Potrebbe sembrare irrispettoso dire che l’ho comprato attirato più dagli aneddoti e dai ricordi di Alfredo Castelli che dai fumetti in sé, ma è lo stesso sceneggiatore nell’introduzione a precisare i limiti di queste storie. Al di là della prima e dell’ultima (e forse de La Stangata, ma le supposizioni di Castelli sarebbero confutate dai testi) si tratta di “fumetti verità” tratti dalla cronaca o dalla Storia o dalla letteratura o addirittura dall’imbeccata dei lettori con scopi didattici ed edificanti per Il Giornalino e giornalistici e informativi per Il Corriere dei Piccoli/Ragazzi. Una manna per gli sceneggiatori dell’epoca, che non dovevano inventarsi soggetti originali né spaccarsi la testa per trovare delle idee valide per sciogliere i nodi di quelle che nei fatti non potevano spesso nemmeno essere definite “storie” vere e proprie, con uno sviluppo e un finale risolutivo – il tutto con l’alibi della divulgazione.
La differenza in termini qualitativi l’avrebbero fatta la maestria dei disegnatori (uno su tutti tra quelli qui antologizzati: Sergio Toppi) e la capacità di affabulatore dello sceneggiatore.
Cionondimeno, sono proprio le due storie a soggetto libero che aprono e chiudono il volume a essermi sembrate meno efficaci: Una Pallottola per Ted è piuttosto banale mentre Kilroy (unica ad essere stata pubblicata sull’effimera testata Supergulp) mi è sembrata un tantinello debitrice di un racconto di guerra di Pratt per la Fleetway – ma potrei confondermi o ricordare male. Ma d’altro canto è lo stesso Castelli ad ammettere i limiti di quelle sceneggiature e a spiegarne i motivi.
I suoi gustosi “dietro le quinte” sono localizzati nella divertente introduzione-bugiardino (da cui apprendiamo che la mole di storie libere fu dovuta alla necessità di comprare un’auto nuova dopo che la sua già provata Fiat 500 si ruppe letteralmente a metà) e nelle introduzioni alle varie annate, che si fanno viepiù rarefatte con il passare degli anni e le minori storie autoconclusive prodotte in favore delle serie lunghe.
La memoria di Castelli è invidiabile, posso capire che l’impatto emotivo di sentirsi dire «dovrei prenderla a schiaffi» dal caporedattore dell’Intrepido sia difficile da dimenticare, ma addirittura cita il nome di chi corresse i volti di un personaggio minore nella storia Il Dono di Natale di Sergio Toppi! Ovviamente gli aneddoti abbondano, alcuni dei quali forse risaputi ma di cui io non ero a conoscenza: non sapevo ad esempio che il Johnny Focus di Micheluzzi transitato su Il Corriere dei Ragazzi era una versione adattata dallo stesso Castelli, di cui sarebbe stata ripristinata la versione originale con il ritorno del personaggio al suo creatore.
Per quel che riguarda i fumetti, per i limiti ricordati sopra sarebbe ingenuo aspettarsi storie originali o anche solo un po’ articolate (alcune si risolvono nell’arco di un paio di tavole) visto che inevitabilmente c’è anche tanta retorica che, a seconda di come tirava il vento in quegli anni, sfocia nell’agiografia o nella stigmatizzazione: emblematiche dei due estremi la storia sulla Legione Straniera e quella su Cassius Clay, da cui il Castelli di oggi prende più o meno nettamente le distanze.
Cionondimeno, ogni tanto affiora qualche storia molto godibile anche oggi da un pubblico adulto: vuoi perché il materiale di partenza era di per sé avvincente (L’Uomo che morì due volte) o divertente (Le cinture non hanno i denti), vuoi perché la resa in formato fumetto consente di gestire efficacemente i colpi di scena (… Questo è un dirottamento!), vuoi perché costituiscono delle ghiotte curiosità (lo “spin off” Nick Carter all’italiana), vuoi perché Alfredo Castelli è ricorso a soluzioni narrative sperimentali come il montaggio alternato di Inardi: una vittoria per una vita.
Il parterre dei disegnatori è impressionante: Giancarlo Alessandrini, Bonvi (che si diverte a inventare firme ibride come «Bontelli e Casonvi»), Franco Caprioli, Giovanni Cianti, Mario Cubbino, Santo D’Amico, Franco Devescovi, Aldo Di Gennaro, Alarico Gattia, Ruggero Giovannini, Attilio Micheluzzi, Paolo Ongaro, Riccardo Paoletti, Ferdinando Tacconi, Sergio Toppi, Sergio Tuis, Mario Uggeri, Sergio Zaniboni e Nevio Zaccara. In quegli anni, probabilmente a fronte delle buone tariffe che corrispondevano le riviste, anche disegnatori che poi sarebbero stati discontinui produssero ottimo materiale. Tra i tanti, Riccardo Paoletti è stato una piacevolissima riscoperta. È stato interessante anche vedere le prime prove di un Alessandrini ancora acerbo che in molti casi (forse a causa di consegne pressanti) non lasciava intravedere il Maestro che sarebbe diventato in futuro.
È ovvio che sarebbe ingiusto pretendere una buona qualità di stampa per un volume che è stato confezionato necessariamente a partire dalle scansioni delle vecchie riviste (a opera di Maurizio Berdondini che ha anche messo un tocco di colore nella storia in bianco e nero Alle balene non piace il rosa) ma perlomeno il grande formato e la carta di ottima qualità usata da Allagalla sopperiscono in qualche modo. Non sono solo i disegnatori che si basano molto sul tratteggio come Gattia o Toppi a risultare penalizzati: ad esempio del Devescovi di La vita illuminata di Egesippo Simon sono riuscito a leggere più o meno chiaramente gli inside joke dei titoli sulle coste dei libri che citano i triestini «patoc» ed «el petesson», ma il tratto di molti altri titoli è troppo impastato per essere leggibile.
A chiudere questo tomo monumentale ci sono le biografie degli autori redatte da Luigi Marcianò (da cui ho finalmente conferma che fu Sergio Tuis a disegnare i primi episodi di Ken & Dan) e ben tre indici divisi a seconda dell’autore, del titolo e del luogo di prima pubblicazione delle storie.
Un volume veramente piacevole, interessante e molto ben confezionato (sì, mi sono accorto che la biografia di Tacconi comincia in quella di Paoletti, ma non mi pare niente di drammatico), che offre alcune letture godibili e soprattutto delle testimonianze di un’epoca e di un modo di fare fumetti dei tempi che furono.
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