giovedì 5 maggio 2016

Il punto su Secret Wars

Con il quinto numero di Planet Hulk considero terminata la mia esperienza con le miniserie legate all’evento Secret Wars, ma d’altra parte immagino che uscirà ancora poco o nulla in merito.
La serie portante non l’ho seguita ma in ogni caso parecchie miniserie si sono rivelate molto interessanti. Almeno quelle che ho seguito io, pur se non sono mancate delusioni e magari anche tra quelle che non ho preso si celasse qualche gioiellino.
So che in altre occasioni venne fatto un esperimento simile, principalmente coi crossover Age of Apocalypse e House of M, ma credo che qui sia stata compiuta un’operazione più radicale: non essendoci un tema comune di fondo semplicemente le testate si sono trasformate ognuna per conto proprio in maniera indipendente riprendendo momenti diversi della storia Marvel, lasciando quindi il massimo della libertà agli autori per cui non era necessario un allineamento tra testate (che poi alla fine pare ci sia stato, almeno in alcuni casi) né il rispetto di una continuity inesistente.
Credo di poter dire che alla base di questa operazione ci sia stata una grande onestà. Mi rendo conto che sia un termine roboante ma è indubbio che tra editore e pubblico era manifesto il tacito accordo per cui in quei 4 o 5 mesi in cui le testate erano coinvolte dall’evento agli autori sarebbe stata lasciata carta bianca: tanto poi si torna alla normalità come al solito. E questa libertà creativa ha dato buoni frutti.
L’unico aspetto condiviso da molte miniserie è stato il revivalismo, il recupero di personaggi e ambientazioni passate per strizzare l’occhio al lettore Marvel più affezionato. Questo ovviamente ha portato a una quantità di citazioni e riferimenti che io non ho potuto cogliere ma che per il lettore Marvel più affezionato devono essere stati un bel valore aggiunto.
Va detto inoltre che la necessità di chiudere la narrazione in un numero prestabilito di episodi ha imposto agli sceneggiatori di racchiudere quanto più materiale possibile nei loro lavori, offrendo spesso una densità di scrittura che mi sembra latitasse da molto nei fumetti Marvel in favore della famigerata decompressione.
Le miniserie raccolte direttamente in volume che ho letto io non sono state molto interessanti: Captain Marvel & i Carol Corps è una lenta agonia verso un non-finale inconcludente incomprensibile senza aver letto Secret Wars (o forse le giuste miniserie collegate). Weirdworld è stato solo un divertissement, disegnato neanche poi così bene da Del Mundo. Dove dimorano i Mostri è stata la solita ennisata pur con qualche battutina divertente.
Credo che in Italia siamo stati fortunati a poter leggere le altre miniserie nelle consuete collane riorganizzate per l’evento visto che così una testata piacevole può aver risollevato le sorti delle comprimarie e che da un primo assaggio si poteva già capire se seguire o no tutti i 4/5 numeri. Quindi se i prossimi commenti sembreranno troppo positivi è anche dovuto al fatto che alcune miniserie mi hanno allontanato appena le ho lette inevitabilmente mi sono concentrato sul meglio di quello che rimaneva. Nel dettaglio:

Planet Hulk. Due belle storie, o meglio storiazze, piene di azione e sense of wonder. I due canovacci di Planet Hulk e Futuro Imperfetto non sono nemmeno così originali, se non vagamente quello del secondo (il primo una missione di recupero in un mondo devastato, il secondo una ribellione al potere condotto da due ex-nemici) però sono scritte molto bene, con un ottimo ritmo e appunto un bel po’ di inventiva (il sense of wonder di cui dicevo) che mantiene viva l’attenzione del lettore. I dialoghi di Peter David, poi, sono spesso una goduria da leggere. Entrambe hanno poi potuto beneficiare di due ottimi finali, anche se quello di Futuro Imperfetto mi ha ricordato un episodio della run di Millar-Hitch sui Fantastici Quattro.
Entrambe le miniserie hanno inoltre potuto fare affidamento su un repartografico eccellente: il Marc Laming di Planet Hulk è stato una graditissima sorpresa (realistico e dettagliato ma al contempo dinamico ed espressivo) mentre il tanto vituperato (anche da me) Greg Land è riuscito ad andare oltre il suo pinuppismo ricalcato creando delle tavole che non si limitano a essere belle esteticamente ma anche molto narrative.
Sicuramente non sono due fumetti che entreranno nella storia ma entrambi hanno dimostrato quanto i loro autori siano dei maestri nell’usare le potenzialità del mezzo e li ho letti proprio di gusto.

