruire delle storie molto scorrevoli e appassionanti senza lasciarsi prendere la mano dalla scrittura, lasciando anzi spesso ai disegni il compito di raccontare con le immagini i dettagli e le atmosfere delle vicende. Certo, Villa e Piccinelli sono due fuoriclasse, ma comunque non era una cosa scontata.
Si comincia con La scomparsa del Brüt, una vicenda legata alle Cinque Giornate di Como, di cui ammetto che non conoscevo l’esistenza: a Schignano e Menaggio si teme per la sorte di Francesco, un giovane aderente all’impellente rivolta contro gli Austriaci. Lui in realtà non se la passa male, felice ospite di un’affascinante contessa a Tremezzina, ma partecipa lo stesso all’insurrezione dopo che il Carnevale di Schignano gli permette di raggiungere Como indisturbato. Al di là della trama, molto lineare, la storia è anche l’occasione di mostrare il Carnevale locale con le sue particolarità che diventano metafora del giogo austriaco.
I disegni di Villa sono meravigliosi, addirittura superiori alle mie aspettative; in questo frangente ha sperimentato con tecniche e materiali che non gli ricordavo. Chissà, forse in un paio di vignette c’è stata anche la volontà di omaggiare Dino Battaglia.
Delitto sui binari della Menaggio-Porlezza è un curioso giallo di cui ci viene anticipato all’inizio il colpevole. Probabilmente è tratto da un fatto di cronaca come testimonierebbe la riproduzione di una copertina dell’epoca (1884) del giornale Il Nuovo Lario. Molto interessante lo scavo psicologico dei personaggi e la puntuale descrizione delle metodologie di lavoro di carabinieri, banditi e ferrovieri.
Ottimi i disegni di Piccinelli, che a sua volta si concede qualche deriva un po’ elaborata (vedi i monti che fanno capolino dai panorami nebbiosi) ma che eccelle soprattutto nella resa delle espressioni e nell’elaborazione dei volti.
In fuga con il brigante ci trasporta in un’epoca più vicina, nel tormentato 1944 in cui una famiglia ebrea deve fuggire verso la Svizzera attraverso il crinale di San Lucio. A guidarli sarà il giovane “brigante” del titolo, Bosco. Dario Campione coglie l’occasione non solo per mostrare nel dettaglio le strategie nell’affrontare quei percorsi, ma anche omaggiare la flora locale e per ricordare la figura del brigante Carcini che operò un secolo e mezzo prima in quelle zone.
I disegni di Villa sono stupendi e oltre a concentrarsi molto sulla varietà ed espressività dei volti per l’occasione usa anche la mezzatinta, tecnica con cui lo abbiamo già potuto ammirare altrove.
Si finisce nella contemporaneità con Storie di Lorenzo e Lucia. Il giovane sceneggiatore televisivo Lorenzo in cerca di tranquillità per scrivere un romanzo ha affittato casa a Livo, dove trova non solo l’affascinante locatrice Lucia ma anche una ricca biblioteca da cui apprende un fenomeno poco conosciuto: l’emigrazione che per due secoli a partire dalla fine del ’500 coinvolse i comaschi che cercarono fortuna in Sicilia, principalmente a Palermo. Dal diario di Lorenzo Noghera apprende della diffusione anche nel Comasco della devozione di Santa Rosalia, cui ci si affidava per scongiurare la peste. Visto che anche la promessa sposa del Noghera si chiamava Lucia la mise en abîme manzoniana è quanto mai profonda.
Piccinelli offre una prova addirittura migliore della precedente: visto che molte vignette sono costituite dal testo del diario può concentrarsi su un lavoro più illustrativo ed elaborato.
La qualità di stampa di Storie e Misteri del Lago di Como è quella paradossale delle scansioni digitali: da una parte si colgono dettagli come le matite non cancellate e le sfumature di china che con il fotolito sarebbero risultate compatte, dall’altra i tratteggi (soprattutto quelli più fini) non sono così nitidi come negli originali. Poco da lamentarsi: questa è la norma o quasi della stampa contemporanea.
L’unico difetto che invece si può ravvisare in queste pagine è il lettering di Aldo Lanfranchi molto meccanico sia come grafia che come forma dei balloon.
