venerdì 15 luglio 2022

Le Storie Cult 117: Il Serpente d'Argento

Il bello dei fumetti di Pier Carpi è divertirsi a trovare quei riferimenti arcani che da cazzaro esoterista (Alfredo Castelli docet) avrebbe potuto spargere nelle sue opere. Il brutto è che questi riferimenti possono non esserci o essere troppo ben nascosti per essere colti, cionondimeno una storia valida rimane tale a prescindere.

A introdurre la vicenda, presentata come una storia autentica, è nientemeno che Mark Twain, a cui un pubblico inizialmente deluso perché si aspettava da lui dei racconti divertenti chiede invece un approfondimento sulla leggenda indiana che ha appena narrato. Tra gli ascoltatori c’è anche Jack London, massone come Twain: sarà un caso?

Nel pieno delle tensioni per le imminenti guerre indiane, il tenente Warren (ma i nomi sono stati cambiati per preservare l’identità dei reali protagonisti di questa storia vera) viene mandato a recuperare la figlia del maggiore Sherman che è incautamente uscita dal forte. Perché un forte che si trova negli assolati territori degli Apaches si chiami Fort Snow, cioè “neve”, è un mistero. La neve di logica cade più a nord, magari arriverà pure un Uomo del Nord! Tornando alla ragazza, mica scema, questa Selina: in realtà l’ha fatto apposta perché sapeva che il padre le avrebbe mandato alle costole proprio il suo amato Warren con cui avrebbero potuto godersi qualche momento di intimità. Solo che il loro rendez-vous viene interrotto veramente dai ferocissimi indiani e una volta separati per tornare al forte i due assisteranno ognuno per conto proprio a dei fenomeni paranormali: Warren vede un esercito di cavalieri scheletrici, Selina assiste a un rito cui partecipa nientemeno che Wanito, il dio-padre del popolo rosso.

Purtroppo non potranno riferire l’accaduto se non qualche tempo dopo, visto che in occasioni diverse vengono sedati e fatti dimenticare dell’accaduto grazie al siero di cui sono intrise le armi indiane. Ma a causa dell’intervento del tenente-medico del fortino di cui non viene mai pronunciato il nome (scommetto che sua madre era vedova) salta fuori la leggenda del serpente d’argento, animale mitico che potrebbe portare alla gloria o alla rovina il popolo rosso a seconda di chi lo catturerà. Ovviamente il tenente-medico sa dove si trova la creatura, ma per raggiungerla dovrà usare l’istinto (vuoi vedere che di nome fa Hiram?).

Ad arricchire questo canovaccio ci sono le sottotrame del rampante capetto indiano che vorrebbe scalzare il capo in carica, secondo lui troppo morbido coi bianchi, e del rinnegato Rhum, un poco di buono che commercia in armi con gli indiani. E le guerre indiane senza quartiere ormai sono alle porte, per motivi ricordati con cinica lucidità dal maggiore Sherman.

Il Serpente d’Argento ricorre inevitabilmente a molti stereotipi del genere western, però li usa sapientemente e presenta anche grandi margini di originalità, non foss’altro che per la presenza di elementi sovrannaturali. Purtroppo non viene indicata da nessuna parte la fonte originaria del fumetto, e solo dopo una rapida ricerca ho scoperto che risale al 1977. Non c’è nulla di male, ovviamente, ma se si fosse trattato di un fumetto di una decina di anni prima (come inizialmente pensavo) si sarebbe potuto quasi gridare al capolavoro misconosciuto per il pionierismo con cui Carpi presenta delle figure femminili indipendenti e volitive, per il disincanto con cui raffigura gli indiani e per l’analisi semplice ma precisa che fa dei rapporti tra i nativi americani e i governanti statunitensi.

I disegni di Virgilio Muzzi sono buoni, il tratto sottile con cui delinea i contorni delle figure mi ha ricordato Alberto Giolitti. È anche vero però che alterna primi piani molto curati (evidentemente ispirati a fotografie) a sfondi talvolta affrettati o inesistenti. A integrare l’albo un’appendice di approfondimento sulla rappresentazione degli “indiani” e un editoriale in cui annunciando lo stop degli Speciali de Le Storie Gianmaria Contro parla della difficile situazione editoriale attuale.

Nel complesso Il Serpente d’Argento è stato una lettura gradevole e interessante, anche se non ci sono indiani massoni iniziati da Cagliostro che venerano Licio Gelli. O forse sì?

5 commenti:

  1. I disegni di Muzzi saranno senz'altro migliori che in Tex dove se non ricordo male era costretto a "coabitare" con Galep (o era Gamba che doveva subire l'aggiustamento galleppiniano dei volti? O tutti e due?)

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    1. Amici vecchi lettori di Tex non mi parlano molto bene del Muzzi texiano, in effetti.

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  2. Nella Collana Rodeo, dopo la conclusione di Un ragazzo nel far west, ci furono diversi "numeri unici" degni di nota. Io conservo ancora Wyatt Doyle di Berardi e Grugef.

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    1. In effetti da quel che ho visto alcuni sembrano interessanti, o per lo meno curiosi: ce n'era anche uno di fantascienza di Corteggi.

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    2. Scritto nientemeno che da Giorgio Pezzin, non certo l'ultimo arrivato...

      Sarà ristampato a breve in questa collana, s'intitola L'ASTRONAVE PERDUTA.

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