Cominciamo male. In Operazione
Overlord già il primo balloon ha un refuso (e non sarà l’unico). Quasi un
presagio della qualità del volume, composto da tre tomi di cui l’ultimo appena
uscito in Francia: in effetti la serie promette molto ma non si mantiene su un
livello costante, e in più di un’occasione sembra che sia stata curata di meno,
o che ci sia stato qualche calo.
Operazione Overlord riprende vagamente la struttura di Berceuse Assassine di Tome e Ralph,
trasportando l’azione allo sbarco in Normandia avvenuto a 70 anni esatti
dall’uscita del volume: la stessa vicenda viene vista da tre punti di vista
differenti. Il primo episodio, Sainte-Mère-Église,
porta sulla scena un eterogeneo gruppo di paracadusti statunitensi che liberano
il villaggio eponimo. Bruno Falba cerca di approfondire le personalità dei
protagonisti, ma 46 pagine sono troppo poche per poter sviluppare compiutamente
la storia di ognuno senza che sembrino degli stereotipi o delle macchiette,
tanto più che c’è anche il contesto da definire e un bel po’ di dettagli
tecnici e storici da profondere. E francamente questo gruppo eterogeneo mi
sembra troppo eterogeneo per essere credibile (un irreprensibile poliziotto
newyorkese, un cowboy attaccabrighe, un meticcio benestante in fuga da New Orleans,
due polacchi amici fraterni, persino un pellerossa!).
Davide Fabbri è senza dubbio un validissimo disegnatore, ma il meglio lo dà
nel definire i dettagli tecnici (la sequenza del lancio dall’aereo sembra presa
da un manuale) mentre, per quanto disegnati rigorosamente bene, i suoi uomini dalle
dita affusolate sono piuttosto freddini e in qualche occasione ho fatto fatica
a distinguerli. Le scene di massa e le panoramiche, poi, sarebbero ottime se
non fosse che l’uso del computer come base di partenza produce un effetto un
po’ straniante, un po’ come le insegne, il lettering e alcuni dettagli tecnici che
vengono appiccicati di peso da un archivio di immagini digitalizzate e tolgono un
po’ di magia all’insieme. E, riallacciandomi a quanto dicevo sopra, mi è
sembrato che alla fine del primo episodio Fabbri sia arrivato con il fiato
corto, limitando il lavoro di fino fatto per oltre metà volume preferendo un
segno più rapido e sfondi meno ricchi.
Col secondo episodio, Omaha Beach,
la storia subisce una netta impennata in positivo: stavolta a meritarsi
maggiormente la luce dei riflettori sono i soldati tedeschi in attesa dell’inevitabile
sbarco degli Alleati. Ai disegni Fabbri viene sostituito da Christian Dalla
Vecchia, secondo me con buoni risultati. Della Vecchia non ha la perizia
tecnica di Fabbri né la sua grazia (ah, i nasi del comitato militare a pagina
61...) però il suo tratto risulta più caldo del collega-maestro e non è
soggetto a fluttuazioni qualitative.
C’è un avvicendamento anche ai testi: Bruno Falba passa il testimone a Michaël
Le Galli. Ignoro se questo stacco sia stato così netto e se i due abbiano
collaborato in itinere, sta di fatto
che a me è sembrato che la sceneggiatura scorra molto più fluida e
coinvolgente. Merito del minor numero di protagonisti e comprimari, ma anche
dell’assenza di quei flashback-lampo di una tavola che hanno caratterizzato la
prima storia senza portarle particolari benefici – anzi, a me hanno dato
l’impressione di scimmiottare altri fumetti o telefilm. Il finale di Omaha Beach mi è piaciuto, non sono un
fan del genere bellico e quindi ignoro se un escamotage del genere sia già
stato usato in romanzi, fumetti o film; io l’ho trovato originale e
perfettamente congruente con le personalità e le azioni dei personaggi che lo
vivono e lo mettono in atto.
Non male poi l’espediente di colorare i balloon di colori diversi a seconda
della lingua parlata.
La Batteria di Merville, ultima parte del trittico che vede il
ritorno di Fabbri alle matite, riprende lo spirito di Omaha Beach, puntando non solo sullo snocciolamento di dati tecnici
e di sequenze descrittive ma anche su un finale a sorpresa. Stavolta i
protagonisti principali sono solo due, un paracadutista inglese e un suo
omologo canadese («Québéquois» come ci tiene a sottolineare per ripararsi dalle
accuse di essere un froggie, un
francese) e oltre che sulle scene di guerra la storia si concentra sul rapporto
che entrambi sembrano avere con la stessa donna. Il bel finale, sicuramente
appagante per chi cercava qualcosa di più di una classica storia di guerra, non
mi ha impedito di pensare che forse un meccanismo del genere (con il colpo di scena da «fumetto modello Lanciostory») avrebbe potuto anche
risolversi in molte meno pagine, e che il tratto di Fabbri, per quanto molto
curato e rigoroso, probabilmente non è il più adatto a illustrare storie
belliche con un sottofondo così crudo: la mucca dilaniata a pagina 142 fa
riflettere più su quanto Fabbri sia bravo a disegnare che sulla brutalità della
guerra. Anche i colori, e questo si estende a tutto il trittico, mi sono
sembrati troppo accesi e vivaci per ricreare l’atmosfera disperata e fatalista
che (immagino) avrebbe dovuto permeare la serie.
Nel complesso Operazione Overlord
non è stata proprio una delusione ma, fermi restando i molti meriti della
collana (confezione, prezzo, qualità di stampa non disprezzabile, le puntuali
introduzioni), lo considero come un momento interlocutorio in attesa del
prossimo volume che spero mostri un migliore amalgama tra testi e disegni o che
almeno non sia l’ennesimo fumetto di guerra.
IL SEI DEL SEI CI SEI?
Nessun commento:
Posta un commento