A integrare i fumetti ci sono due
lunghe e interessanti interviste ai disegnatori e una ricca bibliografia. Le 72
tavole di fumetto promesse in quarta di copertina sono effettivamente 72 (
Insomma, un volume eccezionale, una scoperta gradevolissima. Quasi quasi mi pento di aver rivelato l’esistenza di questa chicca invece che custodirne anch’io il segreto.
martedì 16 dicembre 2025
Oscar Wilde raccontato da Topolino
A dispetto del titolo, questa raccolta coinvolge paperi e non topi ma la grafica di copertina potrebbe essere stata studiata per rimandare alla testata e non al personaggio.
Introdotti da un illuminante testo di Tito Faraci sulla parodia, sfilano tre adattamenti delle opere di Oscar Wilde realizzati tra 1990 e 1996, ognuno preceduto da brevi cenni all’opera di riferimento e alle curiosità specifiche della versione disneyana.
Il fantasma di Canterville trasfigura ovviamente gli elementi più macabri, così la macchia di sangue diventa la zuppa che Sir Paperin ancora in vita fece scivolare sul pavimento. Per il resto la fedeltà dell’adattamento di Alessandro Sisti è rigorosa tanto che Qui, Quo e Qua sono sin troppo pestiferi rispetto a come li ricordavo, ma viene chiarito nelle prime tavole che si tratta di una rappresentazione in cui i personaggi interpreteranno ruoli ben definiti. Forse a causa della durata (26 pagine: non certo fulminante ma nemmeno molto articolata) la storia non coinvolge troppo. I disegni di Roberto Marini sono sicuramente validi e vi ho ravvisato dei rimandi a qualche autore classico di cui mi sfugge il nome. L’inchiostrazione però è un po’ monocorde né il suo stile ha qualche guizzo che lo faccia risaltare. In realtà Marini ci ha messo sia la volontà che il lavoro, solo che i fitti tratteggi che compaiono ogni tanto finiscono per sporcare i disegni piuttosto che arricchirli, ma potrebbe essere un difetto della stampa di questo volumetto. Questa prima parodia è sicuramente godibile e divertente, ma avrebbe potuto esserlo di più.
L’importanza di chiamarsi Papernesto (e non «PaperERnesto» come indicato nel sommario e nel trafiletto di presentazione) è più articolata essendo stata serializzata su due numeri del giornalino. Le gag e le reinterpretazioni papere di Carlo Panaro sono divertenti, inoltre i disegni di Lino Gorlero hanno un’inchiostrazione più modulata e anche per questo le sue tavole sono più frizzanti.
Per finire, Il ritratto di Zio Paperone di Caterina Mognato e Valerio Held. Qui siamo totalmente fuori dall’ottica dell’omaggio scrupoloso e Il Ritratto di Dorian Gray è solo uno spunto abbastanza vago. Più che altro, la storia ricorda il Canto di Natale di Dickens: Paperone commissiona un suo ritratto a un pittore, ma l’opera si deteriora progressivamente mostrandone un’immagine sempre più mostruosa. Suggestionato da un incubo, Paperone pensa che il quadro voglia rivelare la sua grettezza (tratta malissimo parenti e sottoposti, tanto che il maggiordomo Battista si licenzia) e per rimediare prova a porre un freno al suo caratteraccio e alla sua avidità – è inquietante notare dei paralleli tra certe soluzioni imprenditoriali di Paperone e alcune malversazioni più o meno recenti ben reali. La soluzione del mistero è classica ma efficace.
Anche questa storia è piuttosto lunga e mi pare che a metà ci sia uno stacco ma il sommario riporta la pubblicazione su un unico numero di Topolino. È la più divertente e originale delle tre, anche se il lato parodistico è meno evidenziato. Peccato per la colorazione che indugia troppo su effettini digitali.
Molto bella la copertina di Paolo Mottura colorata da Mario Perrotta. A Mottura è dedicata una breve intervista in appendice: altri redazionali sono il ricordo di un’altra versione disneyana de Il Fantasma di Canterville e un approfondimento sull’autore irlandese.
Pur avendo le stesse dimensioni di Topolino e non beneficiando della carta patinata, a 7,50 euro il volumetto cartonato fa la sua bella figura.
domenica 14 dicembre 2025
sabato 13 dicembre 2025
venerdì 12 dicembre 2025
giovedì 11 dicembre 2025
lunedì 8 dicembre 2025
Il Nome della Rosa 2
Splendida conclusione per la riduzione a fumetti del romanzo di Umberto Eco, di cui ammetto di conoscere solo la versione cinematografica. Purtroppo mi basta per sapere i retroscena della storia e la soluzione del mistero, quindi invidio quelli che ancora ne sono all’oscuro. Cioè in sostanza credo di non dover invidiare nessuno.
