Non è stato facile[1] ma
alla fine anch’io ho potuto leggere questo episodio fuori serie della saga di Edgar
Pierre Jacobs sontuosamente disegnato da François Schuiten. La vicenda è
ambientata in un anno imprecisato, gli abiti e gli automezzi sembrano ispirati
agli anni ’70, ma la presenza diffusa di computer negli uffici fa pensare di
più agli anni ’80 – e alla fine si parla anche di server, ma si sa che i
militari dispongono di tecnologia in anticipo sui tempi. L’Ultimo Faraone nasce come enorme (ben 85 tavole) depliant
pubblicitario del Palazzo di Giustizia di Bruxelles e di altri monumenti ed
edifici della capitale belga, e anche se 12 – L’Amata partiva
da un impulso simile qui il “product placement”, chiamiamolo così, è più
evidente.
Mortimer si trova a indagare
proprio nel Palazzo di Giustizia, preda di incubi che lo tormentano da anni,
vestigia della sua avventura nella Grande Piramide. Qui trova tracce di
geroglifici e mette in azione una misteriosa fonte di energia che annulla ogni
funzionamento degli apparecchi elettrici e meccanici in un raggio molto ampio,
facendo regredire Bruxelles a uno stadio pre-tecnologico. Per evitare
l’espansione del fenomeno oltre i confini di Bruxelles Mortimer progetta una
gabbia di Faraday con cui rivestire il Palazzo di Giustizia. La città viene
fatta evacuare, ma alcuni anarchici o ambientalisti o derelitti o semplicemente
delusi dalla società ci vanno a vivere di propria volontà.
La minaccia di regressione sembra
espandersi al resto del mondo, e l’ONU delibera a favore di un piano per
risolvere il problema alla radice: lanciare delle testate nucleari al trizio con
cui distruggere il Palazzo di Giustizia e quindi tutta Bruxelles. Blake si
oppone a questa soluzione estrema e confida che il vecchio amico sappia risolvere
la situazione recandosi sul posto, ma a quanto viene accennato nei dialoghi le
forze militari (in cui Blake non è riuscito a fare carriera) non hanno più una
grande opinione di lui.
In effetti sono rimasto un po’
male nel vedere come sono stati trattati i protagonisti: Blake non gode più della
considerazione di prima nell’esercito (anche se ha facile gioco a convincere un
giovane tecnico a ritardare il lancio) mentre Mortimer è tratteggiato come un
mezzo rincoglionito ormai sconfessato dalla comunità scientifica a causa
dell’abuso di medicinali a cui ricorre per tenere a bada i suoi incubi
ricorrenti. Non è che questi aspetti vengano sottolineati più di tanto, ma
comunque mi hanno fatto pensare che forse Schuiten, Van Dormael e Gunzig
avrebbero potuto realizzare la loro storia senza chiamare in causa per forza
Blake e Mortimer, ma l’aggancio con Il
Mistero della Grande Piramide è fondamentale e sarebbe stato difficile
adattarlo ad altri personaggi. Che oltretutto non avrebbero avuto ovviamente la
stessa presa commerciale.
Mortimer giunge quindi a
Bruxelles, dove scopre un mondo isolato, una sorta di comunità hippie che vive
con quello che la natura (che nel frattempo si è rimpossessata della città) ha
da offrire. Incontra anche una persona che provenendo dall’Egitto conosce il
sistema per sedare e interpretare i suoi incubi. Seguendo la profezia che vuole
che l’Ultimo Faraone imponga l’ultimo sigillo per liberare l’energia, ritorna
al Palazzo di Giustizia magnificandone le bellezze anche se corrose dal tempo e
dall’incuria: qui rivede una vecchia conoscenza e scopre un mare sotterraneo.
Il retroscena della storia viene svelato, ma non tutti i personaggi in gioco
sono dalla sua parte, e assisteremo a qualche voltafaccia. Purtroppo assistiamo
anche a più di un “ritorno a effetto” di personaggi che di logica avrebbero
dovuto essere usciti dal quadro. Certo, è un meccanismo abbastanza comune nella
letteratura popolare per sorprendere il lettore e far evolvere la trama, ma
questi ritorni mi sono sembrati inverosimili senza uno straccio di spiegazione.
Fin qui L’Ultimo Faraone è un più che dignitoso fumetto forse non
originalissimo ma avvincente e ben scritto, che trasmette un notevole sense of wonder. Poi arriviamo al finale
e la storia deflagra con la splendida soluzione con cui Mortimer “salva” il
mondo. Data la natura del nuovo status
quo è evidente che quello in cui è ambientata questa storia è un mondo
alternativo rispetto a quello canonico della saga (Mortimer ne fa forse un
cenno metanarrativo nell’ultimo dialogo). Ovviamente trattandosi di
un’interpretazione non canonica della saga era lecito aspettarselo, ma lo
stesso mi ha sorpreso piacevolmente: insomma, proprio una conclusione ben
architettata e originale. Non fosse che mi è arrivato così tardi[2] un
posticino nel Meglio del 2019
lo avrebbe trovato.
I disegni di Schuiten sono
spettacolari, e in teoria non ci si sarebbe dovuti aspettare di meno. In effetti
dalle immagini che avevo visto in anteprima mi era sembrato che non fosse stato
in grado di interpretare correttamente i protagonisti, soprattutto Blake,
invece per fortuna non è così. Purtroppo l’eccellente lavoro di Schuiten è
stato in parte vanificato dalla colorazione digitale di Laurent Durieux. È
paradossale che un’opera che racconta (e un po’ esalta) il ritorno a un mondo
preindustriale sia stata un po’ rovinata dall’uso del computer. Il colorista ha
quel brutto vizio di colorare anche i tratteggi e le campiture del disegnatore,
definendo così una gerarchia, che si spera concordata con l’artista, di quello
che il lettore deve “leggere”. Così però si vedono delle vignette in cui i
personaggi risaltano su sfondi pastello spesso dettagliatissimi, che così si
perdono e passano anche metaforicamente in secondo piano. Inoltre Durieux cerca
di far suo lo stile di Schuiten e si inventa dei tratteggi colorati dove di
logica il disegnatore non li aveva messi. Ma d’altra parte quando non ricorre a
questa tecnica i suoi colori sono a volte tagliati con l’accetta, ad esempio senza
seguire le logiche pieghe che dovrebbero avere i vestiti, o le sfumature delle
nuvole… inoltre spesso i colori scelti mi sono sembrati troppo accesi, gli
accostamenti azzardati e le sottolineature semplicemente pacchiane (il McGuffin con cui Mortimer risolve la
situazione dà quasi fastidio per l’evidenza che gli viene data nelle scene che
in teoria dovrebbero essere buie).
Nel complesso comunque nulla di
proprio imperdonabile, ma sono sicuro che in bianco e nero avrebbe reso di più.
Probabilmente molto di più.
A proposito di McGuffin, speravo che il cane di
Mortimer avrebbe avuto un qualche ruolo, invece non ha nemmeno un nome…
[1] «Non ti è ancora arrivato
il Blake e Mortimer di Schuiten?»
«Sì, certo, me ne sono arrivate diverse copie.»
«E non me lo hai messo da parte?!»
«Erano tutte rovinate, ho dovuto restituirle ma mi
torna prestissimo.»
Questo prima di Natale.
[2] «Non ti è ancora arrivato
il Blake e Mortimer di Schuiten?»
«Sì, certo, me ne sono arrivate diverse copie.»
«E non me lo hai messo da parte?!»
«Erano tutte rovinate, ho dovuto restituirle ma mi
torna prestissimo.»
Questo prima di Natale.
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