martedì 19 dicembre 2023

Un'Avventura di Blake e Mortimer a New York: L'Arte della Guerra

Come talvolta accade, a prepararsi al peggio (e i segnali c’erano tutti) si finisce meno delusi del previsto. Anche se non ci troviamo di certo di fronte a un capolavoro.

Blake e Mortimer prendono parte alla conferenza di pace indetta dall’ONU in un anno non specificato; da alcuni dettagli mi par di capire che potrebbe essere il 1953. Durante la loro permanenza nella Grande Mela avviene però un curioso episodio: un frenastenico ha sfregiato una stele egizia del Metropolitan Museum, cercando di incidervi quello che sembra essere un messaggio indirizzato proprio alla coppia. Rasato della barba, l’esagitato si rivela essere (ma guarda un po’!) nientemeno che Olrik, affetto dall’ennesimo controllo mentale con conseguente amnesia della sua vita. I due protagonisti cercano di vederci chiaro, tanto più che la loro vecchia conoscenza scappa dal manicomio in cui era stato internato, ma ci si mettono di mezzo anche un colonnello russo e un magnate stile Howard Hughes sparito dalla scena dopo che un suo prototipo di aereo invisibile ai radar si è rivelato un disastro.

L’Arte della Guerra è una discreta storia spionistica che richiede una grande sospensione dell’incredulità per accettare il machiavellico piano del cattivo di turno (indovinate chi è…), puntellata però di rare battute che ne rendono piacevole la lettura. Ma dalle dichiarazioni tracotanti di Floc’h risulta difficile attribuire i meriti della scrittura visto che il disegnatore ha rimaneggiato la sceneggiatura originale. Le proverbiali didascalie della serie, per dire, sono quasi del tutto assenti.

La parte più debole di questo volume fuori collana è quella grafica. Floc’h infatti ha lavorato su una struttura che prevede poche vignette per tavola, con frequenti primi piani (e poi sono i francesi a prendere per il culo i fumetti Bonelli chiamandoli «talking heads»). La sua inchiostrazione è grassa e pesante, non so se preferirla al cachettico tratto che aveva ne L’Appuntamento a Sevenoaks visto che l’espressività dei personaggi è compromessa o congelata in maniera bizzarra, vedi l’agente O’Rourke che sembra sempre sorridere come uno scemo – e non è il solo. I dettagli sono poi del tutto assenti e i campi lunghi e le panoramiche non presentano nessun particolare da cogliere o almeno da apprezzare; anzi, le chiome degli alberi e alcuni mezzi sembrano proprio disegnati svogliatamente. Persino il Baldazzini più schematico è più espressivo e dinamico (e sicuramente più elegante) di Floc’h. Sicuramente certe immagini (quelle in cui Floc’h non sfoggia anatomie strambe o strani tagli degli abiti) farebbero un figurone su un poster, sull’etichetta di una bottiglia, sulla pagina pubblicitaria di un giornale o in una galleria di Pop Art, ma non in un fumetto. Con buona pace di quelle anime candide che pensano che sia la quantità di tratteggi (di un Toppi, un Eleuteri Serpieri, un Sicomoro…) a essere l’ago della bilancia per decretare se un fumetto tenda o meno all’illustrazione. Oltretutto non capisco perché optare per un volume dalla foliazione doppia rispetto al solito se poi lo si è riempito di pagine con poche vignettone dal tratto pesantemente marcato. Rimpicciolite e montate diversamente si sarebbero benissimo toccate le canoniche 62 pagine. Che però non avrebbero giustificato l’esborso di una trentina di euro…

In definitiva, non certo una porcheria, ma si sente un po’ l’odore dell’occasione mancata. Certe sequenze si sarebbero prestate a uno spettacolare dinamismo che qui è del tutto assente. Il finale è simpatico (anche questo, da attribuirsi a Bocquet e Fromental o a Floc’h?) ma trattandosi di un’opera fuori collana si sarebbe potuto osare di più come fece Schuiten e magari sorprendere i lettori con la morte dei loro beniamini! Non dico che ci speravo ma sarebbe stato un bel colpo di scena.

2 commenti:

  1. Beh, sono veramente ignorante sull'argomento, la bedé l'ho sempre frequentata solo di striscio. Ma si potrebbe argomentare che la prosecuzione di un'opera che è ormai riconosciuta come "mostro sacro" da parte di altri autori (ultimamente ci sono molti esempi) non può che portare a una delusione più o meno marcata (mi vengono in mente Corto Maltese e Coccobill).
    Ma i francesi volevano offendere, parlando di "talking heads"?
    A me piacciono molto i Talking Heads

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    1. Blake e Mortimer sono già una trentina d'anni che sono stati riesumati, a volte con risultati ottimi. Questo di Floc'h è un fuori collana un po' troppo "fuori" secondo me.
      Non conosco bene il Coccobill di Salvagno, ma difendo comunque a spada tratta il lavoro di quel genio!

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