Il nuovo volume di Injection è nettamente migliore del
primo.
Stavolta il protagonista principale (gli altri personaggi compaiono lo stesso e
portano avanti le loro storyline) è
il detective Vivek Headland, distaccato e dai modi aristocratici come vuole una
certa tradizione di investigatori privati letterari che è il primo a
stigmatizzare scherzosamente.
“Viv” è stato contattato da un
mago della finanza che ha recentemente perso la moglie e il figlio e che era
riuscito ad avere rapporti carnali con il fantasma di lei tramite una
fotografia che la faceva materializzare. La fotografia gli è stata però
sottratta da una setta esoterica che, fraintendendo volutamente tutta la
situazione, crede che il computer del magnate (infettato da Injection) sia
nientemeno che la pietra filosofale!
Un soggetto quindi molto
originale che in più di un’occasione ha offerto allo sceneggiatore il destro
per inanellare alcune delle sue memorabili battute. Ma, soprattutto, il pregio
di questo secondo arco narrativo è che la narrazione non è frammentaria e
complessa come nel primo, anche se non mancano flashback e sequenze parallele che coinvolgono gli altri membri del
team. Un po’ rimpiango di essermi riletto quella palla del primo volume
perché ricordando quant’era complesso e interlocutorio pensavo che fosse
necessario rinfrescarsi la memoria per capire meglio questo: non è affatto
così, e anche i rimandi ai precedenti capitoli sono perfettamente comprensibili
anche leggendo solo questo secondo volume, del tutto autonomo.
I disegni di Declan Shalvey sono
assai scarni ma senza mai andare sotto la soglia di guardia (in certe
inquadrature ho ravvisato la sintetica eleganza di Chris Sprouse, ma sono molto
poche). Discutibile la scelta di non inserire le copertine originali in
apertura dei capitoli così com’erano effettivamente apparse, ma bensì riprodotte
in negativo e virate in rosso rendendone meno chiari i soggetti: quella del
primo capitolo sarebbe senz’altro servita a costruire l’atmosfera giusta. Ma
immagino che questa scelta non sia da imputare alla saldaPress quando alla
Image che ha confezionato il volume originale.
Un mio compagno di classe al liceo aveva scattato proditoriamente una polaroid ad una ragazza di cui si era invaghito. Un piano americano sgranato che ricordava certe vignette del tizio che precedette Horak sulle strisce di 007. La ragazza aveva la stessa espressione di chi ha fatto due ore di coda per sentirsi dire che il rinnovo del documento è previo appuntamento. Nonostante questo il mio amico considerava la istantanea come il suo più prezioso tesoro. Un feticcio. La lasciò da qualche parte sul banco per una interrogazione di chimica. Una sagomaccia aggiunse due baffi con la bic punta fine. Ci vollero quattro commessi - al tempo li chiamavamo bidelli - per separare Pol da Sagomaccia.
RispondiEliminaCredo di aver raccontato questa storia a Warren qualche tempo fa ad una riunione del Fell Fan Club. Il creativo ha fatto finta di nulla, ma ho visto che annotava tutto con la bic dietro un bozzetto di Ben Templesmith...
Lo vedi che alla fine i disegni di Templesmith servono a qualcosa?
Eliminaahahah
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