A-Force. Altro centro della Panini. La serie titolare è partita un po’ in sordina ma già dal secondo capitolo è decollata. Anche se ho avvertito a volte un po’ di lentezza nei testi di Marguerite Bennett e G. Willow Wilson, la trama basata sugli intrighi interni all’A-Force e sull’identità della nuova venuta extradimensionale è bastata ad appassionarmi alla storia. Certo, il finale è una lunga scazzottata con battute sceme appiccicata a un epilogo prolisso e melenso (la Bennett e la Wilson non conoscono mezze misure!) ma non basta a rovinare la buona impressine complessiva.
Squadrone Sinistro è stata una delle rivelazioni di Secret Wars. Marc Guggenheim ha scritto una storia fantastica, un complotto molto articolato e avvincente in cui oltretutto ha saputo gestire benissimo i molti attori coinvolti. E ognuno di questi personaggi (anche i comprimari come l’Uomo Sabbia o lo Starbrand Jacob Burnsley) è stato caratterizzato in maniera egregia. Credo cheSquadrone Sinistro sia la miniserie Secret Wars con la maggiore densità di scrittura: non solo la trama è molto complessa e variegata, ma la lettura impegna il lettore per un bel po’, il che in tempi di decompressione è un grandissimo pregio. Bellissimo, poi, il finale, così come anche l’epilogo cinico e disincantato.
1872. Altra grandissima rivelazione: la trasposizione western dei Vendicatori? Non le avrei dato una lira, e invece come miniserie è stata appassionante, sorprendente (vedi le morti eccellenti sparse qua e là a sorpresa) e veramente ben scritta. Anche la trasposizione dei classici Tony Stark, Bruce Banner, ecc. in un contesto western si è rivelata molto meno scontata di quello che avrebbe potuto essere. Il finale (anche qui, ottimo) lascia intendere che si tratti solo dell’inizio di una nuova serie ma sarà difficile restare a questi livelli.
Ciò che accomuna queste tre miniserie è che forse la parte grafica, che pure vanta il veterano Carlos Pacheco su Squadrone Sinistro, non è stata proprio all’altezza dei testi pur se il livello è abbondantemente dignitoso.

Civil War. Non male anche se inizialmente sembrava concentrarsi su un whodunit e poi la trama ha virato nettamente verso un più canonico scontro fra supereroi. La sterzata verso Secret Invasion, sia strizzata d’occhio ai lettori che effettivo colpo di scena, è stata tutto sommato simpatica e “filologicamente corretta”. Piacevole pur se non all’altezza dell’aura mitica che molti le avranno attribuito rifacendosi alla vecchia miniserie-evento omonima.
Armor Wars si è rivelata alla fine addirittura migliore della testata titolare. Sicuramente l’idea di partenza è una rimasticatura di un soggetto precedente, ma la parte di detection è stata intrigante così come sono stati gestiti molto bene i personaggi in gioco, con tanto di colpi di scena effettivamente inaspettati. Trovo che questa interpretazione di Wilson Fisk sia ottima e per me la storia poteva concludersi già al quarto capitolo prima della battaglia coi robottoni. Peccato per i disegni espressionisti/deformed di Marcio Takara, non proprio “brutti” (beh, non troppo) ma inadatti a questa ambientazione in cui i dettagli tecnologici avrebbero dovuto avere un maggiore risalto.

