mercoledì 8 giugno 2016

Kata Kumbas Edizione Selvaggia

Avevo molte perplessità sulla possibilità di adattare Kata Kumbas a un altro sistema di gioco, anche se ero consapevole che l’unica possibilità di vedere ancora qualcosa di quel mitico gioco di ruolo fosse mantenerne l’ambientazione e non le regole, visto che lo scarso successo della riedizione de I Cavalieri del Tempio dimostra quanto «spesso il collezionismo segue un percorso proprio» come dice Ciro Alessandro Sacco in Mondi Eroici 2009.
Per quanto fossero a volte mal calibrate o ingenue (se non proprio assurde), le regole erano una parte indispensabile del mondo di Kata Kumbas, intimamente legate al mondo di campagna: per differenziare le singole Stirpi, per rappresentare la crescita fisica e spirituale dei personaggi, per distinguere meglio i personaggi giocanti da quelli non giocanti, per creare quel giusto senso di caos caciarone che l’ambientazione richiedeva. Inoltre ero consapevole che un prodotto come lo scherzoso Kata Kumbas sarebbe stato visto, per dirla alla Dwight MacDonald, sempre come lowbrow, mentre il suo potenziale era quello di unire lowbrow ad highbrow senza passare per il midbrow (ma purtroppo senza riuscire a diventare masscult, a quanto pare). Era molto probabile che una nuova versione di Kata Kumbas si allineasse a quanto si legge dalle recensioni e dal materiale che si trova su internet, ovvero a trattare l’ambientazione come un fantasy grottesco senza minimamente considerare gli elementi iniziatici ed esoterici presenti alla sua base. Effettivamente questa versione per Savage Worlds ha confermato i miei timori, ma tutto considerato poteva andare molto, molto peggio: diciamo anzi che, per me che avrei preso pure un elenco del telefono purché recasse in copertina il titolo Kata Kumbas, è andata decisamente molto bene. E si coglie inoltre dal lavoro di Pignatelli (e degli autori delle avventure) una reale passione per l’ambientazione.
A illustrare la totalità del materiale uscito finora, più di 500 pagine di materiale specifico e due avventure nell’Almanacco dei Mondi Selvaggi 2016, è stata la disegnatrice Francesca Baerald: decisamente molto volenterosa (i fitti tratteggi e la scelta delle inquadrature più originali dimostrano la sua dedizione) ma non ancora a livello professionistico. Probabilmente è molto giovane, ma comunque già nel libro delle avventure si nota un netto miglioramento. E non dobbiamo dimenticare che di illustrazioni ne ha fatte parecchie, curando anche i fregi che impreziosiscono le parti alte e basse delle pagine – con buona pace dell’effettiva realizzazione grafica, questi sono dei veri gioiellini con cui la Baerald ha saputo riassumere con efficacia i concetti espressi nei capitoli o lo spirito delle avventure che vanno a decorare.

TRENT’ANNI DOPO

Umberto Pignatelli, con la benedizione di Massimo Senzacqua (uno dei due autori originali, che scrive una commovente introduzione), ha scelto di inserire nell’ambientazione un elemento esterno all’universo fantastico del gioco, creando un parallelo con la realtà: così come sono passati circa trent’anni dall’uscita del manuale della E. Elle, seconda edizione e quella più conosciuta dopo il primo azzardo per Bero Toys/Orion Editrice, anche su Laìtia ci troviamo trent’anni dopo rispetto alla cronologia raggiunta all’epoca, ovvero l’anno 1014.
Con una certa eleganza, il motivo dello sbalzo cronologico viene spiegato con il fatto che dopo trent’anni le Porte di Livello hanno di nuovo ripreso ad apparire e a funzionare con una certa frequenza, ma questa scelta potrebbe comunque prestarsi a critiche di carattere filologico; alla fine, però, il meccanismo funziona perfettamente anche se l’autore si è sentito in dovere di inserire delle situazioni totalmente nuove o di svilupparne altre in direzioni impreviste, cosa che potrebbe non incontrare il favore di tutti i lettori. C’è stata ad esempio un’espansione del mondo esterno a Laìtia e adesso l’Oltremare (ovvero la versione rartiana dei pirati saraceni) ha un ruolo abbastanza consistente, tanto da fornire materiale per sviluppare anche una simil-Crociata che al momento ha prodotto solo effetti umoristici (conosciuta come “L’Impresa”, questa chiamata alle armi di Fra Ricinio è forse ispirata, oltre che a Brancaleone, al film I Cavalieri che fecero l’Impresa di Pupi Avati).
Inoltre l’Ilcisia è divenuta quasi un feudo dei Lhome, gli uomini-leone che adesso acquistano tutto un altro ruolo e spessore.
Dopo trent’anni, con mio sommo stupore, i Dentitiranni risultano essere una razza a rischio di estinzione ma Pignatelli ha saputo farsi perdonare questa brusca sterzata rispetto al canone introducendo una trovata che giustifica la presenza di prodotti come pomodori e patate nonostante l’ambientazione di riferimento (l’Italia di epoca medioevale quindi precedente alla scoperta dell’America) teoricamente non la permettesse.
Come già accennato, grande risalto viene dato alle Porte di Livello e alla necessità di giocare la “nascita” del personaggio su Rarte con la sua nuova identità. Penso che in parte questa scelta sia dovuta alla meccanica di gioco e di creazione dei personaggi di Savage Worlds, a me del tutto sconosciuta, come in fondo viene detto a pagina 176. Quando ci giocavo io non abbiamo mai utilizzato quella parte del gioco ma i personaggi erano già laìtiani integrati.

