mercoledì 23 gennaio 2013

Spaceman



Non è un capolavoro, ma poco ci manca. Si è fatto desiderare, ma la lettura di Spaceman è valsa tutta l’attesa.
In queste pagine ho ritrovato tutta la disperazione, il pessimismo, la critica sociale dei fumetti argentini ed europei degli anni ’80. Il fatto che ci sia Risso ai pennelli non fa che aumentare questo piacevole senso di déjà vu, visto che viene spontaneo paragonare questo Spaceman al suo (e di Trillo) Borderline. Ma di influenze più o meno volontarie, alcune sicuramente solo immaginate da me, ce ne sono tante altre, come la città divisa in settori di tanti altri fumetti (Rank Xerox, Chances, Il Prigioniero delle Stelle, la saga dell’Incal...), oppure l’onnipresenza del pattume come in Rifiuti, o le scene affollate e cariche di messaggi e messaggini dell’Horacio Altuna più impegnato. E tutto questo contorno di suggestioni si trova a far da cornice a una storia che di per sè è originale e magistralmente strutturata.
Orson è lo “spaceman” del titolo, una specie di scimmione creato in laboratorio con cui anni prima si pensava di colonizzare Marte. Finiti i fondi e abortito il progetto, lui e gli altri spacemen hanno dovuto reinventarsi una vita e ritagliarsi uno spazio sulla vecchia Terra. Orson non sembra disprezzare le sua nuova vita, anche se da pioniere colonizzatore ha dovuto adattarsi a fare il pescatore di relitti e rifiuti al largo di quel che resta di una città devastata, che un muro divide tra la classe abbiente e i poveracci dell’esterno.
Come tutti, anche Orson ama i reality-cast e si troverà invischiato nella sordida storia del rapimento di una giovanissima star de L’Arca, seguitissimo reality che punta i riflettori sui bambini di etnie diverse adottati di volta in volta da una coppia di star hollywoodiane. Ogni riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale.
La storia procede serratissima tra flashback illuminanti sulla “life on Mars” e colpi di scena molto ben congegnati. Intorno al protagonista ruota una torma di personaggi splendidamente caratterizzati, tutti pienamente funzionali alla storia e tutti incredibilmente realistici nella loro ambiguità. Non ci sono buoni e cattivi in Spaceman, se non al momento della loro prima apparizione, tanto per dare al lettore qualche riferimento stereotipato con cui sia già a suo agio per poi svilupparlo in altre direzioni a mano a mano che la vicenda procede e i caratteri vengono approfonditi.
Azzarello non solo ha imbastito una trama articolata e ha saputo scioglierne la matassa con classe, ma ha condito il tutto con i suoi ormai proverbiali dialoghi arguti e spiazzanti e si è anche divertito a creare qualche neologismo. Non preoccupatevi: nulla di spocchioso o di difficile comprensione. Il mondo che crea, anche grazie al lavoro certosino di Risso, diventa tangibile ma d’altra parte non è poi troppo distante dal nostro. Anche senza moneta corrente ci sarà la svalutazione...
Su Eduardo Risso non mi soffermo nemmeno, se non per segnalare che la colorazione stavolta è stata più generosa con lui che in altre occasioni. Niente a che vedere con lo stile decisamente freddo e “intellettuale” con cui Dave Johnson è stato chiamato a illustrare le copertine, ma pure quelle non sono affatto male.
Insomma un volume consigliatissimo, tanto più che la qualità di stampa è insolitamente ottima per gli standard RW Lion.

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