Doppia razione di Warren Ellis lo
scorso sabato in fumetteria. Oltre al terzo libro di The Wild Storm è uscito anche questo Cemetery Beach originariamente pubblicato dalla Image. La storia è
quella di un incursore terrestre, Mike Blackburn, che dopo essere stato
catturato dalle autorità locali fugge da un centro di detenzione di una terra
parallela. È probabile che Warren Ellis abbia ideato il progetto in
contemporanea con Karnak
e il suo secondo James Bond,
perché i dialoghi sulla tortura sono molto simili.
Nella sua fuga verso il mezzo di
trasporto con cui tornerà a casa Blackburn libera un’altra prigioniera e
insieme scappano a gambe (e velivoli, camion, antenne di trasmissione, ecc.)
levate per arrivare alla Cemetery Beach del titolo mentre attorno a loro si
scatena un adrenalinico inseguimento. Warren Ellis riesce a nobilitare un
soggetto di partenza per nulla originale e assolutamente lineare (il percorso
dei due segue scrupolosamente la mappa alle pagine 66-67) grazie ai suoi
dialoghi brillanti, al suo affascinante technobabble
e a dei personaggi molto ben caratterizzati, soprattutto i “cattivi”. Il finale
è stata una discreta sorpresa, visto che io avrei immaginato un beffardo fallimento della fuga o un tradimento, mentre invece Ellis ha optato per una
soluzione sin troppo positiva, forse foriera di ulteriori sviluppi.
Se a livello di testi Cemetery Beach rappresenta una boccata
d’ossigeno dopo alcune delle ultime performance non esaltanti di Ellis, i
disegni di Jason Howard sono purtroppo pessimi. In precedenza
lo avevo definito “sketchy”, qui è arrivato al capolinea di un’evoluzione
grottesca ed imprecisa in cui il rispetto dell’anatomia è andato a farsi
benedire. Non può nemmeno nascondersi dietro l’alibi dei disegnatori scarsi, ovvero
lo storytelling: le sue tavole sono tutte indistintamente fitte di tratteggi a
simulare linee cinetiche, tanto che i veri momenti di azione si perdono in un
marasma di segni e pennellate, talvolta anche grasse. Le espressioni dei
personaggi, sempre rigorosamente ritratti dalle stesse due o tre inquadrature
(e che orrende le donne di Howard), si limitano quasi esclusivamente alle
bocche spalancate o ai denti digrignati, come se in un effetto Kulešov di carta
fosse il lettore ad attribuire loro un senso a seconda delle circostanze in cui
si trovano. Quelle poche espressioni che sfuggono a questa regola aurea di
Howard sono del tutto incongruenti con le sequenze in cui si trovano: occhi
spalancati e sorrisini che fanno a pugni con il contesto. Se non altro si
capisce a quali elementi delle tavole bisogna dare più importanza, ma vorrei
ben vedere: facendo anche i colori Howard ha dovuto solo nascondere il contorno
scurendolo e sottolineare le parti più rilevanti. Anche se non sempre c’è
riuscito: al termine della lunga sequenza della lotta contro i mutanti della
“famiglia esterna” ho dovuto ristudiarmi bene le vignette per capire cosa ha strappato
Blackburn al mostro per batterlo.
In un altro contesto lo stile di
Jason Howard potrebbe pure funzionare, ma qui è solo fastidioso e irritante, il
che è assurdo per una storia che dovrebbe tenere incollato il lettore dall’inizio
alla fine mentre invece mi ha imposto delle pause perché non riuscivo più a
tollerare quel tratto sgraziato e impreciso. È come se la sceneggiatura andasse
da una parte (un’incalzante storia on the
road punteggiata da momenti di disperato sarcasmo e da rivelazioni orripilanti)
mentre i disegni andassero da tutt’altra parte, cioè la parodia di quella
storia buttata su alla buona. Di Howard salvo giusto le variant cover riportate in appendice, “citazioni” di altre
copertine più o meno famose di comic book.
Peccato, perché come ho già
scritto questo Warren Ellis è uno dei migliori che ho letto negli ultimi anni.
Mi sbaglierò - non sarebbe la prima volta considerato che credevo che Il Morto non sarebbe andato oltre il numero uno - ma credo che Jase Howard nel disegnare la sua protagonista avesse in mente e nella matita Joan Cusack. Non ho il volume, ma ho visto le tavole in rete.
RispondiEliminaTrovo interessante quello che scrivi sul fatto che Ellis dica cose simili in opere diverse probabilmente coeve.
L'equivalente di quello che hanno fatto i REM quando hanno sviluppato un concetto musicale in canzoni simili. Nel Crepascolaverso Ellis sarebbe un emulo di Erle Stanley Gardner che girava il west con un treno di roulotte e dettava a parecchie dattilografe le trame di diversi Perry Mason...ciao ciao
Più di quello che fanno i REM io mi preoccupo di quello che fanno i rom. Meglio berci sopra un rum guardando Pacific Rim.
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