DIFFERENZE CON LA VERSIONE CLASSICA

La prima cosa che un lettore/giocatore degli anni ’80 nota è una fastidiosa concessione al politically correct: i Rom, la Stirpe di fattucchieri, ladri e giocolieri, sono diventati Dom! Nella sua magnanimità Pignatelli ci autorizza però a usare il vecchio termine nel privato delle nostre sessioni di gioco.
Superato questo piccolo tributo all’ipocrisia dei tempi moderni, notiamo come Pignatelli non possiede solo una fervida immaginazione ma ha anche una penna felice e ha scelto per confezionare il manuale di base un apprezzabile approccio filologico, che non solo rispettasse e ampliasse alcuni concetti espressi dagli autori originari ma ne recuperasse in parte lo stile immediato e complice e desse anche nuove interpretazioni a capitoli del vecchio manuale base.
Del passaggio parallelo dello scorrere del tempo tra Rarte e la nostra Terra ho detto sopra, aggiungo solo che la ripresa ampliata del ritrovamento del manoscritto di Simone è stata veramente emozionante.
L’attenzione filologica si nota anche nella riproposizione del canovaccio per una potenziale avventura ligure sui Vallai, anche se mi pare che il drago nel vecchio manuale E. Elle si chiamasse Trampeo e non Tramleo. D’altra parte certe variazioni nei nomi sono evidenti, come gli Epistogi che in origine erano Epistigi: può darsi che Pignatelli abbia trovato altre fonti che li presentano col nome che ha scelto lui, però addirittura Plinio il Vecchio riporta la forma Epistigi (o Blemmi). E poi il mago citato anche nel vecchio manuale si chiamava Zeppeus, come qui riportato, o Zappeus, come ricordo io? Non sono andato a spulciarmi le fonti classiche, ma di «Aterogena» posso dire per certo che sia una corruzione dell’originale Atergenus.
Accanto a queste poche licenze poetiche, forse dovute a banali refusi, c’è però un notevole rigore per altri dettagli, ad esempio nella scelta lessicale del carattere «bilioso» dei Colagoghi e alcuni titoli di paragrafi riportati pari pari (L’ingrato compito del signore delle grotte, ma i contenuti vertono su argomenti differenti: il fatto che il Master apparentemente “gioca” di meno nella nuova versione e la difficoltà nell’essere equilibrati nella vecchia).
La storia di Roma/Maro è stata oltretutto il frutto di una raccolta di informazioni da più fonti (oddio, quelle poche che consentiva il poco materiale prodotto per Kata Kumbas: il manuale di base, l’avventura L’Isola della Peste e il primo e unico supplemento E. L. Avventura 1), e non un semplice copia/incolla dall’introduzione de L’Isola della Peste, che sarebbe stato comunque giustificato.
Accanto a questo rispetto per il materiale di partenza sussistono però delle scelte stilistiche curiose: purtroppo invece di adottare la scelta originale di usare anagrammi si è spesso deciso di storpiare o reinterpretare i nomi reali (Pordenone è Pordenzio, per dire). Desta una certa sorpresa vedere che Matera ha avuto due “traduzioni” diverse: Ertama nel manuale di base ed Etamar nel libro delle avventure, una cosa veramente incredibile considerando che l’autore che la cita è lo stesso, Pignatelli in persona!
Curiosamente la mappa e la descrizione delle regioni mancano dei luoghi già codificati e quindi inseriti nel canone: Ilmona/Milano, Neorva/Verona, ecc.
Una differenza che mi ha lasciato veramente perplesso è il fatto che le Entità degli Evocatori siano passate da 30 (15 della Luce più 15 delle Tenebre) a solo 20! 2 per schieramento verranno poi recuperate in altra parte del manuale, ma non è la stessa cosa…
Purtroppo questo si è reso necessario per integrare sia le Entità della Luce che quelle delle Tenebre in un’unica tabella che consenta a un Evocatore di attingere da entrambi gli schieramenti. Come concetto mi sembra veramente campato in aria e irrispettoso del canone di Kata Kumbas, oltre che del buon senso. Purtroppo le Evocazioni, ma anche l’Alchimia e i poteri dei Fattucchieri, hanno subito delle drastiche revisioni per poter essere gestite dal sistema di Savage Worlds. È innegabile che nella versione originale alcuni incantesimi o effetti magici fossero inutili, ridicoli o squilibrati, ma anche quello era il bello del gioco.
Mi è sembrato inoltre che Pignatelli abbia un po’ perso di vista la natura originaria dei Fattucchieri per darne una versione stregonesca molto personale. Ma d’altra parte sin dall’origine i Fattucchieri erano delineati in maniera così vaga che posso capire che abbia dovuto dare un suo tocco per esplicitare quello che in precedenza era lasciato alla fantasia di Magister e giocatori.
Anche il Bestiario ha subito qualche variazione, non tanto per l’inserimento delle Ninfe (mentre i mostri dell’avventura L’Isola della Peste sono stati del tutto ignorati) quanto per lo sviluppo di certi mostri “classici”, che in generale ho apprezzato molto. I Petroliti adesso hanno delle abilità aggiuntive (e una maggiore personalità) grazie agli effetti delle loro formazioni geometriche, i Retropodi sono stati approfonditi e forse ai Plitidi è toccata un’interpretazione eccessivamente creativa che li ha allontanati dallo stampo originario. Non ho capito se i Fitantropi vadano considerati sviluppi delle Fithome (comparse ne L’Isola della Peste) oppure creazioni originali. La differenza sostanziale tra le due tipologie di creatura mi fa propendere per la seconda ipotesi.