Visto che la storia e la svolta risolutiva sono note e risapute, tanto da essere state oggetto di parodie e omaggi vari, non credo sia il caso di riassumerle troppo in dettaglio. Adso continua a raccontare di come aiutò il francescano Guglielmo da Baskerville a risolvere il mistero delle morti sospette in un monastero la cui collocazione geografica viene lasciata nel vago, proprio mentre a indagare giungevano anche il temuto inquisitore Bernardo Gui, il cardinale Bertrando del Poggetto e due delegazioni di ordini monastici in conflitto tra di loro.
Chiaramente il fumetto permette una maggiore fedeltà al testo letterario e così ho potuto gustarmi quegli aspetti che fisiologicamente in un film sarebbero stati impossibili o comunque molto difficili da trasporre. Sfilano quindi delle appassionanti sequenze di detection, un’ulteriore versione del basilisco, il ricchissimo retroterra religioso ed ereticale medievale nonché la ricetta per fabbricarsi dei demoni che esaudiranno i desideri lascivi. E chi l’avrebbe mai detto che una disputa teologica in huit clos sarebbe stata incalzante come un thriller? Quella che immagino essere una più scrupolosa adesione al testo originale introduce anche una sferzante ironia nei dialoghi, gradevolissima.
Tempo fa avevo riscontrato una seppur vaga flessione nel disegno di Manara, più che giustificabile considerando tutto quello che già aveva dato al settore. Non ce n’è alcuna traccia ne Il Nome della Rosa: il Maestro è al top della forma e a 80 (!) anni disegna animali, sfondi e architetture con una cura e una dedizione che i fumettisti che hanno meno di quarant’anni non sanno manco cosa sono. I personaggi recitano in maniera magnifica, cosa che spesso contribuisce a rafforzare quell’ironia che ho ricordato sopra. La bellezza dei disegni e la cura dei dettagli non va a inficiare il dinamismo, tanto che le rare linee cinematiche sono superflue. Come spesso accade coi fumetti di Manara, sfogliare le sue tavole è anche l’occasione di ricordare attori o caratteristi del cinema italiano e non: credo che per il frate barbuto di pagina 19 si sia ispirato a Gigi Proietti.
Un plauso anche ai colori di Simona Manara, che dopo i primi approcci traballanti ha saputo finalmente interpretare e integrare molto bene lo stile del (suppongo) padre. Probabilmente la colorazione è stata realizzata col computer, si vedano gli aloni perfettamente rotondi delle lampade, ma ha saputo comunque restituire la sensazione dell’acquerello.
Insomma, questo fumetto è un capolavoro.
Ed è un vero peccato che lo sia. O meglio uno spreco. La nave di Teseo/Oblomov
ha allestito un’edizione che è speculare alla descrizione della donna fatta da Ubertino
nel fumetto: il contenuto è sublime, la confezione abietta. La carta non è
patinata ma una Arena Ivory Rough da
In appendice alcune pagine di schizzi.
sabato 6 dicembre 2025
I Seasons
Toh, un po’ di originalità dal mondo statunitense. Se ho ben capito, Rick Remender ha voluto fare un omaggio ai romanzi inglesi ottocenteschi per ragazzi. “I” Seasons sono quattro sorelle che, coerentemente col cognome, hanno ognuna il nome di una stagione. La storia si apre con la quattordicenne postina motorizzata Spring che dopo varie peripezie riesce a recuperare la lettera che le ha inviato la sorella Autumn, che le rivela di aver scoperto che fine hanno fatto i loro genitori ma che al contempo le anticipa un pericolo di cui lei stessa teme di cadere vittima a breve. E infatti la storia, che inizia in un 1924 alternativo, si apre con un circo itinerante che attraversa la città di Neocairo i cui abitanti sono vittime di un acuto narcisismo che li porta a specchiarsi dimentichi di tutto il resto. Lo stesso inquietante circo è arrivato anche a Nuova Gaulia, da cui Spring dovrà fuggire portandosi dietro le due sorelle rimanenti. Solo che ormai è troppo tardi per farlo: l’artistoide depressa Winter non le crede e la vanitosa supermodella Summer torna appositamente a Nuova Gaulia proprio per farsi notare in occasione di una delle serate del circo. Questo “circo” è simile a un’entità vivente, capace di inghiottire gli spettatori portandoli in un’altra dimensione, e si espande sostituendosi progressivamente agli edifici della città. Per attirare le sue vittime si serve di clown mutaforma.
