mercoledì 15 giugno 2016

Gus 1: Nathalie

A parte rarissimi casi non mi è mai piaciuta la nouvelle vague fumettistica francese a cui ha dato il via il lavoro dell’Association. Ma questo primo volume di Gus era scontato del 25% alla fumetteria dove l’ho preso (e comunque già i 16 euro di partenza erano un prezzo onesto per un cartonato di grande formato di 80 pagine a colori) e quindi sono capitolato.
Il Gus del titolo è solo uno dei tre protagonisti, una banda di rapinatori di banche e treni. Il titolare è un satiro dal naso spropositatamente lungo, gli altri due sono il padre di famiglia Clem e il rubacuori biondo Gratt, conosciuto anche come Grattan. Lo slogan riportato in quarta di copertina, «Quanto amore, in questo West», riassume perfettamente i contenuti e l’atmosfera della serie: più che sulle imprese criminose del terzetto Gus si concentra sugli intrallazzi amorosi del trio, a volte ricercati spasmodicamente, a volte inaspettatamente romantici, a volte fonte di guai, a volte capitati per caso e forieri di sviluppi inaspettati.
Curiosamente Gus non è una classica storia che si conclude nella durata del volume ma è una raccolta di cinque episodi di durata variabile (intorno alle dieci pagine), come se in origine fossero stati pubblicati su rivista – mi pare che L’Association fosse anche il nome della rivista che pubblicava i fumetti del gruppo, quindi forse sono veramente transitati per quella sede in origine.
Il primo capitolo, Nathalie, è introduttivo e mostra gli sforzi di Gus per concupire una vecchia conoscenza.
Anche Gus, Clem, Gratt ha lo scopo (evidente sin dal titolo) di presentare i personaggi e le atmosfere in cui agiscono.
Con El Dorado Cristophe Blain mette più carne sul fuoco e narra degli exploit dei tre in una cittadina favoleggiata che pullula di donne disponibili. Purtroppo le vicende del trio in El Dorado tendono a girare a vuoto e a reiterare sempre le stesse situazioni di partenza: data la lunghezza di 34 pagine dell’episodio, alla fine diventa una cosa sfibrante.
Molto più bello Linda McCormick, in cui Gratt deve fare i conti con una relazione imbarazzante e pericolosa. Divertentissimi i siparietti con la sua coscienza.
Non alla stesso livello ma comunque simpatico Isabella, che chiude il volume: una specie di rivisitazione de La Strana Coppia di Neil Simon con qualche pennellata che approfondisce i protagonisti e riannoda dei fili lasciati in sospeso negli episodi precedenti.
Gus è insomma un western sui generis, in cui Blain prende in prestito alcuni degli stereotipi del genere solo per creare uno scenario riconoscibile dal lettore in cui far muovere i suoi personaggi stralunati. Sempre meglio dell’autobiografismo, altra corrente seguita dall’Association.
I disegni sono sospesi tra l’underground e le pennellate grasse di George Herriman e per quanto possano essere espressivi (ma non sempre lo sono e in un paio di occasioni ci ho messo un po’ per capire cosa Blain volesse rappresentare) risultano assai scarni. Gli sfondi in particolare, anche se ogni tanto sono ben confezionati, sono drammaticamente poveri. Anche il Kerascoet de La Vergine del Bordello indugiava in figure umane grottesche, semplificate e molto stilizzate sulla moda lanciata proprio dall’Associacion, ma gli sfondi erano molto curati; in Gus invece si avverte la fretta di arrivare alla fine degli episodi – che può anche essere ansia di raccontare una storia, ma il risultato non cambia.
Alla fine, nonostante non tutte le situazioni e le gag siano riuscitissime, gli ultimi due episodi del volume sono divertenti e sicuramente il fumetto in generale presenta una grande originalità.
Ma i disegni, dannazione… i disegni…

14 commenti:

  1. Saran belli gli occhi neri / saran belli gli occhi blu / ma le gambe / ma le gambe /a me piacciono di più.

    Chi è cresciuto con negli occhi le gambe di Mailo Manari difficilmente può sincronizzarsi con il segno di Chris Blain. Come è giusto che sia. Per quel che può valere, io faccio fatica a digerire la intransigenza di Davib B. e ho assunto Persepolis senza ricorrere al digestivo Antonetto solo nella versione per il cine e Sfar è entrato ed uscito dal mio home con una tale rapidità da non far scattare una cellula fotoelettrica. Credo però che Blain sia altra cosa. Credo che abbia la luccicanza e che persino i suoi omini sullo sfondo appena abbozzati abbiano vita come i Krazy Kosi di Herriman. Non è qualcosa che fa quanto qualcosa che è. Immagino che abbia passato la maggior parte della sua vita disegnando su qualsiasi superficie e senza matita nella sua zucca nei sogni anche ad occhi aperti perchè era qualcosa che doveva fare e che avrebbe fatto comunque come respirare ed assumere cibo e dormire e sognare.