LO SVILUPPO DELL’AMBIENTAZIONE

Per l’appassionato nostalgico digiuno di Savage Worlds la parte più ghiotta del volume è sicuramente quella relativa agli elementi dell’ambientazione, cioè alla descrizione geografica e politica di Laìtia e delle singole regioni da cui è formata. Dal poco materiale prodotto a suo tempo risulta che non fosse tra le priorità di Carocci e Senzacqua fornire un “atlante” laìtiano, anche se gli altri giochi coevi (pensiamo ad esempio a I Signori del Caos) erano generosi nell’offrire dettagli d’ambientazione, anche con supplementi appositi. Carocci e Senzacqua sono stati invece molto parchi nel descrivere la “loro” Laìtia, quasi fosse solo una serie di scenari di cartapesta da adoperare esclusivamente per le avventure – ciò non toglie che occasionalmente fornivano delle belle pennellate su alcuni dettagli dell’ambientazione che però non sempre venivano approfonditi come si era abituati coi supplementi di altri giochi, tranne forse nell’avventura L’Isola della Peste.
È stato quindi un piacere tuffarsi nelle 36 pagine che parlano nel dettaglio della Gruilia, della Sbrudolezza Chimmeria, del Tempione e di tutte le altre regioni.
Umberto Pignatelli ne ha per tutti quanti e nessuna regione è trattata con particolare preferenza, ma anzi di ognuna vengono sottolineati di più gli aspetti negativi (l’isolamento e il temperamento degli abitanti della Bralacia, l’ambiente selvaggio che è il Regno di Ammilaia, ecc.). Forse l’Ilcisia è quella messa peggio vista la dominazione Lhome, ma in generale Pignatelli è stato molto equo.
Accanto a riferimenti tratti dal folklore locale (secondo me troppo pochi) si ha un’ampia e fantasiosa panoramica su panorami, forme di governo e peculiarità regionali. Di certo l’inventiva non manca a Pignatelli, che però ha anche adoperato una certa razionalità nell’introdurre certi elementi importanti nell’economia del mondo di gioco, come le accademie dei Guardiani dell’Equilibrio di Gelatodia e Bralacia.
Come ho accennato sopra non manca una certa vena umoristica all’interno dell’opera: i motivi della conversione di Sturpione mi hanno fatto ridere di gusto, e pure la peculiare maledizione di cui è vittima il Re Massullo.