Ne I Seasons lo steampunk si mescola al fantasy passando per Pippi Calzelunghe, Alice nel Paese delle Meraviglie, l’estetica degli anni ’60, il mito arturiano, Charles Dickens, Indiana Jones, Dimmi che mi ami, Junie Moon, Lovecraft, Rocketeer, Mary Poppins e chissà quant’altro che non ho colto. Da sottolineare il linguaggio ricercato di cui ha fatto uso Remender.
Benché in origine sia stato serializzato in otto comic book questo fumetto si legge in maniera molto spedita, con un ritmo e delle invenzioni continue quasi frastornanti: non è affatto una brutta sensazione. Peccato che la storia non finisca qui, o meglio che si arrivi a un mezzo punto fermo che però apre a nuovi scenari.
Ma i fumetti, d’altro canto, sono anche fatti di immagini. I dieci anni passati da Outcast si fanno sentire. «Veramente molto bravo», avevo definito Paul Azaceta all’epoca. Evidentemente si è riposato sugli allori e sta monetizzando sulla gloria passata. Le sue tavole sono solo degli schizzi, che sembrano fatti pure malamente e controvoglia. Non si può nemmeno addurre la scusa della scelta di un disegno espressionista per giustificare gli errori prospettici, le anatomie sballate, le pennellate pesanti e in generale il senso di scazzo che trasmettono queste vignette. È ovvio che tanta imprecisione porti poi il colorista Matheus Lopes a confondere gli edifici coi tendoni del circo o a proiettare sei ombre sul pavimento dalle sette sedie che invece ha disegnato in fretta e furia Azaceta. Peccato, perché un disegno più dettagliato, o almeno curato il minimo sindacale, avrebbe reso maggiore giustizia ai testi.
giovedì 4 dicembre 2025
La Luna e il Serpente - Sussidiario di Magia
Uscito in anteprima a Lucca, questo volume è stato veramente arduo da leggere. Non che non sia una lettura gradevole, lo è eccome, solo che è talmente rigurgitante di concetti e di nozioni da rimanerne sopraffatti, anche se non mancano temi ricorrenti approfonditi e trattati da punti di vista diversi. A ciò va aggiunto che essendo un testo iniziatico ho avuto costantemente il sospetto che i due Moore (nessuna parentela) dicessero una cosa volendone significare un’altra che a me sfuggiva, ed è stato un po’ frustrante. Voglio dire: anche i fumetti di Didier Convard sono godibilissimi, ma per sua stessa ammissione quanti “messaggi” per i suoi fratelli celano quei testi? Quindi, che siano fole programmatiche o vere istruzioni per diventare maghi, quelle raccolte in questo tomo sono raccontate benissimo, ma che fatica leggerle. E che fatica trovare un aggancio per parlare del Sussidiario, tanta è la carne sacrificale messa sul fuoco. Vabbeh, comincio dicendo che i Moore (nessuna parentela) adottano uno stile molto ironico nonostante l’approccio sia assai circostanziato e documentatissimo. Che poi è la maniera migliore per avvicinare un uditorio, visto che spesso l’ostentazione di fede formulaica spinge ad allontanare l’interlocutore.
Il grimorio è diviso in varie sezioni che si alternano: dopo un bel fumetto muto sulla nascita del primo mago, si comincia con le biografie a fumetti di maghi più o meno famosi dall’antichità a oggi, sfilano poi i suggerimenti sulle cose da fare nei giorni di pioggia (ovvero un’introduzione passo dopo passo alla magia a imitazione di quelle attività ludico-didattiche che si trovavano nelle riviste per bambini: a proposito di stile molto ironico), un feuilleton iniziatico, un fumetto a puntate sulla vita e le opere di Alessandro di Abonutico e vari inserti su argomenti diversi come la Kabbalah e i tarocchi.