Hail Hydra. La serie titolare si è rivelata senza infamia e senza lode: una distopia in cui il protagonista spaesato profugo dell’universo pre-Secret Wars cerca di destituire il tiranno Ernim Zola. Certo, Rick Remender ha qualche idea abbastanza buona come la versione freak dei Vendicatori nelle fogne, ha saputo creare una discreta atmosfera di angoscia e oppressione e anche il finale non è male (per quanto mi sembri rimandare a un “vero” finale da leggersi altrove), però la miniserie non decolla. Anche i disegni di Roland Boschi sono conformi al livello del testo: ogni tanto c’è qualche guizzo un po’ più ardito e piacevole, non mancano però alcune anatomie poco credibili ma in generale regna un certo anonimato.
Red Skull mi ha invece preso di più: i personaggi sono originali e ben tratteggiati ed è stato interessante vedere all’opera dei criminali invece che i soliti eroi. Se ho continuato a comprareHail Hydra è stato principalmente per vedere se la mia intuizione che il Teschio Rosso fosse in realtà Steve Rogers fosse giusta (sbagliavo). Bello il finale beffardo – d’altra parte sono supercattivi, cosa ci si poteva aspettare? I disegni un po’ deformed di Luca Pizzari non sono stati proprio il massimo per me.
Essendo Red Skull una miniserie di soli 3 numeri ha lasciato il posto sul quarto a una storia autoconclusiva non proprio originale (la vita comune di uno sgherro anonimo, cosa già fatta tra i tanti da Grant Morrison su The Invisibles) ma comunque meno brutta di tante altre.

Thors è stata l’unica delusione. Delusione relativa, perché rimane comunque un buon fumetto, che però viste le premesse avrebbe potuto essere ottimo. Jason Aaron esordisce con un bel noir ma poi si incarta (o lo hanno fatto incartare a livello editoriale) con i topoi e la mitologia dei supereroi Marvel, non riuscendo a portare fino in fondo l’atmosfera hard-boiled che sfuma assai presto. Mi è sembrato inoltre che l’ultimo episodio si concluda in quella particolare maniera per esigenze commerciali, rimandando pesantemente alla miniserie portante (magari comprerò l’ultimo numero di Secret Wars e ci capirò qualcosa). Più che altrove, inoltre, ho avvertito la necessità di avere delle conoscenze pregresse della mitologia Marvel per godere appieno della storia.
Purtroppo la parziale schizofrenia dei testi è stata rispecchiata anche dai disegni di Chris Sprouse, che per quanto senz’altro superiori a quelli della maggior parte di altri non si sono rivelati sempre all’altezza. E il fatto che in un episodio si è anche fatto sostituire da Goran Sudzuka (che ricordavo molto meglio) non ha aiutato. E ha pure consegnato l’ultimo episodio in ritardo…
Thors ha avuto anche la disgrazia di dover condividere le pagine con l’imbarazzante Loki Agent of Asgard, un fumetto indeciso tra pacchiano e pretestuoso. Peccato, perché i disegni di Lee Garbett non erano affatto male.

Age of Ultron vs. Marvel Zombies. Il pezzo forte di Secret Wars. Solo i disegni di Steve Pugh valgono l’acquisto, pur se il suo stile realistico occasionalmente è stato sacrificato da esigenze editoriali (flashback contestualizzanti) a piegarsi a stilemi classici. Ma in realtà anche la storia di James Robinson è appassionante, ben scritta e originale. Peccato solo per il finale non tanto eccessivamente positivo (anzi…) quanto piuttosto affrettato. Ma va bene anche così.
Decisamente positivo anche il parere su Marvel Zombies, che in origine aveva un titolo meraviglioso (Journey into Misery) che faceva il verso alla testata storica Journey into Mystery. Simon Spurrier ha imbastito una bella storia di sopravvivenza con una protagonista originale e involontariamente (visto quanto è altezzosa e marziale) simpatica. Non sono mancati dei bei colpi di scena e sicuramente i tocchi di umorismo hanno avuto la meglio sulla parte più introspettiva e melensa che avrebbe potuto pregiudicare il mio gradimento. Oltretutto Spurrier è stato uno dei pochi con l’Humphries di Planet Hulk, almeno degli sceneggiatori di cui ho letto i lavori, ad aver saputo usare la peculiarità di Secret Wars (più versioni possibili di uno stesso personaggio) a suo vantaggio per imbastire una svolta nella trama perfettamente integrata nella narrazione. Alla fine perfino i disegni quasi deformed di Kev Walker mi sono sembrati buoni.