LE REGOLE

Se ho capito bene, è invalsa negli ultimi anni (o forse decenni) una tendenza nei giochi di ruolo a bilanciare i personaggi e le regole per evitare alcuni squilibri che avevano caratterizzato alcuni dei primi giochi di ruolo, squilibri che però in fondo ne erano un po’ il sale. Molto spesso in questa “Versione Selvaggia” si fa riferimento con una punta di affetto (così voglio intenderla, e non come disprezzo) a come Kata Kumbas fosse un gioco «old school» e quindi le nuove regole servono anche a mettere delle pezze laddove la versione originale era lacunosa o sbilanciata.
È senz’altro vero che l’incarnazione originale di Kata Kumbas faceva acqua da più parti a livello di caratterizzazione delle Caste: i Guardiani dell’Equilibrio, nonostante il nome, partivano svantaggiati visto che statisticamente avevano punteggi meno alti e soffrivano della penalità al Tiro del Fato (oltre che del drammatico divieto di usare armi magiche), così come gli anatemi dei Fattucchieri, i quali oltretutto non avevano formalmente nessuna limitazione alle armature da indossare, erano lasciati alla libera interpretazione del Magister e dei giocatori con esiti potenzialmente disastrosi.
Adesso però si è arrivati all’estremo opposto e, visto che non si può certo formalizzare ogni capacità e potere con regole condivise comuni, mancano dei tratti peculiari che non erano solo un vantaggio ma costituivano anche una buona caratterizzazione delle tipologie di personaggio laìtiano: i Cacciatori ad esempio non possono più parlare con gli animali come nella prima edizione, così come i Guardiani dell’Equilibrio non hanno più l’abilità di ammazzare sul colpo un nemico con un tiro molto fortunato quando sono saliti al Grado giusto: è probabile che certe soluzioni come il Vantaggio di Background “Addestrato all’Equilibrio” siano state introdotte da Pignatelli proprio per coprire questa e altre eventualità simili ma ovviamente non è la stessa cosa visto che si è dovuti ricorrere a una sovrastruttura per ricostruire quello che in origine era intrinseco nella Casta.
Anche la meccanica delle Eredità è stata modificata e adesso i personaggi possono addirittura scegliere, pur con delle limitazioni, da quali tabelle attingere! Inoltre, credo per interpretare lo spirito e le dinamiche di Savage Worlds, si è passati da un range di 100 possibili eredità (il d100 usato nel vecchio Kata Kumbas) alle 54 del mazzo di carte francesi. Nella vecchia versione c’erano oggetti doppi o tripli, certo, ma ci sono anche qui per cui credo che la proporzione sia la stessa e quindi con l’esclusione di molti oggetti dell’edizione E. Elle.
La quantità ha anche influenzato un po’ la qualità: le Rune dei Maghi ad esempio sono sparite, sostituite da altre Rune che però non danno il potere aggiuntivo una tantum che davano quelle precedenti (una delle trovate migliori di Carocci e Senzacqua) ma semplicemente permettono di avere un’abilità da Mago o Evocatore. È anche vero che nella versione originale le Eredità erano quasi sempre prive di qualsivoglia “istruzione per l’uso” e anche se uno schiavo biondo era intuitivo immaginare come poterlo usare, diventava difficile capire se e quali poteri potesse dare un Libro di Anatemi (ricordo che sulla gloriosa rivista Rune venne pubblicato un articolo apposito per spiegare a cosa servissero certi oggetti).
Volendo sorvolare sulla fedeltà al meccanismo con cui venivano determinate le Eredità, va detto che comunque alcune trovate come la Ricetta del Purgone per Cavalli e l’Animaletto Lamentoso sono molto simpatiche e in tema con lo spirito di Kata Kumbas. Interessante poi l’uso che viene suggerito i maghi sporcaccioni e le streghe decrepite possono fare dell’Ectoplasma Metamorfico.
L’avventura conclusiva è programmaticamente semplice e rudimentale (si suggerisce anche di visitare il Gran Bazar dei Baratti alla sua conclusione, quindi i personaggi non sono nemmeno delineati nel dettaglio), ma presenta un buon sistema per incontri casuali e far evolvere l’avventura senza ricorrere a una mappa. Forse, semplicemente, è il sistema in uso di default in Savage Worlds che io non conoscevo.

