Dopo alcuni tentativi andati storti e tanta propaganda, gli Stati Uniti hanno perso la corsa al supereroe. A vincerla è la Corea del Sud: Choon-He si è creata un corpo sintetico potentissimo per vendicarsi dell’ex-marito Jin-Sung che l’ha denunciata e fatta finire in prigione a causa della visione differente che avevano dei superpoteri: lui voleva venderli al miglior offerente, lei in una conferenza mondiale dichiara che li darà ai rappresentanti più degni e altruisti del proprio Stato d’appartenenza. Basta mandare la propria nomination e se si è ritenuti meritevoli si entra in questo team di pronto intervento e si viene forniti di un bracciale che permette di connettersi al database dei superpoteri per sceglierne un massimo di tre per volta.
Gli Ambassadors si occupano di problemi di poco conto come di calamità naturali, ma alla fine dovranno vedersela anche con l’elite di spietati miliardari capitanati da Jin-Sung, che a loro volta hanno i superpoteri. Occasionalmente fa capolino una figura misteriosa che giustifica almeno un po’ il prologo eccessivamente lungo e sarà fondamentale nel massacro finale con cui (sempre di supereroi si tratta) si conclude il volume. Piccola nota di merito per Millar: il traditore tra le file dei “buoni” è una figura insospettabile ma molto logica.
Come spesso avviene nei fumetti di Millar, più che una storia di supereroi è una satira. E come altrettanto spesso avviene, l’umorismo nerissimo di Millar sfiora il grossolano e sfocia nello splatter senza che ce ne sia alcun motivo, solo per il gusto di épater la bourgeoisie abituata ai più blandi fumetti DC e Marvel.
Purtroppo la carrellata di disegnatori diversi è straniante. Dopo Frank Quitely c’è l’eccessivamente schematico Karl Kerschl (i colori di Michele Assarasakorn assecondano il suo rachitismo), poi il freddo e dettagliatissimo realismo di Travis Charest, un efficace Olivier Coipel sospeso tra espressività e naturalismo, il più canonico ma anch’egli espressivo Matteo Buffagni e per finire lo stilizzato ma elegante Matteo Scalera.
Ognuno è quantomeno passabile in sé, con molte punte di eccellenza, ma vedere tutti questi stili diversi in un’unica soluzione è stordente, né c’è stata una supervisione attenta a mantenere la coerenza grafica dei protagonisti: al di là di Scalera che non si è ricordato del piercing al naso dell’Ambassador brasiliana, soprattutto Jin-Sung è butterato, grasso e occhialuto o qualsiasi combinazione di queste caratteristiche a seconda dell’estro del singolo disegnatore.
Completano il novero dei coloristi Dave Stewart, Giovanna Niro e Lee Loughridge (e poi ci sarebbe Vincent MG Deighan che ha aiutato Quitely).
A differenza di altre raccolte in volume di fumetti più o meno seriali, questo primo volume ha il pregio di essere perfettamente concluso – e si chiude con una bella battuta urticante.
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