Sarà stato a metà anni ’90 o giù di lì che comprai in una fumetteria i primi due volumetti originali di Meltdown. Finalmente scopro come va a finire la storia.
Havok e Wolverine sono in vacanza in Messico dove hanno fatto una scommessa su chi userà per primo i suoi poteri. Resistono finché possono: finiscono infatti nel mirino di alcuni malintenzionati che periodicamente li provocano avvalendosi di gentaglia locale. Dei proiettili infettati di peste bubbonica (!) li stendono ma i cattivi non hanno fatto i conti col fattore rigenerante di Wolverine. Il bersaglio d’altra parte era Havok, che viene catturato per essere usato come una specie di amplificatore di energia nucleare con cui alimentare i poteri del villain Megaton che vuole opporsi con un atto di forza apocalittico alla Glasnost di Gorbaciov. Per farlo dovrà assorbire le emanazioni di una centrale nucleare indiana che verrà sabotata per riprodurre un disastro simile a quello di Chernobyl, in cui già c’era il suo zampino. A ognuno dei due eroi viene fatto credere che l’altro è morto ma Wolverine non ci casca (il suo fiuto è talmente efficace da risultare ridicolo) mentre Havok resiste ai tentativi chimici e subliminali di lavaggio del cervello e quindi viene assecondato nelle sue fantasie paranoidi fino a farlo combattere col suo compagno redivivo opportunamente catturato e “riprogrammato” fingendo che sia stata la CIA a farlo. Dato per morto, figuriamoci se Wolverine lo è davvero: sarà lui alla fine a compromettere ad artigliate il piano dei cattivi – a onor del vero, con l’aiuto di quelle barre che si usavano per contenere le radiazioni.
Chiaramente la storia è solo un pretesto per ammirare gli splendidi dipinti di Jon J Muth e Kent Williams, tanto più che il progetto nacque proprio da loro due che avevano voglia di disegnare quei personaggi (il primo Havok e il secondo Wolverine). Il grandissimo Jon J Muth usò probabilmente acquerelli mentre Kent Williams si avvalse di un medium più denso e coprente, forse tempera o acrilico, con un risultato a volte più pastoso. Tanto etereo, rigoroso ed elegante il primo quanto materico, caricaturale e sgangherato il secondo. Eppure i loro stili si amalgamano benissimo, anche nelle tavole in cui misero le mani contemporaneamente (altre volte è evidente che sconfinassero nel personaggio dell’altro quando la comodità d’esecuzione lo rese consigliabile). Nella loro interpretazione Havok è James Dean mentre Wolverine è poco più che uno scimmione. Se ho ben capito, il rimando al “bello e dannato” per eccellenza non è casuale perché in controluce si intuiscono delle tormentate storie d’amore del mutante che produce plasma (ecco… se il suo potere è convertire l’energia solare in plasma, come diavolo fa a contenere e immagazzinare anche l’energia atomica? Meglio godersi i dipinti, appunto). Muth e Williams si divisero anche i villain: a Williams il bestione Megaton, a Muth il dottor Neutron e la bella agente Quark. Oltre a fare sfoggio di una grande maestria grafica, si sono rivelati molto efficaci anche nell’uso delle fotocopie e degli altri “effetti speciali” che ci si potevano permettere in un’epoca non ancora imbarbarita dal digitale. Ma qui se ho ben capito è stato rilevante l’intervento di Sheryl Van Valkenburgh.
Per il resto, l’avventura confezionata da Walter e Louise Simonson offre pochissimo altro che non sia lo spaccato di un’epoca: chi ha vissuto quegli anni (Fusione è del 1988) leggerà quasi con tenerezza di Chernobyl e Guerra Fredda, mentre con gli occhi di oggi è interessante constatare come all’epoca Wolverine non fosse ancora l’asso pigliatutto della Marvel e poteva condividere spazio e titolo in una miniserie con un altro supereroe che oggidì forse manco esiste più.
La storia finisce con l’anticipazione di ulteriori battaglie tra il Dottor Neutron e i supereroi Marvel che forse non si sono mai concretizzate.

Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaHo ancora da qualche parte gli albi originali. Non mi fece impazzire all'epoca ma soltanto perché non mi piacciono molto i disegnatori "pittorici".
RispondiEliminaIo morivo di invidia e ammirazione per Jon J Muth.
Elimina