AVVENTURE PER LAÌTIA

La raccolta di 8 scenari Avventure per Laìtia ha lo stesso costo del manuale base, ma con una trentina di euro si comprano 200 (210 per amore di precisione) pagine invece di 300!
Avventure per Laìtia avrebbe inoltre meritato qualche correzione in più, perché presenta più refusi del volume di base. Ben al di sotto del limite di guardia e di quello che si vede in tanti altri prodotti più blasonati, comunque, anche se la descrizione del secondo punto debole di un nemico di Una Notte sul Monte Rosso è rimasta tronca.
Il volume presenta 8 avventure di lunghezza variabile, di ognuna viene offerta una presentazione con le note sull’autore e dettagli su quali siano le leggende o comunque le fonti di ispirazione, cosa questa che ho gradito molto. È evidente come tutti e otto gli autori siano dei professionisti del settore, dotati di una fervida inventiva ma anche di un ottimo stile di scrittura e di una conoscenza specifica delle dinamiche di gioco, cosa che alcuni metteranno in evidenza nei loro scenari. Mi è sembrato inoltre di cogliere in tutti questi lavori una sincera passione per l’ambientazione, che occasionalmente si è tramutata in eccessivo trasporto nell’uso dell’italiano maccheronico, e ognuno degli autori ha saputo dare il giusto tocco alle proprie ambientazioni: gli elementi di contorno sono raffigurati con il giusto equilibrio tra grottesco e realistico e assumono una rilevanza importante, così come i PNG ma anche alcuni mostri più importanti sono approfonditi e resi “vivi” e originali esattamente come mi sarei aspettato che facessero Carocci e Senzacqua.
Dall’altro lato della medaglia c’è il fatto che la metà degli autori non si sono basati per imbastire le loro avventure su leggende o racconti locali e in alcuni casi hanno addirittura fatto riferimento a elementi della mitologia classica. La cosa è ovviamente più che legittima e gli stessi autori originari di Kata Kumbas vi fecero ricorso però a piccolissime dosi e tenendo questi elementi sullo sfondo (pensiamo alla fondazione di Roma/Maro). Di certo rifarsi all’Odissea o a misconosciuti poemi tardomedievali ha una sua valenza culturale ma contravviene a mio avviso a due leggi non scritte della poetica di Kata Kumbas, ovvero cercare qualcosa di lontano dall’hic et nunc laìtiano che tanto ha da offrire e rimandare a situazioni epiche ed eroiche (di Miti si parla) che non si sposano troppo bene con un mondo che dovrebbe essere popolaresco e realistico.
Segnalo come dal manuale di ambientazione ad Avventure per Laìtia la Baerald abbia fatto dei notevoli progressi, che mi sembra siano addirittura più evidenti a mano a mano che ci si addentra nella lettura (i disegni pubblicati per ultimi sono più belli dei primi, secondo me).
Comunque, nel dettaglio:

La prima avventura, Il Ladro di Borgoratto di Davide Mana, è piuttosto breve e molto semplice ma riprende nello stile ridanciano e nella prospettiva molto circoscritta (risolvere il mistero della sparizione di cibo da un piccolo paesello) l’atmosfera delle prime avventure ospitate sul vecchio manuale base delle Edizioni E. Elle, in cui poteva capitare di aiutare un umile pollaiolo o di partecipare a un certame poetico. C’è comunque un doppio mistero da svelare che aggiunge pepe alla trama.
Per ideare l’avventura Mana, onore al merito, si è ispirato a una leggenda dell’astigiano che gli ha anche ispirato un componimento poetico.

La seconda, La Febbre Brumia, è molto più articolata e Andrea Sfiligoi adotta uno stile didascalico ed esplicativo che denota la sua conoscenza dei meccanismi (anche sociali) che possono instaurarsi nelle partite. C’è stata forse una vaghissima ispirazione a uno degli elementi-chiave dell’unica avventura ufficiale uscita a suo tempo, L’Isola della Peste, ma sono nettamente più numerosi i tanti elementi originali. Di particolare interesse l’introduzione dei folletti Gnefri tratti dal folklore umbro.

