Non è un capolavoro, ma poco ci manca. Si è fatto desiderare, ma la lettura
di Spaceman è valsa tutta l’attesa.
In queste pagine ho ritrovato tutta la disperazione, il pessimismo, la
critica sociale dei fumetti argentini ed europei degli anni ’80. Il fatto che
ci sia Risso ai pennelli non fa che aumentare questo piacevole senso di déjà vu,
visto che viene spontaneo paragonare questo Spaceman
al suo (e di Trillo) Borderline. Ma
di influenze più o meno volontarie, alcune sicuramente solo immaginate da me,
ce ne sono tante altre, come la città divisa in settori di tanti altri fumetti
(Rank Xerox, Chances, Il Prigioniero delle
Stelle, la saga dell’Incal...), oppure l’onnipresenza del pattume come in Rifiuti, o le scene affollate e cariche
di messaggi e messaggini dell’Horacio Altuna più impegnato. E tutto questo
contorno di suggestioni si trova a far da cornice a una storia che di per sè è
originale e magistralmente strutturata.
Orson è lo “spaceman” del titolo, una specie di scimmione creato in
laboratorio con cui anni prima si pensava di colonizzare Marte. Finiti i fondi
e abortito il progetto, lui e gli altri spacemen hanno dovuto reinventarsi una
vita e ritagliarsi uno spazio sulla vecchia Terra. Orson non sembra disprezzare
le sua nuova vita, anche se da pioniere colonizzatore ha dovuto adattarsi a
fare il pescatore di relitti e rifiuti al largo di quel che resta di una città
devastata, che un muro divide tra la classe abbiente e i poveracci
dell’esterno.
Come tutti, anche Orson ama i reality-cast e si troverà invischiato nella
sordida storia del rapimento di una giovanissima star de L’Arca, seguitissimo reality che punta i riflettori sui bambini di
etnie diverse adottati di volta in volta da una coppia di star hollywoodiane.
Ogni riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale.
La storia procede serratissima tra flashback illuminanti sulla “life on
Mars” e colpi di scena molto ben congegnati. Intorno al protagonista ruota una
torma di personaggi splendidamente caratterizzati, tutti pienamente funzionali
alla storia e tutti incredibilmente realistici nella loro ambiguità. Non ci
sono buoni e cattivi in Spaceman, se
non al momento della loro prima apparizione, tanto per dare al lettore qualche
riferimento stereotipato con cui sia già a suo agio per poi svilupparlo in
altre direzioni a mano a mano che la vicenda procede e i caratteri vengono
approfonditi.
Azzarello non solo ha imbastito una trama articolata e ha saputo
scioglierne la matassa con classe, ma ha condito il tutto con i suoi ormai proverbiali
dialoghi arguti e spiazzanti e si è anche divertito a creare qualche
neologismo. Non preoccupatevi: nulla di spocchioso o di difficile comprensione.
Il mondo che crea, anche grazie al lavoro certosino di Risso, diventa tangibile
ma d’altra parte non è poi troppo distante dal nostro. Anche senza moneta
corrente ci sarà la svalutazione...
Su Eduardo Risso non mi soffermo nemmeno, se non per segnalare che la
colorazione stavolta è stata più generosa con lui che in altre occasioni. Niente
a che vedere con lo stile decisamente freddo e “intellettuale” con cui Dave
Johnson è stato chiamato a illustrare le copertine, ma pure quelle non sono
affatto male.
Insomma un volume consigliatissimo, tanto più che la qualità di stampa è
insolitamente ottima per gli standard RW Lion.
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