Visto l’argomento (i risultati del Convegno del XVII Congresso Nazionale Socialista con la nascita del Partito Comunista d’Italia) uno si sarebbe potuto aspettare qualcosa di estremamente barboso e poco fumettistico, invece Silvano Mezzavilla, che conoscevo solo come curatore di alcuni cataloghi, è riuscito a rendere avvincente un argomento per nulla avventuroso – anche se i colpi di scena non mancano.
Come protagonista viene scelto Luigi Repossi, popolarmente conosciuto come El Gin de Porta Cicca, che insieme ad altri “rivoluzionari” avvalora la necessità di andare oltre quanto fatto fino ad allora dal Partito Socialista e aderire alle 21 condizioni imposte da Lenin nella III Internazionale per fondare quindi un Partito Comunista Italiano. Quella che emerge da queste pagine è un’Italia incredibilmente speranzosa e protesa verso il futuro nonostante il clima politico (la storia è ambientata nel 1921), in cui alcuni progressi sociali erano già stati fatti – a tal riguardo è interessantissima l’introduzione di Michele Serra, quasi parte costitutiva dell’opera per capire come si fosse arrivati a quel punto.
Le riunioni al Teatro Goldoni sono qualcosa di accalorato e quasi violento (in un caso si arriva a un passo dal delitto), sembrano quelle trasmissioni-rissa che si vedono (o si vedevano?) in televisione, ma d’altra parte l’argomento è molto caldo e i sostenitori di una fazione e dell’altra sono mossi da posizioni nettissime. Il nocciolo della questione è: vale davvero la pena costituire un nuovo partito di matrice rivoluzionaria che tolga linfa al Partito Socialista, dividendo così le masse? I vari oratori sfilano dicendo la loro e nonostante i dialoghi siano quasi sicuramente trascrizioni degli interventi reali non si sente affatto l’ingessatura del comizio. Magia del fumetto. Anche quando Salvagno opta per delle tavole che ospitano il ritratto intero (o poco più) del singolo oratore, non ci si annoia ma anzi è piacevole perdersi nei mille rivoli di quelle idee e delle loro molteplici interpretazioni.
Arrivati alla fine, che ovviamente dovrebbe essere ben nota ai lettori, resta la voglia di leggerne ancora ma su un totale di 96 pagine il fumetto ne conta solo 58. In realtà anche le biografie illustrate poste in calce costituiscono parte della narrazione, con un ultimo lapidario intervento scritto che effettivamente chiude la storia e la chiama in causa la Storia.
I disegni di Salvagno sono ottimi, né mi aspettavo di meno. Credo che la tecnica impiegata sia quella della matita acquerellata. Il necessario ricorso a documentazione fotografica per ricostruire le fisionomie dei protagonisti e gli scorci di Torino e Livorno non imbrigliano il disegnatore che segue il suo estro disegnando i personaggi anche con braccia lunghissime o da prospettive esasperate, ricordando in alcuni frangenti il Mastantuono umoristico. Ma è soltanto una delle similitudini che si possono cogliere nel suo stile variegato ma sempre coerente e riconoscibile: la rissa di pagina 49 diventa forse una citazione di Cacio Galilla, originale personaggio di Salvagno, e qua e là sbocciano riferimenti al Corriere dei Piccoli e al Futurismo. Ma sono solo le prime suggestioni che ho colto delle molte che sicuramente Salvagno ha riversato nelle sue tavole, che per essere godute appieno avrebbero meritato un formato più generoso del canonico 17x24. Anche la qualità della carta non aiuta ad apprezzarle come meriterebbero, tanto più che essendo realizzate a matita il tratto risulta di per sé meno inciso che se fosse stato inchiostrato. In definitiva 20 euro potrebbero non sembrare pochi per un volume con queste caratteristiche, ma in Italia è già un miracolo che qualcuno lo abbia pubblicato!
In appendice, oltre a una ricca bibliografia, vengono mostrati sketch, prove e studi preparatori delle tavole, con una dichiarazione programmatica dello stesso disegnatore.
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