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  2. " Saigon. Acciderbolina poffarbacco. Sono ancora soltanto a Saigon. Ogni volta penso che mi risveglierò di nuovo nella giungla. "

    Ho riconosciuto il tuo citare Martin Sheen nel film di Coppola. Bravo. Mi è sembrato di vedere Mailo Manari steso sul letto con le pale che girano sul soffitto ed un albo di Blain spalancato ed abbandonato a terra mentre sussurra disegni, dannazione... I disegni... e nell'altra stanza Bryan Hitch canta e suona The End dei Doors.
    Mi sono permesso una autocensura con quell'accipoffarre nel caso il tuo blog sia seguito anche dai piccini. Immagino apprezzerai. Ciao.

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  3. Pale che girano. Sorry. A posteriori mi rendo conto ci sia una ambiguità. Chiedo scusa ai tuoi lettori + verdi.

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    1. Grazie del contegno che immagino però sia sarcasmo viste le bestemmie che, criptate o nemmeno, affiorano qui sul blog.

      I miei lettori più verdi credo non abbiano meno della metà dei miei anni, quindi potrebbero già essere considerati non dico vecchi ma abbondantemente oltre l'età in cui molti dei protagonisti dei romanzi di Morozzi hanno dato il loro primo bacio.

      Se intendi "verdi" in senso politico credo che siamo dalle parti di Rheinholdt Messner. E a me va benissimo così.

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    2. Il sarcasmo non mi piace tanto. Nero Wolfe dice che è un'arma spuntata che si limita a rimbalzare, Letto 40 anni fa quando non avevo ben chiaro dove andasse a parare e che differenza corresse tra sarcasmo ed ironia.
      In realtà tendo ad emendarmi perchè Crepascolino si nutre di demo di videogiochi sul tablet da cui impara come fanno i professionisti del bridge che studiano le altrui partite e parecchi dei suoi eroi in rete sono ragazzotti verdi con la metà dei miei anni che ogni tanto smoccolano ed il mio cucciolo li scusa perchè a loro ogni tanto scappa una parola inurbana e io ho paura scappi anche a lui che sto cercando di indottrinare per farne un milordino da operetta.

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    3. Però, Ottimo Ragazzo Crepascolino! Ostentare Definizioni Inurbane Opprime...

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    4. Non arriva nemmeno nei paraggi del tuo acronimo. Al massimo si interroga sulla opportunità di definire in altro modo il lato B delle persone e animali. Un mio prof del liceo lo chiamava il momento in cui la schiena cambia nome. Io sono agnostico, ma qualcosa deve aver agito come firewall nella mia zucca, da sempre, e non dico il nome di primi fattori, sempre che esistano in qualche forma oltre che il momento in cui aveva senso pensare che le cose erano piuttosto che none erano, invano. Più forte di me. Al massimo acciderbapoffarre. Anche quando Chris Blain era a casa nostra e lavorava dall'alba al crepuscolo ad una sua versione della Genesi come fosse il romanzo di formazione di un milordino da operetta e Crepascolino ha incollato tutte le tavole con la Nutella. Non ho detto nulla di reprensibile. Ero troppo impegnato a rianimare Chris.

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    5. forse volevi scrivere "che norne erano".

      Pure Crumb ha illustrato la Genesi, ho la versione Einaudi (credo). Un tantinello pesantina...

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    6. Che non erano. Il vecchio interrogativo alla base di tutto: perchè una cosa è invece di non essere ? mi piace comunque la variante norne. Visto il Crumb biblico in rete. Ho avuto anch'io quella impressione.

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  4. Questo è un altro di quei titoli che da sempre mi riprometto di recuperare (se non sbaglio sono arrivati al terzo volume).
    Sul resto, poco da dire. Io sono uno di quelli a cui la nouvelle vague piace parecchio. Amo gli stili realistici e descrittivi, ma ogni tanto l'occhio vuole proprio cibarsi di visioni diverse e personali che esulano dalla semplice rappresentazione del "reale".

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    1. Va anche detto che questa deriva sintetica/espressionista/impressionista/fancazzista dei disegnatori franco-belgi ha permesso l'ingresso in quel meraviglioso mercato di autori stranieri (tra cui molti italiani) che fanno il "lavoro sporco" che ormai molti francesi, accortisi che un paio di segnetti in croce possono vendere lo stesso e permettono magari di rifarsi una verginità critica, non vogliono più fare.

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  5. La rivista dell'Association si chiama(va?) LAPIN, ma è parecchio che non frequento.
    A giudicare dal materiale francese che viene pubblicato in Italia, comunque, non mi sembra che la "deriva" alla quale ti riferisci sia così catastrofica. Forse esageri.

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    1. Stamattina ho preso l'ultimo Kriss di Valnor e mi sono riconciliato col mondo della BéDé. Anche questo però è stato disegnato da autori stranieri (De Vita e un altro).

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