sabato 24 luglio 2021

iComics

Di solito parlando di riviste di fumetto d’Autore successive agli anni ’80 e ’90 si cita ANIMAls, ma per un breve lasso di tempo (ancora più breve di quanto durò ANIMAls) ci fu anche dell’altro. IComics mi colse di sorpresa nell’estate del 2010; se ho ben capito, era una propaggine della Scuola Internazionale di Comics di Roma e grazie ai suoi contatti poté vantare collaborazioni eccellenti. Ma, immagino per far lavorare gli alunni, propose anche colorazioni per nulla necessarie di tavole di Eleuteri Serpieri e Mandrafina.

iComics non partì col piede giusto, perché come storia lunga del primo numero (un volume franco-belga completo come si usava su Comic Art) scelse una storia, Maat, indirizzata a un pubblico jeunesse che non inquadrava bene il target dei lettori – figurarsi che dal secondo numero campeggiava timidamente in copertina la scritta «v. m. 14 anni»! Ma dalla seconda uscita corresse la rotta presentando il simpatico Il Manoscritto Proibito di Dal Pra’ e Grella.

Tra le altre proposte a fumetti non mancarono cosette velleitarie e raffazzonate come un intervento metanarrativo di Bevilacqua, ma su quelle pagine sfilarono autori di primissimo piano (il redivivo e bravissimo Emiliano Simeoni!) con lavori recuperati dal passato, inediti in Italia o addirittura realizzati appositamente. Lucio Parrillo, Enzo Troiano, Giorgio Cavazzano… A integrare la parte a fumetti, redazionali su nuove tecnologie, collaborazioni con Radio KissKiss e ovviamente articoli dal taglio storico o tecnico sul fumetto per lasciar trapelare i segreti del mestiere, giacché in Italia sono più numerosi gli aspiranti autori che i lettori.

La rivista era bimestrale e costava 9,90 euro, prezzo più che giustificato per una testata brossurata che offriva ben 160 pagine a colori (anche dove i colori erano superflui se non dannosi) su carta patinata ad alta grammatura. A un certo punto credo che si parlò di chiusura o di evoluzione: termini che usavano tutte le riviste poco prima di chiudere, ma nel caso iComics ci fu l’evoluzione. Dopo quattro numeri la testata divenne mensile riducendo foliazione e prezzo. E ristampando fumetti che avevo già in altre versioni, per questo smisi di comprarla – e forse anche per il timore di vedermi Bernet colorato col computer. Mon Nom n’est pas Wilson di Trillo e Fahrer lo recuperai direttamente in francese. A suo tempo mi venne detto che la qualità di stampa era scaduta, e siccome venivo regolarmente preso in giro perché di solito ero io che mi lamentavo sempre di questa cosa non ho motivi di dubitarne. A dispetto del successo che evidentemente aveva avuto nella sua prima incarnazione, iComics non sopravvisse ancora a lungo. Qualche anno dopo Pino Rinaldi postò sul suo blog una versione della sua Agenzia X (a colori, ça va sans dire) da pubblicare nell’eventuale rinata rivista, ma (correggetemi se sbaglio) la fenice non risorse mai dalle sue ceneri. Peccato.

2 commenti:

  1. Nella Guida di Gianni Bono si parla di 15 numeri.

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    1. Ricordo infatti vagamente che dopo i quattro bimestrali ne uscirono ancora una decina. Pensavo fossero di meno in totale, però.

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