Con un titolo-calembour del genere è stato spontaneo
dare fiducia alla nuova miniserie Bonelli, e in effetti la lettura vale
abbondantemente i 3,50 € del biglietto.
Seguendo un canovaccio classico
(ne esistono pure declinazioni pornografiche),
Cico si ritrova a viaggiare nel tempo a causa della sua maldestra curiosità che
lo ha fatto azionare un artefatto maya. Questo primo numero si svolge nella
Grecia classica, dove Cico viene “adottato” da Socrate e finisce invischiato in
un tentativo di omicidio ai danni di Pericle.
Tra citazioni classiche niente
affatto banali (le note finali spiegano chi era Santippe a beneficio dei
lettori che non abbiano fatto il Liceo Classico) e rare frecciatine alla realtà
sociale odierna, Faraci inanella una serie ininterrotta di gag farcendo i
dialoghi di sarcasmo e giochi di parole.
Forse questa frenesia umoristica
è dovuta al formato originario che probabilmente aveva questo progetto: è
evidente infatti che si tratti di due episodi di una trentina di tavole (forse
pensati per qualche albetto allegato?) fusi insieme, visto che a metà del
fumetto viene riassunta nuovamente la storia – e l’attacco non è nemmeno del
tutto coerente visto che i manovali prima erano divertiti dalla sparizione di
Cico per poi esserne terrorizzati.
Ai disegni Walter Venturi fa un
lavoro egregio: pur se di matrice solidamente realistica, è riuscito a inserire
qua e là degli accenni caricaturali (non molti) che ben si sposano con il tono
della miniserie. La gag del pesce è fenomenale, anche se chiaramente beneficia
dei tempi comici imposti da Faraci, che la anticipa con calcolata naturalezza
nell’ultima vignetta di pagina 37 per farla deflagrare in quella successiva.
In appendice ci sono la rubrica
di approfondimento Il Serio e il Faceto
curata da Faraci e La Comica Finale,
una pagina in cui un fumettista umoristico (che sarà diverso per ogni numero)
omaggia Cico: per questa prima uscita è stato Sio. C’è inoltre anche un inserto
in cartoncino che riproduce la copertina del primo Speciale di Cico.
Il formato è differente dal
classico bonelliano, e così a occhio mi sembra un 17x24. La colorazione non
toglie né aggiunge molto alle tavole di Venturi (Pericle sarà stato veramente
così scuro di carnagione o è stato scelto di colorarlo in tal modo per farlo
risaltare di più?) ma stavolta
la carta non patinata si adatta bene al personaggio restituendo un certo sapore
vintage.
Il prossimo numero ha un titolo
ancora più esilarante: Unno per tutti,
tutti per unno!
La carnagione abbronzata è l'ennesimo inside joke del mio amico ed ex allievo Tito Faraci ed è un riferimento al romanzo Pericle il Nero del mio amico ed ex allievo ed ex collega di Tito Faraci Peppe Ferrandino.
RispondiEliminaMi inchino davanti alla gag, Graziano. Sul serio: geniale! Come forse saprai io ador(av)o Ferrandino.
EliminaE' nell'aria. Almeno nella mia. La settimana scorsa sono stato ad una presentaz del primo libro di Omar di Monopoli per Adelphi e lo scrittore che lo intervistava ha tirato in ballo Faraci di cui è amico e Ferrandino che dopo il successo francese fu ristampato da Adelphi. Ieri notte ho acceso la tv e sky stava trasmettendo lo sfortunato Pericle il Nero con Scamarcio. Stamattina stavo cercando altro e ho ritrovato La Storia di Cani di Ferrandino e Caracuzzo. Ferrandino ovunque.
RispondiEliminaMi pare però che in Italia Pericle il Nero venne pubblicato con uno pseudonimo inizialmente (Abrescia o un nome così).
EliminaPericle il Nero di Scamarcio?! Ma non dovevano fare un film con Taricone (!) e poi il produttore se ne fuggì con la cassa?
Nicola Calamata, se non ricordo male per i tipi di Granata Press. Visto anni fa al Libraccio e lasciato lì perchè ho il volume Adelphi. Il film con Scamarcio, voluto fortissimamente dall'attore, è stato un floppino dell'anno scorso. So goes life.
RispondiEliminaPazzesco, non sapevo che ne avessero fatto il film. Ma d'altra parte è per puro caso che ho scoperto che dovrebbe esistere pure una versione cinematografica di "Il Passato è una terra straniera" del mio adorato Carofiglio.
Elimina"Nicola Calamata"... chissà da dove avrò pescato quel "Abrescia"...