La terza avventura, Dell’Omo la Vera Natura, ha un incipit un po’ spiazzante: Eugenio Maria Lauro non si è basato sul folklore della sua o di altre regioni ma sul mito classico della maga Circe, cosa certamente coerente con l’ambientazione (anche per un dettaglio che verrà rivelato alla fine dell’impresa) ma comunque come ho scritto sopra secondo me un po’ estranea al modo canonico di intendere le ambientazioni e le atmosfere di Kata Kumbas. Il risultato è un’avventura originale e molto complessa, in cui i giocatori dovranno essere molto ricettivi a cogliere gli indizi e giocare bene di ruolo. L’autore ha infarcito l’avventura di elementi decorativi ben integrati con l’ambientazione, ma l’italiano maccheronico con cui si esprimono le varie comparse alla fine diventa pesante e tende a banalizzare gli incontri, forse sarebbe stato meglio affiancarlo a uno o più dialetti.
Probabilmente è l’avventura che avrebbe necessitato di maggiore editing: nel box sulla Siringa della Malsania viene indicato un metodo di guarigione che però non è congruente con la descrizione del Fauno Lupercolo, così come inizialmente le “malsanie” inflitte ai Gemelli Taccone sono lasciate alla discrezione del Magister mentre invece nella loro descrizione vengono definite in dettaglio.

Umberto Pignatelli in persona scrive La Maledizione del Piripicchio, che egli stesso definisce un omaggio ai vecchi dungeon crawl – se poi lo dica con affetto o disprezzo non è dato sapere! Forse in quest’ottica inanella un pesante infodumping e agevolazioni (o piste obbligate) per i personaggi nell’arco di sole due pagine: si comincia svelando tutto l’antefatto con il primo e praticamente unico incontro; una delle azioni preliminare per intraprendere le indagini porta subito alla rivelazione della meccanica dell’avventura e delle cose da fare per portarla a compimento; infine l’introvabile ingresso al dungeon viene sbattuto in faccia ai giocatori senza praticamente nessuno sforzo da parte loro. Poco importa: qui il bello dell’avventura, oltre all’interpretazione della Maledizione, è l’esplorazione dei Fossi. E in effetti è meglio che l’inizio sia così agevolato, perché l’esplorazione de “li Fossi” mi sembra alquanto impegnativa.
I personaggi dovranno muoversi su una splendida mappona tridimensionale che il formato e l’allestimento del volume (brossurato di 17x24 cm) impediscono di godere appieno, ma di cui saggiamente esiste una versione da scaricare da internet insieme ad altri game props relativi all’avventura. Non solo Pignatelli ha imbastito una bella trama, un’avventura originale e un’ambientazione congruente con lo spirito di Kata Kumbas, ma ha pure fatto un omaggio a un comico misconosciuto degli inizi del ’900. Meglio di così.
Unico appunto: la città di Matera in cui è ambientata l’avventura viene riportata con un nome laìtiano diverso da quello che aveva nel manuale base (Etamar invece di Ertama). E anche quello era stato scritto dallo stesso Pignatelli, che infatti nell’introduzione all’avventura usa entrambe le versioni! La cosa viene giustificata in una maniera che non mi ha convinto del tutto, ma in fondo è solo un nome, che sarà mai. Non mi pare invece che ci sia la possibilità da nessuna parte di recuperare una parte della mappa da consegnare ai giocatori, ma forse mi è sfuggito.

Sono delle suggestioni letterarie ad aver ispirato L’Impresa del Gatto Lupesco di Mauro Longo, tratto dalla poesia didattica Detto del Gatto Lupesco (ho controllato: esiste veramente) in cui l’anonimo autore sposta in Italia le vicende dei cavalieri della tavola rotonda. Sicuramente siamo di fronte a un’operazione raffinata e culturalmente rilevante, ma anche qui come nel caso di Dell’Omo la Vera Natura sono stato spiazzato dalla lontananza dai temi di Kata Kumbas canonico. Ciò detto, l’avventura è bella e coinvolgente, per quanto lineare – mi pare solo che lo stacco tra i tafferugli iniziali alla locanda e l’incontro col Lhome necessiti di una attenta cucitura da parte del Magister. Molto simpatico il giro che bisogna fare per individuare l’identità di Mogma.

