Che Gianni De Luca fosse un genio non è una grande scoperta. Ma per quanto
possa sembrare impensabile, di grandi scoperte la sua opera ne riserva sempre a
ogni lettura. L’altro giorno ho acquistato un suo (e di Nizzi) fumetto per me
sconosciuto: Il Diario di Gian Burrasca.
Sin dalle prime pagine ho trovato semplicemente sublime come De Luca sapesse
declinare la grammatica e le regole del fumetto in modi sperimentali ma per
nulla leziosi (anzi estremamente narrativi), e soprattutto come sapesse piegare
le esigenze e le convenzioni del fumetto al suo personale modo di raccontare
per immagini.
Ci troviamo di fronte a un (raro?) De Luca dal tratto umoristico, che
dipinge i suoi personaggi con nasi e mani enormi e che taglia i vestiti come se
le scarpe fossero la loro naturale continuazione.
L’unità minima significante del fumetto, la vignetta, viene gestita in
maniera superba. I bordi in alto e in basso, e talvolta anche quelli laterali,
diventano con grande naturalezza dei contorni vitruviani a cui i personaggi,
quasi fossero consapevoli della loro esistenza, si appoggiano e usano come
proscenio.
L’utilizzo di linee rette parallele ai contorni delle vignette è un altro
strumento usato con maestria da De Luca e per quanto possa sembrare strano
persino il suo lettering così personale e invasivo (i balloon geometrici e non
tondi, con quei grossi filatteri spezzati come folgori) diventa occasionalmente
un elemento quasi diegetico, un pezzo di scenografia non solo decorativo con
cui i personaggi interagiscono.
Ciò detto, è strabiliante la quantità di informazioni che De Luca riesce a
inserire in ogni vignetta pur mantenendo sempre una sobria ed elegante sintesi.
L’apoteosi di questa capacità si ha nella vignetta immediatamente
successiva allo scatto della fotografia nel primo episodio: con pochi tratteggi
viene delineato nello sfondo l’ambiente altoborghese in cui è ambientata la
storia, la postura del padre ci dice quanto sia tronfio e gli sguardi delle
sorelle quanto siano vanesie. Ma soprattutto possiamo ammirare come Gian
Burrasca (unico elemento mobile di un quadretto basato tutto sulla fissità
delle figure) anticipi con il semplice movimento del cappello e il sorrisino
appena visibile la burla della pagina successiva.
In quella singola vignetta abbiamo l’applicazione concreta di due delle
tecniche che De Luca padroneggiava alla perfezione, l’uso del recadrage e
l’accumulo di piani prospettici diversi. I contorni molto marcati di alcune
figure servono appunto a creare la profondità voluta e a guidare il lettore
nella direzione voluta dal disegnatore.
Questa edizione della Black Velvet mi sembra ottima. L’assenza del colore,
per quanto diminuisca un po’ l’effetto del gag degli animali dipinti, permette
di gustarsi ancora di più il tratto di De Luca. Parliamo inoltre di ben 88
pagine (a integrazione del fumetto, un testo su Vamba di Gorla e Rossi) su
carta ad alta grammatura e di un volume cartonato, il tutto per soli 11,90€.
Veramente notevole inoltre la cura grafica, per cui sui risguardi abbiamo una
pinacoteca di ritratti dei personaggi che compaiono nella storia, un tocco di
classe (sono diversi l’uno dall’altro) che dona una piacevole sensazione à la Tintin.
Cosa fondamentale, la qualità di stampa è praticamente ineccepibile. Solo
rarissimamente qualcuno dei tratteggi più fini degli sfondi o delle giacche si
confonde nel tremolio o nell’accozzaglia di puntini a cui altre (troppe)
pubblicazioni ci hanno abituato in questi ultimi anni, ma bisogna veramente
aguzzare la vista per notare questi difetti che comunque sono limitati a quelle
poche tavole di cui, immagino, non era possibile partire dagli originali per la
stampa. Altro che gli scempi che vediamo quotidianamente...
Io l'ho detto e ribadisco: GIANNI DE LUCA è il più grande genio di tutti i tempi del fumetto, peccato sia nato in Italia...altrimenti...
RispondiEliminaVeramente un genio, spero che la Black Velvet ristampi tutto il ristampabile.
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