Dopo l’inaspettata sorpresa di un inedito e più che convincente Jarbinet,
la collana Historica colpisce
nuovamente nel segno con un volume di Hermann decisamente superiore alle
aspettative. Alle mie, almeno.
Quando avevo letto alcuni di questi volumi sui settimanali dell’Eura non mi
avevano colpito particolarmente, ma leggerli in maniera organica e con un
formato e una cura che ne esaltano le caratteristiche ne ha rivelato tutta la grandezza.
Di Bois-Maury non viene raccolto
il primo episodio, Assunta, con la
elegante giustificazione che non è stato scritto da Yves H. e si è preferito formare
un corpus uniforme firmato dagli stessi autori.
Ora, Yves H. è un figlio d’arte e lo si disprezza a prescindere. Nel suo
caso, e in riferimento alle prime porcherie che ha scritto per cotanto padre,
il disprezzo era più che giustificato. Ma in questi quattro racconti sembra
veramente un altro, ha raggiunto decisamente una maturità e una scioltezza di
scrittura che erano impensabili se torniamo con la memoria a puttanate infami come
Manhattan Beach e La ragazza di Ipanema.
Qui il rampollo di casa Huppen riesce a elaborare delle storie che pur
muovendosi nel solco di situazioni tipiche delle narrativa popolare (il nobile
decaduto, la ricerca dell’Eldorado, l’eroe anacronisticamente illuminato, ecc.)
risultano originali e molto interessanti, narrate con uno stile che incolla
alla pagina. Inoltre bisogna rendere merito anche allo scrupoloso lavoro di
documentazione che si percepisce in tutte e quattro le storie, anche se forse
qui anche il buon vecchio Hermann avrà avuto il suo peso.
Proprio come il padre, Yves H. riesce a racchiudere in sole 46 tavole una
situazione di partenza non banale, dei personaggi splendidamente caratterizzati
e un sacco di digressioni che non tolgono forza alla trama di base ma la
arricchiscono e ne completano la comprensione. E alla fine, visto il format di
partenza (ogni volume è autoconclusivo perchè si concentra su un solo
discendente dell’Aymar de Bois-Maury originario) non esitono situazioni
pendenti, rimandi a prossimi episodi, sospensioni da cui partire per nuovi
cicli di storie. Ogni volume è perfettamente chiuso in sè, e magari il mercato
franco-belga si concentrasse di più su questo tipo di prodotti piuttosto che
sulle lunghe saghe in cui il primo volume è a malapena un preambolo!
Ho notato l’evoluzione che Yves H. compie a livello di linguaggio. Nei
primi episodi (soprattutto nel secondo, Dulle
Griet) i personaggi si esprimono con una magniloquenza barocca forse
rispettosa del linguaggio dell’epoca, ma in definitiva poco realistica. Con
l’avanzare della serie ci sarà sempre più pulizia nei dialoghi e nelle battute,
tanto che il conclusivo Occhio di Cielo
farà largo uso di lunghe sequenze mute.
Ottima la caratterizzazione dei vari Aymar sparsi per i secoli: non si
tratta mai dello stesso archetipo di partenza rivestito a seconda delle
esigenze, ma di volta in volta abbiamo un personaggio sanguigno ma ingenuo, un
uomo avido attratto dalla lusinga dell’oro, un giovane idealista, un uomo maturo
ossessionato. In Dulle Griet, poi,
Aymar è quasi un’appendice della trama, assolutamente necessario per il suo
svolgersi ma non più di questo.
Dal punto di vista grafico non penso ci sia molto da dire. Hermann è
Hermann, non ci piove. È innegabile che molte anatomie sarebbero più indicate
per un fumetto umoristico e che le sue donne nella migliore delle ipotesi
ricordano l’E. T. di Rambaldi, ma difficilmente mi vengono in mente altri
disegnatori che masticano il linguaggio del fumetto e lo piegano al loro volere
come lui. Certamente non mancano i fumettisti di cui si guardano estasiati i
disegni, ma praticamente nessuno (forse Jean Giraud?) ha il suo stesso
controllo della tavola. Col suo gioco di pieni e vuoti, con la sua abilità nel
rappresentare il movimento (e fateci caso: non usa mai le linee cinematiche),
con la cura per i dettagli Hermann proietta veramente il lettore nella storia e
gliela fa seguire come vuole lui. Eh, lo so che questo è un luogo comune che si
può applicare a tanti disegnatori senza troppa cognizione di causa, ma nel caso
di Hermann è la sacrosanta verità. Così come nel suo caso lo è pure quella
frase fatta che vorrebbe i grandi artisti essere in grado di far capire allo
spettatore che ora è nei loro lavori: pensiamo solamente a come il tramonto che
si avvicina tinge i volti dei personaggi nelle prime pagine di Vassya. Se poi pensiamo all’uso mai
banale che fa del colore (ora con accostamenti violenti, ora con intere
sequenze basate solo su due colori come in Occhio
di Cielo), all’abilità nel ritrarre alla perfezioni gli animali e alla cura
maniacale per la documentazione, è impossibile non rimanere catturati dalle sue
tavole. E chi se ne frega se guardando in un secondo momento i suoi disegni con
la lente d’ingrandimento ci accorgiamo che un occhio o una mano sono
sproporzionati.
Ancora ignoro cosa pubblicherà la Mondadori dopo Bois-Maury, sarà difficile mantenere la stessa qualità di questo
secondo volume ma questa collana ha già riservato graditissime sorprese e
quindi non dispero.
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