Anni di un Futuro Passato. La storia non ha carburato subito sin dall’inizio (eh, sempre la Bennett…) ma nel quarto episodio c’è stato un bel colpo di scena. Nel complesso nulla di memorabile anche perché mi è sembrato che questa miniserie fosse più che altro un tributo dedicato ai fan dei mutanti riprendendone e ribaltandone alcuni elementi della mitologia – cosa che si può dire anche di tutte le altri miniserie Secret Wars, ma qui l’ho percepito in maniera netta. Questo giudizio però si è drasticamente modificato alla fine, con quel bel colpo di scena che ha ridato lustro al tutto.
E come Estinzione è stato un omaggio agli X-Men di Morrison e Quitely che presto si è allontanato dal concetto originale per sfumare in una storia di supereroi mutanti più classica. Come tale è facile dire che fosse meglio l’originale ma tutto sommato è stata una lettura gradevole. Lo stile di disegno di Ramon Villalobos, che si è rifatto sia a Quitely che a stilemi indie, mi ha invece stufato presto.
Magneto è stata l’ennesima zavorra. Non è colpa della Panini che ha semplicemente dovuto arrangiarsi con quello che offriva la casa madre rispettando i sommari pre-Secret Wars, ma è inevitabile che a confronto con i fumetti coinvolti nell’evento quelli che non lo erano e continuavano le precedenti storyline risultassero “vecchi” in partenza: Magneto in particolare è stato il minimo sindacale dello sforzo per lo sceneggiatore Cullen Bunn che ha semplicemente stiracchiato per 4 numeri (il top è arrivato nell’ultimo) citazioni dalla storia del protagonista mentre intorno avvenivano eventi epocali che non hanno impattato molto sulla serie e che comunque da Magneto non sono stati toccati. E i disegni di Paul Davidson non sono nemmeno questo granché.

Di certo qualche miniserie finirà nel Meglio del 2016.

1 commento:

  1. E non sai ancora cosa ti stiamo apparecchiando per il 2017 ! Considera che noi della Dizmarva dobbiamo muoverci veloci ed eleganti come un micio pistolero in un cartoon di un Tex Avery sotto acido. Solo vent'anni fa un concetto come Venom - uno scribacchino frustrato che indossa un alieno di inchiostro con le zanne - bastava ad alimentare uno zilione di miniserie - ma ora il concetto di Zia May sniper nello Osbornverse - un cyborg con le sembianze di Marisa Tomei che elimina i nemici di Norman in un mondo che esiste solo nella mente di un Green Goblin addormentato per il bacio di una valchiria asgardiana dissidente e pazza - sebbene scritta e disegnata in stile Fantagenitori e quindi potenzialmente vincente nella ns politica di recupero dei lettori kids è stata il classico stuzzicadente che cade da un cestino da picnic abbandonato nella foresta di Darkwood.
    Stiamo pensando di dare uteriori centimetri di guinzaglio ai ns amati creativi. Qualcosa di molto vicino alla libertà. Un surrogato, diciamo.
    L'idea è di sfidarli, come quando si lancia la pallina morbida e colorata molto vicino al ciglio della scarpata, confidando che Fido la riporterà indietro o sarà il caso di tornare al canile per salvare un altro cucciolo.
    Ti dico in confidenza, ma tieni la cosa per i tuoi duecentocinquantamila true believers , come girerà il fumo: Bendis o Quesada entrerà nella stanza delle riunioni e dirà una parola o un concetto, qualcosa come " languore" o " fotosintesi clorofilliana " o " il lobbista inciampò nello zerbino e morse la porta in truciolato prima di mettersi a piangere come una stella cadente " ed i ns baldi writers e pencilers usciranno immediatamente per mettersi al lavoro. Potranno usare qualsiasi personaggio e persino inventarne di nuovi. Viviamo davvero nel migliore dei mondi possibili. ' Nuff said.

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