1924: Corto si trova a Berlino in visita all’amico giornalista e futuro scrittore Joseph Roth che lo introduce all’attore Adolf Kern, militante comunista, e apprende della morte del suo vecchio amico Jeremiah Steiner, di cui le autorità chiedono aiuto per l’identificazione. Deciso a dare il suo contributo e a saperne di più, finisce nel radar di un commissario colluso con una società segreta che sta spingendo per la distruzione della già fragilissima Repubblica di Weimar. Sono giorni tempestosi in Germania, con forze politiche che si confrontano violentemente e soggetti che operano nell’ombra per tornare alla «sacra Vehme». Sballottato dagli eventi, Corto Maltese incappa in una società esoterica che lo incarica di recuperare l’arcano mancante del mazzo dei tarocchi Visconti-Sforza e nella giovane assistente del regista Werner che lo farà esordire come attore. Il destino e la necessità di cambiare aria lo spingono a Praga, mentre tutti gli attori in gioco vogliono da lui un fantomatico dossier di cui Corto ignora l’esistenza. Ovviamente (è necessario dirlo?) non tutti i personaggi sono proprio quello che dicono di essere. La soluzione del mistero svela una trama un po’ troppo artefatta, ma proprio per questo denota una buona inventiva.
Notturno berlinese intreccia Storia, personaggi reali, esoterismo e trovate originali come nella migliore tradizione prattiana. Di prattiano c’è anche il ritmo sincopato delle storie lunghe, solo che con Díaz Canales funziona un po’ meno bene e ogni tanto si ha l’impressione di essersi persi qualcosa per strada o che certe situazioni necessitassero di un maggiore approfondimento. Nonostante parecchie battute veramente azzeccate e godibili, si avverte una certa stanchezza nei dialoghi che d’altronde è lo stesso protagonista a sottolineare. Lo sceneggiatore dimostra d’altra parte un’attenzione scrupolosa alla continuity (chissà dov’era apparsa in precedenza Eve Cunningham). Ho qualche dubbio sull’uso dei termini «kitsch» e «sequel» già un secolo fa, ma forse è un problema della traduzione.
Rubén Pellejero cerca di essere fedele allo stile di disegno di Pratt (del Pratt della Casa Dorata di Samarcanda, diciamo) anche se la sua inchiostrazione morbida e flessuosa rende quasi “liquidi” i palazzi e i monumenti che ammiriamo all’inizio, frutto di rigorosa documentazione. Ben presto però le vignette si riempiono di tratti graffiati e un po’ oppressivi, evidente tentativo di assecondare l’estetica espressionista dell’epoca. Al di là del gradimento o meno di queste scelte stilistiche, il limite del disegnatore rimangono i colori, così netti e decisi da essere più indicati per delle litografie piuttosto che per un fumetto, e nella sequenza del cabaret decisamente invadenti visto che coi loro effetti digitali impediscono di godere al meglio del disegno.
Come nel caso degli altri episodi, anche questo si è fatto leggere con piacere.
Oltre alle 70 pagine del fumetto il volume contempla una ricca sezione («Prima della notte – Segni e ombre») di schizzi, studi e acquerelli.
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