giovedì 18 agosto 2016

Supreme Blue Rose

Ahia. Warren Ellis si dà al metafumetto spinto. Questo Supreme è proprio quello di Liefeld, poi rivitalizzato da Alan Moore e continuato da Erik Larsen. Ma questa versione è una “rosa blu”, cioè una cosa che non esiste in natura ed è stata creata artificialmente dall’uomo…
Per farla breve: Diana Dane viene incaricata da Darius Dax di indagare su un presunto incidente aereo avvenuto a Littlehaven. Tutto è collegato al recente reboot dell’universo narrativo di cui fa parte Supreme e di cui alcuni dei tantissimi (troppi) personaggi coinvolti hanno una vaga consapevolezza.
In pratica quello che viene mostrato è il dietro le quinte di cosa succede ai “personaggi in cerca d’autore” mentre attendono di transitare da un universo narrativo allo stesso universo totalmente rinnovato, come accade con sempre maggior frequenza negli Stati Uniti.
Grazie a dio viene fatto cenno della cosa nella quarta di copertina, perché altrimenti sarebbe stato veramente difficile raccapezzarcisi. E comunque con Superman o Batman avrebbe avuto un altro impatto che con questi personaggi misconosciuti, tanto che forse una introduzione che spiegasse un po’ di storia pregressa e introducesse i personaggi sarebbe stata necessaria.
L’idea di base è praticamente identica a quella che Grant Morrison aveva avanzato nel suo ciclo di Animal Man circa vent’anni fa; le situazioni e i dialoghi imbastiti da Ellis si fanno leggere ma senza mai suscitare particolari entusiasmi. Chissà come se la riderà ripensando a come è riuscito a venderci il nulla.
I disegni di Tula Lotay, la stessa che ha fatto le copertine di Rebels, seguono l’andazzo psichedelico e canzonatorio dello sceneggiatore: a volte i suoi rapidi schizzi a matita colpiscono perfettamente il bersaglio e sono belli ed espressivi, altre volte sembrano un po’ tirati via. A integrare il tutto una colorazione che usa effettacci per simulare impurità della carta, peli sulle pellicole (pellicole che ormai non si usano nemmeno più per la stampa), rare macchie e sin troppi fuori registro, tanto che ogni tanto viene il dubbio che sia proprio la stampa della RW Lion a non essere buona – ma in alcune pagine la resa è veramente perfetta, quindi chissà.
Penso che in definitiva un prodotto del genere sia da consigliarsi esclusivamente agli appassionati di Supreme e della sua cosmologia, ammesso che esistano.
la maledizione del sesto dito colpisce ancora (la Lotay non può nemmeno dare la colpa al colorista perché anche i colori li fa lei)


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