Semplificando molto dei concetti che nemmeno fingo di aver capito del tutto, l’idea di magia proposto dai Moore (nessuna parentela) è fondamentalmente la capacità di raggiungere un altro livello di consapevolezza, ottenere il dominio sull’immaginazione, ma ciò è intrecciato all’idea molto suggestiva che arte e magia siano, se non la stessa cosa, comunque delle attività molto simili, quasi parallele. Concetto che scopriamo essere stato un po’ ripreso dalle idee del “mago” Harry Smith. A proposito di queste pillole a fumetti sulle biografie dei maghi, si scoprono delle cose molto interessanti come l’origine dei tre Re Magi, l’ipotesi che Cornelio Agrippa abbia influenzato la Kabbalah, l’esistenza di tal Francis Barrett che operò tra ’700 e ’800, ecc.
Se i fumetti hanno un taglio così approfondito e divulgativo figuratevi come sono i testi scritti – a parte il romanzo a puntate, che però è palesemente una versione narrativa di alcuni concetti espressi. Anche qui ci sono badilate di umorismo e sarcasmo: la Clavicola di Re Salomone paragonata a un elenco telefonico per aspiranti invocatori, le tecniche del sesso tantrico che alla fine sono le stesse per impedire di pisciarsi addosso se non ci sono bagni attorno, l’avvertenza di stare attenti a non cadere dall’albero della Kabbalah, immagini esoteriche che diventano giochini enigmistici… però nonostante la piacevolezza dei testi si arriva lo stesso alla fine col fiato corto. Anche perché la parte conclusiva del Sussidiario è dedicata a una lunga cronistoria del Gran Teatro della Luna e il Serpente dalle origini alle performance recenti (con una certa generosità nelle testimonianze fotografiche), con vari approfondimenti su una pletora di altri argomenti come la pisicogeografia; in sostanza però è anche una sorta di manifesto programmatico del non-gruppo, con idee che sono pure condivisibili come quella per cui scienza e matematica debbano sposarsi alla politica, idea che però si inserisce in un discorso molto (molto) più ampio. Qui si possono trovare tracce di argomenti e suggestioni trattati nei fumetti di Alan Moore, in particolare nella linea ABC Comics cui collaborò anche Steve Moore (nessuna parentela).
Si chiude con gli schemi per la costruzione in cartoncino del Tempio della Luna e del Serpente, ovvia parodia di giochi analoghi nei libri per bambini da ritagliare e assemblare ma (se ho ben interpretato il manuale) anche esercizio concreto per far diventare il lettore un mago invitandolo a creare la sua versione del teatro con la scusa di non rovinare il libro.
In realtà prima di questa appendice ludica c’è un ulteriore testo: la postfazione in cui Alan ricorda l’amico Steve (nessuna parentela) deceduto poco dopo la compilazione del Sussidiario. Che gli aneddoti riportati siano reali o fittizi, rimane comunque un omaggio molto interessante e commovente.
Gli interventi grafici sono di qualità altalenante. La prova di Steve Parkhouse col fumetto muto d’apertura è molto bella.
Rick Veitch illustra le attività da fare nei giorni di pioggia: non che sia mai stato un gran bel vedere, ma qui mi sembra che abbia fatto un buon lavoro, forse come illustratore è migliore che come fumettista.
Ben Wickey ha illustrato le vite dei maghi e mi pare che il suo stile caricaturale ma molto dettagliato e colorato ben si sposi con questi che sono più racconti illustrati che fumetti.
Kevin O’Neill è piuttosto rozzo e impreciso ma può beneficiare del dubbio che le sue Avventure di Alessandro siano disegnate in questo modo per fare il verso alle testate inglesi per bambini degli anni che furono, e di cui ignoro quasi tutto.
John Coulthart ha fatto tutto il resto o quasi. Le immagini sono molto belle (e che originali i suoi tarocchi) ma l’uso massiccio del computer trasmette uno sgradevole senso di artificialità.
A integrare i lavori realizzati appositamente ci sono anche molte riproduzioni di incisioni e dipinti di ogni epoca, perfette per entrare nello spirito del libro. C’è persino quello che sembrerebbe un protofumetto, se solo capissi il tedesco.
L’edizione è molto bella come si conviene a un tomo del genere e chissà che la difficoltà nell’arrivare alla fine dei testi non fosse dovuta anche all’aggressione sensoriale messa in atto dai colori luminosissimi e dai motivi psichedelici che decorano praticamente tutte le pagine.
lunedì 1 dicembre 2025
Jenny Sparks
Questo volume è contemporaneamente originale e banalissimo. Da una parte i supereroi devono vedersela con un caso di ostaggi trattenuti in un bar, e non ricordo di aver mai letto una storia simile; dall’altra è la solita scazzottata. Più o meno. Il redivivo Capitan Atom (mai coperto, ma ricordo che anni fa fece da collante per un crossover tra case editrici) libererà le cinque persone che trattiene se saranno soddisfatte le sue richieste. Procurargli un sandwich fatto come dice lui potrebbe non essere troppo problematico, ma la prima condizione è diventare un dio.
