Ne La Parisienne la giovane Valerie raggiunge la cugina in un paesino di campagna suscitando le attenzione degli adolescenti locali. È una vicenda prettamente descrittiva, che pur tra siparietti umoristici si concentra su pennellate localistiche relative alle usanze del paesello e ai suoi abitanti a volte un po’ particolari – taluni sono proprio delle macchiette. La trama si sviluppa lietamente senza alcun baricentro a cui dover dare conto, senza misteri da risolvere o conflitti da superare. C’è solo il “caso” di un crocifisso a cui sono state tolte le gambe, che però fornisce solo l’occasione per alcune gag e nessuna indagine, e poi l’attesa per la sagra del paese in cui la storia arriverà al culmine. Jackie Berroyer, che in pratica ha scritto solo questo fumetto, usa doppi sensi e giochi di parole e questo può renderne ostica la godibilità in alcuni punti per un lettore non francofono. Mi pare poi che abbia anche usato un po’ di argot provinciale o forse uno slang tipico degli anni ’80, con espressioni che non mi sembra siano sopravvissute nel francese di oggi. La storia termina con le due cugine che partono per il mare piantando in asso i loro “belli” e lasciando forse intendere che tra di loro c’è una relazione diversa dalla semplice parentela e amicizia (ma potrei essere io ad aver frainteso i dialoghi). Chi diavolo sia questo Goudard, però, non l’ho proprio capito e mi è parso che nel primo dei tre volumi raccolti non comparisse affatto. Sarà stato il cognome di uno dei personaggi maschili…
E invece no: nel secondo episodio l’azione si sposta effettivamente al mare, e dei ragazzi del paesello non rimarrà nemmeno il ricordo. Ma sulla scena comparirà una famigliola di campeggiatori che contempla anche il Goudard del titolo. Sembra insomma che La Parisienne non sia altro che un’introduzione alla vera storia, ma perché presentare uno dei protagonisti solo dal secondo dei tre episodi della serie? Da quanto ho ricostruito grazie a internet, il motivo è che in origine La Parisienne era uno one shot, che poi gli autori hanno voluto far confluire artatamente nella saga di Goudard, una serie che fino ad allora contemplava solo storie brevi apparse su varie riviste, e in cui Gibrat disegnava in un bianco e nero ancora meno presago delle sue piacevolezze future.
Dal punto di vista grafico si avverte un minimo miglioramento del lavoro, che però è ancora caricaturale e poco sciolto. Mi si potrà obiettare che i compagni di rivista di Gibrat a Fluide Glacial avevano praticamente tutti uno stile grottesco, e che quindi fosse un marchio di fabbrica della rivista o una richiesta dell’editore, ma François Boucq (per dire) possedeva già una grande scioltezza e piacevolezza.
Anche in questo secondo episodio Berroyer usa giochi di parole e un umorismo semplice, concentrandosi su piccole pennellate umoristiche di tranches de vie. Qui David Goudard e l’amico con cui è in vacanza tentano vari approcci con Valerie e la cugina, destreggiandosi tra i doveri imposti dalla famiglia oppressiva. Alla fine Valerie rimane incinta!
Col terzo episodio si comincia finalmente a ragionare e Gibrat, che già aveva dato sporadici ma promettenti segnali di maturazione verso la fine dell’episodio precedente, lascia da parte l’inchiostrazione grassa e le derive caricaturali. Il suo stile non è ancora ben definito, ma si nota la ricerca di un maggiore realismo e di una sintesi elegante. In alcuni punti mi ha ricordato Arno.
In questo episodio la storia (dopo la tragicomica rivelazione della gravidanza in casa Goudard) si ricollega al primo e la coppietta torna al paesello visto all’inizio insieme al neonato Robinson. David viene fatto lavorare come apprendista meccanico con la speranza che metta la testa a posto ma anche al paesello continuerà a combinarne delle sue, mentre Valerie subirà gli approcci del suo vecchio amore e non solo. Berroyer continua con il suo stile infarcito di doppi sensi, giochi di parole e umorismo a volte un po’ greve. La tragedia con cui si conclude questa serie/non-serie può essere vista come una cosa veramente drammatica anche per le conseguenze che avrà sulle vite degli altri personaggi oppure come una gustosa sterzata verso lo humour nero.
Mi pare di capire che l’ultimo volume fosse stato serializzato in origine a blocchi di quattro tavole (in totale ne conta 44): questo porta a una certa frammentarietà dovuta alla necessità di creare una gag portante per ogni puntata, e anche a una forzata mancanza di coerenza con temi e personaggi che entrano ed escono di scena a causa della limitatezza dello spazio a disposizione, senza nessun ordito sottostante a cui attenersi. Ma potrei benissimo sbagliarmi. È però vero che Gibrat verso la fine evolve ancora di più, probabilmente proprio grazie a questa serializzazione molto diluita che gli permise di elaborare il suo stile, in cui farà appunto capolino finalmente anche un barlume della sua particolare tecnica di colorazione.
Pur se non manca di una certa godibilità, …Goudard et la Parisienne! è interessante più che altro per ragioni di archeologia gibrattiana, e più in generale fumettistica: non si contano le didascalie con «più tardi», «il giorno dopo», ecc. Un fumetto d’altri tempi.
A mettere incinta Valerie, è stato David o lo Spirito Santo?
RispondiEliminaDavid, spiritosone...
EliminaPerò in effetti non mi tornano i tempi della copertura della pillola che cita Gallerie, ma non ho approfondito.