Nemmeno Il Campo de’ Buchi di Tito Leati è stata ispirata da una leggenda o dal folklore ma a darle il “la” è stato semplicemente il secolare antagonismo tra Modena e Bologna, trasfigurate in Demona e Gnalobo. Il tutto però condito con elementi lovecraftiani! Per quanto sia un’avventura piacevole, intelligente e ben scritta (e poi ci sono mappe meravigliose e godibilissime visto che non sono a doppia pagina) l’ho trovata veramente aliena rispetto a quello che per me dovrebbe essere il canone di Kata Kumbas: pur con qualche riferimento locale (credo che il PRAJ e gli “zampironi” rimandino a qualcosa di molto specifico) i Miti di Cthulhu con Laìtia c’azzeccano poco, pur con le relative trasfigurazioni locali: il Libro di Eibon diventa Ehi-Bona (ma anche Hei-Bona) e via di seguito.
Al di là di queste mie considerazioni personali, l’avventura resta valida e oltretutto può essere riciclata come gazetteer del Regno di Ammilaia (anche se non è chiaro però se si dica Castelfranco Ammilaia o Castelcranfo Ammilaia visto che vengono ripetute in occasioni diverse entrambe le versioni).

Il Canto dell’Avinuberio di Massimo Moscarelli mi sembra invece aver subìto un vago influsso dal filone cinematografico dei Decamerotici. Storia simpatica e ben architettata è forse un po’ troppo dispersiva e soprattutto mutatis ben poco mutandis potrebbe essere tranquillamente giocata in una qualsiasi altra ambientazione. La concitata scena finale è veramente spettacolare. Moscatelli sembra avercela a morte coi Ciraioci/Ciociari tanto che verrebbe spontaneo accusarlo di razzismo se non fosse che dalle note biografiche apprendiamo che anche lui è della zona!
Pur senza il livello di dettaglio fornito da Il Campo de’ Buchi anche questa avventura può essere utilizzata come “atlante” dal Magister per ambientare altre avventure in Ciraiocia.

Una Notte sul Monte Rosso di Luca Tarenzi si rifà nientemeno che a un caso documentato di stregoneria del XVI secolo. Ambiziosa nello spirito filologico e lodevole per l’afflato illuminista, è praticamente un’avventura generica buona per qualsiasi ambientazione fantasy che usa solo qualche mostro ed elemento vario di Kata Kumbas (pochini, in verità) per ricordarci che si svolge a Laìtia. Lo stesso autore d’altra parte anticipa nell’introduzione che si tratta di un’avventura lontana dalle atmosfere consuete di Kata Kumbas.

Un provvidenziale regalo mi permette inoltre di recensire anche le due avventure per Kata Kumbas inserite nell’Almanacco dei Mondi Selvaggi 2016 (en passant, praticamente tutte le avventure contenute nell’Almanacco sono almeno buone o comunque degne di nota).

Caccia al Drago è un’ottima avventura introduttiva che però vista la qualità può facilmente essere riciclata per personaggi già introdotti a Laìtia. Pignatelli in persona l’ha masterizzata al PlayModena 2016. È principalmente investigativa, ma molto spazio viene lasciato al roleplaying. Credo che l’autore qui abbia centrato le caratteristiche salienti di Kata Kumbas (c’è un solido background di racconti e folklore alla base) e l’idea di rendere le Porte di Livello parte integrante della trama rimanda un po’ a Piattini e Misteri, l’avventura pubblicata sul primo e unico E. L. Avventura della E. Elle.

Sempre Pignatelli centra ancora il bersaglio con La corsa dei Sacri, una divertentissima avventura che vede i personaggi destreggiarsi tra due fazioni di fedeli in lotta (Nuovo contro Antico Popolo) per imporre la propria divinità a difesa di Leceria/Ceriale. La vicenda è arricchita dall’intrusione finale dei pirati d’Oltremare e oltre a essere molto vivace offre una certa varietà e ricchezza di situazioni. Latita l’elemento fantastico (non ci sono draghi o altre creature fatate, per capirci) ma tutto sommato anche la già ricordata avventura Piattini e Misteri in E. L. Avventura 1 si basava su elementi folkloristici senza addentrarsi troppo nel reame del fantastico.

Di carne al fuoco ne è stata messa tanta e di buona qualità. L’impatto con la trasposizione nel nuovo sistema di gioco non è stato poi così traumatico, ma d’altra parte ero consapevole che qualcosa si sarebbe inevitabilmente perso. A questo punto rimango in attesa di nuovo materiale “selvaggio” per il rinato Kata Kumbas.

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