La vicenda viene riassunta da un Machiavelli famelico di donne obese: ne La Perniciosa Virtù Alfonso d’Este viene liberato dietro il pagamento di un enorme bottino e della sostituzione come prigioniero di suo figlio, che godendo della “simpatia” del Papa chiamerà a corte anche la sua gargantuesca madre. È di nuovo tempo di guerra (come sanno i lettori dei numeri di Dago Nuova Ristampa ambientati durante le Guerre d’Italia) e Giulio II si libera di nemici esterni e interni. I riflettori si spostano quindi sulla rivalità tra Michelangelo e Raffaello, che riusciranno con il loro “amore” a guarire il Papa dal malanno che ha avuto dopo uno scontro metafisico (ma reso ben carnale) con una Madonna agguerritissima. Ma non c’è pace per quella simpatica canaglia: deve infatti difendersi dal concilio di Pisa convocato da Luigi XII che vuole esautorarlo col benestare di nove cardinali. Il redivivo Leonardo da Vinci, che già aveva fatto capolino nel “prequel” I Borgia disegnato da Manara, costruirà un marchingegno diabolico per garantire la loro fedeltà.
Il secondo episodio qui raccolto, L’Amore è cieco, si apre con la morte di Giulio II e, nelle cronache di Machiavelli, verte sull’eterna guerra contro Luigi XII, in cui si inserisce un nuovo elemento perturbatore: il bel cugino del re (e generale del suo esercito) Gaston de Foix. Il doppio lieto fine lascia forse presagire una terza tetralogia papale con protagonista Leone X.
Collerico come Paperino e pestifero come Gian Burrasca, Giulio II è una macchietta divertente che suscita simpatia nel lettore nonostante i crimini di cui si macchia (o forse proprio per quelli, visto che hanno un sottofondo grottesco). Anche certi dialoghi trasudanti sesso e nefandezze, ancora più volgari perché ricoperti da una patina di finta affettazione, fanno ridere di gusto – che fosse o meno nelle intenzioni di Jodorowsky.
Theo fa un lavoro egregio, e i motivi per cui non mi aveva del tutto convinto su Murena sono quelli per cui è invece perfetto qui. Il suo stile molto modulato e spesso tendente al caricaturale (ma sempre con una grande attenzione per gli sfondi, i costumi, le armi, ecc.) è ottimo per rendere la parossistica violenza de Il Papa Terribile. E forse troppo realismo avrebbe reso alcune scene nauseanti. Va anche detto però che i cinque anni di distanza tra il terzo episodio (2014) e il quarto (2019) si vedono, e Theo ha visibilmente semplificato il suo tratto. Onore al merito anche ai suoi coloristi, Florent Brossard e Luca Merli, che non fanno rimpiangere gli acquerelli.
Non siamo di fronte a un capolavoro come I Borgia, in cui le vicende della rapace famiglia diventavano l’occasione per un’apologia sulla cupidigia e sulla caducità degli uomini, ma Il Papa Terribile è una lettura molto buona. Forse è la pietra tombale che sigilla per sempre l’esperienza della Panini con gli “integralini”, nel qual caso si può dire che sia finita alla grande.
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