In questa nuova incarnazione Jenny Sparks è una specie di controllore super partes della comunità dei supereroi e quindi la Justice League si è rivolta a lei per gestire questa scheggia impazzita metaumana. Nei fatti anche Superman, Batman e compagnia intervengono e provano a risolvere la situazione a modo loro, cioè a mazzate, ma Capitan Atom (pressoché onnipotente) li uccide uno dopo l’altro. In realtà uccide anche Jenny, solo che lei è lo spirito del XX secolo e siccome i guasti del “secolo breve” si propagano ancora negli anni 2000 è impossibile ammazzarla definitivamente. O così ho capito.
La parte portante di Jenny Sparks ha come struttura narrativa quella dello huit clos, che può funzionare bene al cinema o a teatro ma che nel fumetto risulta spesso noiosa. A far da cornice alla trama principale ci sono inizialmente le vicende parallele dei cinque ostaggi che vanno incontro al loro destino e poi dei flashback sull’interazione di Jenny con alcuni degli eventi più significativi degli ultimi 25 anni. E anche le “origini segrete” di Capitan Atom, che ignoro se sia un personaggio della Golden o Silver Age o un’invenzione moderna. Ma in sostanza è solo fumo con cui Tom King cerca di insaporire un arrosto piuttosto misero. È ovvio che i grossi calibri dell’universo DC non possono essere eliminati (anche se poi in realtà lo sono davvero, da un certo punto di vista), soprattutto in una miniserie che non credo sia la prima scelta dei lettori statunitensi, ma è desolante vedere che la soluzione con cui King scioglie la matassa altro non è che l’ennesimo riassestamento del multiverso DC. Non che Jenny Sparks sia da buttare, ci sono anzi delle scene divertenti, ma mi pare che a differenza del modello originale si nutra con eccessiva determinazione dell’humus dei supereroi: d’altra parte il costante ricorso ai simboletti invece delle parolacce e i mezzucci grafici per censurare un po’ di tutto palesano il tipo di pubblico a cui è indirizzato questo fumetto.
Così a memoria mi pare di ricordare che Warren Ellis una volta avesse detto che Chris Claremont non era contento di come aveva gestito la “sua” Kitty Pride ma che quella era la dannazione del lavoro su commissione in cui non mantieni la proprietà dei personaggi che crei: arriva un inglese e li fa inculare da Satana. Questa versione di Jenny Sparks (a proposito: se l’è inventato King che è una pronipote di Darwin?) non è proprio fuori fuoco ma quella di Ellis, e anche di Millar, aveva tutto un altro fascino e non aveva bisogno di ribadire quanto fosse cool per sembrarlo. Brutta bestia, il karma.
Per quel che riguarda i disegni, Jeff Spokes fa un lavoro stupendo. Un po’ sulla scia di Kevin Nowlan, disegna in maniera molto realistica calcando la mano sui contorni delle figure e dandoci dentro magistralmente coi neri. L’espressività dei suoi personaggi è stupefacente. Purtroppo lo huit clos prevede personaggi che parlano parlano parlano parlano e quindi il disegnatore ha scelto di fare abbondante ricorso al computer per ripetere le stesse vignette, dimenticandosi però di far colare le gocce di sudore da una all’altra o non accorgendosi che quando a Baghdad Superman strappa di bocca la sigaretta a Jenny ha quattro dita invece di cinque. Evidentemente gli editor sono rimasti talmente abbacinati dal suo lavoro da non accorgersene. Tanto è il livello di realismo di Spokes da rendere piuttosto ridicoli i costumi dei supereroi, in particolare quelli di Superman e Batman.
A volergli trovare per forza un difetto, che poi non è un difetto ma una scelta stilistica, direi che è la resa della protagonista; non che sia mai stata un sex symbol ma lui ha l’resa un po’ bruttarella con quel fisico molto segaligno e un naso quantomeno “particolare”. Ma avercene, di disegnatori come lui.







